Dei nuovi frammenti di Dexippo rinvenuti nel codice palinsesto Uindobonensis historicus graecus 731, un significativo blocco narrativo concerne gli eventi che intercorsero tra la presa di Filippopoli (Plovdiv) da parte di Cniva e gli scontri tra l’esercito di Decio e le truppe di un Ostrogoto in area balcanica. Le vicende si datano approssimativamente ai primi mesi del 251: dopo aver descritto con dovizia di dettaglio la caduta di Filippopoli – presa grazie al tradimento e al lassismo dei cittadini2 – e ricordato l’allestimento di presidî alle Termopoli per bloccare l’avanzata del nemico3, il cd. ‘Dexippo Vindobonense’ presenta un ulteriore fronte di guerra sui Balcani, aperto dalle minacce del capo barbaro Ostrogoto:
ὡς δὲ ἐπύθετο ὁ τῶν Σκυθῶν ἄρχων Ὀστρογούθθος Φιλιππούπολιν ἐχομένην· καὶ ἔτι μέντοι οἱ Σκύθαι· Κνίβαν μὲν ἐν λόγῳ τῷ ἀρίστῳ ἐποιοῦντο· καὶ ἐν ὠδαῖς ἄδοιεν· **περ σφισι πατ**ν ἐπὶ τύχαις ταῖς ἀμείνοσιν· (καὶ) πολέμου κατορθώσει· αὐτὸν δὲ δη ******** τίθοιντο· μαλακίαν προσφέροντες· καὶ δυστυχίαν ἐν στρατηγήσεσιν· οὐκ ἀνασχετὸν τιθέμενος· μὴ καὶ αὐτὸς ἔργῳ μεγάλῳ, ἐς τὸ κοινὸν Σκυθῶν ἀπολογήσασθαι; ἄρας διὰ τάχους ἐπορεύετο στρατοῦ μυριάσι πέντε που μάλιστα· καθ᾽ ὃ δὴ ἔμελλεν τοῖς ἀμφὶ τὸν Δέκιον προσοίσεσθαι. (Uind. hist. gr. 73, f. 194r, ll. 17-29)
Quando il capo degli Sciti Ostrogoto venne a sapere che Filippopoli era stata presa e che inoltre per questo motivo gli Sciti tenevano Cniva nella massima considerazione e lo celebravano nei canti […] [come è loro costume (?)] nelle migliori circostanze e quando in guerra si riporta un successo, mentre invece consideravano lui […] rimproverandogli debolezza e il fallimento delle strategie, ritenendo intollerabile non riabilitarsi dinanzi alla comunità degli Sciti con una grande impresa, partito di gran fretta marciò con un esercito di circa 50.000 uomini al massimo, con l’obiettivo di assalire le truppe di Decio.
1. Il primo rebus del testo riguarda la figura di Ostrogoto. Si tratta di un personaggio non altrimenti noto, almeno in relazione a queste vicende; sinora si conosceva soltanto il rex Gothorum menzionato da Giordane in vari punti dei Getica, mai però in connessione con la campagna di Cniva.
Poiché il racconto dello storico goto è piuttosto confuso, vale la pena di ripercorrerlo brevemente nelle sue linee principali. La prima menzione di un Ostrogota (nome facilmente assimilabile all’Ostrogoto di Dexippo) ricorre a proposito della genealogia dei Goti: Ostrogota vi è presentato come figlio di Hisarnis e nipote di Amal, dunque discendente della stirpe degli Amali e progenitore di Teoderico. Che anche Cassiodoro conoscesse un Ostrogota amalo è testimoniato da un breve passo delle Uariae, dove il personaggio è ricordato per la sua tenacia tra gli antenati illustri di Amalasunta4. Poco più avanti Giordane riferisce, citando Ablabio, che i Goti Orientali, stanziati lungo la costa del Ponto Eusino e guidati da Ostrogota, avrebbero preso il nome o dal proprio capo o dalla propria ubicazione, senza però fornire indicazioni cronologiche5. Un primo elemento di datazione viene offerto solo dopo la lunga digressione su Massimino il Trace, quando si ricorda che durante il regno di Filippo l’Arabo, a causa del mancato pagamento del tributo, il rex Gothorum Ostrogota per ben due volte fece invadere l’impero dalle sue truppe, arrivando ad assediare Marcianopoli6. Il successo ottenuto avrebbe suscitato l’invidia del re dei Gepidi Fastida che, lamentando la povertà delle proprie sedi (da Giordane collocate sull’isola di Viscla), prima si volse contro i Burgundi, e poi reclamò presso Ostrogota la cessione di una parte del territorio. Al rifiuto di quest’ultimo, Fastida intraprese contro i Goti una guerra fratricida (i Gepidi vengono infatti indicati come una minoranza afferente al ceppo gotico). La battaglia, combattuta lungo le sponde del fiume Auha (nella Romania orientale, non lontano dalla Moldavia), si concluse con la schiacciante vittoria di Ostrogota, che costrinse Fastida ad una ignominiosa ritirata. A detta di Giordane lo scontro si sarebbe svolto al termine della seconda campagna gotica contro l’impero e prima del 250: lo storico infatti afferma chiaramente che la spedizione di Cniva ebbe luogo solo dopo la morte di Ostrogota7.
La sequenza degli avvenimenti ha da sempre sollevato dei dubbi. Le invasioni di Ostrogota sotto Filippo l’Arabo sono state generalmente considerate una Dublette dell’incursione condotta da Cniva nel 250/251, tanto che in molte sintesi sulla storia dei Goti (a cominciare da quella, autorevolissima, di Herwig Wolfram) le informazioni delle une e dell’altra vengono fuse tra loro e attribuite alla campagna sotto Decio8: ad Ostrogota ben pochi sono stati disposti a concedere qualcosa di più dell’evanescente funzione di eroe eponimo, le cui gesta sarebbero per noi inesorabilmente perse nella leggenda. Celebre, tra tutti, il giudizio di Peter Heather, che considera Ostrogota una figura puramente mitica, creata a posteriori dalla stirpe amala per nobilitare le proprie origini9.
In effetti, nella testimonianza dei Getica diversi elementi destano perplessità:
- innanzitutto, nel rievocare la divisione tra Ostrogoti e Visigoti, Giordane appare molto contraddittorio, perché da un lato menziona Ostrogota come capo dei Goti Orientali, dall’altro ammette che alla metà del III° secolo non era ancora operativa alcuna distinzione tra i due gruppi10;
- in secondo luogo, appare difficilmente sostenibile la compressione delle due campagne contro l’impero romano e della guerra con Fastida nel breve torno di anni 246-24911;
- infine, la narrazione delle campagne di Ostrogota presenta numerosi punti di contatto con quella avviata nel 250: non soltanto esse interessarono la stessa area geografica (in primis le province di Tracia e delle Mesie), ma della seconda spedizione di Ostrogota si dice che venne condotta seguendo la medesima strategia poi adottata da Cniva, basata sulla divisione dell’esercito in due corpi d’assalto.
Quest’ultimo punto rappresenta invero l’obiezione più debole contro l’attendibilità del racconto; non solo perché Giordane elabora la propria esposizione secondo schemi piuttosto standardizzati12, e dunque la presenza di elementi narrativi ricorrenti potrebbe rappresentare non un indizio di falsificazione bensì una cifra stilistica, ma anche perché la ripetizione dei medesimi moduli tattici da parte di uno stesso gruppo etnico a distanza di breve tempo non appare un fenomeno così inverosimile. Che nella campagna di Cniva l’esercito gotico sia stato diviso in due unità (l’una guidata da Cniva e l’altra da Ostrogoto) è ora confermato dal racconto di Dexippo; ed a rigore non si può escludere che questo schema abbia ripreso un analogo piano di attacco condotto con pari successo due anni prima.
A rendere veramente problematico il racconto di Giordane è piuttosto, come si diceva, la brevità dell’arco temporale interessato: ad Ostrogota viene attribuita una prima incursione nel 246/247 o 248, apparentemente condotta di persona, in Mesia e Tracia, cui l’imperatore rispose con l’invio di Decio sul fronte13; una seconda invasione, affidata alla guida di Argaito e Gunterico, nelle stesse province (la data non viene specificata ma gli eventi precedono la marcia di Cniva contro l’impero) 14, ed infine uno scontro con i Gepidi di Fastida, anch’esso anteriore alla primavera 25015: decisamente troppo persino per i bellicosi popoli del Ponto. Ad inficiare definitivamente questa cronologia è il confronto con un passo del Panegirico di Massimiano del 291, dove si ricordano conflitti intestini tra Burgundi e Goti Tervingi e tra questi ultimi e Gepidi che ricalcano molto da vicino quelli menzionati nei Getica16: è difficile sfuggire all’impressione che Giordane (o la sua fonte) abbia anticipato alla metà del secolo fatti occorsi in realtà solo alcuni decenni dopo, e che le vicende di Fastida vadano nettamente distinte da quelle dell’Ostrogota attivo ai tempi di Filippo l’Arabo. La tradizione confluita in Zosimo e in Zonara menziona movimenti di tribù intorno allo stretto di Kerč (sul Mar d’Azov) contro il regno bosporano connessi alla campagna di Cniva17: la storiografia conservava dunque memoria di scontri interni al mondo ‘scitico’ intorno alla metà del III° secolo, che in seguito poterono essere facilmente confusi con la guerra tra Goti Tervingi e Gepidi attestata dal Panegirico.
Proprio sulla scorta della testimonianza di Mamertino, Wolfram (respingendo solo in parte l’ipercriticismo di Heather) ha dunque considerato l’Ostrogota vissuto alla fine del III° secolo un sovrano tervingio realmente esistito, ma nettamente distinto dall’omonimo – e fantomatico – progenitore degli Ostrogoti, cui la memoria storica della stirpe amala, confluita in Giordane, avrebbe arbitrariamente attribuito una parte delle imprese di Cniva: per conferire consistenza storica ad una figura puramente mitica si sarebbe così moltiplicato a fini apologetici il numero di campagne condotte contro l’impero tra l’età di Filippo l’Arabo e quella di Decio18.
In realtà, se nel suo insieme la versione dei Getica si presenta come un caotico mélange di informazioni di varia attendibilità e diversa provenienza (e sul problema delle fonti torneremo a breve), non abbiamo però motivi stringenti per negare la storicità di un’invasione sotto Filippo l’Arabo. Tra il 247 e il 248 l’imperatore riportò un considerevole successo contro i Carpi19, e questo potrebbe averlo indotto a rivedere la politica imperiale di sussidi ai Goti, verosimilmente pattuita come compenso per la loro partecipazione alla campagna partica di Gordiano III20. Un’interruzione del tributo da parte romana, con una conseguente azione di ritorsione ad opera dei federati, così come narrato nei Getica, appare del tutto verosimile, ed in assenza di prove contrarie sarebbe metodologicamente errato eludere questa testimonianza21. Peraltro, come rilevato da Christian Körner, i Goti potrebbero aver approfittato di un temporaneo indebolimento delle difese romane dovuto alla recente rivolta di Pacaziano: la notizia di Giordane secondo cui una parte dei soldati al seguito del comandante Decio sarebbe passata sul fronte avversario fa pensare a dissidî nell’esercito non sanati dalla repentina repressione dell’usurpazione22. Per il suo interesse, il brano merita di essere riletto per intero:
qui [scil. Decius] ueniens dum Getis nihil praeualet, milites proprios exemptos a militia fecit uitam priuatam degere, quasi eorum neglectu Gothi Danubium transfretassent, factaque ut putauit in suis uindicta, ad Philippum reuertitur. Milites uero, uidentes se post tot labores militia pulsos, indignati ad Ostrogothae regis Gothorum auxilium confugerunt. (Jord., Get., 16.90 Grillone)
E costui accorse, ma poiché non ottenne alcuna vittoria sui Geti, congedò i suoi soldati dalla vita militare e li restituì alla condizione di comuni cittadini, quasi che i Goti avessero attraversato il Danubio per loro trascuratezza, e inflitta questa punizione ai suoi, come ritenne opportuno fare, tornò da Filippo. I soldati, da parte loro, vedendosi congedati dopo tante fatiche, indignati si rifugiarono per aiuto da Ostrogota, re dei Goti. (Trad. Grillone)
Diversi gli spunti di riflessione: innanzitutto, il riferimento alla negligenza delle truppe rimanda ad un effettivo allentamento dei presidî sul confine, che potrebbe essersi verificato proprio in occasione della sollevazione di Pacaziano ad opera delle milizie delle Mesie e delle Pannonie. I ritrovamenti numismatici – meno di un centinaio di antoniniani con la legenda Imp(erator) Ti(berius) Cl(audius) Mar(inus) Pacatianus P(ius) F(elix) Aug(ustus) – consentono non soltanto di accertare la storicità dell’episodio, ma soprattutto di datarlo con buona approssimazione: una moneta conservata al Cabinet de France (BN inv. 8012) reca sul recto la formula Romae aetern(ae) an(no) mill(esimo) et primo, circoscrivendone la cronologia tra il marzo 248 e il marzo 24923. Trova dunque conferma la tradizione confluita in Zosimo, per il quale l’elevazione di Pacaziano si verificò dopo gli scontri con i Carpi24. Sulla base di un attento esame della documentazione epigrafica, Ioan Piso ha infatti circoscritto la cronologia di quest’ultima campagna tra l’estate-autunno 247 e il marzo successivo; si può pertanto ritenere che Pacaziano sia stato acclamato imperatore già nella primavera 24825. Zosimo collega la vicenda all’analoga esperienza di Iotapiano in Oriente, qualificandola come un episodio in sé effimero, ma latore di profonde conseguenze per le sorti dell’impero: sarebbe stata proprio la durezza di Decio – chiamato a sostituire il traditore quale comandante in capo delle truppe in Mesia e Pannonia – nella repressione dei ribelli a spingere i soldati ad elevarlo alla porpora (probabilmente per evitare ulteriori ritorsioni), scatenando il conflitto in cui i Filippi avrebbero trovato la morte26.
