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Lo scavo del Nuovo Mercato Testaccio (Roma)

di

Il quadro territoriale. La piana del Testaccio nell’antichità: sviluppo storico e dinamiche insediative 

Il territorio

Il presente paragrafo intende proporre un profilo storico della piana subaventina, occupata dall’odierno rione Testaccio1, nel quale si inserisce il sito del Nuovo Mercato che costituisce il fulcro di questa ricerca (Fig. 9).

Il paesaggio dell’area, sita tra il monte Aventino e il fiume Tevere e, a partire dal III sec. d.C., delimitata anche dalle Mura Aureliane, che costituiscono un segno topografico di notevole incidenza, è profondamente mutato nel corso del tempo. La zona si configurava originariamente come una piana a carattere alluvionale2, ma l’intervento antropico, con le escavazioni, gli scarichi e le costruzioni, ha provocato sostanziali alterazioni del panorama geomorfologico, sia in età romana, che in epoca contemporanea, con i consistenti riporti che hanno preceduto l’edificazione del moderno quartiere di Testaccio3.

Scarse sono le notizie sul paesaggio della zona in antico, prima che, tra il II sec. a.C. e l’età imperiale, vi fossero impiantate le installazioni portuali e commerciali. Si suppone che l’area extra Portam Trigeminam, esterna alle mura repubblicane, fosse per lo più libera da costruzioni4, ma che tuttavia fosse già in parte destinata ab antiquo al commercio e alle distribuzioni di grano5. Il territorio subaventino, successivamente compreso nella Regio XIII (Aventinus) e forse, come sembrano testimoniare i rinvenimenti epigrafici6, nel pomerium ampliato da Claudio7, fu infine incluso, come già si notava, nelle Mura Aureliane.

La documentazione epigrafica relativa alla Porta Trigemina, che si apriva nelle mura repubblicane in prossimità del fiume8, rende conto delle vivaci attività economiche che avevano luogo nella zona, quando già il porto fluviale urbano, originariamente collocato nell’area del Foro Boario, si era esteso alla piana subaventina9.

Restituzione della piana subaventina in età romana 
con l’area di scavo del Nuovo Mercato Testaccio (da Contino 2022).
Fig. 9. Restituzione della piana subaventina in età romana con l’area di scavo del Nuovo Mercato Testaccio (da Contino 2022).

Proprio nel periodo di tale espansione, nella fascia di terreno posta tra il fiume e la rupe aventina10 dovevano aver luogo i riti orgiastici dei Bacchanalia, repressi nel 186 a.C. da un celebre senatoconsulto11. Livio (39, 8-19) ci conserva l’immagine di una zona boscosa e ricca di cavità, situata ai margini della città. È molto suggestiva l’ipotesi12 che il potenziamento delle strutture commerciali urbane prevedesse l’utilizzo dei terreni posti lungo il fiume per collegare l’area subaventina al Foro Boario e che lo scandalo e la conseguente repressione dei Baccanali possano essere in qualche modo legati anche alla necessità di bonificare e recuperare spazi all’espansione della città13.

Il nuovo porto fluviale urbano

Nel corso del II sec. a.C., infatti, per far fronte all’esigenza di potenziare le strutture portuali urbane in relazione all’incremento demografico e all’accrescimento dei traffici seguito alla seconda guerra punica, nella pianura subaventina furono realizzate imponenti opere pubbliche e infrastrutture, da ricondurre a un progetto scipionico volto a potenziare il sistema portuale urbano, coinvolgendo Pozzuoli, Ostia e Roma, con il fine di assicurare l’approvvigionamento di quest’ultima14. Ostia infatti, prima degli interventi di età imperiale, con la costruzione dei porti di Claudio e di Traiano, si era rivelata un cattivo approdo, come dimostra l’episodio dell’arrivo a Roma nel 204 a.C., in un momento di grave tensione durante l’invasione annibalica dell’Italia del simulacro aniconico della Magna Mater Idaea dal santuario di Pessinunte in Asia Minore. Tale episodio è ricordato anche su una piccola ara figurata e iscritta proveniente dal Lungotevere Testaccio15. Gravido di attese per le implicazioni salvifiche e ideologiche dello sbarco, il momento fu tuttavia funestato dal fatto che la nave che trasportava il simulacro si incagliò alla foce, facendo serpeggiare l’angoscia per l’apparente rifiuto della dea di proteggere la città di Roma. Tuttavia Claudia Quinta, una matrona (o una giovane Vestale, secondo alcune fonti) accusata di impudicizia, intervenne, dopo aver invocato la dea, a disincagliare la nave, allontanando l’infausto presagio dalla città e l’ingiusta accusa da sé16. Il fatto mette in luce le carenze di Ostia alla fine del III sec. a.C. (Ostia risulta tuttavia propriamente alimenos, cioè priva di un bacino portuale ancora in età augustea, secondo quanto dice Strabone17), denunciandone l’incapacità ad accogliere grandi navi transmarine, come quella che dalla lontana Asia Minore trasportava il simulacro della Magna Mater, ed esprimendo la necessità di una soluzione, che al principio del II sec. a.C. pare essere stata individuata in un sistema portuale basato sulla trilaterazione tra Pozzuoli, Ostia e Roma18.

Le fonti (Livio 35.10.11-12) testimoniano dunque che nel 193 a.C. gli edili curuli Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo iniziarono nella pianura subaventina la costruzione dell’Emporium, ovvero un’area attrezzata per lo scarico, il commercio e le transazioni relative alle merci in arrivo, cui sono ascrivibili le installazioni portuali di diversa epoca individuate lungo la fascia fluviale19. Contestualmente gli edili diedero inizio alla realizzazione di un edificio strettamente legato all’Emporium, che da essi mutuò il nome di Porticus Aemilia; a tale edificio sono stati ascritti gli imponenti resti monumentali riconoscibili lungo le attuali vie Florio, Branca, Rubattino e Vespucci20, sebbene tale attribuzione sia stata oggetto di dibattito21. Le indagini (2011-2013) dell’allora Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e del Reale Istituto Neerlandese di Roma nell’area non hanno chiarito la funzione dell’originaria struttura repubblicana in opus incertum, non avendo individuato, nemmeno al livello delle fondazioni, stratigrafie di epoca repubblicana, probabilmente eliminate dai rimaneggiamenti più tardi; tali ricerche hanno tuttavia rivelato un’importante attività costruttiva in età primo-imperiale e una rifunzionalizzazione degli spazi dell’edificio, rimasto in uso nella porzione indagata almeno fino al V sec. e poi abbandonato tra VI e VII sec.22

Ad ogni modo la realizzazione dell’Emporium e dell’annessa Porticus al principio del II sec. a.C. sono espressione dell’evergetismo delle classi dirigenti romane e si inseriscono nel quadro di un vasto intervento nell’edilizia pubblica urbana degli Aemilii, famiglia tra le maggiori dell’aristocrazia senatoria, particolarmente vicina agli Scipioni23.

Il territorio subaventino tuttavia dovette a lungo essere percepito come periferico se ancora nel I sec. a.C. alle spalle dell’Emporium si trovavano dei sepolcri, verosimilmente connessi ad aree in proprietà privata24, fatta salva la fascia di rispetto dell’alveo del Tevere25.

Il sepolcro gentilizio della gens Rusticelia, databile verosimilmente entro la metà del II sec. a.C. o a cavallo tra II e I sec. a.C., fu intercettato occasionalmente e forse risepolto in epoca moderna, mentre si scavava l’angolo meridionale del Monte dei Cocci per realizzare una delle grotte che ne andarono caratterizzando le falde a partire dal XVII sec.26 Il rapporto cronologico e topografico tra i possedimenti della famiglia nella piana dell’odierno Testaccio e la probabile proprietà pubblica, in epoca augustea, del suolo su cui sorse il Monte dei Cocci27 necessiterebbe di un ulteriore approfondimento.

La presenza di sepolcri gentilizi di epoca repubblicana ha suggerito che l’intervento pubblico nell’area si fosse concentrato nel territorio lungo il fiume compreso tra la porta Trigemina e l’estremo occidentale della cd. Porticus Aemilia28, come significativamente testimoniato anche dal monumento funerario di Ser. Sulpicius Galba, comunemente identificato con il console del 144 a.C. o con il figlio, che raggiunse la magistratura suprema nel 108 a.C.29. Il sepolcro, sito immediatamente alle spalle della cd. Porticus Aemilia, doveva infatti insistere a margine dei praedia Sulpicia, ancora sussistenti in età imperiale e noti come praedia Galbana, parte dei quali occupata dagli horrea omonimi30.

Oltre ai monumenti funerari sopra citati, ai margini dell’area qui considerata, in epoca augustea sorse il grande sepolcrodi C. Cestius, probabilmente il pretore del 44 a.C. Notocome Piramide Cestia, per la caratteristica forma ispirata all’Egitto, il monumento, gravitante sulla via Ostiensis e successivamente inglobato nelle Mura Aureliane, fu eretto tra 18 e 12 a.C.31

Gli horrea e il Monte dei Cocci

La pianura del Testaccio, man mano che crescevano le esigenze della città, si andò aprendo alla speculazione dei privati e fu occupata, almeno in parte, da edifici, in particolare horrea. Il termine designa i “magazzini” o “depositi” destinati a diversi tipi di beni, benché paia derivato da hordeum, “orzo” e sia quindi in primis riferibile alle granaglie; l’ipotesi alternativa lo vuole connesso alla medesima radice di horridus/horrere (“brutto”), indicando il luogo predisposto a serbare le derrate durante la cattiva stagione32. Come si deduce dalle fonti giuridiche33 ed epigrafiche34, gli horrea erano organismi multifunzionali, dal sistema di gestione particolarmente articolato e complesso; le peculiarità di tali organismi non devono essere cercate esclusivamente nella pianta e negli aspetti strutturali, quanto piuttosto nelle attività cui essi risultano di volta in volta deputati35 e nella rete o meglio nel sistema (geografico, logistico e gerarchico) in cui si inseriscono36.

I principali complessi di questo tipo presenti nella piana subaventina e tuttora localizzabili37 erano gli horrea Galbana38, i Lolliana39 e i Seiana40, cui debbono aggiungersi gli Aniciana o Anicetiana, noti solamente dai Cataloghi Regionari, che li collocano nella regio XIII41 e, in via del tutto ipotetica, gli horrea Petroniana42 e i Sempronia43. Ai complessi citati dalle fonti deve aggiungersi un horreum di età imperiale, sul quale si tornerà più oltre (cfr. infra, pp. 77-80), individuato nel corso delle recenti indagini archeologiche nell’area del Nuovo Mercato Testaccio44. Sito a N del Monte dei Cocci, l’horreum non sembra identificabile con i magazzini già noti e pare inserirsi nel quadro del rinnovato interesse per gli scali urbani, che portò anche alla costruzione del nuovo porto alla foce del Tevere al principio del II secolo.

