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Testimonianze epigrafiche per una sintesi sulla proprietà imperiale nel territorio riminese

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Le fonti e i materiali1

Sia Dorothy J. Crawford che Marco Maiuro nelle loro opere che costituiscono delle guide fondamentali per chi si approccia al tema delle proprietà imperiali dedicano particolare attenzione al metodo e alla cautela necessari per procedere alla loro individuazione in un dato territorio, perché spesso gli indizi sono pochi e troppo labili2. Non è questo il caso della zona di Rimini, in quanto la regio Ariminensium è attestata in un’iscrizione pisaurense come ambito di competenza dell’incarico di procurator privatae ricoperto dal cavaliere Ti. Claudius Zeno Ulpianus nella prima metà del III secolo d.C., al termine di una lunga carriera3.

Nel suo ricchissimo volume Maiuro dedica, infatti, un paragrafo all’indagine delle tenute del princeps del citato contesto topografico e cerca in particolare di ricostruirne l’evoluzione storica che egli fa partire da Augusto sulla base di una testimonianza di Cassio Dione (55.34.3) in merito a un soggiorno dell’imperatore nell’8 d.C. durante la grande rivolta dalmato-pannonica4. D’altro canto, ritengo che la sua dettagliata analisi possa essere implementata per quanto concerne la documentazione e quindi l’estensione, la distribuzione e le finalità di questi praedia, senza dubbio presenti nel territorio già prima di Settimio Severo e da lui probabilmente incrementati5. Infatti, in assenza di riscontri non siamo in grado di affermare se solo allora – in occasione di una ristrutturazione del sistema, conseguente all’ampliamento dei possedimenti – fu creata la regio, cioè “un’unità contabile e patrimoniale del fisco”, che aveva un’estensione variabile da contesto a contesto e, come dimostrato ampiamente in letteratura, era indipendente dalla ripartizione amministrativa vigente, e questo – si vedrà infra – è anche il caso della nostra realtà6. Gli elementi che emergono dal confronto con i distretti contemporanei dei procuratori equestri sono la dimensione molto limitata e il grande prestigio di quello riminese, poiché gli altri incarichi si estendono sul territorio di una o più regiones augustee e avevano talora un rango persino inferiore7. Effettivamente si tratta di una situazione allo stato unica e di difficile spiegazione, per cui si può pensare a una densità di proprietà imperiali e a un volume di affari così alti da richiedere un funzionario incaricato oppure a un ‘fossile’ di una precedente ripartizione, rimasto ancora in epoca severiana.

Tra le fonti che documentano questi praedia, Maiuro inserisce un certo numero di iscrizioni di membri della familia Caesaris: alcune sono su pietra e si tratta di epitafi8, altre, invece, sono su signacula per lo più rinvenuti in situ9. In entrambi i casi, i ritrovamenti in sé non sarebbero sufficienti, poiché servi e liberti potevano allontanarsi dai possedimenti – nel secondo caso anche uscire dal servizio e trasferirsi ovunque volessero –, ma concorrono e diventano rilevanti per lo studio delle proprietà nel momento in cui nell’area ne esistono prove certe, prima fra tutte l’attestazione del procuratore10. Nella situazione specifica purtroppo questi documenti, a differenza di numerosi altri attestanti dispensatores, arcarii, vilici etc., non forniscono informazioni sui ruoli e di conseguenza sull’amministrazione delle tenute, ma possono essere utili per definirne cronologia e dislocazione. Infine, una categoria che in letteratura spesso si trova connessa alle proprietà del princeps è quella dei militari, ma, considerando la diffusione delle loro epigrafi e la loro mobilità, è necessario procedere con la massima cautela, come indica Maiuro stesso, che suggerisce di soffermarsi su quelle truppe che comunemente erano di scorta all’imperatore, quindi pretoriani ed equites singulares morti in servizio, mentre una situazione del tutto peculiare, su cui si tornerà infra, è rappresentata dai veterani della flotta ravennate11. Sulla base di questo ragionamento si potrebbero citare due attestazioni di pretoriani, una da Rimini e una da Cesena, ma non mi paiono spie particolarmente importanti e soprattutto nel secondo caso l’iscrizione sembra indicare che il milite sia stato seppellito nel luogo di residenza della famiglia12.

