Dalla lettura delle poche fonti storiografiche superstiti relative agli eventi che interessarono l’impero tra la fine dei Severi e l’avvento di Diocleziano, si ricava l’impressione di un incessante susseguirsi di disordini, colpi di Stato, secessioni, scorrerie, invasioni, calamità. Tali vicende sono in parte testimoniate o confermate anche da altre tipologie di fonte, e i profondi mutamenti culturali, sociali, economici e politici che vi si accompagnarono hanno fatto sì che gli storici del secolo scorso elaborassero il noto concetto storiografico della “crisi del III° secolo”. L’impiego del termine “crisi” è sembrato pienamente giustificato, fino a tempi recenti, anche dall’osservazione che a cavallo fra III° e IV° secolo d.C. l’ecumene romana, meglio documentata in quest’epoca rispetto alla precedente, appariva sotto ogni profilo piuttosto distante e diversa da come essa si presentava ancora alla fine del II° secolo d.C., a testimonianza di una radicale trasformazione del modo di concepire il mondo e di governare l’impero.
Negli ultimi tre decenni la categoria interpretativa della “crisi del III° secolo” è stata da più parti ridefinita, messa in dubbio, talvolta del tutto respinta, soprattutto sulla scorta dell’interpretazione dei dati archeologici1. Tuttavia, non sono mancate molte e importanti reazioni, per così dire conservatrici, nei confronti di queste prese di posizione: per esempio l’idea di una crisi regionalizzata, limitata solo ad alcune aree dell’impero, è stata contestata in considerazione della fortissima interconnessione tra le province, ed è stato criticato quello che viene considerato un approccio “minimalista” al problema, che sminuisce il valore della maggior parte delle evidenze storiche enfatizzando, invece, quello di dati isolati2; altri, pur condividendo le critiche espresse al concetto di crisi come modello interpretativo rigido, lo ritengono comunque ancora un termine del tutto adeguato per descrivere gli sviluppi del III° secolo3, a patto che sia contestualizzato entro una consapevole ed esplicita cornice di metodo.
Il dibattito sul tema, tuttora in corso, non richiede inevitabilmente di schierarsi a favore o contro l’una o l’altra posizione, ma piuttosto invita ad un’attenta riconsiderazione dei dati in nostro possesso, in primis proprio quelli trasmessi dalla tradizione storiografica e letteraria in senso lato. In considerazione del tema proposto, intendo circoscrivere tale riesame alle province danubiane, limitando l’indagine ai soli eventi di natura politico-militare e alla fonte letteraria di maggior peso, cioè la raccolta di biografie imperiali della Historia Augusta (da qui in avanti HA). Sebbene notoriamente poco affidabile e molto discussa, la HA presenta alcuni tratti di interesse non solo rispetto alle stringatissime epitomi del IV° secolo e a quella di Zonara, ma soprattutto in confronto all’unica altra opera superstite che si soffermi con qualche dettaglio sugli eventi politico-militari di questi decenni, ovvero i capitoli 13-73 del primo libro della Storia Nuova di Zosimo.
Innanzitutto pare che la HA, stando all’ipotesi prevalente che la assegna alla fine del IV° o, più probabilmente, all’inizio o alla prima metà del V° secolo d.C., sia cronologicamente più vicina agli eventi narrati rispetto alla Storia nuova di Zosimo, che scrive all’inizio del VI° secolo o alla fine del V° 4. In secondo luogo, laddove la HA si serve, seppur solo episodicamente, di buone fonti come Dexippo, non è chiaro invece se e a quali autori attinga Zosimo per gli anni precedenti il 270, cioè per i primi 46 capitoli del libro I, mentre è abbastanza certo che per i restanti si serva di Eunapio5.
Ancora, gli eventi da Augusto ad Aureliano sono riportati in maniera molto succinta da Zosimo, il cui testo, peraltro, a causa della perdita del quarto quaternione del codice Vaticano Greco 156, presenta una grave lacuna dal 282 al 305, alla quale non possono sopperire due brevi estratti su Carino di Giovanni Antiocheno, tratti da excerpta bizantini e dalla Suda6; le biografie della HA, al contrario, benché mutile relativamente al periodo 244-260, appaiono alquanto più dettagliate fino al 270.