Per i principali complessi della piana subaventina è stata supposta un’origine in epoca compresa tra la metà / fine del II sec. a.C. (horrea Galbana)45 e la seconda metà del I sec. a.C. (horrea Lolliana), sebbene la cronologia risulti molto incerta, in specie per gli horrea Seiana. L’originaria condizione di proprietà private, denunciata dalla stessa denominazione46, dovette venire meno nel corso del tempo, come ben rappresentato dalle fonti documentarie ed epigrafiche. Per quanto riguarda gli horrea Sulpicia o Galbana, il passaggio alla proprietà imperiale dovette avvenire con Galba, esponente della gens Sulpicia47, mentre almeno fino al 46 d.C. essi, su base epigrafica, non paiono incorporati al patrimonium imperiale48. L’incameramento degli horrea Lolliana  sembra invece essere avvenuto con l’esilio e la publicatio bonorum di Lollia Paolina49, ricchissima dama romana, nelle cui disponibilità dovettero probabilmente trovarsi dei magazzini, come suggerito anche dall’epigrafia50. La condanna della donna ebbe luogo all’epoca di Claudio, quando in effetti la documentazione iscritta testimonia di schiavi imperiali legati a questi horrea51. Per quanto infine riguarda gli horrea Seiana, essi sono riconducibili alle proprietà di un qualche esponente della gens Seia, M. Seius, edile curule del 74 a.C., noto per le distribuzioni alimentari a prezzi calmierati, L. Seius Strabo, prefetto d’Egitto, parte della cui eredità passò all’imperatore Tiberio, o il figlio di questi, Seiano, temibile prefetto del pretorio dello stesso Tiberio, i cui beni vennero confiscati dopo la morte52.

Ulteriori studi hanno gettato nuova luce sulle questioni inerenti l’organizzazione interna di queste strutture. A tal proposito, la ben accreditata ipotesi che nel complesso a 3 corti, rappresentato nella Forma Urbis marmorea (fr. 24) ed attribuito alla regio XIII, siano da identificare gli ergastula – da intendersi in senso lato come alloggi collettivi – destinati al personale degli horrea Galbana53, è stata messa in discussione sulla base della del confronto con strutture di stoccaggio di Roma e di Ostia e della documentazione epigrafica54. Le iscrizioni testimoniano che il personale era organizzato in tre cohortes, termine che parrebbe alludere alla realtà materiale degli spazi lavorativi suddivisi in corti55. Alcune delle epigrafi in questione si riferiscono effettivamente a sodalicia e collegia professionali56, più probabilmente riuniti attorno a un comune luogo di lavoro dei membri che non attorno a quello di residenza. Inoltre, le testimonianze associano, spesso all’interno della stessa iscrizione, schiavi o liberti imperiali57, individui di incerta condizione giuridica58 e persino un ingenuo figlio di liberti imperiali59. Bisognerebbe dunque supporre che queste persone, indipendentemente dal loro status, vivessero all’interno degli stessi spazi. È più probabile invece che i personaggi in questione dessero indirettamente conto nelle iscrizioni dell’organizzazione del proprio lavoro, logisticamente pianificato secondo le caratteristiche strutturali del complesso rappresentato nella Forma Urbis e in più occasioni intercettato nella piana subaventina, nel quale possono pertanto riconoscersi i veri e propri horrea, suddivisi in tre corti60.

Per quanto attiene alla destinazione, maggiori informazioni si hanno, ancora una volta, per gli horrea Galbana, i più importanti magazzini dell’area, che le fonti indicano come adibiti principalmente all’olio e al vino61. L’esistenza di un proc(urator) ad oleum in Galbae (horreis), testimoniato da un’epigrafe ostiense del 175 d.C.62, conferma che l’olio rappresentava una delle principali derrate stivate nei Galbana, suggerendo che la vicina discarica anforaria del Monte dei Cocci ne costituisse lo scarico63. Tuttavia, tale destinazione sembrerebbe non essere esclusiva per i maggiori horrea della piana, se la corte più orientale di essi presentava dei pavimenti soprelevati, indicatore archeologico della conservazione di grano e altri cereali64; inoltre, alcune indagini condotte tra XIX e XX sec. in quattro celle dei magazzini avrebbero rivelato la presenza rispettivamente di avorio, lenticchie, sabbia e anfore65. Gli horrea Galbana parrebbero aver avuto infine un’ulteriore destinazione, se li si identifica con gli horrea Caesaris, che, noti da una o piuttosto due iscrizioni66 e dal Digesto67, risultano adibiti a deposito di marmi68.

La documentazione archeologica potrebbe dunque contraddire una volta di più l’ipotesi che gli ambienti rappresentati nella Forma Urbis, in parte intercettati nell’area nel corso del tempo, costituiscano degli alloggi collettivi per il personale servile degli horrea, piuttosto che i magazzini veri e propri; di tali magazzini, inoltre, sembra possibile intuire una gestione flessibile e differenziata, probabilmente sia in senso sincronico che diacronico.

Ulteriori ipotesi sulla destinazione d’uso degli edifici di stoccaggio della piana sono state formulate a proposito degli horrea Seiana. I magazzini dovevano trovarsi in corrispondenza di un settore dell’emporium intercettato durante gli scavi ottocenteschi; sulla relativa rampa è stata rinvenuta una lastra con la rappresentazione di un’anfora Dressel 20 di epoca flavio-traianea, che ha fatto ipotizzare che la mercanzia scaricata sulla banchina e destinata agli horrea Seiana fosse l’olio betico dell’annona imperiale69. Tale ipotesi invita a riflettere una volta di più sul rapporto topografico e funzionale tra il Monte dei Cocci, discarica controllata delle anfore destinate alle distribuzioni annonarie, e i contigui magazzini70.

Altri edifici

Il territorio, con la possibile eccezione di parte dei praedia Galbana71, si era andato nel complesso caratterizzando per l’intensa urbanizzazione: accanto agli horrea, furono realizzati anche altri edifici72, tra cui si ricordano quelli ascrivibili al tipo del forum73 e della porticus74, destinati forse alla vendita e allo stoccaggio delle merci, ma anche le scholae, sedi di collegi professionali e/o di magistrature cittadine75 e le insulae76. Ormai divenuta indispensabile alla città, nella quale risulta pienamente inclusa al momento dell’edificazione delle Mura Aureliane77, e occupata dalle installazioni di carattere utilitario pertinenti al porto, l’area dell’odierno rione Testaccio ci offre l’immagine di un distretto urbano dinamico, operoso ed efficiente.

Le Mura Aureliane

La creazione delle Mura Aureliane nella seconda metà del III sec. comportò cambiamenti rilevanti nelle relazioni tra l’abitato, il Tevere e il porto78, come suggerisce anche il fatto che la costruzione di esse coincise grosso modo con la fine degli scarichi sul Monte Testaccio, interrompendo i collegamenti tra le attrezzature fluviali e i magazzini, ma al tempo stesso, probabilmente, difendendo la pianura subaventina dai caratteri più distruttivi degli eventi alluvionali79.

Al principio del IV sec. un’iscrizione in lingua greca ricorda la presenza di un’abitazione privata epi to Galbe, ovvero probabilmente nei pressi degli horrea Galbana80, ancora individuabili se non addirittura in funzione, come testimoniato anche dai già citati Cataloghi Regionari, che menzionano esplicitamente tali magazzini tra gli horrea della Regio XIII, assieme ai soli Aniciana o Anicetiana.

L’abbandono in epoca tardo-antica

Le strutture portuali e commerciali vennero abbandonate in epoca tardo-antica: se solo nel VI sec. nell’area dell’Emporium sono attestate tombe a inumazione che ne confermano il declino funzionale81, già nel V presso la Porticus Aemilia82 e tra la metà del IV e il V sec. nella zona del Nuovo Mercato Testaccio83 si collocano sepolture in anfora, che testimoniano una dismissione progressiva delle installazioni dell’area, apparentemente dall’interno della piana verso il fiume (ovvero da S a N) nel corso di due secoli, secondo un percorso inverso rispetto a quello dell’urbanizzazione84.

La ruralizzazione del territorio

Con la graduale perdita della funzione di centro di ricezione e stoccaggio delle merci e il conseguente abbandono delle strutture, la zona perse la sua destinazione originaria e tra il VI e il VII sec. fu teatro di un progressivo fenomeno di ruralizzazione, al punto che la si ritrova nelle fonti epigrafiche dell’VIII sec. trasformata in campagna85. Nel portico di Santa Maria in Cosmedin, diaconia da cui dipendeva l’amministrazione ecclesiastica della pianura subaventina, si conserva infatti un’iscrizione che rappresenta una donazione di vigne qui sunt in Testacio (prima attestazione del toponimo) da parte del nobile Eustazio86, nel quale è stato riconosciuto il dispensator della diaconia sotto papa Stefano II (752-757)87. Se il paesaggio dell’area appare fortemente modificato e se la zona risulta alla metà dell’VIII sec. in mano a privati che possono trasferirne la proprietà, un fattore di continuità nella vocazione del territorio deriva dalla natura stessa dell’istituzione destinataria della donazione, ovvero la diaconia, un organismo ecclesiastico con implicazioni di carattere annonario posizionata in un’area nevralgica della città.

Un’ulteriore suggestiva testimonianza della ruralizzazione del Testaccio nel corso dei secoli è stata infine restituita dagli scavi del Nuovo Mercato. Vi si conservano, infatti, chiari indicatori archeologici della destinazione agricola del territorio, prima della nuova urbanizzazione seguita all’unità d’Italia e alla trasformazione di Roma in capitale88.

Lo scavo del Nuovo Mercato Testaccio: progetto, strategie, risultati delle indagini

La necessità di edificare, in un’area compresa fra le attuali vie Manuzio, Ghiberti, Galvani e Franklin, immediatamente a N del Monte dei Cocci, il nuovo mercato del quartiere Testaccio ha dato vita a un progetto di riqualificazione urbana condiviso tra il Comune e l’allora Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (oggi Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio), in cui l’indagine archeologica e la valorizzazione delle testimonianze storiche tentano di integrarsi positivamente con i bisogni della città odierna.

Lo scavo del Nuovo Mercato, svoltosi tra il 2005 e il 2009, ha offerto la possibilità di verificare e arricchire il quadro finora conosciuto sull’area del porto fluviale di Roma e sulle merci che vi arrivavano (Figg. 9 – 10). L’indagine è iniziata con un programma di sondaggi a carotaggio continuo che hanno permesso di individuare consistenza, composizione e quote dei livelli archeologici. Sulla base dei risultati sono state quindi eseguite prospezioni geoelettriche che hanno consentito di tracciare una prima topografia ragionata del sottosuolo, indirizzando la campagna di scavo.

Nuovo Mercato Testaccio. Pianta dello scavo
(Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 10. Nuovo Mercato Testaccio. Pianta dello scavo (Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).

Dall’autunno del 2006, a seguito delle risultanze emerse dai primi sondaggi archeologici stratigrafici, volti a saggiare puntualmente le informazioni della geoelettrica, è stato intrapreso lo scavo estensivo dell’area che ha interessato una superficie di circa un ettaro.

Lo scavo, partito dalla quota stradale di 15,00 metri s.l.m., è arrivato a 11,30 metri ca. nell’area occidentale, attestandosi sugli strati di costruzione di un grande edificio (horreum) di età pienamente imperiale, mentre si è maggiormente approfondito nell’area orientale, raggiungendo gli 8,50 metri ca. s.l.m. e mettendo sistematicamente in luce i livelli di occupazione più antichi individuati, risalenti ad età primo-imperiale. Per quanto riguarda l’epoca medievale, le labili tracce conservate hanno fatto ipotizzare una frequentazione sporadica, piuttosto che una vera e propria occupazione dell’area indagata. A partire dall’età rinascimentale, invece, le evidenze archeologiche testimoniano inequivocabilmente la vocazione agricola del territorio e il carattere rurale del paesaggio, che si conservarono fino a quando il Testaccio, alla fine dell’Ottocento, uscì dalla marginalità suburbana, per divenire un quartiere, seppure periferico, della capitale d’Italia.

Sono stati quindi riconosciuti nel corso dello scavo i tre paesaggi che definiscono le macrofasi storiche di questa porzione del territorio di Roma: la città contemporanea, la campagna suburbana con casali, orti e frutteti di età moderna e la città antica. All’interno di queste macrofasi la stratigrafia è assai complessa e si individuano diversi livelli di occupazione umana89.