Lasciando da parte i soldati, ai documenti epigrafici citati da Maiuro per la regio Ariminensium ritengo se ne possa aggiungere qualche altro: al di là di un quarto signaculum rinvenuto recentemente a Misano Adriatico, provvisto di un’iscrizione con formula analoga a quella degli altri citati13, che dunque incrementa solo numericamente le attestazioni senza fornire nuovi spunti, più importanti per completare il quadro del patrimonio imperiale nella zona sono un’altra iscrizione con la menzione di due membri della familia Caesaris e poi un’altra classe di materiale, i mattoni bollati14. Infatti, la letteratura attesta da Ariminum e dal territorio circostante parecchi laterizi imperiali, con bolli già noti in regione, consistenti nell’abbreviazione IMP seguita dal nome del singolo Augusto, da sciogliere in genitivo come indicazione di proprietà del fondo e della figlina lì installata15. Gli esemplari ritrovati sporadicamente e classificati singolarmente nelle raccolte attuali (2 di Adriano, 13 di Antonino Pio, 1 di Commodo) non conducono a postulare una produzione riminese, dal momento che questi materiali sono diffusi, pur in scarse quantità, lungo l’arco nord-adriatico, per cui si deve pensare che fossero prodotti e smerciati dalla grande officina di Agosta, situata nelle proprietà imperiali del Delta e attiva tra i regni di Adriano e Alessandro Severo, per venire incontro fondamentalmente al fabbisogno di Ravenna e Classe, dove, infatti, si trova la maggior concentrazione con circa 200 oggetti su un totale di poco più di 260, da cui la definizione di “bolli laterizi ‘imperiali’ di Ravenna”16. Oltre a questi esemplari, non si deve tacere una concentrazione di laterizi nella valle dell’Uso, documentataci da una testimonianza di Bartolomeo Borghesi facente riferimento alla metà del XVIII secolo che attesta la scoperta di “un’antica fornace, da cui fu rovesciata nel letto del fiume [scil. Uso] una quantità di embrici con questa iscrizione [scil. IMP ANTO AVG PI]”17. Questa descrizione, che fa pensare ad un deposito di materiali in attesa di vendita, ha indotto anche recentemente gli studiosi a vedere uno stabilimento tra Savignano sul Rubicone e Santarcangelo di Romagna18. Il bollo, tra l’altro, è il più attestato in assoluto in questa categoria di materiali e tra i rinvenimenti sporadici citati, per cui gli indizi vanno nella stessa direzione; per la cronologia di questa seconda fornace imperiale in Romagna si può solo fare una supposizione, poiché, stando al Borghesi, insieme a questi mattoni con il marchio di Antonino Pio, ne furono trovati altri con quello GENTIA(NO) ET BASSO C(ONSULIBUS), coppia consolare del 211 d.C.19. L’autenticità di questo bollo è assolutamente garantita da altri rinvenimenti, confluiti nel CIL, e sulla base di ciò il Tonini, pur all’interno di una ricostruzione ormai non più accettabile delle vicende della figlina Pansiana, aveva già postulato l’attività dell’antica fornace fino all’età di Caracalla, perché a lui attribuiva il marchio IMP ANTO AVG PI. Sebbene quest’interpretazione si sia rivelata scorretta, non vedo alcun problema a situare una fase produttiva dell’impianto ancora sotto i Severi, dato che l’impianto principale sull’argine Agosta continuò a lavorare fino ad Alessandro Severo.