Infine, sembra che gli autori della HA siano nel complesso più interessati alle vicende delle province occidentali, in particolare quelle danubiane, mentre il I libro di Zosimo si sofferma maggiormente sui fatti che riguardano l’area ellenofona.
D’altra parte, ragionando in senso opposto, sono proprio gli abnormi difetti riconosciuti alle biografie della HA, in particolare a quelle post-severiane, ovvero la scarsa attendibilità complessiva e la spiccata tendenza a inventare fatti, personaggi, persino citazioni da documenti, a rendere l’opera uno dei casi di studio ideali per verificare se il quadro di una crisi militare generalizzata nelle province danubiane durante i decenni centrali del III° secolo d.C. possa dipendere da distorsioni prodotte dalle fonti letterarie.
Ho considerato i passi delle Uitae – da quella dei due Massimini a quelle di Caro, Numeriano e Carino – che contenessero almeno un riferimento a fatti di ordine militare inerenti alle province di Norico, Dalmazia, Pannonia, all’area latamente intesa come Illirico/Illiria, alla Mesia e allo stesso fiume Danubio/Istro7. I brani possono essere distribuiti come nella tabella, che va letta con l’avvertenza di considerare i passi evidenziati in neretto come frutto di invenzioni o falsificazioni “romanzate”, accertate o assai probabili, e non come vere testimonianze storiografiche. Alcuni passi sono ripetuti in quanto contengono riferimenti a più province.
Norico | Dalmazia | Pannonia | Mesia | Illirico/Illiria | Danubio/Istro |
/ | / | 2 Tyr. Trig. 9.1; Car. 9.4. | 8 Gord. 26.4; Max. Balb. 16.3; Gall. 13.8; Tyr. Trig. 9.1, 3; 10.1; Claud. 9.3; Aurel. 39.7. | 21 Gord. 14.1; Max. Balb. 5.9; Gall. 2.5-7; 13.9; Tyr. Trig. 10.1, 9; 11.1; 12.13; 20.3; 29.1; Claud. 18.1; Aurel. 6.3-5; 17.3; 22.2; 35.4-5; 39.7; 41.8; Tac. 3.6; Prob. 16.1-2; 20.1; Car. 9.4. | 3 Gall. 13.6; Aurel. 22.2; Prob. 5.1. |
Il primo dato che emerge è la totale mancanza di riferimenti specifici al Norico e alla Dalmazia. Se l’assenza di quest’ultima dalle cronache di carattere politico-militare non sorprende più di tanto, data la sua posizione arretrata rispetto al limes, sarebbe stato invece lecito attendersi qualche menzione del Norico. Naturalmente è possibile che a queste province si faccia implicito riferimento con il termine generico di Illirico/Illiria, il più ampiamente utilizzato tra tutti; ma è pur vero che la Pannonia, sebbene anch’essa tradizionalmente compresa nella regione, è ricordata specificamente due volte nei testi.
Più alta la frequenza delle menzioni della Mesia, mentre il Danubio stesso è nominato soltanto tre volte, sempre in riferimento a guerre con nemici esterni: nel passo tratto dalle vite dei due Gallieni (13.6), attinto da Dexippo, si ricordano le devastazioni inflitte ai territori romani durante la risalita del fiume da parte degli Sciti, cioè degli Eruli, che vi erano penetrati con la flotta provenendo dal Ponto Eusino; negli altri due brani, invece, è menzionato l’attraversamento del Danubio dall’impero al barbaricum da parte di truppe romane (campagna di Aureliano, 22.2; azione di Probo durante il suo tribunato militare, 5.1). Risulta molto elevato il numero di brani spuri o frutto di falsificazione da parte degli autori: ben 9 su 29, un abbondante 30% che, tuttavia, resta comunque minoritario rispetto ai passi la cui attendibilità è confortata, se non pienamente confermata, da verifiche incrociate con altre fonti, come avremo modo di vedere nel dettaglio. Per quanto riguarda la distribuzione dei brani nelle diverse sezioni dell’opera, si osserva che su 12 Uitae considerate ben 9 presentano dei passi attinenti al tema, con una netta prevalenza di passi nelle biografie dei “trenta tiranni” (8/29) e in quella di Aureliano (6/29). Questa tendenza può forse trovare una prima motivazione nel fatto che la Uita di Aureliano è la più estesa e che l’autore di quelle dei “trenta tiranni” spesso ritorna più volte su eventi già menzionati nello stesso capitolo o in altre biografie, in quanto i fatti relativi a quasi tutti gli usurpatori trattati si sovrappongono a eventi che coinvolsero altri personaggi, soprattutto Gallieno. Un esame più approfondito, condotto attraverso la sintesi dei passi raccolti, consente però ulteriori osservazioni.