Tralasciando in questa sede il problema della genesi dell’usurpazione di Decio, nel racconto della Historia noua colpisce soprattutto l’enfasi sulla severità dimostrata dal futuro imperatore nei confronti delle truppe27: poiché anche Giordane insiste sul punto, è evidente che la tradizione più vicina agli avvenimenti (Dexippo?) conservava traccia di una riorganizzazione dell’esercito da parte del nuovo generale28. Molto attraente, in proposito, la proposta di Dilyana Boteva di collegare l’episodio al ritrovamento, avvenuto nel 2011 presso la necropoli sud-orientale della Colonia Flavia Scupinorum (in Moesia superior, a c. 5 km dall’attuale Skopje), di una fossa comune contenente almeno 200 corpi, perlopiù decapitati o accoltellati e tutti con segni evidenti di morte violenta: per genere, età e conformazione fisica è probabile che si tratti di un manipolo di soldati reclutati prevalentemente sul posto, trucidati – in base alla stratigrafia del sito – tra il III° e l’inizio del IV° secolo. Come rilevato dalla studiosa, una connessione con la soppressione dei sostenitori di Pacaziano ricordata dalle fonti letterarie appare del tutto plausibile29.
Ad ogni modo, anche a prescindere da questa scoperta, l’inevitabile movimentazione di uomini nelle province danubiane conseguente l’usurpazione (scioglimento delle legioni ed epurazione dei ribelli, reclutamenti straordinari per rimpiazzare le perdite) poté aver inciso negativamente sulla disponibilità di risorse da dislocare lungo le frontiere: stando alla testimonianza di Giordane, i Goti poterono giovarsi non solo di un certo lassismo (o, per meglio dire, di un’oggettiva debolezza) delle truppe romane, ma anche del passaggio di alcuni transfughi tra le loro fila. Nel passo dei Getica la diserzione viene legata alla sconfitta inflitta dai barbari, con un’inversione del rapporto di causa-effetto rispetto a quanto sembrerebbe dedursi da Zosimo; ma è più probabile ritenere, con Körner, che sia stato proprio il fallimento dell’insurrezione di Pacaziano a motivare la fuga di alcuni soldati oltreconfine, determinando quel momentaneo depauperamento delle truppe che il dux Illyrici (?) Decio avrebbe pagato con la sconfitta ricordata da Giordane30.
Più sospetto mi sembra piuttosto il dato delle due incursioni gotiche sotto Filippo l’Arabo: verosimilmente – come già Boris Gerov, soprattutto grazie allo studio delle evidenze numismatiche, aveva supposto – il regno di questo imperatore avrà conosciuto soltanto una invasione, guidata da Ostrogota nel 24831, cui potrebbero aver partecipato, in qualità di comandanti in capo ma sempre sottoposti all’autorità del re, quegli Argaito e Gunterico che Giordane considera attivi come nobilissimi ductores nello stesso torno di tempo32.
Alla morte di Ostrogota, nel 250, forse in risposta ad una più efficace controffensiva romana sul limes e certamente approfittando del cambio di regime sul fronte romano, Cniva poté riprendere le armi contro l’impero. Difficile stabilire quando sia stata data vita a quella grande coalizione di popoli (Carpi, Taifali, Asdingi e Peucini) che Giordane attribuisce ad Ostrogota e che tuttavia le vittorie del successore – indubbiamente meglio documentate – farebbero piuttosto ritenere posteriore: forse non si è troppo lontani dal vero immaginando che già nel 248 si sia potuta creare una prima alleanza trasversale a varie tribù (non si dimentichi il revanscismo dei Carpi, sconfitti da Filippo proprio nei mesi precedenti), poi mantenuta e rafforzata dall’autorità di Cniva33.
Nell’insieme della documentazione potrebbero dunque essere distinte tre fasi:
- un’invasione gotica sotto Filippo l’Arabo (nel 248) guidata dal rex Gothorum Ostrogota e dai ductores Argaito e Gunterico, contrastata con scarso successo dal capo delle truppe delle Mesie e delle Pannonie Decio: Jord., Get., 16.89-91 Grillone34;
- una nuova incursione gotica condotta da Cniva e da un Ostrogoto quando ormai Decio era già imperatore (250/251): Jord., Get., 18.101-102 Grillone e Dex. Uind. hist. gr. 73, f. 194r-v 35;
- delle guerre tra Gepidi e Burgundi e tra Gepidi e Goti Tervingi da collocarsi intorno agli anni Ottanta del III° secolo (sicuramente prima del 291): Jord., Get., 16.94-100 Grillone e Pan. Lat., 3(11).17.1.
2. In questo quadro, rimane ancora aperto il problema dell’identità dell’Ostrogoto menzionato da Dexippo. Un’identificazione con il rex Gothorum attivo sotto Filippo l’Arabo sembra di doversi escludere: non solo Giordane afferma che egli era già morto al tempo dell’invasione di Cniva, ma proprio la leadership di quest’ultimo apparirebbe difficilmente sostenibile in presenza dell’illustre predecessore36. Significativamente, inoltre, Ostrogoto viene qualificato da Dexippo come ἄρχων, non come βασιλεύς, titolo che l’Ateniese sembra riservare solo a Cniva37: che almeno agli occhi dello storico tra le due cariche non vi fosse un rapporto paritario, ma di evidente asimmetria, trova conferma nel confronto con uno dei frammenti degli Scythica già noti, relativo alle trattative di Aureliano con i Vandali.
Qui Dexippo distingue nettamente l’azione di due reges Uandalorum, qualificati come βασιλεῖς, dalle malefatte di un ἄρχων che per mancanza di disciplina fu severamente punito. A conclusione di una sfortunata campagna militare, i Vandali inviarono all’imperatore Aureliano un’ambasceria per concordare le clausole di pace. Dopo il raggiungimento dell’accordo, mentre alcuni barbari furono arruolati tra le fila dell’esercito romano, ai restanti venne concesso di rientrare nelle proprie sedi; lungo la via del ritorno, tuttavia, una banda di cinquecento uomini tentò di approfittare della situazione per razziare il territorio e impadronirsi del bottino38:
ὅσοι δὲ παραβάσει τῶν σπονδῶν ἐπὶ λείας συλλογὴν ἀφθόνως ἀπεσκεδάσθησαν, ἀνῃρέθησαν σύμπαντες ὑπὸ τοῦ ἡγεμόνος τῶν ξενικῶν στρατοπέδων, οὐ μείους γενόμενοι πεντακοσίων. οἷα γὰρ δὴ διὰ φιλίας τῆς χώρας πορευόμενοι καὶ θάρσει τῆς γενομένης πρὸς Ῥωμαίους εἰρήνης ἐπαρθέντες τῆς πάσης τάξεως προεξαίσ<σ>οντες κατά τινας αἰφνιδίους ἐπιδρομὰς προσέβαλλον γνώμῃ τοῦ ἄρχοντος, καὶ οὐκ ὀλίγα τῆς χώρας ἐκακούργουν. καὶ τὸ ἔργον τοῦτο τὸν ἐργασάμενον παρὰ τῷ βασιλεῖ κατατοξευθῆναι. οἱ δὲ λοιποὶ Βανδήλων διεσκεδάσθησαν καὶ ἀπενόστησαν ἐπ’ οἴκου. (Dex. F 36.3 Mecella)
Quanti, non meno di cinquecento, violando gli accordi si dispersero per accumulare un ingente bottino, furono tutti trucidati dal comandante delle truppe mercenarie. Infatti mentre attraversavano un paese amico, incoraggiati dalla pace stipulata con i Romani, per decisione del proprio capo rompendo i ranghi si lanciarono avventatamente in alcune incursioni improvvise e devastarono una porzione non piccola di territorio. Colui che aveva provocato questa azione fu ucciso con una freccia al cospetto del re. I Vandali restanti furono dispersi e fecero ritorno in patria.
Le difficoltà di definire strutture interne, differenziazioni etnico-sociali e grado di gerarchizzazione delle formazioni gotiche – soprattutto per il periodo che qui interessa – sono state messe in luce da Michael Zerjadtke, che nel suo approfondito studio sui ducati istituiti presso Franchi, Alamanni, Burgundi, Vandali, Goti e Longobardi tra tardoantico e medioevo ha mostrato quanto sia sottile il discrimine tra reges, duces e principes39; senza dimenticare poi che questa distinzione tipologica – per la natura stessa delle fonti – talvolta appare più il frutto di un’interpretatio Romana che non lo specchio fedele di una realtà allotria. Ciononostante, in relazione alla condotta dei Vandali è evidente la consapevolezza, da parte dell’Ateniese, di un certo grado di articolazione all’interno della dirigenza militare barbarica, riflessa in una differenziazione terminologica che non possiamo considerare frutto di semplice uariatio: l’ἄρχων che spinge inavventatamente i suoi al saccheggio appare il capo di un piccolo contingente, la cui autorevolezza non può essere posta sullo stesso piano di quella dei re40. Questo appare chiaro soprattutto nel passaggio, di poco precedente, dove Dexippo descrive la cessione degli ostaggi da parte dei Vandali sconfitti:
καὶ οἵδε μὲν ὧδε συνηνέχθησαν γνώμῃ, οἱ δὲ τῶν βαρβάρων βασιλεῖς καὶ ἄρχοντες ἥκοντες καθότι σφίσι προειρημένον ἔδοσαν ὁμήρους σφῶν αὐτῶν οὐ τὰ δεύτερα ἀξιώσεως καὶ τύχης. οἵ τε γὰρ βασιλεῖς τοὺς παῖδας ἑκάτεροι διδόασιν ἐς τὴν ὁμηρείαν ἐνδοιάσαντες οὐδέν, καὶ ἕτεροι ἅμα αὐτοῖς οὐ μάλα πόρρω ἀξιώσεως. καὶ ἐπὶ τούτοις ἐχώρησάν τε πρὸς σύμβασιν, καὶ αἱ σπονδαὶ ἐγένοντο. (Dex. F 36.2 Mecella)
Ecco come si accordarono: come era stato loro ordinato, al loro arrivo i re e i capi barbari cedettero degli ostaggi scelti tra i loro connazionali e non di secondo rango per dignità e condizione. Infatti ognuno dei due re senza esitazione consegnò i propri figli come garanzia dei patti, e insieme a loro anche altri, non molto distanti per posizione sociale, fecero lo stesso. Su questa base giunsero all’accordo e fu stipulato il trattato.