Ipotesi sulla topografia e le attività economiche delle proprietà

In merito alla localizzazione dei praedia,purtroppo, gran parte delle fonti menzionate non risultano molto utili: in primo luogo, le due iscrizioni sepolcrali attestanti liberti dell’imperatore sono poco indicative, non solo per l’affermata mobilità degli stessi, ma anche per le circostanze di rinvenimento; invece, come accennato, potrebbero servire per determinare meglio la cronologia, benché la formula del patronato sia sempre impersonale, ossia Aug(usti) lib(ertus) o Σεβ(αστοῦ) ἀπελεύθερος. Infatti, CIL, XI, 466, con l’attestazione di Felicissimus,e incisa sul sarcofago della figlioletta Irene, morta a soli 18 mesi, è databile alla prima metà del III secolo d.C., quindi perfettamente in linea con l’attestazione della regio, ma fu trovata nell’area della più grande necropoli cittadina, lungo la via Flaminia poco fuori dall’Arco d’Augusto20. L’altra epigrafe, CIL, XI, 553 = IG, XIV, 2253, in greco, appartiene a Μ(ᾶρκος) Αὐρ(ήλιος) Μᾶρκος, “un liberto di un imperatore degli ultimi degli Antonini o dei Severi”, dunque vissuto tra il II e il III secolo d.C.: la datazione allora è pienamente congruente con le altre testimonianze, però la pietra non è appenninica, per cui Giancarlo Susini mette in dubbio la provenienza riminese dichiarata dal Tonini21.

Forse più indicativa, almeno in termini di macroaree, è l’iscrizione funeraria pisaurense del piccolo Noetus, peraltro assai contorta nella sintassi, su cui compare come codedicante il padre, Castor Aug(usti servus)22: purtroppo era già perduta al tempo della redazione del Corpus e la cronologia risulta così indeterminabile. Il luogo di rinvenimento, anche in questo caso una necropoli urbana, non può di certo essere preso come prova della sua pertinenza alle proprietà imperiali, ma può essere indice del fatto che ve ne fossero nel territorio di Pisaurum, amministrate comunque all’interno della regio Ariminensium, come fa supporre la prima testimonianza citata, in quanto il procuratore del distretto è onorato nella città marchigiana, perché era anche patrono di quella comunità. D’altronde, non è una novità l’ipotesi di vedere beni della corona a Pesaro, innanzitutto perché da lì proveniva il padre di Livia, poi per la vicenda di un illustre personaggio locale, M. Arrecinus Clemens, ucciso da Domiziano dopo una brillante carriera per ragioni tuttora oscure (Suet., Dom., 11.3), il cui patrimonio potrebbe essere stato oggetto di confisca23. Poiché la stessa famiglia, come recentemente risostenuto in un accurato lavoro, deteneva interessi e possedimenti nella limitrofa Ariminum, secondo una frequente dinamica di compenetrazione politica ed economica, credo sia del tutto plausibile che una parte delle proprietà imperiali nella città romagnola provenisse da questa via24. Quest’elemento sarebbe importante per rialzare la cronologia delle acquisizioni, perché, al di là della supposta residenza nella quale avrebbe soggiornato il princeps nell’8 d.C., testimonianze inequivocabili anteriori alla fine del II secolo d.C. sarebbero solo i laterizi descritti dal Borghesi, in quanto l’attenzione particolare mostrata dalla domus Augusta verso la comunità, che pur emerge chiaramente dall’epigrafia cittadina di età giulio-claudia, non è certo sufficiente25.

Rimanendo a Sud di Rimini, sulle opposte sponde del Conca sono stati trovati due signacula con iscrizione di formula analoga F(—-) o P(—-) A(ugusti) N(ostri), l’uno nel territorio di Misano Adriatico e l’altro nella piana di San Pietro in Cotto, ai piedi del colle di Gemmano26. In tutti e quattro i sigilli analizzati in questo lavoro il testo epigrafico è sempre dello stesso tipo e attesta uno schiavo, la cui iniziale – in un caso c’è il nome completo, Zoticus seguito da C(aesaris?) – è accompagnata dalla dicitura ‘Augusti nostri’, abbreviata o meno, che risulta attestata dal regno di Vespasiano e per tutto il II secolo d.C.27. Tornando alla topografia, il corso d’acqua appena citato, l’antico Crustumium, segnava – non sappiamo se fino alla foce – il confine tra gli agri di Ariminum e Pisaurum e quindi tra le regiones VIII e VI28; prescindendo qui dall’appartenenza amministrativa a Pisaurum dell’insediamento demico di San Pietro in Cotto, è interessante notare due aspetti: il primo, che l’area poteva gravitare, anche solo sul piano funzionale, sulla città marchigiana, e il secondo, che ci si trova in un contesto geografico e produttivo, dolci colline a ridosso della costa, che aveva un consistente popolamento sparso in epoca romana per l’ottima vocazione agricola29.