La Pannonia, insieme alla Mesia, è ricordata nel capitolo sui “trenta tiranni” (9.1) per l’usurpazione di Ingenuo, governatore della provincia, “proclamato imperatore dalle legioni della Mesia, con il consenso di tutte le altre truppe stanziate in Pannonia” per l’imminente scontro contro i Sarmati. L’autore colloca l’usurpazione nel 258 (Tusco et Basso conss.), mentre Aurelio Vittore e Zonara sono concordi nel datarla al 260, dopo la cattura di Valeriano8. Nella Uita di Caro (9.4), invece, la Pannonia è menzionata in riferimento a un’importante vittoria conseguita alla fine del 282 contro i Sarmati, che lasciarono sul campo 16.000 morti e 20.000 prigionieri di ambo i sessi. La campagna è attestata anche da Eutropio9.
La Mesia, oltre che nel passo appena ricordato, è menzionata nella Uita di Gordiano III (26.4) come la provincia che, insieme alla Tracia, fu liberata da non meglio precisati hostes (probabilmente Carpi e Sarmati Rossolani) da parte dell’esercito romano che stava marciando verso Oriente per intraprendere la campagna persiana10. In effetti, i Carpi avevano già invaso la Mesia nel 238, durante il breve regno di Pupieno e Balbino: nella biografia di questi ultimi (16.3) si accenna appunto a questa guerra, insieme alla menzione del primo attacco all’impero da parte degli Sciti = Goti, che secondo Dexippo espugnarono la città di Istria (= Istropoli), alla foce del Mar Nero11. Proprio dopo la vittoria conseguita contro di loro da Dexippo nel 267/268, secondo l’autore della Uita dei due Gallieni (13.8), che attinge anch’egli allo stesso Dexippo, i Goti12 si sarebbero poi dispersi in Epiro, Macedonia e, appunto, Mesia, per essere infine in parte intercettati e sconfitti da Gallieno in Illirico, come precisato al paragrafo 9 della medesima Uita (vedi sotto)13.
La Mesia, o meglio i Mesii, da intendersi come le truppe di stanza nella provincia, ricompaiono poi nelle vite dei “trenta tiranni” (9.3; 10.1) come sostenitori dei due usurpatori Ingenuo (di cui si è già detto sopra) e Regiliano (alias Regaliano). Quest’ultimo è definito come dux dell’Illirico (cf. anche 10.9): in effetti le monete da lui coniate provengono da una zecca allestita a Carnuntum, in Pannonia Superiore14. La Mesia, e in particolare la città di Marcianopoli15, è anche ricordata come teatro principale degli scontri tra Claudio II (9.3) e i Goti = Eruli, fino allo strepitoso successo finale dell’imperatore.
Ma più interessante è il brano tratto dalla Uita di Aureliano (39.7), che vale la pena leggere per intero:
“Vedendo che ormai l’Illirico era devastato e la Mesia ridotta in uno stato rovinoso, [Aureliano] abbandonò la provincia transdanubiana fondata da Traiano, la Dacia, facendone evacuare l’esercito e i provinciali, considerando che non fosse ormai più possibile continuare a tenerla; la popolazione fatta evacuare da essa venne da lui stanziata in Mesia, nella regione che egli chiamò la sua Dacia, quella che ora divide le due province di Mesia”.
Si tratta dell’unico passo che faccia esplicito riferimento alla totale rovina in cui versavano tutte le province danubiane – si parla anche dell’Illirico e della Dacia, oltre che della Mesia – in seguito a decenni di guerre. Un passaggio quasi identico si trova in Eutropio16, che pure anticipa l’evacuazione della Dacia al tempo di Gallieno17: è assai probabile che entrambi gli autori abbiano attinto a una fonte comune, probabilmente la EKG18. Il giudizio sulla condizione dell’area danubiana al tempo di Aureliano non è, dunque, frutto della fantasia o dell’enfasi dell’autore della biografia.