La suddivisione tra il settore occidentale e quello orientale del cantiere è tuttora evidenziata da un tratto della viabilità rinascimentale della piana, individuata nel corso delle indagini di scavo. Si tratta del cd. vicolo della Serpe che riprende ed enfatizza un limite più antico.

Prima età imperiale. Settore NE

Nel settore NE dell’area del Nuovo Mercato di Testaccio, lo scavo archeologico ha messo in luce il contesto più antico finora sistematicamente indagato (Fig. 11). Per quanto ad oggi rinvenuto (2100 m2 ca), si tratta di un complesso caratterizzato da recinti scoperti, colmati da frammenti anforari e laterizi, e attraversato da una viabilità di servizio; a margine dei recinti furono edificati tre piccoli ambienti rettangolari. La particolarità di questo sistema, probabilmente una discarica organizzata, prossima a quella celeberrima del Monte dei Cocci, risiede nella tecnica edilizia impiegata, poiché i “muri” degli ambienti e delle recinzioni sono stati realizzati con anfore, per lo più adriatiche, riutilizzate in varie modalità90. Il complesso, che pare inquadrabile in età primo-imperiale, conobbe vari livelli di organizzazione ed estensione, fino alla definitiva obliterazione in funzione di una nuova destinazione dell’area. In tutti i livelli deve segnalarsi la prevalenza del materiale anforario sulla ceramica fine e comune91.

Nuovo Mercato Testaccio. Panoramica del settore NE visto da N, 
livelli primo-imperiali (foto Soprintendenza Speciale Archeologia 
Belle Arti e Paesaggio di Roma; rielaborazione Lucilla D’Alessandro).
Fig. 11. Nuovo Mercato Testaccio. Panoramica del settore NE visto da N, livelli primo-imperiali (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma; rielaborazione Lucilla D’Alessandro).

Nel dettaglio, una prima fase di allineamenti di anfore infisse in livelli di argille antropizzate doveva occupare l’intero settore orientale (Fig. 12.1). I contenitori erano sistemati verticalmente nel terreno senza appositi tagli di fondazione, per lo più con l’imboccatura in alto, legati da argilla pressata e inzeppati con altri frammenti di anfora alloggiati negli interstizi (Fig. 13.1). Ad essi erano associati scarichi di materiale anforario e laterizio che si appoggiavano alle file di contenitori, talvolta sino a coprirle. L’assetto planimetrico dell’area in questa prima fase non è chiaro, poiché i primi allineamenti sono stati individuati solo nel corso di approfondimenti mirati e non messi in luce in estensione. Lo studio preliminare della ceramica fine, che ha riguardato solo il settore NE e ha comportato la revisione sistematica degli spot date, ha consentito di datare i primi apprestamenti ad età tiberiana92, mentre deve segnalarsi il fatto che un allineamento (US 722) abbia restituito un collo di anfora adriatica bollato (inv. 3097), nel cui marchio si è letta, in via di ipotesi, una datazione consolare (39 d.C.), su cui si tornerà più oltre (cfr. infra, pp. 197-199). Il frammento era utilizzato in funzione di zeppa e potrebbe essere pertinente tanto al primo allestimento, quanto a un successivo risarcimento della struttura (Fig. 13.2).

Nuovo Mercato Testaccio. Pianta dei livelli primo-imperiali: 
1) prima fase; 2) seconda fase (Soprintendenza 
Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 12. Nuovo Mercato Testaccio. Pianta dei livelli primo-imperiali: 1) prima fase; 2) seconda fase (Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).

Nel corso del I sec. fu realizzato un muro in opera reticolata che attraversa il settore di scavo da E a W, proseguendo oltre i limiti del cantiere archeologico. La lunghezza massima visibile di tale struttura, pesantemente intaccata dalle attività agricole di età moderna, è di circa 23 m, la larghezza di circa 0,45 m, mentre l’altezza massima conservata è di 0,60 m. Il muro, le cui fondazioni tagliano strati databili almeno ad epoca tiberiana, non presenta setti divisori nel tratto conservato e sembra intervenire a separare e organizzare due diversi contesti (Figg. 11, 12.2).

A N del muro venne costruito un edificio su pilastri, in pietra e in laterizio, che ha restituito 149 Dressel 20 in situ, disposte in file parallele in posizione obliqua appoggiate sulla pancia e munite all’attacco tra la pancia e la spalla di fori praticati da uno strumento a punta, presumibilmente per agevolare la fuoriuscita della derrata da trasferire in altri contenitori93. Sulla base dei bolli rinvenuti le anfore si datano in un’epoca compresa almeno tra l’età flavia e il secondo quarto del II sec. d.C. Il crollo del tetto in tegole pertinente all’edificio, al di sotto del quale era il deposito delle Dressel 20, ha permesso il recupero di 100 esemplari bollati che consentono di definire il periodo di vita e distruzione della struttura nell’intervallo di tempo tra la metà del I e il secondo quarto del II sec. d.C. L’azione distruttiva deve essere avvenuta in tempi diversi, sebbene ravvicinati, per cause non chiare: forse un incendio come d’altra parte denuncerebbero le tracce di bruciato sui contenitori o il deterioramento della copertura causato dall’abbandono dell’edificio. Il deposito sfruttava come lato meridionale il muro in reticolato, mentre su quello settentrionale doveva originariamente prospettare su uno spazio, probabilmente una corte, delimitata da allineamenti di anfore ad E e a W e da un asse stradale definito da contenitori da trasporto a N.

Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: allineamento 
di prima fase US 722 (foto Soprintendenza Speciale Archeologia 
Belle Arti e Paesaggio di Roma) e possibile bollo consolare su Dressel 6A 
(inv. 3097) pertinente all’allineamento (immagine speculare E. Pallotti 2011).
Fig. 13. Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: allineamento di prima fase US 722 (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma) e possibile bollo consolare su Dressel 6A (inv. 3097) pertinente all’allineamento (immagine speculare E. Pallotti 2011).

A S del muro in reticolato invece la discarica primo-imperiale venne ad essere maggiormente organizzata e strutturata; una nuova serie di allineamenti, tecnicamente simili ai primi e alloggiati negli strati di colmata ad essi pertinenti, definiva, con un salto di quota medio di 50 – 60 cm rispetto alla prima fase, un sistema di recinti all’interno dei quali venivano effettuati nuovi consistenti scarichi di materiale. Il complesso era servito da uno stradello rialzato rispetto ai recinti, realizzato con contenitori da trasporto (Fig. 14), sia per la definizione del percorso che per il drenaggio della carreggiata (si tratta di un allineamento di 11 anfore poste al centro dello stradello, non forate e sistemate posizione orizzontale); il percorso procedeva da S a N in direzione del muro in reticolato per poi piegare verso E. Lo scavo di una porzione dello stradello ha evidenziato almeno tre innalzamenti del piano di calpestio, sempre costituito da terra battuta e frammenti anforari messi di piatto. La sopraelevazione dello stradello e la mancanza di aperture nei recinti, accanto all’individuazione durante lo scavo di rampe di terreno che conducevano all’interno degli stessi, suggerisce che lo scarico dei materiali avvenisse dall’alto direttamente dalla viabilità di servizio e che l’accesso ai vasti cortili fosse garantito da rampe temporanee.

Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: viabilità di servizio, recinti e scarichi (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 14. Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: viabilità di servizio, recinti e scarichi (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).

Inoltre, sempre in questa fase, vennero edificati verso il limite meridionale dell’area di scavo per lo meno tre ambienti di pianta rettangolare (misure medie: largh. 3,15 m; lungh. 4,30 m), apparentemente prospettanti a S su una corte di cui si conserva un lacerto di pavimentazione in opus spicatum (Fig. 15). L’intero lato di chiusura a N della serie di ambienti era sistemato all’interno di un taglio effettuato negli strati di colmata che coprivano un precedente allineamento (Fig. 16). I muri erano realizzati dalla messa in opera di anfore vuote, mutile o integre, alloggiate in posizione verticale e appoggiate ad angoli costruiti in muratura, ovvero pilastrini con fondazioni in spezzoni di tufo rosso e alzato in blocchetti dello stesso materiale. Le anfore, poste con l’imboccatura in alto e le anse tangenti tra loro, erano legate da argilla pressata e in alcuni casi, per garantire maggiore stabilità alla struttura, inzeppate con altri frammenti anforari alloggiati di piatto negli spazi intermedi. Il primo ambiente visibile da E (cd. amb. I) è interamente costituito da anfore di tipo Dressel 1B, il cui corredo epigrafico suggerisce una datazione dei contenitori stessi compresa nella seconda metà del sec. I a.C., indiziata in particolare da un titulus pictus con coppia consolare del 34 a.C.: L. Scribonius e L. Sempronius Atratinus94. Tale titulus inserisce uno iato notevole tra la cronologia dei contenitori e quella della messa in opera. Più a W si trovano due ulteriori ambienti realizzati quasi esclusivamente da anfore Dressel 6A (cd. Amb. II e III). In questo caso è stato rinvenuto in opera un contenitore con doppio bollo BARBARI // CADMVS afferente alle produzioni di P. Rubrius Barbarus, prefetto d’Egitto nel 13/12 a.C. (cfr. infra, pp. 145-153).

Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: ambienti di seconda fase visti da S (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 15. Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: ambienti di seconda fase visti da S (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: muro di chiusura N degli ambienti di seconda fase, impostato sugli strati di colmata pertinenti a un precedente allineamento (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 16. Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: muro di chiusura N degli ambienti di seconda fase, impostato sugli strati di colmata pertinenti a un precedente allineamento (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).

La scelta e l’uso di anfore accostate l’una all’altra, piuttosto che disposte di taglio in questi ambienti può essere attribuita a diversi fattori o alla somma di essi; certamente, almeno per quanto riguarda la Dressel 1, deve aver avuto un ruolo la forma dell’anfora, giacché un recinto di seconda fase realizzato con questi contenitori presenta la stessa disposizione, ma può aver influito anche la necessità di dotare parte di queste murature di un rivestimento. Il profilo diritto dell’anfora Dressel 1 e la messa in opera con le anse tangenti garantivano infatti un ottimo supporto alla stesura di un rivestimento. Sulle pareti interne dell’ambiente I compare in effetti uno strato di preparazione, al quale si sovrappone l’intonaco dipinto di cui si conservano in situ alcuni lacerti (Fig. 17). Quasi sicuramente erano previsti registri di diverso colore come testimoniano i frammenti di intonaco policromo (giallo, azzurro e rosso) ancora in situ o rinvenuti negli strati di abbandono dell’ambiente stesso. Un lieve smottamento della parete W ha messo in luce come le anfore fossero riutilizzate anche quale preparazione nella stesura dei livelli di intonaco parietale95. Solo un intervento di pulitura e restauro del complesso apparecchio murario potrebbe tuttavia restituirne appieno l’aspetto e consentire di valutare le tecniche di rivestimento e l’intera stratigrafia muraria. Al momento si può sottolineare come vada emergendo un’ulteriore attestazione della versatilità del riuso e della flessibilità dell’impiego delle anfore96.

Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: 
ambiente di seconda fase (amb. 1), anfore Dressel 1 e rivestimento a intonaco 
(foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 17. Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: ambiente di seconda fase (amb. 1), anfore Dressel 1 e rivestimento a intonaco (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).

Nei primi due ambienti da E è stato inoltre messo in luce l’ingresso che prospetta sul lato S: il primo presenta una soglia di travertino nell’angolo W, mentre nel secondo la soglia, in blocchetti di tufo, si trova nell’angolo SE; probabilmente un battuto d’argilla costituiva il piano di frequentazione di questi spazi.