Poiché le tenute imperiali non si discostavano da quelle di altri proprietari quanto a gestione e sfruttamento economico, è opportuno richiamare all’attenzione le attestazioni di fattorie e villae urbano-rustiche nell’area tra Rimini e Pesaro con probabile impiego di manodopera schiavile, almeno sulla base delle epigrafi emerse in loco30: le attività praticate erano normalmente la produzione di vino, altre coltivazioni intensive e talvolta la fabbricazione di laterizi o contenitori da trasporto. In merito alla vitivinicoltura si deve ricordare la fama che in antico questi territori avevano per la loro straordinaria resa, a noi nota dalle menzioni di Varrone e Columella nelle loro opere di agronomia e che sarà stata sfruttata nei fundi dei privati come della domus Augusta31. Di conseguenza, i signacula con la menzione degli schiavi imperiali potrebbero riferirsi a queste realtà produttive, sebbene tuttora in letteratura regni ancora assoluta incertezza sul loro effettivo utilizzo e sui materiali da marchiare; pertanto è impossibile attraverso la loro presenza avvalorare la pratica di un’attività economica più di un’altra, ma possiamo escludere alla luce del testo che servissero per bollare i mattoni di produzione imperiale che, almeno in quest’area, recano proprio il nome dell’Augusto e non dei lavoratori32.

Passando al settore Nord della regio, non dà indicazioni il signaculum CIL, XI, 6712,8, ritrovato in un orto a San Giuliano, che faceva parte dell’immediato suburbio della città, mentre è di prim’ordine la notizia inerente la fornace trovata nel corso del XVIII secolo lungo la valle dell’Uso, non lontano da Savignano sul Rubicone. Infatti, non stupisce affatto la localizzazione di una figlina nella fascia pedecollinare a Nord di Rimini, dove sono ben attestate sia dagli scavi archeologici sia dai documenti notarili di epoca medievale e moderna. È evidente che decisiva per l’installazione di questi opifici in ogni epoca fu la grande disponibilità delle materie prime fondamentali per il mattone cotto, acqua e argilla, che la natura del territorio offre, associata alla posizione extraurbana33.