Il maggior numero di brani considerati contiene riferimenti generici all’Illirico/Illiria. Oltre alle due menzioni già riportate, tratte dalla Uita dell’usurpatore Regiliano e da quella di Aureliano appena esaminata, si parla di Illirico innanzitutto nella biografia di Gordiano III (14.1), all’interno del discorso che Massimino avrebbe tenuto ai soldati all’arrivo della notizia dell’insurrezione dei Gordiani avallata dal senato. Massimino si rivolge ai suoi uomini evidenziando come il tradimento sia avvenuto proprio mentre loro sacrificavano le proprie vite in difesa dell’impero, in Germania e in Illirico19. Il contesto è sicuramente retorico e drammatico, ma una o più campagne in Illirico, verosimilmente in Pannonia, dovettero effettivamente essere intraprese dall’imperatore dopo i successi contro gli Alamanni: abbiamo infatti notizia di un periodo di permanenza di Massimino a Sirmium sia nella HA20, dove si aggiunge anche che il sovrano stava allestendo una spedizione contro i Sarmati, sia in Erodiano21, che parla solo di un progetto di spedizione contro i Germani fino all’Oceano – campagna cui allude pure la biografia di Massimino –, ma più avanti fa ricordare all’imperatore stesso, rivolto ai suoi soldati, anche un’imprecisata vittoria contro i Sarmati22. Ulteriore conferma di questi successi proviene dal fatto che alla fine del 236 Massimino si appropriò dei titoli di Sarmaticus Maximus e Dacicus Maximus23.
Quasi certamente spuria, invece, è la notizia tramandata dalla Uita di Pupieno e Balbino (5.9), secondo la quale il primo dei due imperatori, nel corso della precedente carriera, sconfisse i Sarmati durante una sua legazione legionaria in Illirico24. Mentre è attendibile, per quanto impreciso, il passo della Uita di Gallieno (2.5-7), secondo il quale l’usurpatore Macriano nel 26225 fu sconfitto in Illirico da Domiziano, un generale fedele ad Aureolo, quando in realtà quest’ultimo usurpò il trono solo nel 267-26826. Del resto la stessa HA, nel capitolo sui “trenta tiranni” (11.1-3), ricorda correttamente che Aureolo, cui attribuisce il comando degli eserciti dell’Illirico, fu proclamato imperatore più tardi; ma a complicare ulteriormente le cose, nella Uita del “tiranno” Macriano (12.13) è indicato Aureolo stesso come il generale che sconfisse l’usurpatore proveniente da Oriente. Quest’ultimo brano non solo fornisce un numero di effettivi diverso rispetto a quello indicato nella Uita di Gallieno (45.000 invece di 30.000), ma è incerto se collocare lo scontro in Illirico o alle frontiere della Tracia.
Poco più avanti, sempre nei “trenta tiranni” (20.3), si cita brevemente, in retrospettiva, l’effimera usurpazione in Illirico di Valente il Vecchio, databile probabilmente all’epoca di Decio, secondo quanto possiamo desumere da Aurelio Vittore27. Ancora nella sezione dedicata ai “trenta tiranni” è interessante notare come l’Illirico sia citato in un passo (29.1) relativo alla presunta usurpazione in Africa dell’altrimenti sconosciuto Celso, che avrebbe ricevuto l’appoggio di un proconsole e di un dux, anch’essi non attestati altrove. Qui l’Illirico è inserito al termine di un lungo elenco di tutte le aree dell’impero che furono contemporaneamente soggette a rivolte e usurpazioni durante il regno di Gallieno, a cui si sarebbe appunto infine aggiunta anche l’Africa. La menzione dell’area illirica appare piuttosto pretestuosa e volta a fini retorici, trattandosi di un passo spurio, anche se è vero che la regione fu teatro di vari pronunciamenti militari in quegli anni.