Occorre inoltre specificare che in alcuni casi sono stati rinvenuti, all’interno dell’imboccatura delle anfore, puntali di altri contenitori da trasporto. Il dato, in associazione con l’attestazione di anfore impilate, forse in crollo, in un punto limitrofo del settore di scavo ha permesso di ipotizzare che gli allineamenti avessero un alzato, costituito da più ordini di contenitori sovrapposti. Da ultimo il rinvenimento di qualche frammento di tegola nella stratigrafia di abbandono degli ambienti non pare al momento sufficiente a far supporre la presenza di un vero e proprio tetto con elementi fittili, mentre è piuttosto da ipotizzare una copertura in materiale deperibile e leggero. Gli spazi individuati da queste specifiche peculiarità tecniche sono stati interpretati in funzione della gestione della retrostante discarica.

Su base stratigrafica la sistemazione dell’area e la “ristrutturazione” del complesso risultano essere intervenute in epoca giulio-claudia, in un susseguirsi di azioni che sembrano chiudersi in età neroniana, comunque dopo l’edificazione del muro in reticolato. Gli scarichi, nonché le fasi di utilizzo della viabilità interna al sistema, sembrano databili da quest’epoca almeno sino ad età traianea97. Nelle ultime fasi di vita della discarica si effettuarono scarichi indiscriminati che non rispettavano l’organizzazione planimetrica dell’area. Gli spazi vennero progressivamente abbandonati. La definitiva obliterazione è segnata da uno spesso deposito a matrice alluvionale, che sigillò l’area. Non sono stati rintracciati materiali datanti, mentre altissima è la residualità: probabilmente l’obliterazione intervenne in età antonina98.

Sulla base dei dati desunti dallo scavo è possibile affermare che la discarica potesse essere destinata allo stoccaggio temporaneo e al recupero dei rudera per il reimpiego nell’edilizia. Si tratta quindi di una traccia archeologica di quanto ipotizzabile sulla base di altre evidenze: grandi vespai, rafforzamenti, drenaggi, opere edili realizzate con contenitori reimpiegati che dovevano essere stati conservati in appositi depositi99. La possibilità di conservare integri o in frammenti i contenitori permette in parte di spiegare la presenza di anfore cronologicamente non coeve agli interventi di reimpiego come accade ad esempio per Longarina a Ostia  (cfr. infra, pp. 259-267).

L’intero settore NE del Nuovo Mercato Testaccio, compresa la porzione settentrionale, anch’essa obliterata da colmate, nel corso della II metà del II sec. d.C. fu interessato da un radicale intervento di rifunzionalizzazione, di cui si darà conto per l’epoca medio-imperiale.

Età primo-imperiale. Settore W

Nella parte occidentale del cantiere sono stati intercettati apprestamenti ad anfore di età primo-imperiale che tuttavia rappresentano un sistema topograficamente e funzionalmente distinto dagli allineamenti orientali (Figg. 10, 12). Separati da un muro in opera quadrata, presumibilmente un limite di proprietà perpetuato anche nella fase medio-imperiale, perfettamente ricalcato dal muro di confine orientale dell’edificio occidentale (vicolo o corridoio), i due sistemi rispettavano differenti allineamenti rispondendo a diverse logiche insediative.

Gli apprestamenti occidentali sono caratterizzati da diverso orientamento, coincidente piuttosto con l’andamento dell’horreum successivamente edificato in questo settore, da maggiore regolarità di impianto e da differenti caratteristiche strutturali e costruttive (Fig. 18). Le anfore, infisse verticalmente nel terreno100, sono in questo caso giustapposte senza inzeppature. All’interno degli spazi definiti dagli allineamenti non sono presenti scarichi di materiale, come nel settore orientale, mentre è stato possibile rintracciare battuti piuttosto consistenti che rappresentano i livelli di circolazione e i piani di vita degli apprestamenti. È stato pertanto ipotizzato che tali apprestamenti – sia che si trattasse di recinti, sia che essi avessero alzati e coperture in materiale deperibile – servissero per lo stoccaggio, forse temporaneo, di merci non deteriorabili, sebbene non sia stato possibile identificare alcuna evidenza sul tipo di beni qui depositati101. Preme sottolineare che si ipotizza in questo caso una continuità funzionale dell’area, in cui degli allestimenti più semplici destinati allo stoccaggio paiono sostituiti da vere e proprie strutture in muratura con orientamento e pianta similari. Ad ogni modo gli allineamenti furono rasati per la costruzione dell’horreum nei punti in cui essi interferivano con la nuova struttura e per il resto semplicemente interrati.

Nuovo Mercato Testaccio, settore W, livelli primo-imperiali: allineamenti 
(foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 18. Nuovo Mercato Testaccio, settore W, livelli primo-imperiali: allineamenti (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
La riorganizzazione di II secolo

In piena età imperiale si assistette infattia una radicale trasformazione in tutta la porzione di territorio indagata: nel settore occidentale del cantiere di scavo, come già accennato, venne realizzato un edificio interpretabile come horreum per il contesto topografico in cui si inserisce e per il confronto con altre strutture di immagazzinamento e stoccaggio, mentre nella parte orientale la precedente occupazione ad anfore venne obliterata da una serie di interri, che innalzarono il piano di calpestio per la costruzione di un edificio a pilastri (Figg. 10, 19).

Nuovo Mercato Testaccio, livelli di epoca- medio imperiale: planimetria generale dell’area di indagine (Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 19. Nuovo Mercato Testaccio, livelli di epoca- medio imperiale: planimetria generale dell’area di indagine (Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).

Il settore occidentale, occupato da preesistenze, venne livellato per l’impostazione del piano di cantiere dell’horreum. Il complesso, a pianta trapezoidale102, è costituito da una corte centrale porticata, su tre lati della quale le indagini hanno messo in luce ambienti a pianta rettangolare modulare (4,50 x 9 m ca.)103, attestati sostanzialmente a livello di fondazioni, essendo stati fatti oggetto di una sistematica opera di spoliazione (Fig. 20): a fondazioni continue in calcestruzzo104 se ne sovrappongono altre in opera reticolata a vista105, successivamente interrate da poderosi strati di colmata106, spessi complessivamente 1,40 m. Le peculiarità delle fondazioni del complesso potrebbero essere dovute alla necessità di rialzare il piano di calpestio, per proteggere le strutture dalle inondazioni del fiume, drenando nel contempo il terreno.

Nuovo Mercato Testaccio, settore W visto da N: horreum medio-imperiale, 
casale e viabilità rinascimentali sovrapposti (foto Soprintendenza 
Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
Fig. 20. Nuovo Mercato Testaccio, settore W visto da N: horreum medio-imperiale, casale e viabilità rinascimentali sovrapposti (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).

Anche del portico che circondava il piazzale interno al complesso si conservano le strutture fondative, in particolare una catena in cementizio e alcuni dadi in peperino, pertinenti ai pilastri107, mentre per altri l’evidenza negativa è data dalle fosse realizzate per le opere di spoliazione in epoca moderna.

Nell’angolo settentrionale del magazzino è presente un ingresso di larghezza assai limitata, mentre sul lato orientale il complesso sembra essere stato servito da un andito, largo ca. 1,5 m.

Gli alzati, di cui si conserva una parte molto esigua fino all’altezza delle soglie d’ingresso108, erano in opera mista di reticolato e laterizio con gli angoli e le spalle delle porte realizzati con ammorsature di blocchetti di tufo a forma di parallelepipedo. Malgrado la sistematica opera di spoliazione è forse ipotizzabile la presenza di un secondo piano o piuttosto di una terrazza praticabile, come suggerito dalla possibile identificazione di uno degli ambienti con un vano scala109.

In nessuna parte dell’edificio è stato possibile rinvenire, invece, in situ gli originali piani pavimentali e le relative preparazioni: la sistematicità dello spoglio non ne ha risparmiato alcun lacerto. Labili indizi vengono dai livelli di abbandono degli horrea nei quali sono stati rinvenuti bipedali con tracce di malta e frammenti di cocciopesto, mentre è invece possibile individuare la quota dei pavimenti grazie al piano di imposta delle soglie di ingresso degli ambienti.

Non sono stati trovati inoltre tubi o canali di adduzione, né condotti di scolo, ad eccezione di una fogna con copertura a cappuccina che corre nell’angolo NW dell’edificio dirigendosi diagonalmente verso il centro del cortile. Mancante di rivestimento idraulico, priva di depositi calcarei e non connessa ad alcun discendente nelle pareti dell’horreum non deve essere stata pertinente al magazzino o può essere stata usata solo in fase di cantiere. Tale evidenza consente di escludere sia che l’horreum potesse essere utilizzato per lo svolgimento di qualche attività artigianale, sia che l’edificio potesse aver svolto funzioni di ergastulum.

La tecnica costruttiva attestata, gli elementi datanti rinvenuti nei livelli di colmata e i bolli sui laterizi delle strutture murarie110 consentono di ipotizzare che la realizzazione del complesso occidentale si collochi tra il primo e il secondo quarto del II sec., in un momento di singolare fervore edilizio per la ristrutturazione e la manutenzione degli scali portuali di Roma. Nel dettaglio l’esame della sequenza stratigrafica pertinente allo svuotamento dell’ambiente I dell’horreum ha restituito tre fasi111: l’ultima è rappresentata dai livelli di abbandono e obliterazione dell’ambiente e si colloca tra il III e il V sec.; la seconda, relativa alla costruzione dell’horreum e rappresentata da cospicui riporti per lo più di materiale anforico destinato a colmare le fondazioni, sembra collocarsi tra la fine del I e la prima metà del II sec., chiudendosi attorno al secondo quarto del secolo; la prima, precedente la fondazione del complesso, è databile tra l’età augustea, cui si riferiscono i livelli più antichi raggiunti dal sondaggio, e quella giulio-claudia e si caratterizza per una prevalenza della ceramica fine e comune sul materiale anforario e per la presenza di stucchi e intonaci dipinti, forse provenienti da un contesto domestico.

L’evidenza più importante nell’area orientale, invece, è rappresentata da una lunga fondazione in cementizio, con un probabile alzato in opera mista112, che corre più o meno parallela al muro esterno del magazzino occidentale. A SE è stata rinvenuta una struttura gemella con stesso orientamento. Contemporanea e parallela a questi muri, è una serie di pilastri in cementizio gettati in cavo libero, che, a NE, si dispongono su almeno tre file113 (Fig. 19). Malgrado i pochi resti, in via assolutamente ipotetica e preliminare, si può avanzare l’ipotesi dell’esistenza di un edificio a navate su pilastri con andamento parallelo all’horreum occidentale, ma posto a quota leggermente inferiore. Non è possibile stabilire la funzione dell’edificio orientale per il quale è stata tuttavia rilevata la similarità con l’impianto della Porticus Aemilia.

Il vicolo o corridoio di 1,5 m di larghezza, cui si accennava sopra, fungeva da separazione tra i due complessi orientale e occidentale. Esso era realizzato, come l’horreum occidentale, con una parte di fondazioni gettate in cavo armato, una fondazione a vista e un alzato in opera mista ricostruibile dalla presenza in situ di un poderoso crollo composto delle murature, collassate probabilmente per un evento naturale, che ci restituisce anche una nitida immagine degli alzati, purtroppo assenti nel resto del sito. Non sappiamo se e in che modo il corridoio fosse in comunicazione con i complessi occidentale e orientale, a causa della scarsa conservazione degli edifici. Tale corridoio presenta strutture murarie ascrivibili a fasi differenti: il muro di confine attualmente visibile, coevo all’horreum medio imperiale e al possibile edificio a navate, si imposta su murature precedenti in laterizio databili all’età flavia, che a loro volta sormontano un muro in opera quadrata di tufo, cui si è già fatto cenno, tutti leggermente disassati ma con medesimo orientamento. Tali preesistenze lasciano ipotizzare che tale vicolo o corridoio determinasse un confine tra le due aree fin dalle prime fasi di occupazione del sito, risalente plausibilmente all’epoca augustea, per la tipologia della tecnica del muro più antico, certamente presente già nelle prime fasi documentate dei recinti anforari.