Inoltre, la supposizione di proprietà imperiali nella valle dell’Uso, nell’entroterra fra Rimini e Cesena, obbliga a prendere in considerazione un documento tardo, la costituzione di Costanzo II che nel 354 d.C. obbligava i possessores di questo secondo centro a versare il loro tributo direttamente in vino, per garantire l’approvvigionamento dell’Urbe in un momento di difficoltà a causa di raccolti insufficienti34. Ormai i ritrovamenti anforici non lasciano più dubbi sul fatto che il prodotto romagnolo fosse consumato in notevole quantità nella capitale almeno a partire dalla fine del II secolo d.C., per cui è assolutamente legittimo ipotizzare che anche il fisco avesse interessi là, sulla base dei paralleli con altre zone di vitigni di grande diffusione35. Finora, però, non erano state riconosciute evidenze a supporto: anche a mio parere non ve ne sono di assolute, tuttavia l’antica fornace descritta dal Borghesi è situata in una fascia geografica di prima collina, in cui già in antico prosperava tale coltura, e in aggiunta a ciò la citata notizia dell’erudito savignanese riferisce del contestuale ritrovamento di “due diote da vino”, vale a dire anfore36; ovviamente è un indizio debolissimo e impreciso, che potrebbe anche ridursi a mera casualità, ma non stupirebbe per nulla il fatto che nello stesso fundus venissero prodotti il vino, i contenitori per trasportarlo e anche delle tegole, analogamente a quanto accadeva in gran parte delle tenute in quel contesto geografico e non solo. Benché ci si muova sempre nel campo delle ipotesi, l’idea che porzioni di territorio tra Rimini e Cesena fossero appannaggio del patrimonio imperiale induce a valutare ancora due testimonianze epigrafiche provenienti da quella stessa fascia geografica, ma lungo la costa, nel Comune di Bellaria-Igea Marina. Qui, in territorio incerto, con spazi lagunari retro-costieri ed alti morfologici atti all’insediamento, furono ritrovati l’iscrizione sepolcrale databile alla seconda metà del II secolo d.C. di un Caess(arum) nn(ostrorum duorum) verna per lui eretta da un liberto imperiale, Aurelius Paterculus, e un diploma militare per un veterano della flotta ravennate del 249 d.C.37. In primo luogo la presenza di due membri della familia Caesaris nello stesso documento è abbastanza significativa per il presente lavoro, perché potrebbe segnalare un rapporto nato nel contesto lavorativo, per così dire, presumibilmente situato presso il luogo di rinvenimento del documento, in secondo luogo l’attestazione vicina del marinaio congedato suggerisce automaticamente il confronto con la zona del Delta, simile per fisiografia, dove i saltus imperiali offrivano senza dubbio un contesto particolarmente favorevole per quanti dopo l’honesta missio si volessero insediare nel territorio, tentando di fare fortuna. Proprio per il contesto ecologico e conseguentemente produttivo molto simile, non posso escludere che per coerenza di gestione l’eventuale porzione di proprietà imperiali sita lungo la costa a Nord di Rimini pertenesse amministrativamente non alla regio Ariminensium, ma a quella di Ravenna e del Delta38. Quanto alle attività economiche dei militari al termine della ferma, in letteratura vi è un ampio spettro: quelle che permettevano di mettere a frutto competenze acquisite durante il servizio – ad esempio, nella zona intorno a Ravenna, la fabbricazione e la riparazione di vele e imbarcazioni –, il commercio, precipuamente rivolto alle esigenze degli stanziamenti militari, ma anche la coltivazione di appezzamenti di proprietà imperiale loro concessi per metterli a reddito39. In questo senso un altro indizio può consistere nella presenza dei militari nell’epigrafia cesenate e, in particolare, nell’attestazione di un altro veterano della flotta di origine siriaca, che si era stabilito con la moglie connazionale e aveva intessuto rapporti, come emerge dall’iscrizione sepolcrale della famiglia, di chiara fabbricazione ravennate, che costituisce un motivo in più per vedere quanto forti fossero rimasti i legami con la città della lunga ferma militare, proseguiti anche da attività economiche successive, visto che l’economia di Caesena era in gran parte funzionale al soddisfacimento delle necessità della base di Classe40. In conclusione, credo che questi pochi appunti segnalino la necessità di un’indagine più approfondita pure in seguito a eventuali nuovi rinvenimenti archeologici, ma allo stesso tempo si possa affermare che verosimilmente le proprietà imperiali che si è tentato di localizzare, comprese nella fascia di territorio tra Cesena e Pesaro, appartenessero alla regio Ariminensium – non sappiamo se siano sussistite tutte contemporaneamente – sia per la distanza contenuta sia in particolare per la coerenza sul piano ecologico ed economico, con le attività tipiche delle proprietà terriere, imperiali e non, site in pianura e bassa collina.

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  • Todisco, E. (1999): I veterani in Italia in età imperiale, Documenti e Studi 22, Bari.
  • Tonini, L. (1848): Rimini avanti il principio dell’era volgare, Rimini.
  • Tonini, L. (1870): Le figuline riminesi ordinate ed illustrate dal commend. dottore Luigi Tonini, Bologna.
  • Vitelli Casella, M. (c.s.): “Caratteri del popolamento nell’ager Ariminensis attraverso la documentazione epigrafica”, in: RURI c.s.
  • Zaccaria, C., ed. (1993): I laterizi di età romana nell’area nordadriatica, Cataloghi e monografie archeologiche dei Civici Musei di Udine 3, Roma.
  • Zaccaria, C. (2007): “Proprietà imperiali nel territorio aquileiese. Revisione dei documenti e problemi”, in: Proprietà imperiali 2007, 65-91.
  • Zerbini, L. (2007): “Militari e gestione dei saltus”, in: Proprietà imperiali 2007, 355-364.