È possibile che Gallieno abbia intercettato e distrutto in Illirico una parte dei Goti = Eruli dopo il loro fallito attacco contro l’Attica (vd. sopra Gall., 13.9), mentre è pura invenzione la lettera, riportata nel capitolo dei “trenta tiranni” (10.9), nella quale il futuro imperatore Claudio ringrazia il dux Regiliano per aver liberato l’Illirico dai barbari che l’hanno occupato. Sono frutto di fantasia anche le notizie relative ai successi conseguiti da Claudio (18.1)28 e da Aureliano (6.3-5)29 contro i barbari in Illirico prima di diventare imperatori; altrettanto fittizia, poi, è la presunta lettera riportata sempre nella biografia di Aureliano (17.3), con la quale Claudio II gli assegnò il “potere su tutti gli eserciti di Tracia e di Illiria e sull’intera frontiera” per combattere i Goti30. Particolarmente fantasioso, benché presentato come desunto dall’opera storica di tale Teoclio, personaggio anch’esso frutto di fantasia, l’episodio riferito all’ancora giovane Aureliano, che nel corso di alcuni giorni di combattimenti avrebbe ucciso di sua mano ben mille Sarmati, tanto da diventare il sanguinario protagonista di una filastrocca infantile31.
E’ plausibile, invece, il fatto che Aureliano (35.4-5), subito prima di essere assassinato, avesse raccolto un esercito in Illirico per muovere guerra contro i Persiani, dal momento che si trattava di una prassi da tempo usuale. La biografia di Probo attesta anche per quest’ultimo qualcosa di simile (20.1): l’imperatore fu assassinato mentre attraversava l’Illirico con l’esercito per dirigersi in Oriente.
Un’ulteriore menzione dell’Illirico, questa volta tratta dalla Uita dell’imperatore Tacito (3.6), è contestualizzata all’interno di un discorso fittizio, attribuito a un personaggio del tutto inventato, il console Velio Cornificio Gordiano: costui, esortando il senato a scegliere presto un nuovo imperatore dopo la morte di Aureliano, avrebbe addotto come motivi di urgenza i gravi pericoli a cui erano esposte varie aree dell’impero, tra cui anche l’Illirico, ricordato all’interno di una lunga enumerazione volta a drammatizzare retoricamente il brano.
Nella biografia di Aureliano, oltre ai casi già esposti, si ricorda che l’imperatore “dovette sostenere numerosi e duri combattimenti. Infatti nella Tracia e nell’Illirico sconfisse i barbari che gli muovevano contro e, attraversato il Danubio, uccise persino il capo dei Goti Cannaba o Cannabaude, assieme a cinquemila dei suoi uomini” (22.2): la notizia della vittoria sui Goti è confermata da Eutropio e Ammiano Marcellino32, oltre che dal titolo di Gothicus Maximus assunto da Aureliano nel 27233. Anche a questa guerra fa riferimento il senatore Aurelio Tacito nel discorso riportato sempre nella Uita di Aureliano, probabilmente fittizio ma comunque verisimile, nel quale dopo la morte dell’imperatore sono rievocate tutte le sue grandi vittorie (41.8).
Pare inattendibile, infine, la notizia ricavabile dalla Uita di Probo (16.1-2) riferita a una campagna di questo imperatore in Illirico, dove “assestò tali colpi ai Sarmati e a tutti gli altri popoli, che poté ricuperare quasi senza più colpo ferire tutti quanti i territori da essi predati”: non abbiamo altre testimonianze in merito, anche se Probo conseguì in effetti delle vittorie in Illirico, ma contro, i Goti, da cui il titolo di Gothicus Maximus34.
Dall’indagine emergono alcune tendenze di fondo:
- il cospicuo numero di menzioni delle province danubiane in connessione con circostanze politico-militari dipende in parte dalla molteplicità di riferimenti a medesimi eventi, causata dalla sovrapposizione cronologica di diverse biografie;
- alcune delle occorrenze considerate si trovano in corrispondenza di invenzioni e/o falsificazioni, frequenti soprattutto quando gli autori riferiscono episodi e documenti relativi alla carriera del protagonista prima dell’ascesa al trono; ciò avviene soprattutto nelle numerose menzioni generiche dell’Illirico;
- in un paio di casi le province in questione compaiono solo in quanto inserite all’interno di elenchi vaghi quanto enfatici di aree dell’impero esposte ai danni della guerra, con un fine retorico di accumulazione;
- la maggior parte delle notizie riguardanti guerre e usurpazioni sono tuttavia genuine in quanto verificabili, ed evidenziano indubbiamente una situazione di fortissima instabilità, se non di vera e propria crisi, nella regione danubiana.