L’epoca tardo-antica e medievale

La stratigrafia dell’area occidentale presenta evidenze relative a ingenti interventi di spoliazione, dapprincipio degli originari piani pavimentali dell’horreum, ai quali si sono sovrapposti i primi interri forse prodotti indiretti delle stesse demolizioni, e, successivamente, degli elevati dell’edificio, con lo smontaggio quasi integrale del complesso e la captazione capillare del materiale da costruzione114. Occorre segnalare che finora non sono stati individuati depositi pertinenti al cedimento delle strutture, evidentemente mai crollate, ma completamente smontate pezzo per pezzo115. L’unica eccezione è data dal già citato crollo di una consistente porzione dell’elevato della struttura di limite orientale dell’horreum, avvenuto forse per fenomeni naturali116. Ancora più intensa sembra essere stata la spoliazione dell’area orientale, dove è stata rilevata l’asportazione totale di tutti gli alzati e di gran parte delle fondazioni.

Le informazioni provenienti dai materiali sembrano indicare che le attività di demolizione siano state effettuate tra la fine del III e la prima metà del IV sec. d.C. L’analisi dei dati suggerirebbe dunque una concordanza cronologica di fondo tra il fenomeno dell’abbandono e della spoliazione degli horrea del Nuovo Mercato, la costruzione delle Mura Aureliane, con l’interruzione della contiguità tra strutture portuali e magazzini, e la fine degli scarichi sul Monte Testaccio117. Al fenomeno della spoliazione si accompagnò la frequentazione a scopi funerari dell’area: sporadiche sepolture vennero infatti alloggiate – probabilmente tra la metà del IV e il V sec. d.C. – negli strati di riempimento dell’anditus, a ridosso del muro orientale degli horrea, nel crollo di un muro nel settore meridionale dell’edificio, sul crollo in situ del muro di confine orientale118. La sequenza stratigrafica indagata permette di collocare in maniera inequivocabile l’avvio della frequentazione funeraria dell’area in una fase successiva alle prime attività di spoliazione.

Per quanto concerne il settore NE, i livelli che obliterano gli scarsi resti dell’edificio a pilastri si datano a partire dal III sec. e risultano intaccati direttamente dalle tracce agricole di epoca rinascimentale, come è evidente fin nelle superstiti murature pertinenti ad epoca primo-imperiale. È possibile dunque ipotizzare una vicenda parallela a quella del contiguo horreum occidentale e un utilizzo della struttura sino alla seconda metà / fine del III sec., quando con l’abbandono dello scarico sul Monte dei Cocci e i cambiamenti rilevanti nelle relazioni tra il quartiere, il Tevere e il porto, l’edificio venne dismesso e trasformato in cava di materiale.

In tutta l’area del Nuovo Mercato Testaccio non paiono registrarsi vere e proprie attività ascrivibili all’età medievale. Dal punto di vista stratigrafico è stato possibile evidenziare la presenza di limitati contesti, poco sviluppati in spessore, che separano le fasi di abbandono dei complessi di epoca imperiale dai livelli pertinenti alle nuove occupazioni di età rinascimentale. Questi strati sono caratterizzati da un’alta presenza di materiale di natura edile – cubilia, scaglie di tufo e malta – e vanno riferiti al livellamento e alla disgregazione definitiva di quelle strutture murarie che ancora emergevano in un contesto di abbandono, allo scopo di utilizzare l’area per attività agricole.

Dall’età moderna a quella contemporanea

Nel XV sec. una significativa trasformazione è testimoniata dalla costruzione di un casale e dalla realizzazione di un percorso viario (Fig. 20). La strada, che in seguito compare costantemente nelle rappresentazioni cartografiche con il nome di Vicolo della Serpe, venne utilizzata fino al riassetto contemporaneo del quartiere. Essa corre, nel tratto messo in luce, in direzione N-S, lungo il limite che in età romana separava il complesso occidentale (horreum), dall’edificio orientale (porticus?), che erano posti a differenti quote. Tale dislivello era stato accentuato anche dalle spoliazioni tardo-antiche, più radicali nel settore orientale. Per questo motivo la strada si sviluppò in maniera parzialmente terrazzata e il muro di delimitazione orientale presenta caratteristiche sostruttive. La pavimentazione stradale è costituita da un battuto ricchissimo di frammenti ceramici119, più volte risarcito, sul quale sono leggibili le tracce di esposizione e di usura dovute alla percorrenza di carri.

Alla messa in opera del percorso stradale si accompagna la realizzazione di un casale rustico, che presenta un’interessante evoluzione edilizia. Al di sopra delle obliterazioni del complesso dei magazzini imperiali, potenziate mediante la deposizione di strati ricchi di materiale edilizio, venne costruito un edificio rettangolare a due vani, orientato in senso N-S, definito da muri di scarso spessore120 e pavimentato a mattoni. Il complesso, probabilmente di un solo piano, presentava più accessi ed era circondato da solchi di tipo agricolo (trincee parallele, generalmente orientate in senso NW-SE e poco profonde). A un momento successivo, non chiaramente precisabile da un punto di vista cronologico, è da ascrivere la soprelevazione del casale, il cui piano superiore era accessibile mediante una scala, e la realizzazione di un più ampio ingresso a N.

Contemporaneamente a queste attività vennero scavate, nella vicina area agricola, una serie di fosse di spoliazione. La distribuzione delle fosse presenta un disegno ben preciso che sembra disporsi in relazione agli originari dadi in peperino posti a sostegno del portico dell’horreum occidentale. L’abbondante presenza di scaglie di peperino nelle murature che documentano gli interventi edilizi posteriori al primo impianto del casale consente di mettere in relazione l’attività di spoliazione ai restauri. Il paesaggio agricolo restituito dalle indagini del Nuovo Mercato rimase immutato sino alle soglie dell’età contemporanea.

Dopo il 1870 l’area del Testaccio venne investita dalla nuova urbanizzazione post-unitaria. Fra gli anni Venti e Trenta del Novecento, alcune cooperative, su commissione dell’ICP (Istituto Case Popolari), costruirono nell’area dell’attuale Nuovo Mercato di Testaccio alcune abitazioni in due lotti di terreno divisi da un tratto di via Alessandro Volta: si trattava di otto edifici chiamati popolarmente “villinetti”. Per la contiguità con il Mattatoio e per la particolare natura di complesso povero all’interno di un rione popolare, i villinetti furono utilizzati come set per scene di esterno di alcuni noti film degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento: in particolare Roberto Rossellini vi girò nel 1952 Dov’è la libertà con Totò e Pier Paolo Pasolini le scene finali di Accattone, che suscitò grande scandalo al Festival di Venezia del 1961.

Lo scavo archeologico ha permesso di riconoscere, pur nella complessità dei riporti che caratterizzano la parte superiore della stratigrafia, la sequenza relativa ai periodi più recenti di utilizzazione agricola dell’area e alla successiva sistemazione urbanistica dei villinetti121. In particolare sono stati identificati i livelli di terreno scuro, ricco di materia organica prodotti dalle ultime fasi di lavorazione agricola del terreno, quando il quartiere era già in costruzione, attestate anche da documenti fotografici, e sono state esposte piccole porzioni di fondazioni degli edifici, costituite da tufi rozzamente sbozzati122, dalle quali è possibile desumere parzialmente l’originaria planimetria anche grazie a documenti, sia cartografici che fotografici, dell’epoca: i villinetti erano costituiti ognuno da quattro corpi di fabbrica a tre piani e da una parte aggettante centrale su un cortile interno. Si è anche rinvenuto il sistema fognario relativo a questi edifici: esso presenta una serie di diramazioni che dalle abitazioni confluivano verso un grande condotto centrale con orientamento E-W, tuttora sussistente e operante nell’area del Nuovo Mercato.

Alla fine degli anni ’60 del Novecento , come documentato da notizie di archivio, i villinetti caddero in disuso e vennero demoliti: il risultato di queste demolizioni sono poderosi strati di detriti rinvenuti al di sopra delle fondazioni123.

L’attuale piano di calpestio, alla quota di ca. 15 m s.l.m., è il risultato del livellamento dei suddetti interri. Il piano costituì la base per la costruzione del campo sportivo inaugurato nel 1970 dall’Associazione Sportiva Testaccio e destinato al calcio giovanile dell’A.S. Roma Calcio124. Esso venne poi abbandonato, lasciando il posto a un parcheggio all’aperto, mentre nell’area prospiciente Via Galvani, vennero invece ospitati il “Teatro dei Cocci”, il Teatro Tenda “Spazio Zero” e un deposito di materiale edilizio, attività trasferite in occasione dell’impianto del cantiere del Nuovo Mercato Testaccio.

Il settore NE: le ragioni e le strategie della scelta del contesto di studio

Già nel 2008, la scoperta nel settore NE dell’area di scavo di allineamenti di contenitori da trasporto per lo più adriatici, indirizzava, considerata la quantità e lo stato di conservazione delle anfore, verso lo studio di tali produzioni in alcune trattazioni preliminari125.

Nel frattempo, ulteriori allineamenti sono emersi nel settore occidentale dell’area del Nuovo Mercato; in essi le anfore adriatiche, ancorché rappresentate, non sono risultate, a una prima sommaria stima, maggioritarie. Gli apprestamenti occidentali, inoltre, non sono stati, per varie ragioni, scavati e indagati sistematicamente. Innanzitutto hanno influito i tempi di cantiere: sepolti dalla coltre di riporti che costituiscono le colmate dell’horreum di II sec., gli allineamenti sono stati infatti messi in luce più tardi di quelli orientali. Inoltre, sebbene la superficie effettivamente occupata dagli apprestamenti occidentali per quanto ad oggi rinvenuto sia minore126, gli allineamenti interferiscono parzialmente con le strutture del magazzino che ne ha preso il posto. Le scelte legate alla musealizzazione dell’area, infine, hanno imposto di valorizzare in questo settore l’epoca medio-imperiale con la costruzione dell’horreum, mentre l’illustrazione della fase più antica è stata demandata alle evidenze messe in luce nel settore NE.

La stratigrafia connessa agli apprestamenti occidentali, non sempre affidabile, non ha inoltre restituito dati cronologici puntuali. Da ultimo, il riesame degli allineamenti a cantiere concluso è risultato impossibile per la costruzione del mercato che ha in parte obliterato, in parte reso inaccessibile la corte del magazzino occidentale dove le preesistenze in esame erano state messe in luce.

Se per l’età medio-imperiale l’attenzione è stata dunque focalizzata già in fase di scavo proprio sul settore occidentale dove l’horreum con le relative evidenze murarie, planimetriche e costruttive si è imposto come fulcro di interesse e problematica di indagine, per l’epoca primo-imperiale sono stati privilegiati i contesti del lato orientale, dove peraltro le successive strutture dell’edificio a pilastri erano state sistematicamente e quasi integralmente spoliate già in antico, consentendo di mettere in luce le stratigrafie precedenti praticamente sull’intera superficie di scavo, anche se a diversi livelli di approfondimento.

Il settore ha restituito una sequenza stratigrafica chiara e affidabile nelle fasi e nella cronologia, non solo per l’epoca primo-imperiale, ma anche per le successive.