Notes

  1. Quest’articolo rientra nell’attività dell’assegno di ricerca ‘La parte orientale della Regio VIII nel contesto adriatico: similarità e differenze con i territori contermini e con la sponda orientale del mare’ presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna. Desidero ringraziare la prof. Daniela Rigato per aver riletto questo testo, permettendomi di migliorarlo, i dott. Giovanni Assorati, Davide Redaelli e Manuela Mongardi per avermi dato utili suggerimenti.
  2. Crawford 1976; Maiuro 2012, 159-175. Analogamente Camodeca 2007, 143-145; Pupillo 2007, 391-394 e Zaccaria 2007, 65-67, cui si rimanda per la bibliografia metodologica.
  3. CIL,XI, 6337 = D. 1422 (add. III, p. 175) = Cresci Marrone & Mennella 1984, 229-231, n. 48 = EDR016018. Per la carriera del personaggio cfr. Pflaum 1960, 604-605, n. 228.
  4. Maiuro 2012, 326-331. Il passo è richiamato, ma scorrettamente riferito al 9 a.C. da Mansuelli 1941, 30, poi recentemente catalogato con la datazione giusta in Lenzi, ed. 2006, 153. Personalmente nutro qualche dubbio sulla correttezza dell’indicazione di Cassio Dione, perché, come osserva lo stesso Maiuro, la stessa notizia non è in Svetonio (Aug., 20), che parla solo di soggiorni di Augusto ad Aquileia, Milano e Ravenna per seguire più da vicino le campagne in Germania e Pannonia. A sostegno della scelta di Ravenna al posto di Rimini va citato il fatto che già nelle guerre combattute negli ultimi decenni del I secolo a.C. questa era stata base fondamentale della marina imperiale, come puntualizzato anche di recente da Šašel Kos 2012, nonché la circostanza che in quel periodoin quella città, in una proprietà imperiale, vennero relegati numerosi nemici, per cui cfr. le fonti catalogate in Lenzi, ed. 2006, 94 e il valore che Maiuro 2012, 165-166 attribuisce ad episodi del genere.
  5. Maiuro 2012, 212 afferma che l’attestazione del procurator privatae sia un “documento che, comunque lo si voglia interpretare, attesta l’avvenuto deciso allargamento nella Romagna delle pertinenze fiscali”, ma con Settimio Severo vi fu una complessiva riorganizzazione della proprietà imperiali e conseguentemente dei loro distretti, su cui cfr. Lo Cascio 2000, 133-149 e Id. 2003, 258-263.
  6. Sulla definizione della regio si indicano solo alcuni contributi recenti, cui si rimanda per la bibliografia precedente: Bollini 2007; Maiuro 2012, 173-174 (la citazione è tratta da p. 173); Maiuro 2014, 290-291; Faoro 2017, 185. Per la separazione dalle altre ripartizioni amministrative, oltre ai titoli succitati, cfr., ad esempio, Thomsen 1947, 147-149, 185-187.
  7. Preferisco lasciare qui da parte il caso del dispensator Herma, attestato da CIL, V,2385 = D. 1509, perché i distretti dei procuratori potrebbero essere stati diversi da quelli dei subordinati. Ampio ragionamento sulla particolarità dell’incarico si trova in Maiuro 2012, 329-330 con discussione della bibliografia, mentre Maiuro 2014, 290 parla proprio della “forte concentrazione fondiaria di beni del fisco in una regione relativamente ristretta” come ratio istitutiva di una regio.
  8. CIL, XI, 466; 553 = IG, XIV, 2253 (liberti); CIL, XI, 6379a (schiavo).
  9. CIL, XI, 6712,7-9 (schiavi) = nn. 1, 2, 32 del catalogo di Piolanti 1978-1979 = nn. 9, 12, 32 del catalogo di Buonopane 2014.
  10. Maiuro 2012, 164 parla invero della familia Caesaris come indizio forte che consente di fare ipotesi sulla presenza della proprietà imperiale, che prendono maggior valore “se altri indizi o spie concorrono nella stessa direzione”, ma in questo caso non è più un indizio, essendo affiancata a quelle che egli definisce “testimonianze dirette e inequivocabili” (ibid., p. 160).