Pur nella sua genericità, il brano lascia trasparire un doppio livello: se i βασιλεῖς appaiono al vertice della piramide sociale, immediatamente al di sotto troviamo un’aristocrazia di ἄρχοντες; il prosieguo del frammento appena discusso conferma la preminenza dei nobili sul piano militare, il cui potere appare però sottoposto alle direttive dei re41. Confrontando il lessico dexippeo con quello di Giordane, si può dunque ragionevolmente affermare che l’appellativo ἄρχων sia assimilabile al latino dux, non a rex. Anche nei Getica – pur con tutti i distinguo sopra ricordati – i due termini non appaiono sinonimici, ma indicano figure ben diverse; questo si evince già dall’incipit dell’opera, dove a segnare la scansione del tempo e della processualità storica è la pregnante espressione per generationes regesque. La figura regale appare, sin dal proemio, l’unica depositaria del potere supremo e della sua trasmissione42.
Nell’ἄρχων Ostrogoto, dunque, non dobbiamo vedere un re barbaro che, a capo di territori e gentes pienamente indipendenti, si sarebbe unito a Cniva per la guerra; più verosimilmente, egli sarà stato un comandante di estrazione aristocratica, alla stregua dei più volte ricordati Argaito e Gunterico. Una grande cautela nella valutazione del ruolo di Ostrogoto è peraltro imposta dall’assenza di informazioni circa l’origine sua e degli uomini al suo seguito: da un lato la definizione ‘Sciti’ è affatto generica e dovuta al linguaggio classicheggiante dello storico, per il quale tutte le popolazioni stanziate nell’ampia area a est della Vistola e a nord del basso Danubio, del Mar Nero e del Caucaso rientravano in questa categoria43; dall’altro, il nome del condottiero non può essere considerato spia di una determinata appartenenza etnica, poiché conosciamo diversi casi di nomi propri assimilabili ad etnonimi portati però da membri di altri gruppi (si pensi, per non citare che un esempio, a Wandil, personaggio di stirpe gotica, non vandalica)44. La natura delle truppe al comando di Ostrogoto all’interno della galassia di tribù al seguito di Cniva è dunque, allo stato attuale della documentazione, impossibile da definire.
L’unico dato certo resta la partecipazione di un Ostrogoto, non meglio identificato, alla campagna di Cniva; egli dovette godere di un certo prestigio, se gli venne affidato il comando del secondo contingente in cui era suddiviso l’esercito45. La forte concorrenzialità con Cniva, ben espressa dal frammento di Dexippo, denuncia le sue ambizioni, tese a scalzare il rivale dalla sua posizione di preminenza; ma il contrasto tra la celebrazione di Cniva attraverso i canti, secondo una tradizione ricordata anche da Giordane, e i precedenti errori di Ostrogoto – purtroppo per noi impossibili da determinare – non fa che accentuare la disparità tra le due figure46. Proprio la (quasi) omonimia tra questo Ostrogoto e il più noto condottiero attivo sotto Filippo l’Arabo poté forse aver favorito quella confusione tra le varie campagne succedutesi intorno alla metà del secolo che si è analizzata poc’anzi. Concordo con Wolfram nel ritenere l’Ostrogota vincitore di Fastida attivo solo alla fine del III° secolo; ma questo non esclude l’esistenza di un rex Ostrogota anche negli anni Quaranta, vincitore sui Romani all’epoca di Filippo l’Arabo e ben distinto dal più oscuro generale posto agli ordini di Cniva47. Pace Heather, il ‘nuovo Dexippo’ testimonia come l’antroponimo Ostrogota/Ostrogoto non sia una costruzione artificiale sorta sulla base del più tardo nome di popolo48; la presenza di omonimi attivi nello stesso periodo non desta stupore, e non implica necessariamente l’esistenza di legami etnici o familiari. È dunque possibile che le memorie legate ai due reges Ostrogota (l’uno degli anni Quaranta, l’altro degli anni Ottanta-Novanta) e al generale di Cniva abbiano finito con il tempo per sovrapporsi, generando lo zibaldone che leggiamo in Giordane.
3. A quale stadio della tradizione risalga la mescolanza dei dati è difficile dire; certo è che il frammento del codice di Vienna ha contribuito a riaprire l’annoso dibattito sui rapporti tra Dexippo e Giordane. Se, infatti, prima delle nuove scoperte codicologiche, la tesi prevalente considerava Dexippo letto da Giordane solo di seconda mano (o tramite Cassiodoro o tramite Ablabio)49, ora il confronto tra un passaggio del ‘nuovo Dexippo’ e un brano di Giordane relativo alla riorganizzazione dell’esercito da parte di Decio dopo la disfatta di Filippopoli sembra invitare ad un ripensamento50. A prima vista, la somiglianza tra i due testi farebbe pensare ad un’immediata trasposizione latina dell’originale greco, corroborando l’idea di una dipendenza dello storico goto dagli Scythica.
Che l’opera di Dexippo fosse disponibile nella Costantinopoli di VI° secolo non crea difficoltà, e d’altro canto Dexippo non è l’unico autore greco ad essere ricordato nei Getica: l’ipotesi di una conoscenza diretta degli Scythica da parte di Giordane non può, pertanto, essere esclusa a priori51. Tale eventualità continua tuttavia a lasciarmi perplessa, soprattutto perché ci sono alcuni casi in cui le versioni dei due storici divergono52. La presunta citazione ‘testuale’ appena ricordata denota l’uso di Dexippo da parte di un autore di lingua latina, ma non va necessariamente ascritta alla mano di Giordane: questi potrebbe averla copiata da una fonte intermedia, che si potrebbe plausibilmente identificare con l’opera dello storico Ablabio. Il descriptor Gothorum gentis egregius è noto da tre citazioni dei Getica, in una delle quali è riportata la stessa pseudo-etimologia del nome Eruli da ἕλος (palude) fornita da Dexippo: proprio su questa base si è da tempo sostenuto, a mio avviso correttamente, l’uso di Dexippo da parte di Ablabio, che a sua volta avrebbe trasmesso a Giordane le informazioni dell’Ateniese53. Secondo Giuseppe Zecchini, cui si deve il più accurato tentativo di ricostruire il profilo letterario del personaggio, Ablabio dovrebbe essere identificato con l’omonimo politico cretese d’età costantiniana, il praefectus praetorio Orientis degli anni 328-336, poi fatto giustiziare per alto tradimento da Costanzo II: egli avrebbe composto una storia dei Goti in lingua greca, concepita come imitazione e/o continuazione di quella dexippea54. La ricostruzione di Zecchini, condivisibile sotto vari aspetti, può forse ora essere lievemente modificata alla luce delle più recenti acquisizioni: il nuovo frammento di Dexippo lascia pensare ad una Zwischenquelle di lingua latina (a meno di non ritenere che Ablabio abbia ripreso uerbatim il passo dexippeo e che questo poi sia stato traslitterato in latino da Giordane), e l’ipotesi di una historia Gothorum in latino trova ora un’implicita conferma negli studi condotti da Pierfrancesco Porena sulla carriera del personaggio. Porena ha infatti dimostrato come Ablabio – fedelissimo di Costantino sin dalla prima ora – abbia ricoperto il vicariato annonario d’Italia nel 315, ed ha ragionevolmente ricostruito per lui, sino al 324, una carriera squisitamente occidentale: nonostante l’origine cretese, il personaggio avrà dunque ampiamente padroneggiato il latino, tanto da comporre in questa lingua epigrammi ancora apprezzati da Sidonio Apollinare nel 46755. La stesura di una storia dei Goti in latino – da immaginare non come un trattatello etnografico ma, sulla scorta degli Scythica di Dexippo, come una sorta di bella Gothica, probabilmente sollecitati dall’incombente minaccia risoltasi con il foedus tra Costantino e Ariarico del 332 – non appare un’ipotesi così peregrina56; in ogni caso, l’utilizzo di una fonte intermedia – comunque la si voglia intendere – concorrerebbe a giustificare alcune discrepanze tra il dettato di Dexippo e quello di Giordane altrimenti difficilmente spiegabili57.
4. Tornando al brano dexippeo citato in apertura, esso consente anche qualche ulteriore considerazione sulla strategia messa in atto da Decio dopo l’agguato di Beroe e la caduta di Filippopoli. Secondo la testimonianza di Giordane, subito dopo la disfatta di Beroe, mentre Cniva era intento all’assedio di Filippopoli, Decio ripiegò al di là dell’Emo nella zona di Oescus (odierna Gigen), in Moesia inferior, nel tentativo di ricongiungere le proprie truppe con quelle di Treboniano Gallo58. È a questo punto che Dexippo colloca la minaccia di Ostrogoto, che con la restante parte dell’esercito nemico era stato inviato a devastare la Mesia. In un luogo per noi imprecisato, Decio attende e prepara la controffensiva: καὶ τὸ μὲν παραυτίκα εἶναι τάφρον βαλλόμενος πρὸς Α(ι)μίσῳ, χωρίῳ τ(ῆς) Βεροΐνης, εἴσω τοῦ χάρακ(ος) ἦν· ἅμα τῷ στρατῷ· ἐπιφυλάττων τοὺς πολεμίους ὁπότε διαβαίνοιεν (“e sul momento, posta una trincea presso Amiso (?), nel territorio di Beroine (?), vi si accampò insieme all’esercito, sorvegliando l’avanzata nemica”, Uind. hist. gr. 73, f. 194v, ll. 7-11). I toponimi ricordati dall’Ateniese non aiutano a localizzare le truppe dell’imperatore in questo frangente: Beroine (un hapax legomenon) richiama naturalmente Beroe/Augusta Traiana (Stara Zagora) – dove poco prima l’imperatore era stato sconfitto – ma questo mal si concilierebbe con l’itinerario menzionato nei Getica, che indica una ritirata verso nord; d’altra parte Dexippo colloca l’imminente scontro con Ostrogoto dopo la presa di Filippopoli e la riorganizzazione delle truppe romane, dunque perlomeno a diverse settimane di distanza dall’agguato di Cniva59. Non vi sono motivi per pensare che Decio si sia trattenuto a lungo nel luogo della sconfitta, anche perché, se così fosse stato, avrebbe presumibilmente tentato di spezzare l’assedio della vicina Filippopoli, che invece sappiamo essere stata abbandonata al suo destino60. Ugualmente criptica è la menzione di Amiso (Αἰμίσῳ o Αἱμίσῳ), che per considerazioni di ordine logistico e topografico non possiamo identificare con l’omonimo centro nella provincia di Bithynia et Pontus61. Si potrebbe supporre l’esistenza di una località dallo stesso nome lungo il limes danubiano, e che sia Amiso che Beroine fossero situate nella zona compresa tra Nouae (l’odierna Svistov, in Bulgaria) ed Oescus, dove Decio cercò riparo dopo la disfatta ad Augusta Traiana: in assenza di altri dati, si tratta tuttavia di una mera supposizione62.