Le peculiarità del complesso primo-imperiale posto nella parte orientale dello scavo hanno spinto dunque a estendere il campo di interesse dalle anfore adriatiche agli apprestamenti, indagandone gli aspetti tecnici e le vicende nel tempo, sino alla obliterazione e alla rifunzionalizzazione dell’area127. La chiarezza della situazione stratigrafica e l’esiguità dei contesti medio e tardo-imperiali hanno suggerito un allargamento dell’indagine a tutta l’epoca antica, per inserire la ricerca sulle anfore adriatiche in un orizzonte di lungo periodo (Tabella 1). La decisione di musealizzare per intero questa zona del cantiere ha reso inoltre permanentemente accessibile l’area, consentendo una verifica delle presenze di anfore adriatiche e una revisione complessiva e sistematica, anche se non totale, degli allineamenti e delle relative caratteristiche costruttive.

EPOCA PRIMO-IMPERIALEI FASE DISCARICA: entro livelli di argilla antropizzata, sono stati intercettati sporadici allineamenti di anfore, ai quali si associano scarichi di materiale ceramico e laterizio (area di discarica?); l’assetto planimetrico del complesso non è completo. DATAZIONE: dall’età tiberiana; il bollo inv. 3097 (cfr. infra, pp. 197-199) con ipotetica datazione al 39 d.C., è inserito come zeppa in un allineamento di I fase. 
II FASE: nuova organizzazione dello spazio, costruzione di un muro in opera reticolata orientato in direzione E-O, che divide l’area in due zone distinte e prosegue oltre i limiti di scavo. DATAZIONE: dall’età neroniana.  ZONA N (deposito): edificazione di una struttura a pilastri coperta, all’interno della quale sono state rinvenute 149 Dressel 20, disposte in file parallele, in posizione obliqua ed appoggiate sulla pancia; la struttura affacciava su un cortile delimitato da allineamenti di anfore a E e a W e da uno stradello definito da contenitori da trasporto a N. Sulla base dei marchi, le anfore sono datate tra l’epoca flavia e il II quarto del II sec. Il materiale bollato proveniente dal crollo del tetto in tegole indica che il periodo di vita dell’edificio è compreso tra la metà ca. del I sec. e il secondo quarto del II sec.
ZONA S (discarica): realizzazione di un nuovo sistema di allineamenti, cui si associano scarichi di materiale ceramico e laterizio, dai quali le anfore sono progressivamente inglobate fino ad essere coperte. Si individuano cortili scoperti e veri e propri ambienti costruiti con muri ad anfore, serviti da una viabilità interna. Nelle ultime fasi si osservano scarichi indiscriminati che non rispettano più l’organizzazione planimetrica. La vita della discarica può essere circoscritta entro l’età traianea
OBLITERAZIONE E RIFUNZIONALIZZAZIONE Grandi scarichi naturali e antropici sigillano definitivamente l’area. L’intero settore NE del Nuovo Mercato Testaccio, compresa la porzione settentrionale, anch’essa obliterata da colmate, è interessato da un radicale intervento di rifunzionalizzazione DATAZIONE: nell’ambito del secondo quarto del II sec.ZONA N: l’area è interessata da colmate successive volte a innalzare i livelli di calpestio. Il magazzino di Dressel 20 e le relative pertinenze vengono definitivamente obliterate da un grande scarico generalizzato (US 435).
ZONA S: l’area a S del muro in reticolato viene definitivamente obliterata da un deposito a matrice alluvionale che funge da piano d’imposta per le successive strutture (UUSS 220 = 164, 448, 455).
EPOCA MEDIO-IMPERIALEEDIFICIO A PILASTRI Si riconosce un edificio a navate su pilastri completamente spoliato, di cui si conservano le fondazioni in conglomerato. DATAZIONE: II metà II sec. – III sec.
EPOCA
TARDO-ANTICA
SPOLIAZIONE E ABBANDONO L’edificio medio-imperiale risulta aver subito profondi interventi di spoliazione che hanno asportato quasi totalmente le murature fino alle fondazioni. I livelli che obliterano i resti superstiti risultano intaccati direttamente o comunque coperti dalle attività agricole ascrivibili ad epoca rinascimentale. DATAZIONE: dalla fine del III sec.
Tabella 1. Settore NE. Prospetto dei contesti prescelti con sommario inquadramento cronologico.

In conclusione, nel corso degli anni si è naturalmente imposta la scelta di focalizzare l’attenzione sul settore NE del cantiere effettuata:

  • sulla base della quantità e qualità dei rinvenimenti di anfore adriatiche e della possibilità di rivedere sistematicamente e schedare i materiali;
  • alla luce delle scelte operate al momento dello scavo e della costruzione del mercato;
  • dopo aver interamente riesaminato i contesti stratigrafici in modo da privilegiare quelli più affidabili e significativi.

I dati relativi alle presenze di anfore adriatiche nel contesto prescelto in rapporto alle altre produzioni, allo stato di conservazione di esse, alle modalità del riutilizzo e dello smaltimento e ai confronti individuati sono presentati nelle conclusioni del presente lavoro.