  11. Maiuro 2012, 165, 335 (per i veterani nel Delta).
  12. CIL, XI, 557 = EDR105923 (Cesena); CIL, XI, 6720,1 (Rimini).
  13. Ravara Montebelli 2007, 61-62, 147-148, n. 21 = n. 19 del catalogo di Buonopane 2014.
  14. CIL, XI, 534 (verna e liberto).
  15. Così, ad esempio, Manacorda 2000, 142-143; Lo Cascio 2005, 99-100; Camporeale 2008, 204-206.
  16. Per questi laterizi cfr. Righini et al. 1993, 57-62 (con elenco degli esemplari); Righini 2007, 316-318. Al catalogo di Righini et al. 1993 va aggiunto un bollo di Commodo rinvenuto nel Borgo San Giuliano di Rimini nel 1993, su cui Biordi 2000, 98-101, n. 4 del catalogo annesso.
  17. Tonini 1870, 21.
  18. Stoppioni, ed. 1993, 135-143, con disamina delle proposte avanzate dal Tonini; Biordi 2000, 98-100; Righini 2007, 318; Righini 2010, 15.
  19. Per gli altri esemplari recanti questo bollo cfr. ancora Righini et al. 1993, 39.
  20. Sull’iscrizione cfr. Donati 1981, 168-169, n. 66. Per la provenienza Tonini 1848, 321, n. 75.
  21. Per l’iscrizione e la sua datazione cfr. Susini 1963, 281-283, n. 2, da cui la citazione. La provenienza da Rimini è dichiarata da Tonini 1848, 312, n. 53.
  22. Per l’iscrizione e la sua datazione cfr. Cresci Marrone & Mennella 1984, 309-311, n. 91.
  23. Per i rapporti tra la casa imperiale e la comunità di Pisaurum e la supposta presenza di beni, oltre al titolo citato alla nota precedente, cfr. Agnati 1999, 162-174; Maiuro 2012, 328. Per la carriera di M. Arrecinus Clemens cfr. PIR2 A, 1072. È opportuno ricordare, però, che egli fu riabilitato ben presto dopo la morte di Domiziano e che quindi i discendenti potrebbero essere stati reintegrati nel possesso dei beni: in merito cfr. Mennella 1981.
  24. Per i possedimenti e gli interessi della famiglia ad Ariminum cfr. da ultimo Mongardi 2019 con ampia bibliografia. Per i frequenti legami tra le società di Ariminum e Pisaurum cfr. Cresci Marrone & Mennella 1984, 75.
  25. Per il rapporto privilegiato tra Ariminum e i Giulio-Claudi e i successivi imperatori oltre a Maiuro 2012, 327-328 cfr. Ortalli 2003, 89-97.
  26. CIL, XI, 6712,7; Ravara Montebelli 2007, 147-148, n. 21.
  27. Buonopane 2014, 145-146.
  28. Discussione dell’ampia bibliografia sul tema in Vitelli Casella c.s.
  29. In particolare su San Pietro in Cotto, ma anche sul popolamento nell’area a Sud di Rimini e per le sue potenzialità economiche cfr. Cirelli, ed. 2014. Su questo tema cfr. anche Fontemaggi & Piolanti 1995, 536-542 (con annessa carta archeologica), Fontemaggi & Piolanti 1998, 63-119, che a p. 95 considerano il signaculum come evidenza di proprietà imperiali, Ravara Montebelli 2007, 120-131, Rigato & Vitelli Casella 2019, che si estende a tutta la costa della regio VIII. Sulle figlinae della porzione meridionale dell’ager Ariminensis e sul loro collegamento con le produzioni agricole cfr. Stoppioni, ed. 1993, 39-44, 93-98.
  30. Per le trasformazioni economiche nell’area che portarono all’allargamento delle proprietà in età imperiale cfr. Susini 1982a, 141-142.
  31. Varro, Rust., 1.2.7; Col., Rust., 3.3.2-3.