Il brano riportato dal palinsesto di Vienna si interrompe bruscamente nel mezzo della parenesi dell’imperatore volta a rinfrancare le truppe prima dello scontro con Ostrogoto:
ἐπεὶ δὲ ἐξηγγέλθη ἐς αὐτὸν· τῆς ἅμα Ὀστρογούθθω δυνάμεως ἡ προχώρησις. ἔγνω δεῖν τοῦ καιροῦ ἐνδιδόντ(ος) θαρσῦναι τοὺς στρατιώτας, καὶ ποιησάμ(ενος) αὐτῶν σύλλογον. ἐπεὶ ἠθροίσθησαν, ἔλεξε τοιάδε· ὤφελε μὲν ὦ ἄνδρες· ἥ τε στρατιωτικὴ σύνταξις· καὶ πᾶν τὸ ὑπήκοον· εὖ πρᾶξαι· καὶ ἐκτὸς εἶναι λύμης πολεμίων· ἐπεὶ δὲ αἱ συντυχίαι τῶ(ν) ἀν(θρώπ)ων· κατὰ τὸν τοῦ θνητοῦ λόγον· παντοίας πημονὰς ἐπιφέρουσιν· ἀνδρῶν ἂν εἴη σωφρόνω(ν)· δεχομένους τὰ συμβαίνοντα· μὴ χείρους εἶναι ταῖς γνώμαις· μὴ δὲ τῇ συμβάσῃ ἐν τῷ πεδίῳ κακοπραγίᾳ· καὶ τῇ Θρᾳκῶν ἁλώσει ταραχθέντας εἴ τις ἄρα ὑμῶν τούτοις ἠθύμηκε, κακοὺς γενέσθαι· ἔχει γὰρ ἀντιλογίαν ἑκατέρα ἡ συμφορά· ἥ τε γὰρ προτέρα· ἐκ προδοσίας τῶν σκοπῶν μᾶλλον· ἢ κακίᾳ τῇ ἡμετέρᾳ συνηνέχθη· καὶ τὴν Θρᾳκῶν πόλιν· ἀπειπόντες ταῖς προσβολαῖς, ἐνέδραις μᾶλλον· ἢ ἀρετῇ ᾑρήκασιν· ἀσθενὲς δὲ [[**]] {οὐκ} ἀνδρ̣εῖον, {τε} επιτε||[ (Uind. hist. gr. 73, f. 194v, ll. 11-30)
Quando gli venne annunciato l’avvicinamento dell’esercito di Ostrogoto, poiché si presentava una buona occasione pensò che fosse necessario incoraggiare i soldati, e dopo averli riuniti in assemblea, disse le seguenti cose: “Soldati, magari l’esercito e tutti gli abitanti avessero avuto buona sorte e fossero stati risparmiati dagli oltraggi dei nemici! Poiché però le vicende umane – questa è la condizione dei mortali – portano con sé sciagure di ogni tipo, dovrebbe esser proprio degli uomini saggi accettare ciò che accade, non rivelarsi più vili nelle decisioni, né, solo perché colpiti dalla sconfitta subita sulla pianura e dalla perdita dei Traci (nel caso qualcuno di voi si fosse scoraggiato per questi eventi), divenire codardi. Per ogni sciagura si può infatti controbattere. La prima infatti occorse più per il tradimento delle sentinelle che per nostra incapacità; e [gli Sciti] cedendo negli assalti diretti presero la città dei Traci con le insidie, piuttosto che con il valore.” […]
Nella ricorrenza di temi e stilemi topici propri della prosa dexippea, essa costituisce un’ulteriore conferma dell’attribuzione dei nuovi frammenti allo storico ateniese. Come nella lettera ai Filippopolitani conservata nel corpus già noto, Decio invita i soldati a non abbattersi per le sventure presenti, attribuendo la sconfitta subita nella pianura (presumibilmente l’imboscata di Cniva a Beroe) solo al tradimento delle sentinelle63 e la caduta di Filippopoli alle insidie del nemico: pur nelle avversità del momento, la supremazia del mondo romano sui barbari è pienamente riaffermata64.
Purtroppo la lacunosità del frammento non consente di ricostruire l’esito dello scontro, ma un’iscrizione romana approfonditamente studiata da Giovanni Alberto Cecconi e Antony Hostein potrebbe forse contribuire a far luce sul prosieguo degli avvenimenti. L’epigrafe attesta, per i primi mesi del 251, una III salutatio imperatoria per Decio, nuovamente celebrato quale Germanicus Maximus (il titolo era stato acquisito per la prima volta l’anno precedente)65: è plausibile ritenere che la reiterazione del cognomen ex uirtute, sancita dalla ratifica da parte del senato, sia dovuta proprio ad una vittoria sulle truppe di Ostrogoto, ottenuta nella battaglia di cui Dexippo descrive la preparazione66. Di lì a poco, tuttavia, la schiacciante sconfitta di Abritto avrebbe definitivamente spento ogni entusiasmo.
Bibliografia
Note
- Per il corpus dei nuovi frammenti dexippei basti rimandare a Mitthof et al., ed. 2020, cui ora si aggiungano: Bursche & Myzgin 2020, 221-223 (per alcuni dettagli relativi alla descrizione dell’assedio di Filippopoli); Grusková et al. 2020a (sulla strumentazione tecnica necessaria alla decifrazione della scriptura inferior); Martin & Grusková 2022 (con la pubblicazione di 18 linee di testo del f. 192r, che insieme al 193v resta parzialmente inedito a causa delle difficoltà di lettura). Di prossima uscita il contributo di O. Gengler, Intertextual battles of Thermopylai: Memory and Identity in Roman and Late Antique Greece. Dove non diversamente indicato, tutti i testi del ms. Uindobonensis historicus graecus 73 vengono riportati sulla base della trascrizione presente in Martin & Grusková 2020.
- Uind. hist. gr. 73, f. 195r-v; per una prima ricostruzione della campagna, la caduta di Filippopoli e la cd. usurpazione di Prisco ad essa legata si vd. Dex. F 29 Mecella; Mecella 2012; Mecella 2018, 595-600; Mecella 2020, 289-290. La data della presa della città da parte di Cniva è controversa, ma è probabilmente da collocare nell’autunno 250: letteratura in Mecella 2020, 288 n. 2. Isolata la posizione di Boteva 2020, 202-207, che propende per una datazione nel 249, nell’ambito dell’incursione condotta da Ostrogota durante il regno di Filippo l’Arabo e quando era già scoppiata la guerra civile con Decio (su questi eventi cf. infra). L’argomentazione della studiosa è fragile, poiché il nuovo testo dexippeo cita espressamente Cniva come capo della spedizione contro la città (Uind. hist. gr. 73, f. 195r-v), e sebbene per lui non compaia la qualifica di βασιλεύς – lasciando dunque aperta la possibilità che egli abbia agito solo come un generale del rex Gothorum Ostrogota – l’insieme della documentazione rende l’ipotesi della sua regalità molto più plausibile (si vd. sul punto quanto osservato più avanti). Soprattutto, nel caso di un assedio sotto Filippo dovremmo immaginare che la città abbia subito il pericolo di un secondo attacco anche nella successiva campagna del 250/251, perché in Dex. F 29 Mecella – dove è riportato un messaggio ai Filippopolitani minacciati dai nemici – Decio è indicato come ὁ βασιλεὺς Ῥωμαίων.
- Oltre ai saggi raccolti nel volume citato supra (n. 1), sul passo si vd. anche Rollinger & Schropp 2018 (di cui condivido le analisi di dettaglio ma non l’interpretazione del pensiero storico di Dexippo: cf. sul punto Mecella 2020).
- Cf. rispettivamente Jord., Get., 14.79 Grillone: […] at Augis genuit eum qui dictus est Amal, a quo et origo Amalorum decurrit; qui Amal genuit Hisarna; Hisarnis autem genuit Ostrogotham: Ostrogotha autem genuit Hunuil […]; Cassiod., Uar., 11.1.19: hanc si parentum cohors illa regalis aspiceret, tamquam in speculum purissimum sua praeconia mox uideret. Enituit enim Amalus felicitate, Ostrogotha patientia, Athala mansuetudine […] (a. 533).
- Jord., Get., 14.82 Grillone: Ablabius enim historicus refert quia ibi, super limbum Ponti, ubi eos diximus in Scythia commanere, ibi pars eorum, quae orientalem plagam tenebat eisque praeerat Ostrogotha, utrum ab ipsius nomine an a loco, id est orientales, dicti sunt Ostrogothae; residui uero Uesegothae, id est a parte occidua (“infatti lo storico Ablabio dice che qui, sulla riva del Ponto Eusino, dove abbiamo detto che essi erano stanziati in Scizia, alcuni di loro, che occupavano le regioni orientali ed avevano a capo Ostrogota, furono detti Ostrogoti, cioè Orientali, o dal suo nome o dal luogo che abitavano; gli altri invece Visigoti, cioè originari della regione occidentale.” Trad. Grillone).
- Jord., Get., 16.89-92 Grillone, su cui si tornerà in seguito. Sulle difficoltà di una possibile identificazione tra l’episodio ricordato da Giordane e il fallimentare assedio scitico di Marcianopoli descritto in Dex. F 28 Mecella vd. Mecella 2013, 313-323. Non condivido nemmeno la proposta di Martin 2020, 105-106 di riferire questo passo dei Getica agli insuccessi di Ostrogoto del 250/251 ricordati nel brano riportato all’inizio (Uind. hist. gr. 73, f. 194r, ll. 22-26): non solo – come si vedrà meglio più avanti – non abbiamo motivi per dubitare della storicità di un’invasione anche nel 248, ma soprattutto la notizia della conquista di un bottino da parte gotica riportata da Giordane a proposito dell’assalto di Marcianopoli mal si concilia con il dettato del manoscritto dexippeo: il rovescio di Ostrogoto andrà dunque cercato in altra direzione.
- Jord., Get., 16.94-100 Grillone, 18.101-102 Grillone.
- Wolfram 1985, 87-88 n. 12, seguito e.g. da Huttner 2008, 200, 208-209; Berndt 2013, 15. Per le precedenti posizioni della critica si vd. infra, n. 31.
- Heather 1989, 108: Amal and Ostrogotha, at least, are analogous to eponymous heroes elsewhere. They were probably used to explain why the Amals ruled the Ostrogoths – that is, how the two got their names – but their existence in fact presupposes that of the Amals and Ostrogoths, which inspired their creation. Placed in the genealogy of the Amal rulers of Ostrogothic Italy, the names are not historical; cf. anche ibid., pp. 110, 127-128; Heather 1991, 22-23, 37-38, 63. Già Tönnies 1989, 36-38, aveva considerato di carattere mitologico tutte le notizie sulle generazioni prima di Ermanarico, e scettico sull’attendibilità del passo si è mostrato anche Christensen 2002, 125-133, 200, 291-295.
- Vd. Jord., Get., 16.98 Grillone: is [scil. Fastida] ergo missis legatis ad Ostrogotham, cuius adhuc imperio tam Ostrogothae quam Uesegothae, id est utrique eiusdem gentis populi – subiacebant, inclusum se montium quaeritans asperitate siluarumque densitate constrictum, unum poscens e duobus, ut aut bellum sibi aut locorum suorum spatia praepararet (“egli dunque, mandati degli ambasciatori ad Ostrogota, sotto la cui sovranità si trovavano, fino a quel momento, tanto gli Ostrogoti quanto i Visigoti – cioè entrambi i popoli della stessa razza –, lamentò di essere racchiuso da monti scoscesi e circondato da boschi fitti, e chiese una di queste due soluzioni, che si preparasse o a far guerra o a cedere parte dei suoi territori.” Trad. Grillone). Sulla divisione tra Ostrogoti e Visigoti si vd. le considerazioni svolte infra, n. 16.
- L’indicazione cronologica di Giordane è apparentemente contraddittoria, rimandando al contempo al secondo anno di regno di Filippo l’Arabo (246) e al millenario di Roma (248): Philippo namque ante dicto regnante Romanis […], cuius et secundo anno regni Roma millesimum annum expleuit, Gothi, ut adsolet, subtracta sibi stipendia sua aegre ferentes, de amicis effecti sunt inimici (Jord., Get., 16.89 Grillone: “e infatti mentre regnava a Roma il suddetto Filippo […], nel secondo anno del cui regno Roma compì i suoi mille anni, i Goti, come suole accadere, mal sopportando che fosse negato loro il tributo, da amici divennero nemici”). Peraltro, poiché in Romana 283.3 la celebrazione del millenario di Roma è posta al terzo anno di regno di Filippo, Grillone 2017, 321 n. 304, 339 n. 374 non esclude qui un errore (da III a II) da parte del copista. Ad ogni modo, poiché nelle fonti letterarie la data dell’anniversario oscilla tra il 244 e il 248 (Körner 2002, 249), Giordane evidentemente attinge ad una tradizione che collocava l’evento nel 246/247. Il vero contrasto è, piuttosto, con la successiva indicazione di Decio quale comandante delle operazioni contro i Goti (Jord., Get., 16.90 Grillone, cit. infra): come si vedrà meglio in seguito, diversi elementi concorrono a dimostrare che l’incarico fu assegnato nel 248.