Notes

  1. Sintesi sull’area si trovano in Ancona & Contino 2007, pp. 401-426; Serlorenzi 2010, pp. 201-208; Bruno 2012, pp. 388-420; D’Alessandro in corso di stampa. Tali testi si intendono integrati dalle successive note bibliografiche.
  2. Le Gall 2005, pp. 40-41.
  3. Marra & Rosa 1995, p. 111; Corazza & Lombardi 1995, p. 181.
  4. Le Gall 2005, p. 209.
  5. De Caprariis & Zevi 2010, p. 267. Si veda in particolare il monumento eretto secondo le fonti nel 439 a.C. fuori Porta Trigemina, per celebrare il patrizio L. Minucius Esquilinus [Augurinus], indicato come praefectus annonae, a seguito di una frumentatio da questi promossa (Torelli 1993, pp. 305-307). Tale monumento sarebbe stato riprodotto nella seconda metà del II sec. a.C., nel clima infuocato dalle crescenti necessità frumentarie della plebe urbana, sui denarii di due omonimi discendenti del prefetto.
  6. L’area ha restituito due cippi pomeriali, di cui l’uno (CIL VI, 31537a), rinvenuto sotto il Monte dei Cocci a 81 m dalle Mura Aureliane, è relativo all’ampliamento di Claudio (49 d.C.), mentre l’altro (CIL VI, 31538b), recuperato nel 1856 tra Monte Testaccio e Porta San Paolo approssimativamente all’altezza della sesta torre dalla porta, e poi nuovamente nel 1887, dopo essere stato disperso, all’incirca nello stesso luogo (quasi di contro alla settima torre, a destra della Piramide di C. Cestio ed alla distanza di ca. 60 m dalle mura), si colloca in epoca vespasianea (75 d.C.).
  7. Labrousse 1937, pp. 175-176. Contra Andreussi 1988, pp. 219-234 e Andreussi 1999, pp. 96-105 dove, considerate le restrizioni imposte ai mercanti all’interno della città (Dig., 18, 7, 5), si ipotizza che la pianura subaventina fosse esclusa dal pomerio di cui i due cippi rappresenterebbero il limite SW.
  8. Coarelli 1996, pp. 332-333; Contino in corso di stampa. Sita nella regio XI,  la porta, da cui usciva la via Ostiensis, asse portante del territorio, si trovava probabilmente nei pressi del foro Boario, tra il luogo in cui successivamente sorse S. Maria in Cosmedin e le propaggini dell’Aventino.
  9. L’iscrizione CIL VI, 9488 ricorda una Leontia, …ad porta(m) Trigemina(m) lagunara (!), ossia lagenaria, commerciante in anfore vuote; l’epigrafe CIL VI, 9618 (= ILS, 7497) fa riferimento ad un mellari(us) a Porta Trigemina; mentre CIL VI, 9515 (= ILS, 7751) riferisce della presenza di un librarius, un bibliopola o forse un venditore di librae, ovvero bilance, ab extr(a) Porta Trigemina. Su queste iscrizioni cfr. Rodriguez Almeida 1984, pp. 97-98; Rodriguez Almeida 2000, p. 125.
  10. Coarelli 1999, p. 378.
  11. CIL I2, 581 = CIL X, 104.
  12. Quaranta 2011, p. 60.
  13. Tra i vari aspetti della questione probabilmente vi fu anche l’intenzione di aprire il varco alla speculazione da parte di alcune cospicue famiglie, i cui interessi si concentravano nella zona. Ebbero infatti un ruolo importante nello scandalo dei Baccanali il console Sp. Postumio Albino e sua suocera, Sulpicia, le proprietà della cui famiglia insistevano nell’area (sui praedia Sulpicia Della Ricca in corso di stampa).
  14. Pavolini 2000, pp. 167-172; Zevi 2004, pp. 211-219.
  15. CIL VI, 492 (= 30777) = ILS, 496; D’Alessio 2008, pp. 378-393. L’ara in questione è stata recuperata assieme alle dediche CIL VI, 493 (= 30788) e 494 e doveva far parte di un piccolo spazio cultuale dedicato a Mater Deum e a Navisalvia (probabile eroizzazione di Claudia Quinta) nello scalo subaventino. Sul ruolo del personaggio, matrona o Vestale, vi è incertezza nelle fonti.
  16. La versione più nota della leggenda è in Ov., Fasti IV, 259-260, 291-344. Sulle altre fonti D’Alessio 2008, pp. 385-386, nt. 32-39.
  17. Strab., 5, 3, 5.
  18. Zevi 2004, pp. 211-219 (con bibliografia di riferimento).
  19. Moccheggiani Carpano 1995, pp. 221-223; Aguilera Martin 2002, pp. 56-66; Bianchi 2007, pp. 89-124; Contino in corso di stampa.
  20. Gatti 1934, pp. 123-149.
  21. I resti sono stati da ultimo ascritti ai navalia e datati alla seconda metà del II sec. a.C., sulla base di osservazioni di natura epigrafica sulla Forma Urbis marmorea e del confronto con alcuni neosoikoi greci di età ellenistica (Cozza & Tucci 2006, pp. 174-202).
  22. Burgers et al. in corso di stampa; Contino & D’Alessandro 2014, pp. 323-334; Contino & D’Alessandro 2014a, pp. 141-149.
  23. De Caprariis & Zevi 2010, pp. 267-269 (con bibliografia di riferimento).
  24. Rodriguez Almeida 1984, pp. 39-44; Serlorenzi 2010, p. 203.
  25. CIL VI, 31540 (= cippo della terminatio del 54 a.C.); 31552 (= cippo di età adrianea); Rodriguez Almeida 1984, p. 39, con bibliografia precedente.
  26. Fontana 1999, pp. 296-297.
  27. CIL VI, 1263-1264 (= ILS, 5938) su cui Aguilera Martin 2002, p. 209.
  28. Rodriguez Almeida 1984, p. 39.
  29. Sul monumento, cui era pertinente anche una statua di togato in posizione seduta, Ferrea 1998, pp. 51-76; Coarelli 1999a, p. 299; Della Ricca in corso di stampa.
  30. Da chiarire pare la relazione cronologica e spaziale del monumento funerario con i retrostanti magazzini, rispetto ai quali risulta disallineato, come evidente dalla Forma Urbis, collocandosi invece perfettamente sulla viabilità della piana, probabilmente per soddisfare appieno le esigenze di rappresentanza della famiglia (Ferrea 1998, pp. 51-76). L’allineamento degli horrea potrebbe invece aver privilegiato l’ottimale utilizzazione dello spazio disponibile. Ad ogni modo, pur stretto tra la Porticus e i magazzini, il monumento non venne sacrificato nemmeno in epoca imperiale.
  31. Krause 1999, pp. 278-279; CIL VI, 1374 a-b (= ILS, 917); CIL VI, 1375 (= ILS, 917a).
  32. Richardson 1992, pp. 191-195; Romanelli 1922, pp. 967-991; Rickman 1971, pp. 87-122 (horrea a Roma).
  33. Dubouloz 2008, pp. 277-294. Dall’insieme della documentazione giuridica si evince una forte dissociazione tra la gestione dell’horreum come immobile e la gestione dei beni in deposito.
  34. Rodriguez Almeida 1984, pp. 36-39. Le fonti principali sono rappresentate dalle iscrizioni CIL VI, 33747; 37795; 33860.
  35. Virlouvet 2011, pp. 7-22.
  36. Carre 2011, pp. 23-39.
  37. Per le questioni topografiche si rimanda a Contino in corso di stampa.
  38. A proposito degli horrea Galbana, da identificare con i Sulpicia citati in Hor., Carm., IV 12, 17-18, come riferito esplicitamente dallo scoliasta Porfirione (ad l.) Coarelli 1996a, pp. 40-43; Virlouvet 2006, pp. 23-60; Della Ricca in corso di stampa.
  39. Coarelli 1996b, pp. 43-44.
  40. Palombi 1996, pp. 46-47.
  41. Tali magazzinidovevano rivestire una notevole importanza poiché sono gli unici a essere citati esplicitamente nei Cataloghi assieme ai Galbana per la Regio XIII, nella quale era compresa la piana del Testaccio (Palombi 1996a, pp. 38-39). È stato tuttavia ipotizzato anche che non si tratti di un edificio specifico, ma che le fonti indichino come Galbana et Aniciana o Anicetiana l’intero complesso di magazzini della piana subaventina mettendolo in relazione con la famiglia degli Anicii, che ebbe un ruolo essenziale nel corso del IV sec. d.C. – epoca di compilazione dei Cataloghi – nella prefettura urbana, dalla quale proprio in quel momento si trovarono a dipendere la prefettura dell’annona e l’approvvigionamento della città (Aguilera Martin 2002, pp. 102-104). Diversamente, per un’ipotesi di localizzazione si veda Bruno 2012, p. 406.
  42. Aguilera Martin 2002, pp. 101-102.
  43. Gli horrea Sempronia sono noti da una sola iscrizione(CIL XIV, 4190) oltre che dalle fonti, che ne parlano a proposito della lex frumentaria del 123 a.C. con la quale il tribuno della plebe Gaio Gracco tentò di rispondere in modo complessivo al problema dell’approvvigionamento urbano (Virlouvet 2010, pp. 103-135, sull’interevento di C. Gracco in particolare, pp. 110-111), inserendosi nel solco delle misure prese all’inizio del II a.C. dagli Scipioni e dagli Aemilii, per rifornire una città di peso demografico eccezionale. È possibile che in occasione della legge agraria siano stati istituiti un granaio o una rete di granai pubblici, il cui nome è derivato da quello della gens dei Gracchi, Sempronia; sull’attribuzione di questi horrea all’odierno territorio di Testaccio permangono tuttavia dubbi (Aguilera Martin 2002, p. 75 e Palombi 1996b, p. 47).
  44. Sebastiani & Serlorenzi 2011, pp. 86-95.
  45. Le strutture individuate nelle indagini del secolo scorso presentano tuttavia una tecnica costruttiva (opera reticolata piuttosto irregolare) confrontabile con quella del teatro di Pompeo (55 a.C.), elemento che consentirebbe di datare il complesso o parte di esso alla metà del I sec. a.C. (Medri 2001, p. 24; Virlouvet 2006, p. 55). Si potrebbe pensare che la fondazione degli horrea debba collocarsi nella II metà / fine del II sec. a.C., ma che siano intervenuti successivi rifacimenti alla metà del I sec. a.C. (Coarelli 1996a, p. 42; Aguilera Martin 2002, pp. 89-90; Della Ricca in corso di stampa, con riferimento alla documentazione d’archivio).
  46. Rodriguez Almeida 1984, p. 44. Gli horrea paiono mutuare la denominazione dai costruttori o proprietari oppure dalla destinazione d’uso (es. horrea Chartaria, Candelaria, Graminaria e Piperataria).
  47. Cronogr. a. 354, 146: (Galba) domum suam deposuit et horrea Galbae instituit; CIL VI, 8680 (=33743) con probabile dedica, datata al 68 d.C., al [Genium Sancti] (per la proposta Rodriguez Almeida 1984, p. 36) Horriorum / [S]er. Galbae Imp(eratoris) Augusti e CIL VI, 30855, dove compare uno Zmaragdus Caesaris Augusti vilicus Horreorum Galbianorum.
  48. Rodriguez Almeida 1984, p. 59, nt. 2, con indicazione delle fonti epigrafiche e discussione della bibliografia precedente.
  49. Rodriguez Almeida 1984, p. 52; Coarelli 1996b, p. 43. Il fondatore degli horrea potrebbe essere il padre o piuttosto il nonno di Lollia Paullina, M. Lollius, console del 21 a.C. Non è tuttavia da escludere una fondazione alla metà del I sec. a.C. da parte del piceno M. Lollius Palicanus, partigiano di Pompeo e, forse, ascendente del console del 21 a.C.
  50. CIL VI, 9467 (horrea Lolliana?).
  51. Tutte le iscrizioni che menzionano esplicitamente gli horrea (CIL VI, 4226; 4226a; 4239) sono riferibili a schiavi imperiali.
  52. Palombi 1996, p. 47.
  53. Rodriguez Almeida 1984, pp. 53-65 e Coarelli 1996a, p. 41, con discussione della bibliografia precedente.
  54. Virlouvet 2006, pp. 23-60.
  55. CIL VI, 338 (= ILS, 3345); 588 (= ILS, 1624); 710; 30855 ; 30901 (= ILS, 1622); AE 2003, 300?
  56. CIL VI, 338 (= ILS, 3345) e forse anche 710. Cfr. CIL VI, 30983 (= ILS, 3840: collegium salutare dei vilici praediorum Galbanorum) e CIL VI, 36819 (collegium thurariorum et unguentariorum proveniente dall’area degli horrea Seiana). In generale sui collegi di horrearii e mensores Tran 2008, pp. 295-306.
  57. CIL VI 588 (= ILS, 1624); 710; 30855; 30901 (= ILS, 1622).
  58. CIL VI, 338 (= ILS, 3345).
  59. CIL VI, 710.
  60. Un’impostazione simile sembra epigraficamente attestata per altre categorie professionali operanti nel campo del commercio o dell’importazione di spezie probabilmente in ambito urbano presso gli horrea piperataria, siti a SE del templum Pacis (AE 1994, 297 = Crimi 2012, p. 481).
  61. Così suggerisce lo scoliasta Porfirione da cui procede l’identificazione degli horrea Galbana con i Sulpicia (Porph., ad Hor. Carm., IV 12, 17-18).
  62. CIL XIV, 20 (= ILS, 372).
  63. Coarelli 1996a, p. 41; contra, come si vedrà, Aguilera Martin 2002, pp. 95-96. Per una panoramica completa sugli studi che hanno interessato il Monte, la maggiore presenza archeologica dell’area, Blazquez & Remesal 1999-2001-2003-2007-2010; Aguilera Martin 2002, pp. 125-217.
  64. Lugli 1938, p. 608; Virlouvet 2006, p. 55.
  65. Lanciani 1894, p. 250; Virlouvet 2006, p. 55. I ritrovamenti sembrerebbero tuttavia da localizzare ad ovest degli horrea Galbana (Iacobazzi 2004, p. 94, cfr. FUR, tav. 40; Bruno 2012, p. 406).
  66. CIL VI, 33747, lex horreorum attribuibile a Galba (Rodriguez Almeida 1984, p. 36); 682? (= 30813).
  67. Scaev. 20, 4, 21, 1. Nel Digesto in particolare gli horrea Caesaris sembrano adibiti a deposito di marmi; per l’identificazione Coarelli 1996c, p. 39 e Crimi 2012a, pp. 482-483; contra Dubouloz 2008, p. 290 nt. 66.
  68. Per la discussione degli argomenti pro e contro tale identificazione D’Alessandro in corso di stampa.
  69. Aguilera Martin 2002, pp. 95-96. All’olio sarebbe connessa l’attività del collegium thurariorum et unguentariorum epigraficamente attestato nell’area (CIL VI, 36819). L’ipotesi potrebbe essere alternativa o parallela a quella proposta in Coarelli 1996a, p. 41 relativamente agli horrea Galbana.
  70. Tali magazzini sono ad ogni modo ancora in mano privata quando in età augustea il suolo occupato dal Monte dei Cocci risulterebbe invece in proprietà pubblica (CIL VI, 1263-1264 = ILS, 5938; Aguilera Martin 2002, p. 209).
  71. Una parte di essi pare essere rimasta sgombra da costruzioni ed aver mantenuto inalterato tale aspetto, venendo successivamente destinata al pubblico godimento sotto il nome di prati del popolo romano (Lanciani 1914, pp. 241-250).
  72. Per una rassegna di tali edifici Contino in corso di stampa.
  73. Per il forum pistorum Palombi 1995, p. 313.