In sintesi, il quadro di una crisi politico-militare generalizzata e persistente negli anni centrali del III° secolo sembra nel complesso abbastanza fondato, seppur talvolta enfatizzato dalla HA a fini per lo più retorici. Questo non sorprende, dal momento che anche Strobel e Witschel non ricordano l’Illirico tra le province per le quali il concetto di “crisi” andrebbe ridimensionato. Anzi, alcuni studi archelogici rivelano, per il periodo centrale del III° secolo, tracce evidenti di distruzione in relazione a diverse villae e città delle province danubiane, per esempio in Mesia e Tracia35. Semmai, le conclusioni a cui può condurre l’analisi proposta inducono a concordare con De Blois nel limitare al periodo 249-284 la crisi vera e propria: in effetti, più dell’85% dei passi raccolti (25/29) sono riferiti agli anni dal 260 al 284, e probabilmente la percentuale calcolata sarebbe ancora più elevata, se potessimo includere nello studio i dati relativi agli anni dal 244 al 260, ricavabili dalle Uitae degli imperatori andate perdute.
Bibliografia
Notes
- Tra gli altri, Karl Strobel e Christian Witschel hanno sostenuto che il mondo romano nel III° secolo affrontò non una crisi, quanto piuttosto una modifica strutturale accelerata all’interno di un sistema nel complesso stabile, e che questa modifica fu il risultato di sviluppi negativi in alcune aree, ma positivi in altre. Il modello interpretativo della crisi sarebbe dunque fuorviante e frutto di un pregiudizio: vd. Strobel 1993; Witschel 1999. Cfr. Auer, Hinker ed. (2021).
- Vd. de Blois 2002.
- Vd. Liebeschuetz 2007; Nappo 2022.
- Vd. Birley 2003, 138-140; Liebeschuetz 2003, 215; Ratti 2010; Gnoli 2020.
- Data la natura estremamente generica delle informazioni fornite in questi capitoli, non è escluso che Zosimo non abbia attinto a nessuna fonte specifica, ma abbia fatto ricorso alle conoscenze storiche di massima che qualunque uomo dotato di una minima cultura doveva possedere: vd. Paschoud 1971, XXXVI-XL.
- Vd. Roberto 2005, 424-427 n. 246.
- Le traduzioni in italiano, laddove fornite, sono tratte da Soverini 1983.
- Aur. Vict., Caes., 33.2 (si noti Ingebus al posto di Ingenuus); Zonar. 12.24.
- Eutr. 9.18. Vd. anche Altmayer 2014, 82-85.
- Vd. Christol 1997, 95 ; Brandt, Peter 2017.
- Vd. Mecella 2013, F22, pp. 278-282.
- Ma in realtà si trattava degli Eruli: vd. Potter [2004] 2014, 259.
- Vd. Mecella 2013, 510-512.
- Vd. RIC V.2, n° 586-587.
- Non invece la più celebre Naisso: cf. Zos. 1.45.1.
- Eutr. 9.15.1.
- Eutr. 9.8.2; cf. Aur. Vict., Caes., 33.4.
- Vd. Paschoud 1996, 181-182.
- Cf. SHA, Max., 18.
- SHA, Max., 13.
- Hdn. 7.3.4.
- Hdn. 7.8.4.
- Ad es. CIL, VIII, 10073; AE, 1980, 831; 950-951; cf. Christol 1997, 83.
- Vd. Brandt 1996, 154.
- Vd. Potter [2004] 2014, 255.
- Vd. Christol 1997, 154.
- Aur. Vict., Caes., 29.3; Epit. de Caes. 29.5.
- Vd. Paschoud 2011, 340.
- Vd. Paschoud 1996, 76.
- Vd. Paschoud 2011, 111-112.
- Sul passo e su Teoclio vd. da ultimo Mastandrea 2017, 206-211.
- Eutr. 9.13.1; Amm. Marc. 31.5.17.
- Ad es. CIL, III, 12517; AE, 1969/1970, 646.
- RIC V.2, n° 730; vd. Kienast et al. [1990] 2017, 245; Paschoud 2001, 95, 121-122
- Vd. Poulter 2020.