  32. Per l’impiego dei signacula cfr. da ultimo Baratta 2014, 103-108 e Mayer i Olivé 2014, 20-33, che si sofferma anche sulla presenza degli schiavi in queste iscrizioni. Sul loro utilizzo nei fondi rustici degli imperatori cfr., ad esempio, la situazione della regio IV in Segenni 2007, 129-131 che parla di diversi generi alimentari; più specificamente, per il loro impiego a Rimini e nei dintorni in connessione alle attività economiche cfr. Giovagnetti 1978-1979.
  33. Sulla produzione laterizia a Santarcangelo e sulla disponibilità delle materie prime cfr. su tutti Stoppioni, ed. 1993, 47-90. Più in generale sulla diffusione delle figlinae nelle colline emiliano-romagnole, cfr. Gualandi Genito 1983 e Rigato 2010.
  34. Così Cod. Theod. 11.1.6, nell’interpretazione più diffusa, data da Cracco Ruggini 1998, che ribadisce una sua precedente posizione. In dissenso Neri 1982, il quale non vede Caesena come destinataria di quella costituzione, ma tutte le città annonarie; ciononostante ritiene plausibile la presenza di interessi fiscali nella vitivinicoltura in Romagna, già ben sviluppata. Sulle difficoltà dei raccolti cfr. Neri 1982, 163-164.
  35. Per il consumo di vino romagnolo della capitale e l’interesse imperiale in questo settore cfr. Maiuro 2012, 216-223, con le osservazioni di Rizzo 2014, 126-129, 402. Più in particolare su Cesena, Maiuro 2012, 330-331 appare dubbioso “sull’origine della vocazione produttiva vinicola della città”, ma credo che in merito sia opportuno richiamare la testimonianza di Plin., HN., 15.67.
  36. Gualandi Genito 1983, 461 intende le diote ritrovate come anfore.
  37. Rispettivamente, CIL, XI, 534; 373. Per un’analisi più dettagliata delle iscrizioni cfr. Giovagnetti 1993. Per la formula ‘Caesarum nostrorum duorum’ come elemento datante ad un periodo successivo al 161 d.C. cfr. Chartraine 1967, 259-262, che cita anche CIL, XI, 534.
  38. Sulla coerenza come criterio cui si improntava l’amministrazione delle proprietà imperiali cfr. Maiuro 2012, 330 (con riferimento alla regio VIII), 347, ripreso in Maiuro 2014, 290-291.
  39. Sul tema Ortalli 2007, 252-255, ma soprattutto Zerbini 2007, che insiste sull’ultima opzione, connettendola all’interesse rivolto da vari imperatori del II secolo d.C. per il rilancio della produzione agricola italica. In questa direzione vanno anche Todisco 1999, 216-217, 238-245 e Maiuro 2012, 268, che parla di Anzio, ma estendendo il discorso anche al contesto ravennate.
  40. CIL, XI, 352 = EDR105923. Per le interconnessioni socioeconomiche tra Caesena e Ravenna cfr. tra gli altri Sabattini 1982, 152-155 e Susini 1982b, 124-126.
ISBN html : 978-2-35613-407-3
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Article de colloque
EAN html : 9782356134073
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ISBN pdf : 978-2-35613-408-0
ISSN : 2741-1818
Posté le 30/07/2021
10 p.
Code CLIL : 4117 ; 3385
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Licence ouverte Etalab

Comment citer

Vitelli Casella, Mattia (2021) : “Testimonianze epigrafiche per una sintesi sulla proprietà imperiale nel territorio riminese”, in : Rigato, Daniela, Mongardi, Manuela, Vitelli Casella, Mattia, a cura di Adriatlas 4. Produzioni artigianali in area adriatica: manufatti, ateliers e attori (III sec. a.C. – V sec. d.C.), Pessac, Ausonius éditions, collection PrimaLun@ 8, 2021, 255-264, [En ligne] https://una-editions.fr/sintesi-epigrafiche-sulla-proprieta-imperiale-nel-territorio-riminese/ [consulté le 23 juillet 2021].
10.46608/primaluna8.9782356134073.13
Illustration de couverture • Particolare della stele del faber P. Longidienus, Museo Nazionale di Ravenna. DOI
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