  74. Per la porticus inter lignarios, di dubbia identificazione e collocazione, Pisani Sartorio 1999, pp. 126-127 e Diosono 2008, pp. 256-257; per la porticus fabarum Macciocca 1999, p. 122.
  75. Sulla schola di via Galvani si veda Papi 1999, pp. 259-260, mentre su quella di via Marmorata Lega 1999, pp. 260-261. Da ultimo sulla sede del collegium pigmentariorum et miniariorum, citato in un’iscrizione (CIL VI, 39414 = ILS, 9517), forse proveniente dalla zona tra il Tevere e il Monte dei Cocci, si confrontino Lega 1999a, pp. 250-251 e Wilson 1912, pp. 94-96.
  76. Lega 1996, p. 98. Da stabilire il rapporto dell’insula Saeni Va[—] Aureli[ani], nota da un’epigrafe frammentaria proveniente da via Marmorata e databile forse al II sec., con la cella Saeniana attestata sulla sponda opposta del Tevere e le figlinae Saenianae testimoniate da bolli laterizi, mentre più antichi sarebbero i balnea Saeniae.
  77. Pisani Sartorio 1996, pp. 290-299 e Pisani Sartorio 1996a, pp. 307-309. Per le mura e il Tevere, in particolare nel tratto d’interesse Le Gall 2005, pp. 351-354.
  78. Pavolini 2000, p. 172. Non bisogna tuttavia dimenticare, per quanto concerne gli scarichi sul Testaccio, che nel III sec., proprio sotto l’imperatore Aureliano, il sistema dell’annona conobbe un’importante fase di ristrutturazione (Virlouvet 2010, pp. 121-128). In questa sede ci si limita a sottolineare come la gran parte della documentazione epigrafica relativa agli horrea del porto fluviale si concentri nei primi due secoli della nostra era.
  79. Per le inondazioni del Tevere che si succedettero a Roma in età antica (le fonti ne ricordano ca. 30, tra il 414 a.C. e il 411 d.C.) Le Gall 2005, pp. 35-36; Bencivegna, et al. 1995, p. 151. Costituisce un dato d’interesse il fatto che la piana subaventina non risulti inserita nelle moderne mappature delle inondazioni del Tevere (Bencivegna et al. 1995, p. 162, fig. 24).
  80. IG XIV, 956 (313 d.C. ca.), riferita già nelle Inscriptiones Graecae agli horrea Galbae della piana subaventina.
  81. Moccheggiani Carpano 1995, p. 223.
  82. Contino & D’Alessandro 2014, pp. 327-328.
  83. Sebastiani & Serlorenzi 2008, pp. 157-159; Pagano & Romano 2010, pp. 181-182.
  84. La spoliazione sistematica dei magazzini antichi attestati nell’area del Nuovo Mercato Testaccio sembra potersi collocare addirittura tra la fine del III e la prima metà del IV sec. (Sebastiani & Serlorenzi 2008, pp. 157-159).
  85. Per le vicende del Testaccio post-classico Rodriguez Almeida 1984, pp. 121-134; Aguilera Martin 2002, pp. 125-156; Ancona et al. in corso di stampa.
  86. Rodriguez Almeida 1984, pp. 121-123; Aguilera Martin 2002, pp. 126-128.
  87. Le principali informazioni sull’iscrizione e sul funzionamento della diaconia si trovano in Iannello 2003, pp. 405-416.
  88. Pagano & Romano 2010, pp. 179-188.
  89. Sebastiani & Serlorenzi 2008, pp. 137-171; Sebastiani & Serlorenzi 2011, pp. 67-95; Contino et al. 2022, pp. 127-142; Sebastiani et al., in corso di stampa. Salvo che ove diversamente indicato, a tali studi ci si riferisce puntualmente nel presente paragrafo, che ripercorre il lavoro del gruppo di ricerca del Nuovo Mercato Testaccio.
  90. D’Alessandro 2017, pp. 18-22 (ripreso in maniera quasi palmare in questa sede). Cfr. Contino et al. 2022, pp. 127-142, i cui risultati sono proposti nelle conclusioni al testo presente. Per una sintesi sulla gestione dei rifiuti nel mondo antico, con riferimento al caso del Nuovo Mercato e con bibliografia precedente Contino & D’Alessandro 2015, pp. 242-255.
  91. La percentuale di ceramica fine e comune rispetto al materiale anforico decresce dal 38% nei livelli più bassi della discarica al 7% in quelli di abbandono e obliterazione.
  92. Gli strati di argille in cui sono alloggiati gli allineamenti di I fase e gli allineamenti stessi sono stati datati ad epoca tiberiana sulla base della revisione del vasellame fine e comune (dati Elena G. Lorenzetti; rielaborazione Alessia Contino e Lucilla D’Alessandro), in particolare della sigillata italica. I reperti datanti individuati in questi livelli sono: Conspectus 20.3 (tarda età augustea – 30 d.C. ca.) e 20.4 (età tiberiano-flavia), 27 (età tiberiano-neroniana); 32 (età alto-tiberiana – II metà I sec.); 36.3 (dall’età tiberiana alla fine del I sec). Si segnalano inoltre tra i datanti, sebbene si tratti di materiale non ricontrollato, le lucerne: Bailey D, simile a Q 1036 (I metà I sec.) e simile a Q 1005 (30-70 d.C.), Bailey B, simile a Q 861 (30-70 d.C.). La presenza, da verificare, delle lucerne Bailey B, simile a Q 956 (50 – 90 d.C.), e Bailey C, simile a Q 963 (II metà I sec.), potrebbe far scendere ulteriormente la datazione, sebbene solo i dati relativi ai frammenti di sigillata italica siano pienamente attendibili, essendo stati essi recuperati dalle cassette e sottoposti a controllo dopo l’inventariazione preliminare.
  93. Sui contenitori, forse appartenenti alle rimanenze di un deposito privato, Coletti & Contino in corso di stampa.
  94. Dati cortesemente anticipati da Clementina Panella ed Elena Gabriella Lorenzetti.
  95. Compaiono infatti lacerti di un rivestimento in due strati, probabilmente ad intonaco di colore chiaro, sotto il quale si intravvedono terra argillosa e pareti di contenitore da trasporto disposti verticalmente, in fase di scivolamento. Sul lato opposto, considerata anche la presenza di labili tracce di intonaco, di recente rilevate, su una porzione minuta della muratura, si potrebbe presumibilmente ricostruire una situazione analoga, piuttosto che un rivestimento con frammenti di contenitore da trasporto, prevalentemente pance disposte in verticale, come in prima battuta ipotizzato. L’impiego della ceramica nella preparazione dell’intonaco non è invero sconosciuto in letteratura (Adam 19985, 237-238), sebbene l’uso di essa e in particolare di anfore risulti più comune nell’opus sectile parietale come pavimentale. Le facce delle murature non destinate all’intonacatura non paiono aver presentato analogo trattamento.
  96. D’Alessandro 2017a, p. 17.
  97. Materiali considerati per la datazione dei livelli di II fase della discarica (dati Elena G. Lorenzetti; rielaborazione Alessia Contino e Lucilla D’Alessandro) sono le sigillate italiche Conspectus 3 (metà – II metà I sec., in alcuni casi sino ad epoca traianea), 20.4 (età tiberiano-flavia; molto comune alla metà del I sec., ma presente anche oltre a Pompei e Ostia), 21.4 (metà ca. I sec.), 23.1 (II e III quarto del I sec.), 27 (età tiberiano-neroniana), 33.3 (tardo I-inizio II sec.), 34.1 (età tardo-tiberiana – età flavia), 36.4 (età tiberiana-fine I sec.), 37 (età tiberiana – fine I sec.). La vita della discarica sembra essersi protratta almeno sino ad età traianea, come dimostrano, tra i datanti su citati, i reperti Conspectus 3.3 (sino ad età traianea) e 33.3 (tardo I-inizio II sec.), presenti nei livelli più recenti di questa fase. In tali livelli compare anche: la sigillata africana, in particolare la forma Hayes 8a, datata tra l’età flavia e la metà ca. (Hayes 1972, pp. 32-35) o la seconda metà (Bonifay 2004, p. 156) del II sec. d.C.; l’africana da cucina nelle rare forme Hayes 194 e 198, datate rispettivamente alla II metà del I sec. e più genericamente al I sec. (Hayes 1972, pp. 207-210).
  98. Dati Elena G. Lorenzetti. L’intero settore subisce una sopraelevazione, anche nell’area pertinente al deposito di anfore Dressel 20 e dello stradello posto al limite nord dell’area di scavo, testimoniata dalla presenza di colmate di terreno ricche di frammenti ceramici. Resta da chiarire se i livelli alluvionali individuati documentino esclusivamente l’abbandono dell’area o piuttosto la sua obliterazione e allo stesso tempo una preparazione del terreno, con operazioni di livellamento e sopraelevazione, al fine di intraprendere nuovi interventi costruttivi.
  99. Contino & D’Alessandro 2015, pp. 242-255; Coletti & Diosono 2019, pp. 679-709.
  100. Non sono disponibili dati sulle percentuali di contenitori da trasporto, prevalentemente Dressel 2-4 egee e italiche, ma anche Dressel 1 e Dressel 6A, rappresentate negli allineamenti, attualmente non verificabili.
  101. Gallone 2010, pp. 170-172.
  102. Il lato E è conservato nella sua interezza, quelli N e S sono stati parzialmente indagati perché si sviluppano in parte oltre il limite di scavo, mentre il lato W è stato totalmente obliterato dalla moderna viabilità.
  103. La porzione settentrionale del complesso è composta da una doppia serie di ambienti, sfalsati tra loro, separati da una muratura continua, mentre le altre presentano un solo ordine di vani. Gli ambienti del lato N rivolti verso l’esterno presentano una larghezza costante rispetto a quelli della fila interna, ma risultano più lunghi di ca. 1 m e mezzo.
  104. Non è stato possibile stabilire, avendo praticato solo un modesto saggio, se le fondazioni in calcestruzzo siano state gettate in cavo libero o in cassaforma.
  105. Le fondazioni in reticolato, aventi spessore costante di 2 piedi (60 cm ca.) sono costituite da cubilia, in tufo di Monteverde e dell’Aniene, di circa 11 cm di lato.
  106. Tali strati interessano tanto gli ambienti quanto la corte porticata.
  107. Se ne conservano solo tre in situ, a causa delle pesanti spoliazioni che hanno interessato l’area in epoca post antica. Sui dadi superstiti si notano fori per l’alloggiamento di grappe e perni per la probabile sovrapposizione di più elementi.
  108. Le sistematiche spoliazioni hanno asportato pressoché totalmente gli alzati su tutta l’estensione dell’horreum. Il crollo del muro di ambito orientale prospettante sul vicolo costituisce l’unica evidenza significativa degli alzati del complesso, assieme alle sporadiche attestazioni nell’area meridionale.
  109. L’ambiente XVIII è infatti caratterizzato da pareti laterali di maggiore spessore, suggerendo un maggiore impegno statico.
  110. Una recente revisione dei bolli laterizi superstiti in situ ha evidenziato una cronologia compresa tra primo e secondo decennio del II sec. d.C. (Coletti in corso di stampa).
  111. Tempesta 2010, pp. 189-200.
  112. Esso si conserva solo per circa 2 metri di lunghezza e per un’altezza corrispondente a due ricorsi di cubilia.
  113. Tali evidenze si conservano spesso per soli pochi centimetri essendo stata tutta l’area pesantemente spoliata in antico.
  114. L’alta percentuale di materiali residui presenti in questi strati rende difficile attribuire l’esatta cronologia a queste attività.
  115. Significativo è che nei depositi posteriori si noti una abbondante presenza di cubilia in tufo, provenienti dallo smontaggio delle strutture in opera mista, e una pressoché totale assenza di laterizi, il cui recupero era evidentemente il vero obiettivo dei demolitori del complesso.
  116. Coletti & Contino 2022, pp. 198-202. L’evento distruttivo è stato datato al V sec. d.C.
  117. Pagano & Romano 2010, pp. 181-182.
  118. Sono state individuate complessivamente cinque sepolture di cui quattro in anfora (tre Tripolitane III e una Keay 26).
  119. Sull’uso di cavare materiali archeologici nell’area del Testaccio per lastricare percorsi stradali Rodriguez Almeida 1984, pp. 123-131 e Aguilera Martin 2002, pp. 146-148.
  120. La tecnica edilizia utilizzata per la messa in opera di queste strutture è caratterizzata da cubilia di riutilizzo, disposti in filari orizzontali e legati con una malta sabbiosa a base di calce.
  121. Il livello di questa fase è circa 2 m al di sotto dell’attuale piano di calpestio.
  122. Tali fondazioni obliteravano parte del Vicolo della Serpe e del casale rinascimentale e inglobavano numerosi materiali antichi, ceramici ed edilizi.
  123. In questi livelli, che nella parte NE dell’area raggiungono uno spessore anche di 3 m, sono presenti sia materiali residuali provenienti dai bacini inferiori che macerie derivanti dalle demolizioni delle strutture novecentesche.
  124. Durante la demolizione dei vecchi spogliatoi, nel corso degli scavi, sono stati trovati alcuni tesserini dei “pulcini” iscritti tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso.
  125. Cafini & D’Alessandro 2008, pp. 93-100.
  126. 2100 m2 a NE e ca. 1500 m2 a W.
  127. Primi e parziali risultati in D’Alessandro 2017, pp. 18-22.
ISBN html : 978-2-35613-442-4
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Pessac
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EAN html : 9782356134424
ISBN html : 978-2-35613-442-4
ISBN pdf : 978-2-35613-444-8
Volume : 24
ISSN : 2741-1818
33 p.
Code CLIL : 3385; 4117
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Comment citer

D’Alessandro, Lucilla, “Il quadro territoriale. La piana del Testaccio nell’antichità: sviluppo storico e dinamiche insediative”, in : D’Alessandro, Lucilla, Anfore adriatiche a Roma: I dati del Nuovo Mercato Testaccio, Pessac, Ausonius éditions, collection PrimaLun@ 24, 2025, 53-86, [en ligne] https://una-editions.fr/lo-scavo-del-nuovo-mercato-testaccio-roma [consulté le 07/02/2025].
Illustration de couverture • Nuovo Mercato Testaccio, settore NE, livelli primo-imperiali: ambiente di seconda fase (amb. 1), anfore Dressel 1 (foto Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma).
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