- Grillone 2017, 321 n. 303.
- Jord., Get., 16.90 Grillone: Transiens tunc Ostrogotha cum suis Danubium, Moesiam Thraciasque uastauit; ad quem debellandum Decius senator a Philippo dirigitur (“Ostrogota allora, passando coi suoi il Danubio, devastò la Mesia e la Tracia; per combatterlo gli venne mandato contro, da Filippo, il senatore Decio.” Trad. Grillone). Per il seguito del brano vd. infra.
- Jord., Get., 16.91-92 Grillone: [Ostrogotha] mox XXX milia uirorum armata produxit ad bellum, adhibitis sibi Taifalis et Asdingis nonnullis; sed et Carporum tria milia, genus hominum ad bella nimis expeditum, qui saepe fuere Romanis infesti […]. His ergo addens Gothos et Peucinos (ab insula Peucis quae in ostio Danubii Ponto mergentia iacet) Argaithum et Gunthericum, nobilissimos suae gentis ductores praefecit. Qui mox Danubium uadati et de secundo Moesiam populati, Marcianopolim eiusdem patriae urbem, famosam metropolim adgrediuntur, diuque obsessam, accepta pecunia ab iis qui inerant, reliquerunt (“[Ostrogotha] subito mise in campo 30.000 soldati, chiamando a sé un contingente di Taifali e Asdingi; ma anche 3.000 Carpi, stirpe assai bellicosa, che in più circostanze furono ostili ai Romani […]. Aggiungendo a costoro poi Goti e Peucini (dall’isola di Peuce che si trova alla foce del Danubio, dove questo si immette nel Ponto Eusino), mise loro a capo Argaito e Gunterico, dei condottieri assai illustri del suo popolo. Costoro, attraversato subito il Danubio e devastata per la seconda volta la Mesia, attaccano Marcianopoli, città di questa regione, famoso centro urbano, e dopo un lungo assedio, ricevuto del denaro dagli abitanti, la risparmiarono.” Trad. Grillone). Presta ciecamente fede a questa testimonianza di Giordane Kulikowski 2007, 18, 55, datando l’incursione al 249.
- Alla richiesta di terre avanzata da Fastida e ricordata supra (alla n. 10), Ostrogota rispose con un secco rifiuto: da qui la guerra. Vd. Jord., Get., 16.99-100 Grillone: Gepidas in bella inruunt, contra quos, ne minor iudicaretur, mouet et Ostrogotha procinctum, conueniuntque ad oppidum Galtis, iuxta quod currit fluvius Auha, ibique magna partium uirtute certatum est, quippe quos in se et armorum et pugnandi similitudo commoueret. Sed causa melior uiuacitasque ingenii iuuit Gothos; inclinata denique parte Gepidarum, proelium nox diremit. Tunc relicta suorum strage, Fastida rex Gepidarum properauit ad patriam, tam pudendis oppropriis humiliatus, quam fuerat elatione erectus. Redeunt uictores Gothi, Gepidarum discessione contenti, suaque in patria feliciter in pace uersantur, usque dum eorum praeuius existeret Ostrogotha (“i Gepidi si affrettano alla guerra, e contro di loro, per non essere ritenuto da meno, anche Ostrogota muove un esercito, e si fronteggiano vicino alla città di Galtis, presso la quale scorre il fiume Auha; e qui si combatté con gran valore da entrambe le parti, poiché li scatenava gli uni contro gli altri lo stesso tipo di truppe e lo stesso modo di combattere. Ma la bontà della causa e la vivacità dell’ingegno furono di aiuto ai Goti; quando infine l’esercito dei Gepidi era già in ritirata, la notte fece cessare il combattimento. Allora ponendo fine al massacro dei suoi, Fastida, re dei Gepidi, si affrettò a tornare nel suo territorio, tanto umiliato dal disonore vergognoso, quanto era stato esaltato dalla superbia. Ritornano vincitori i Goti, lieti di avere scacciato i Gepidi, e vivono con prosperità e in pace nelle loro terre, finché fu loro capo Ostrogota.” Trad. Grillone).
- Pan. Lat., 3(11).17.1 (furit in uiscera sua gens effrena Maurorum, Gothi Burgundos penitus excidunt rursumque pro uictis armantur Alamanni itemque Teruingi, pars alia Gothorum, adiuncta manu Taifalorum, aduersum Uandalos Gepiesque concurrunt), da confrontare soprattutto con Jord., Get., 16.97 Grillone (ergo, ut dicebamus, Gepidarum rex Fastida quietam gentem excitans, patrios fines per arma dilatauit: nam Burgundiones pene usque ad internecionem deleuit aliasque nonnullas gentes perdomuit. Gothos quoque male prouocans, consanguinitatis foedus prius importuna concertatione uiolauit, superba admodum elatione iactatus; crescenti populo dum terras coepit addere, incolas patrios reddidit rariores). Tönnies 1989, 33 interpreta il passo del Panegirico come la prova che la distinzione tra Visigoti/Tervingi e Ostrogoti/Greutungi fosse già operante nella seconda metà del III° secolo. Sul punto tuttavia la critica è divisa, dal momento che non tutti accettano l’equivalenza Tervingi = Visigoti e Greutungi = Ostrogoti, sebbene siano in molti a considerare attendibile una partizione in due gruppi dal III° secolo in avanti (si vd. per tutti Wolfram 1985, 49-55, 106-108). Per i termini del dibattito cf. più in dettaglio Heather 1991, 8-18, 331-333 che propende per l’esistenza di piccoli raggruppamenti all’interno di un unico ceppo gotico per tutto il III° e il IV° secolo, sino a quelle aggressioni unniche che avrebbero determinato la divisione tra Ostrogoti e Visigoti. Ai fini della presente indagine, il problema si connette alla possibilità o meno di far risalire Jord., Get., 14.82 Grillone allo storico d’inizio IV° secolo Ablabio (cf. supra, con n. 5): secondo Christensen 2002, 197-229, la recenziorità dell’etnico Greutungi, soprattutto, indicates that Jordanes’s account of the very early division of the Goths into Visigoths and Ostrogoths, and his failure to mention other Gothic groups, must be completely attribuable to him (and to Cassiodorus) (ibid., p. 216). E tuttavia, anche non volendo ascrivere il frazionamento tra i cd. Goti Orientali e Goti Occidentali a un momento antecedente l’arrivo degli Unni, si potrebbe ritenere che Ablabio nella sua opera avesse parlato di una qualche divisione in tribù, da Giordane poi sovrapposta a quella ben più nota attestata dopo la fine del IV° secolo.
- Zos. 1.23.1; Zonar. 12.20 (2, 5893 Dindorf), su cui si vd. Mecella 2007, 490-491.
- Wolfram 1985, 87-88 n. 12; Wolfram 2018a, 452-456; Wolfram 2020a, passim e partic. 19-25.
- Sugli scontri tra Filippo e i Carpi si vd. Körner 2002, 134-135, 139-157 (con abbondante documentazione, ma con una datazione degli eventi alla prima metà del regno); Piso 2005 (su cui vd. infra, n. 24). Cf. inoltre Migliorati 2013, 51-52, attento soprattutto alla riorganizzazione delle truppe sul limes approntata per l’occasione.
- Si vd. il § 6 dell’iscrizione trilingue alla Kaʿba-i Zardušt (le cd. Res Gestae Divi Saporis), che nella versione greca riporta: Γορδιανὸς Καῖσαρ ἀπὸ πάσης τῆς Ῥωμαίων ἀρχής Γούθθων τε καὶ Γερμανῶν ἐθνῶν δύναμιν [συνέλεξ]εν (Huyse 1999, I, 25-26, con il commento ibid., II, pp. 42-44), da confrontare con Jord., Get., 16.89 Grillone: nam quamuis remoti sub regibus uiuerent suis, rei publicae tamen Romanae foederati erant et annua munera percipiebant. Una comoda rassegna di fonti concernenti l’arruolamento di mercenari goti come ausiliari tra III° e IV° secolo è offerta da Mathisen 2020, partic. 266-273, di cui tuttavia non condivido l’idea secondo cui la battaglia di Adrianopoli non avrebbe segnato alcuna cesura nelle modalità di reclutamento: se questo può valere da una prospettiva romana, a fare la differenza furono però le mutate esigenze delle externae gentes. Poiché dopo gli assalti unnici esse si trovarono a dover richiedere non soltanto un compenso, ma soprattutto nuove sedi, le relazioni con l’imperium Romanum non poterono più essere le stesse. La valutazione dello studioso secondo cui le cd. invasioni del V° secolo in realtà sarebbero da considerarsi guerre civili, poiché attuate da barbari in servizio presso l’esercito romano come ausiliari e dunque thoroughly Roman (ibid., p. 284), rischia di confondere quello che essi aspirarono ad essere – una realtà stabilmente insediata entro i confini – con ciò che invece rappresentarono, ovvero un corpo estraneo alla compagine imperiale, come dimostrano i conflitti e le peregrinazioni che funestarono il secolo.
- Cf. già Körner 2002, 138, che così riassume: der literarischen Überlieferung lässt sich somit entnehmen, dass es unter Philipp mindestens zu zwei Invasionswellen im Donaugebiet kam: Die dakischen Karpen und die germanischen Goten überquerten die Donau und verwüsteten und plünderten die römischen Provinzen. […] Die Goten scheinen bei ihrem zweiten Einfall von anderen Stämmen, unter anderen den Karpen unterstützt worden zu sein, wie Iordanes berichtet (cf. anche ibid., pp. 154-155). A favore dell’ipotesi di una cessazione dei pagamenti da parte di Filippo è anche Wolfram 1985, 89.
- Körner 2002, 139.
- Le coniazioni dell’usurpatore ammontano a ca. 75 pezzi, quasi tutti catalogati da Pegan 1984 (non uidi); cf. RIC IV.3, n° 65-66, 104-105. Si vd. inoltre Loriot 1994, partic. 846-848 per l’esemplare conservato a Parigi; Peter 1995 (sul rinvenimento ad Augusta Raurica di un antoniniano della zecca di Uiminacium); PIR2 II, C 930; Körner 2002, 347-348. Per una ricostruzione della vicenda è sempre utile Körner 2002, 285-288 (con condivisibile discussione della precedente letteratura).
- Zos. 1.20.1-2 (riassunto in Zon. 12.19 [2, 5841-2 Dindorf]). Piso 2005 ricostruisce così la sequenza degli avvenimenti: Filippo avrebbe marciato contro i Carpi tra l’estate e l’autunno 247, riportando una significativa vittoria alla fine del 247; egli sarebbe poi ripartito all’inizio della primavera successiva, in tempo per essere a Roma in aprile e festeggiare il millenario della nascita della città.
- Già Mowat 1912, 199 aveva osservato che c’est probablement pendant que Philippe était occupé à Rome de la célébration des fêtes du Millénaire que Pacatien profita de la circonstance pour se révolter; anche Kovács 2014, 232 parla della primavera 248. All’inizio dell’anno pensava invece Mócsy 1974, 204, mentre a favore di una datazione nella seconda metà del 248 si sono espressi Gerov 1980c, 381 e Loriot 1998, 54.
- Zos. 1.21.2-3. In partic. per la concomitanza con l’usurpazione di Iotapiano cf. Zos. 1.20.2: Ἰωταπιανὸν παρήγαγον εἰς τὴν τῶν ὅλων ἀρχήν, τὰ δὲ Μυσῶν τάγματα καὶ Παιόνων Μαρῖνον; 1.21.2: Ἰωταπιανοῦ τε καὶ Μαρίνου σὺν οὐ πολλῷ πόνῳ καθαιρεθέντων. Lo scetticismo di Potter 1996, 275 n. 12, secondo cui la rapidità con cui Decio ebbe ragione di Pacaziano dimostrerebbe che questi non aveva il pieno controllo delle legioni pannoniche, è specioso, dal momento che Decio poté abbattere l’avversario sia avvalendosi di altre truppe sia grazie al tradimento di quelle stesse milizie che avevano acclamato l’usurpatore, come il racconto di Zosimo lascia intendere. Per le circostanze che condussero all’elevazione di Decio cf. Körner 2002, 288-304 ed ora Mitthof 2020, 312-314, con l’innovativa proposta secondo cui Decius nicht in Moesien oder Pannonien, sondern in Dakien während einer militärischen Kampagne von den dort versammelten Truppen (zu denen in jedem Fall Soldaten aus dem gesamten Illyricum gezählt haben dürften) zum Kaiser ausgerufen worden war (citazione a p. 314).
- Zos. 1.21.3: οἱ δὲ ταύτῃ στρατιῶται τὸν Δέκιον ὁρῶντες τοῖς ἡμαρτηκόσιν ἐπεξιόντα […].
- Sulla possibilità che i dati di storia militare riportati in proposito da Zosimo – ad eccezione dell’aneddoto del discorso in senato di Filippo e della replica di Decio (1.21.1) – possano essere indirettamente derivati da Dexippo cf. Mecella 2013, 107 n. 237. Più in generale, sui rapporti tra Dexippo e Zosimo si vd. Mecella 2007; Mecella 2013, 35-40.
- Boteva 2020, 205-206. Presentazione delle evidenze archeologiche in Jovanova 2017; Veljanovska & Velova-Graorkoska 2017; Stankov 2017. Data l’impossibilità di scavare l’intera trincea, il numero dei morti potrebbe essere stato superiore.
- Körner 2002, 139: wie Iordanes berichtet, floh ein Teil der Soldaten von Decius zu den Goten. Möglicherweise handelte es sich dabei um Soldaten, die die Erhebung des Pacatianus unterstützt hatten. Il ruolo rivestito dal futuro imperatore è difficile da definire, dal momento che la formulazione di Zosimo 1.21.2 (παρεκάλει [scil. Filippo] τοίνυν τὸν Δέκιον τῶν ἐν Μυσίᾳ καὶ Παιονίᾳ ταγμάτων ἀναδέξασθαι τὴν ἀρχήν) non consente di inquadrare con esattezza la carica all’interno dell’ordinamento romano; ad ogni modo, è chiaro che Decio ereditò un compito già assunto da Pacaziano (contra Kovács 2014, 232-235, che per Pacaziano propende per un grado nell’esercito non troppo alto e comunque sottoposto all’autorità del legatus Augusti, mentre identifica Decio con un dux [cf. infra]). Il loro incarico mi sembra assimilabile a quello, di poco precedente, rivestito da Marcio Otacilio Severiano: [scil. Filippo] Σεβηριανῷ δὲ τῷ κηδεστῇ τὰς ἐν Μυσίᾳ καὶ Μακεδονίᾳ δυνάμεις ἐπίστευσεν (Zos. 1.19.2), su cui cf. Körner 2002, 63-64 e PIR2 VIIb, S 624, dove, sulla scorta di una lunga tradizione di studi, la frase viene interpretata come l’assunzione della legazione di entrambe le province (e.g. Stein 1940, 102; Fitz 1967, 115). Il lessico di Zosimo – che in tutti e tre i casi insiste sulla guida dei τάγματα, senza menzione degli ἔθνη – fa tuttavia pensare all’esclusivo comando dell’esercito; a corroborare questa lettura concorre la simultanea presenza, nelle medesime province, di regolari governatori, come il P. Cosinius Felix legatus Augg(ustorum) pro praetore provinciae Pannoniae superioris tra il 247 e il 249 (Winkler 2012; cf. inoltre i dati raccolti in Hächler 2019, passim e partic. 681-684, 743-748). Già Mócsy 1974, 204 riteneva che probably the supreme commander was not simultaneously governor of all the provinces concerned, but merely a military commander without administrative authority in the civilian sphere, mentre Fitz definiva sia Pacaziano sia Decio duces Illyrici (Fitz 1967, 118-119; Fitz 1994, 993-997; Fitz 1995, 1592). Il problema si connette infatti alla vexata quaestio dell’istituzione dei ducati militari sovraprovinciali, normalmente ascritta a Filippo proprio sulla base dei brani appena richiamati; si deve però ricordare che comandi straordinari interregionali, indipendenti dal governatorato di provincia, risultano chiaramente identificabili solo a partire dall’età di Gallieno (si pensi al dux ducum Aureolo, su cui cf. Mecella 2021, 68-74). In età severiana è ben documentato il titolo di dux exercitus (e.g. ILS 1140, 2935), che Smith 1979, 273-277 interpreta come an officer put in charge of an army or an army group and, within certain prescribed limits, given initiative of action (p. 277), due duces con funzioni esclusivamente militari sono attestati in Egitto sotto Gordiano (Gilliam 1986), mentre tra 245 e 251 le PEuphr. 3-4 fanno conoscere quattro duces ripae a capo di un presidio di frontiera permanente (Gnoli 2007); poiché tuttavia si tratta di missioni geograficamente circoscritte, la genesi dei grandi ducati di III° secolo resta di difficile definizione, sebbene l’ipotesi di una loro creazione da parte di Filippo l’Arabo rimanga la più plausibile. Ad ogni modo, concordo con Gilliam nel vedere in the duces at least a partial anticipation of the later separation of military and civil powers (Gilliam 1986, 260). Proprio per questo il rettorato di Giulio Prisco, normalmente chiamato in causa, mi sembra un caso di studio poco calzante: il fratello dell’imperatore ebbe sì in Oriente un potere che includeva un imperium maius sulle legioni stanziate nell’area della sua giurisdizione, ma era anche a capo del comparto civile, con responsabilità in ambito giuridico, amministrativo e fiscale: si vd. in proposito Mecella 2024 e, più in generale per il cursus del personaggio, Gnoli 2000, 92-99. Poco probanti anche le testimonianze di Jord., Get., 18.102 Grillone, che qualifica Treboniano Gallo dux limitis, e di Petr. Patr. F 8 Müller, che definisce Tullio Menofilo dux Moesiae per il 238: in entrambi i casi potrebbe trattarsi di semplici anacronismi. Allo stato attuale della ricerca, uno studio esaustivo sul tema rimane un vivo desideratum; spunti importanti verranno comunque dall’analisi del materiale epigrafico proposta da Cecilia Ricci e Giorgio Crimi in una monografia di prossima pubblicazione.
- Gerov 1980b e Gerov 1980c, 381-391, seguito da gran parte della critica sino agli anni Novanta del secolo scorso: una preziosa rassegna bibliografica è fornita da Varbanov 2012 (invero piuttosto scettico sulla possibilità di considerare i ritrovamenti monetali un affidabile marcatore cronologico).
- A favore di un potere delegato (ma da Cniva, non da Ostrogota) parla anche Zerjadtke 2019, 75. Un’eco delle imprese dei due leaders barbarici può forse essere colta anche in SHA, Gord., 31.1: Argunt Scytharum rex finitimorum regna uastabat, maxime quod conpererat Misitheum perisse, cuius consilio res publica fuerat gubernata. Il nome Argunt è stato infatti quasi unanimemente interpretato come crasi di Argaith e Guntheric: si vd., tra gli altri, Rappaport 1899, 33-34; Heather 1991, 37; Wolfram 2001, 34 (ma cf. già Wolfram 1985, 87-88 n. 12); Paschoud 2018, 270. La questione di una possibile derivazione del passo da Dexippo, sostenuta dai commentatori appena citati, rimane aperta: nel caso, si dovrebbe presupporre una forte manipolazione dei dati originari da parte del biografo latino, che avrebbe alterato sia la data della campagna (posta dall’Anonimo nella primavera del 244, secondo Paschoud), sia l’indicazione degli uomini al comando. L’autonoma esistenza di un Gunterico, ad ogni modo, potrebbe trovare conferma nel brano dexippeo recentemente decifrato al f. 192r del ms. vindobonense, verosimilmente relativo a una campagna dei primi anni ’60 del III° secolo: vi è menzionato un Γουθούρικος – richiamato dall’esilio per condurre le schiere gotiche contro i Romani – che potrebbe anche essere identificato con il personaggio ricordato da Giordane. Su questo testo si vd. l’editio princeps in Martin & Grusková 2022, con le preliminari osservazioni degli editori a 470-473, 483-484, e Zecchini 2023.
- Ad una grande coalizione già nel 248 pensa anche Poulter 2020, 370. Ad ogni modo, dalla descrizione di Giordane sembra evincersi che la confederazione abbia avuto scopo esclusivamente militare, e che si sia sciolta al termine della campagna; diverso, invece, il caso delle più vaste leghe dei Franchi e degli Alamanni, che pur mantenendo al loro interno forti differenziazioni nel corso del III° secolo dettero vita a formazioni di più ampio respiro: cf. Rocco 2011, 250-251 (con abbondante bibliografia) e, più recentem., Meier 2019, 309-330; Zerjadtke 2019, 38-49, 87-90. Le invasioni del 248-251 appaiono comunque l’esito di un’egemonia gotica in via di sviluppo, i cui frutti sarebbero pienamente maturati nel secolo seguente.
- A questa campagna potrebbe far riferimento anche Io. Ant. F 226 Roberto, per il quale Filippo, dopo aver sconfitto gli Sciti, si diresse a Perinto, dove apprese la notizia della sedizione romana che dette inizio alla guerra civile contro Decio. Gli eventi dovrebbero dunque collocarsi tra il 248 e il 249, e recano l’eco di una vittoria di Filippo di cui non abbiamo altra notizia. L’attendibilità dell’informazione rimane sub iudice: si potrebbe ritenere che l’imperatore, dopo un iniziale insuccesso, sia riuscito ad intercettare i nemici lungo la via del ritorno, o che Giovanni abbia attinto ad una fonte male informata sui fatti (che dunque difficilmente si potrà identificare con lo storico contemporaneo Dexippo: sul problema cf. già Mecella 2013, 93 n. 203). Un’altra soluzione è offerta da Körner 2002, 137-138, secondo cui il brano di Giovanni deriverebbe dalla confusione con la precedente guerra carpica.
- Diversa la ricostruzione di Boteva 2001 – seguita dalla sua allieva Lily Grozdanova (vd. Grozdanova 2019, in bulgaro) –, che pensa a un’incursione sotto Filippo (nel 248, su cui cf. anche Grozdanova 2017, 253, 255) e a due distinte campagne sotto Decio (rispettivamente nel 250 e nel 251), delle quali solo l’ultima condotta da Cniva; le argomentazioni addotte dalla studiosa non appaiono tuttavia probanti. Anche Bleckmann 2016, 7-8 si è espresso a favore dell’esistenza di tre invasioni tra la fine del regno di Filippo l’Arabo e il principato di Decio, lasciando però aperto il problema della datazione della seconda. Più in generale, per la presenza di Decio e dei suoi figli sul limes basso-danubiano si vd. la sintesi di Grozdanova 2015.
- Jord., Get., 18.101 Grillone: post cuius [scil. Ostrogotha] decessum Cniua, exercitum diuidens in duas partes, nonnullos ad uastandas Moesiam dirigit (“dopo la sua morte Cniva, dividendo l’esercito in due parti, manda dei soldati a devastare la Mesia.” Trad. Grillone).
- In Uind. hist. gr. 73, f. 195r, l. 29, è citato un βασιλεύς che il contesto narrativo induce ad identificare con Cniva; per la posizione contraria di Boteva si vd. supra, n. 2. Significativamente, anche il Γουθούρικος del f. 192r (cf. supra, alla n. 32) viene qualificato con un lessico che rimanda alla sfera del comando, ma non a quella della regalità, avvicinandolo più agli ἄρχοντες che ai βασιλεῖς: Σκυθῶν οἱ δὴ Γοῦθοι κεκλημένοι, ἡγουμένου Γουθουρίκου σφῶν, ὃς ἦρχε τῆς πάσης στρατιᾶς ἄρτι ἐκ τῆς φυγῆς κατακληθείς […] (Martin & Grusková 2022, partic. 472).
- Per approfondimenti vd. Mecella 2013, 429-445.
- Zerjadtke 2019, passim. Più in generale per l’articolazione delle società gotiche nel IV° secolo ancora utile Wolfram 1985, 163-206.
- La buona conoscenza delle società barbariche – così come della topografia dei teatri di guerra – poté derivare allo storico sia da esperienza diretta (non dimentichiamo che egli stesso si trovò a confrontarsi con il manipolo di Eruli che avevano assediato Atene nel 267: Dex. T 3 / T 10a; F 24, F 31 ed F 32c Mecella, con i miglioramenti di lettura proposti in Grusková et al. 2020b, 579-580), sia dal ricorso a validi informatori e testimoni oculari: cf. Potter 2020, partic. 358. Poiché tale competenza è sì confermata dai nuovi ritrovamenti (soprattutto per ciò che concerne la presa di Filippopoli), ma emergeva nettamente anche dal corpus dei frammenti già noto, non vi sono motivi per ritenere che die neuen Fragmente machen es bedeutend wahrscheinlicher, dass Dexipp seine Vaterstadt verlassen hat und auf Forschungsreise zu den Stätten seiner Schilderungen gegangen ist (Grusková & Martin 2018, 85).
- Diversa l’interpretazione di Zerjadtke 2019, 54-57, la cui tortuosità giustifica la lunghezza della citazione: die Semantik der Termini βασιλεῖς und ἄρχοντες legt eine hierarchische Abstufung zwischen beiden nahe. Da einer der ἄρχοντες jedoch ohne weiteres gegen den Vertrag mit den Römern verstieß und dies nicht von den βασιλεῖς oder ihren Truppen abgestraft wurde, sondern sie durch die Römer geschlagen werden mussten, zeigt, dass diese hierarchische Abstufung keineswegs mit einer festen Bindung an die βασιλεῖς einher ging. Es handelte sich also um Anführer von Kriegergruppen, die sich von der höheren Stellung der βασιλεῖς, wodurch auch immer diese begründet war, zwar unterschieden, jedoch keine Befehlsempfänger darstellten. Dass die Krieger ihrem ἄρχων folgten und ihn nicht wegen Befehlsverweigerung vor die βασιλεῖς brachten, weist darauf ihn, dass ihre Loyalität ihrem Fürsten galt und nicht den Anführern des Gesamtverbandes. Daher ist nicht davon auszugehen, dass die ἄρχοντες der Vandalen bei Dexippos durch die βασιλεῖς eingesetzt worden waren und nur über delegierte Macht verfügten. Vielmehr erscheinen sie als unabhängige Anführer ihrer Verbände und hatten möglicherweise selbst eine persönliche Bindung zu den βασιλεῖς (cit. alle pp. 56-57; cf. anche p. 68). Mi sembra tuttavia contraddittorio parlare di differenziazione gerarchica senza presupporre un chiaro legame di subordinazione degli ἄρχοντες nei confronti dei βασιλεῖς, e d’altra parte il fatto che il brigantaggio sia stato represso da truppe mercenarie romane e non dai Vandali stessi non sorprende, essendo stato compiuto ancora in territorio imperiale da un manipolo distaccato. La stessa natura degli ξενικὰ στρατοπέδα incaricati dall’imperatore di riportare ordine è peraltro molto incerta, e non è escluso che vi facessero parte alcuni di quegli stessi Vandali appena arruolati tra le fila romane. In conclusione, anche volendo considerare gli ἄρχοντες degli autonomi capi-tribù (o capibanda) – punto che per il caso in questione rimane puramente speculativo –, è evidente che al momento della federazione dell’esercito doveva inevitabilmente crearsi una catena di comando facente capo, in ultima analisi, alla leadership dei re.
- Jord., Get., pr. 1; cf. anche 16.89 Grillone: Gothi […] quamuis remoti sub regibus uiuerent suis […]. Per il periodo che qui interessa si vd. i già discussi rex Gothorum Ostrogota (16.90 e 17.99 Grillone) e rex Gepidarum Fastida (17.97 e 17.100). Come nobilissimi ductores sono invece indicati Argaito e Gunterico (16.91 Grillone); duces Gothorum sono anche Respa, Veduco e Turuaro, attivi sotto Gallieno (20.107 Grillone). Per il resto dell’opera si vd. gli indici prosopografici in Grillone 2017, 499-507, 515-534. Non argomentata – e del tutto implausibile – la tesi di Brodersen 2020, 154-155 secondo cui Giordane avrebbe rappresentato Cniva come un usurpatore: a suo dire, nel tentativo di creare un parallelismo tra le origines Gothorum e la storia imperiale, Cniva steht bei Jordanes also an einem markanten Punkt seiner Erzählung: Waren zuvor die reges der Goten und der anderen welthistorisch bedeutenden Völker in großen Schritten und in einer Art Gleichschritt präsentiert worden, beginnt mit Cniva die Zeit von Usurpatoren sowohl im Goten- wie auch im Römischen Reich. […] Die Zeit der Usurpatoren hingegen beginnt mit Cniva auf der gotischen und dem Tod des Decius auf der römischen Seite (citazione a p. 155). Nella narrazione dei Getica, tuttavia, nulla autorizza questa interpretazione, poiché la legittimità del potere di Cniva non è mai messa in discussione.
- Mecella 2013, passim. Cf. inoltre Boteva 2020, 195-202, di cui tuttavia non è condivisibile l’affermazione secondo cui it is clear that the Athenian historian makes a difference between the Scythians on the one hand, and the Juthungi and the Vandali on the other, proving he was fairly well informed about different ethnonyms on the Roman limes in Europe (citazione a p. 202). A smentire questo assunto basta il riferimento a Dex. F 34.1 Mecella, dove sono espressamente citati τοὺς Ἰουθούγγους Σκύθας: il fatto che Dexippo riporti correttamente i nomi dei diversi popoli non significa che per lui non potessero essere tutti omologati all’interno di una stessa categoria. Più in generale, per l’uso dell’etnonimo ‘Sciti’ nella letteratura tardoantica e bizantina cf. Schreiner 2020 e, per l’assimilazione dei Goti alla ‘tradizione della steppa’ dei popoli scitici, Pohl 2000.
- Il personaggio è ricordato in Cassiod., Uar., 3.38. Sulla prudenza necessaria nella valutazione delle presunte etimologie dei nomi personali si vd. le considerazioni di Pohl 2000, 110-111; Wolfram 2018a, 452; Wolfram 2020a, 24-25; Wolfram 2020b, 5.
- Come aveva già concluso Wolfram 2020b, 4-5: es gab tatsächlich einen Zeitgenossen Knivas, der Ostrogotha hieß, nur war er weder ein König noch der Stammvater der Ostrogothen noch ein Angehöriger der Ostrogothen, die es sicher noch nicht gab, noch der Sechste im heroisch-mythischen Stammbaum der Amaler, sondern ein Mann, der „Glanzgote“ oder „Sonnenaufgangsgote“ (vgl. Anatol) hieß und ein durchaus realer Archon von Skythen, das heißt, ein nichtköniglicher Heerführer von Goten war. […] [Dexippos] nennt Ostrogotha einen Archon, einen nichtköniglichen Heerführer, und Kniva einen Basileus, einen Großkönig. Lateinisch gesprochen, war Ostrogotha ein dux, Kniva ein rex; auf gotisch könnten Ostrogotha ein *draúhtins, Kniva noch ein thiudans, wenn nicht schon ein reiks gewesen sein. Cf. già Wolfram 2018a, 451-453; Wolfram 2018b, ed ora soprattutto Wolfram 2020a, partic. 25ss., dove la tesi è argomentata con dovizia di dettaglio.
- Per l’uso dei canti nella tradizione memorialistica gotica cf. Jord., Get., 11.72 Grillone, con il commento di Grillone 2017, 326 n. 329; purtroppo non mi è stato possibile consultare Kolendo 1984/1985. La competizione con Cniva, perfettamente comprensibile in una società dominata da una nobiltà guerriera, dove la leadership militare costituisce uno dei principali fattori di aggregazione e di affermazione personale (discussione critica degli studi degli ultimi decenni in Rocco 2011, partic. 239), non mi sembra autorizzi a interpretare il comando di Ostrogoto come autonomo rispetto a quello del rex: al contrario, proprio il suo bisogno d’affermazione mi pare confermare, e contrario, una posizione d’inferiorità. Parere opposto in Zerjadtke 2019, 76: auch wenn die Titel beider eine Unterordnung andeuten, wird aus der Passage selbst deutlich, dass Ostrogotha sein Heer selbständig befehligte. Zudem ist erkennbar, dass seine Stellung und Reputation durch die militärischen Erfolge seines Konkurrenten litten und er versuchte, dem mit einem großen Sieg entgegenzuwirken. Ostrogothas Position baute zu einem bedeutenden Teil auf seiner persönlicher auctoritas auf, die er durch kriegerische Taten erworben hatte. Sein Status als Anführer basierte zum Gutteil auf Charisma. Somit war es unabdingbar, wie aus dem Fragment klar ersichtlich ist, dass er als selbständiger Anführer eines Gotenverbandes persönlich die Kriegsunternehmen anführte. Die Einsetzung von Heerführern hätte seine Stellung gefährden können. Al di là delle considerazioni già svolte, è difficile ritenere che alla spedizione non abbiano partecipato altri Heerführer.
- Opportunamente Wolfram 2020, 25-28 sottolinea come un eroe capostipite debba per sua natura essere vincitore e prediletto dalla Fortuna: la sorte meschina dell’Ostrogoto degli Scythica è inconciliabile con la funzione fondativa dell’omonimo progenitore degli Ostrogoti.
- Da respingere dunque anche la possibilità – in precedenza talvolta avanzata – che Ostrogota sia un appellativo di Cniva: non solo questo presupporrebbe che la divisione tra Ostrogoti e Visigoti fosse già attiva alla metà del III° secolo, questione invero piuttosto problematica (vd. supra, n. 16), ma soprattutto i nuovi frammenti di Dexippo ne attestano l’uso come nome proprio e non come epiteto di origine etnica. Sul punto si vd. Wolfram 2020a, 24.
- Per lo status quaestionis rimando a Mecella 2013, 40-41, 417-423. Il problema dell’esistenza di fonti complementari, accanto alla Historia Gothorum di Cassiodoro, per la composizione dei Getica rimane dibattutissimo (utili in proposito le sintesi di Tönnies 1989, 12-20; Coumert 2007, 75-101; Girotti 2009, 395-405). Personalmente, ritengo che sia l’ammissione dello stesso Giordane di aver potuto disporre dell’opera del Senator solo per tre giorni (Get., 1.1-2 Grillone) – notizia di cui non vi sono ragioni di dubitare – sia la pluralità di materiali confluita nei Romana (cf. Girotti 2009 ed ora, pur con diversa prospettiva, Fele 2020) facciano propendere per l’uso di più fonti anche per i Getica, come peraltro lo stesso autore dichiara in calce al passo appena citato: ad quos et ex nonnullis historiis Graecis ac Latinis addidi conuenientia, initium finemque et plura in medio mea dictione permiscens. Nuove prospettive sui rapporti tra Giordane e Cassiodoro – soprattutto in relazione alle cause della reticenza cassiodorea a condividere il proprio scritto con Giordane – sono ora aperte, da differenti angolazioni, da Van Hoof & Van Nuffelen 2017 e Porena 2021, partic. 67-70. Mentre i primi prediligono un approccio prevalentemente sociologico, ritenendo che la diversa origine etnica e la bassa estrazione sociale di Giordane abbiano potuto parzialmente allontanarlo dall’aristocratico Cassiodoro, Porena sottolinea invece le preoccupazioni di quest’ultimo per la divulgazione di un’opera legata a un’altra stagione politica, tali da spingerlo a limitarne il più possibile la circolazione (in questa direzione, seppur con diverse argomentazioni, anche Cristini 2022, 223-226).
- Dex. Uind. hist. gr. 73, f. 194v, ll. 1-4: καὶ ἐπεὶ τὸ στρατιωτικὸν ἠθροίσθη· εἰς μυριάδας ὀκτώ που μάλιστα, γνώμης ἦν ἀναμάχεσθαι τὸν πόλεμον εἰ δύναιτο; Jord., Get., 18.102 Grillone: collectoque tam exinde quam de Oesco exercitu, futuri belli se reparat in acie.
- Per la menzione di Dexippo da parte di Giordane cf. Dex. F 35 Mecella.
- Come si è già ricordato, la prima divergenza riguarda l’assedio di Marcianopoli: sulla base delle considerazioni svolte supra (n. 6), è ipotizzabile che, mentre Jord., Get., 16.92 Grillone si riferisca effettivamente a un episodio verificatosi nel 248 durante le scorrerie del rex Ostrogota, Dex. F 28 Mecella alluda a un non meglio precisato scontro degli anni Cinquanta-Sessanta. Anche circa l’assedio di Filippopoli e la cosiddetta usurpazione di Prisco la conciliazione tra le informazioni di Dexippo (F 29 Mecella; Uind. hist. gr. 73, f. 195r-v) e Jord., Get., 18.103 Grillone non è affatto immediata (si vd. la bibliografia citata supra, alla n. 2); inoltre la sorte di Anchialo durante l’invasione gotica del 269-270 viene riportata diversamente dai due storici (Dex. F 12a Mecella; Jord., Get., 20.108-109 Grillone). Infine, la durata del regno di Claudio è diversamente indicata in Dex. F 9 Mecella (un anno) e Jord., Rom., 288 (un anno e nove mesi).
- Dex. F 24a Mecella (εὐθεῖα. “ἀπὸ τῶν ἐκεῖσε ἑλῶν Ἕλουροι κέκληνται”. Δέξιππος ἐν δωδεκάτῳ Χρονικῶν. καὶ γράφεται διὰ τοῦ ε ψιλοῦ) e Jord., Get., 23.117 Grillone (nam praedicta gens, Ablauio historico referente, iuxta Maeotidem paludem inhabitans, ex locis stagnantibus quae Graeci “hele” uocant, Heluri nominati sunt), su cui cf. la bibliografia cit. supra (alla n. 49); a favore di un uso di Ablabio da parte di Giordane si esprime anche Heather 1989, 104; Heather 1991, 18, 35, 50, 61-67, che tuttavia lo considera uno storico visigoto della fine del V° secolo. Per la recente ipotesi di attribuzione ad Ablabio anche di un ulteriore passo di Giordane si vd. poi Cristini 2024. Oltre a Dexippo, Ablabio verosimilmente attinse alla più antica letteratura sui popoli transdanubiani, come i Getica di Dione Crisostomo, che proprio attraverso di lui poterono giungere da Giordane (FGrHist 707, su cui cf. Zecchini 1993c, 203-204; Terrei 2000; Savo 2010, 456-457), o quelli di Tito Statilio Critone, storico d’età traianea ancora apprezzato da Giovanni Lido (FGrHist 200, su cui si vd. Savo 2009 e Savo 2010, 456-457, 465-466, 470-473). Utile la rassegna proposta da Christensen 2002, 22-41, secondo cui in Strabone, Plinio il Vecchio e Tacito non è invece possibile cogliere riferimenti sicuri a queste genti. Per l’equazione Getae-Gothi cf. Oros. 1.16.2 ripreso da Jord., Get., 9.58 Grillone, su cui si vd. Wolfram 1985, 60-62; Luiselli 1992, 323; Pohl 1998, 131-132; Pohl 2000, 117-119; cf. anche Coumert 2007, 40-43.
- Zecchini 1993c, 201-206.
- Porena 2014; per il passo di Sidonio si vd. Epist., 5.8.2: ut mihi non figuratius Constantini domum uitamque uideatur uel pupugisse uersu gemello consul Ablabius uel momordisse disticho tali clam Palatinis foribus appenso: “Saturni aurea saecla quis requirat? / Sunt haec gemmea, sed Neroniana”.
- Ad uno scritto etnografico della prima metà del VI° secolo pensa invece Coumert 2007, 64-70. Nell’ipotesi – che mi sembra decisamente la più persuasiva – secondo cui Giordane abbia consultato la storia cassiodorea a Costantinopoli ed abbia lì composto i Getica (Christensen 2002, 84-103; Grillone 2017, XIII-XIV, XXXIII-XXXIV), rimane da spiegare come un’opera altrimenti ignota come quella di Ablabio possa essere venuta in suo possesso. In realtà, nella Costantinopoli di VI° secolo la circolazione di testi e tradizioni di matrice occidentale è ben attestata, e nulla vieta di pensare che vi figurasse anche uno scritto sui conflitti romano-gotici di III°-inizio IV° secolo, tornato prepotentemente d’attualità grazie alla formazione di un regnum Italiae retto da Ostrogoti. Sulla padronanza linguistica di Giordane si vd. Girotti 2009, 11-12, e soprattutto Grillone 2017, 125-151. Per le campagne contro i Goti d’età costantiniana si vd. Wienand 2013, 394-398.
- Ai fini di questa ricostruzione, non mi sembra creare troppe difficoltà la diversa sequenza imperiale presente nei Romana e nei Getica: mentre in quest’ultima opera manca la figura di Gordiano III, essa compare infatti nei Romana (Rom., 282, su cui cf. Girotti 2009, 238-240, 414-416). L’omissione potrebbe essere dettata da un’esigenza di sintesi, dal momento che sotto Gordiano III non si verificarono episodi eclatanti concernenti la storia dei Goti. Diversa l’interpretazione di Zecchini 1993b, 84-86, secondo cui l’esclusione dei Gordiani risalirebbe alla Historia Romana di Simmaco, da cui l’avrebbe mutuata Cassiodoro passandola poi al Giordane dei Getica. Essa presupporrebbe un parallelo tra Massimino e Teodorico, funzionale a persuadere il rex Gothorum a non perseguitare i cristiani: “come Massimino si rovinò perseguitando i cristiani e fu punito con la morte e la perdita del regno a vantaggio del cristiano Filippo, stia attento Teodorico a non perseguitare i cattolici […]. Se coglie nel segno l’ipotesi di un parallelo operato da Simmaco tra Massimino e Teodorico, si spiegherebbe sia l’importanza data al Trace, sia l’omissione dei Gordiani, che rendeva diretto il passaggio da Massimino a Filippo come Simmaco minacciava e sperava che fosse quello da Teodorico a Giustiniano” (ibid., p. 85).
- Jord., Get., 18.101-102 Grillone. Per l’identificazione del toponimo Oescia, presente nel brano di Giordane, con Oescus, si vd. Grillone 2017, 344 n. 405; contra Kolendo 2008, 122-127, secondo cui Giordane avrebbe utilizzato una forma storpiata del nome di Oescus ma per indicare la città di Nouae: Jordanes’ source knew that the Goths attacked Novae but he had the deformed name of Oescus at hand and he attempted to make the best of the situation by assuming in § 101 that Euscia/Oescia was another name for Novae and consistently changing Novae in § 102 to Euscia/Oescia (citazione a p. 124).
- Dex. Uind. hist. gr. f. 194r, l. 29 – f. 194v, l. 4: Δέκιος δὲ τῆς τε βοηθείας τῇ διαμαρτίᾳ· καὶ τῇ τῆς Φιλιππουπόλεως ἁλώσει, λυπηρῶς εἶχε· καὶ ἐπεὶ τὸ στρατιωτικὸν ἠθροίσθη εἰς μυριάδας ὀκτώ που μάλιστα, γνώμης ἦν ἀναμάχεσθαι τὸν πόλεμον εἰ δύναιτο (“Decio si affliggeva per non aver prestato soccorso e per la perdita di Filippopoli; e dopo aver radunato un esercito di 80.000 uomini, era dell’avviso, se avesse potuto, di tornare a combattere”). Su questo passo cf. supra, n. 50.
- Contra Piso 2020, 345-346, che data gli eventi alla fine del 250, subito dopo la caduta di Filippopoli, e ritiene che Decio con il suo esercito si trovasse ancora nel territorio di Beroe, in Tracia.
- La lettura del manoscritto è peraltro incerta: Martin & Grusková 2020, 547.
- Letteratura in Mecella 2020, 290 n. 14. Per la localizzazione dei due siti purtroppo non sono utili né l’Anonimo Ravennate né Etico Istro, gli unici geografi dell’Occidente tardoantico e altomedievale a dedicare all’intera Europa una certa attenzione (cf. Zecchini 1993d, 262-266).
- È questa l’interpretazione corrente dell’espressione τῇ συμβάσῃ ἐν τῷ πεδίῳ κακοπραγίᾳ: si vd. per tutti Piso 2020, 342.
- Per la lettera di Decio agli abitanti di Filippopoli cf. F 29 Mecella, con il commento ad loc.; da segnalare, al riguardo, che le più moderne tecnologie hanno consentito, negli ultimi anni, una migliore decifrazione del Uaticanus gr. 73, determinando qualche variazione nella lettura del testo: Grusková et al. 2020b, 576-578. Per i nessi del frammento vindobonense con la restante produzione dexippea vd. anche Potter 2018, 24-26; Martin 2020, 101-103, 106-108.
- Cecconi & Hostein 2018 (= EDR 162790). Si tratta di una dedica offerta dal collegio dei centonarii all’imperatore nell’anno del suo terzo consolato: essa fu dunque posta tra il gennaio 251 e l’annuncio a Roma della sua morte (primavera-estate dello stesso anno). La data della battaglia di Abritto rimane sub iudice: per ipotesi recenti si vd. Kovács 2015 (ma cf. già Kovács 2014, 238) e Mitthof 2020, 330-331 (intorno alla metà di maggio 251); Eck 2016, 496 n. 20 (che ne posticipa il terminus ante quem al 13 agosto).
- Già gli editori avevano osservato che il documento epigrafico presuppone “una vittoria significativa, suscettibile di lavare l’onta di Filippopoli. Tale vittoria può collocarsi verso i mesi di febbraio/marzo 251, prima della morte di Erennio Etrusco in battaglia, ucciso da una freccia nemica, e prima della morte di Decio” (Cecconi & Hostein 2018, 82). L’analisi del nuovo frammento di Dexippo sembra ora permettere una contestualizzazione più precisa: in questa direzione, cf. anche le osservazioni di Wolfram 2018a, 452. Più recentem. anche Mitthof 2020, 315-329 ha supposto una vittoria di Decio su Ostrogoto; lo studioso non solo ritiene attendibili le cifre indicate dall’Ateniese per le forze in campo (80.000 Romani contro 50.000 Goti), ma propone di riferire a questo scontro anche l’indicazione di Sincello Δέκιος δὲ ἐπελθὼν αὐτοῖς, ὡς Δέξιππος ἱστορεῖ, καὶ τρισμυρίους κτείνας… (Dex. F 23 Mecella), sinora sempre interpretata come il riferimento ad una battaglia presso Nicopolis ad Istrum (Stari-Nikub) occorsa all’inizio della guerra (cf. Mecella 2013, 289-290). Poiché tuttavia, come lo studioso stesso ammette, la chiusa di quella stessa frase di Sincello sembrerebbe riferirsi alla disfatta di Beroe (ἐλαττοῦται κατὰ τὴν μάχην), dovremmo immaginare che il confronto tra Decio e Ostrogoto sia avvenuto prima dell’agguato di Cniva. Una simile ricostruzione inficerebbe però la pressoché unanime interpretazione della “sconfitta subita sulla pianura” ricordata da Decio nel suo discorso alle truppe (Uind. hist. gr. 73, f. 194v, cit. supra) con la débâcle di Beroe, ma soprattutto indurrebbe a collocare quest’ultima dopo la caduta di Filippopoli, contro la testimonianza di Jord., Get., 18.101-103 Grillone. La soluzione di Mitthof per sanare queste contraddizioni – Sincello sarebbe stato così maldestro da invertire l’ordine degli eventi presente nella fonte, rendendolo unkenntlich (Mitthof 2020, 329) – non è nulla di più di un comodo escamotage. Una connessione del passo di Sincello con un episodio relativo alla prima fase del conflitto mi sembra dunque, tuttora, l’ipotesi più economica; va peraltro ricordato che una vittoria di Decio presso Nicopoli, prima della capitolazione di Filippopoli, è espressamente attestata da Dex. F 29.10 Mecella, a conferma dell’ordinamento tradizionale degli avvenimenti.