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Produzioni artigianali in area adriatica: manufatti, ateliers e attori (III s. a.C.–V s. d.C.).
Introduzione generale

di

Come è noto, le ricerche sulle attività manifatturiere e artigianali hanno conquistato un posto sempre più rilevante negli studi sull’economia romana a partire dagli ultimi decenni del XX secolo, con una crescita significativa di indagini mirate e articolate nell’ultimo ventennio1. Si è così superata progressivamente la visione, a lungo dominante in letteratura, che tendeva a relegare manifattura e artigianato a un’appendice delle attività agricole2 e a concentrare la discussione sul binomio campagna/città, intendendo la prima come il luogo della produzione e la seconda come il luogo del consumo3. Non è un caso, perciò, che proprio la diversa valutazione del peso delle produzioni artigianali e dell’impatto economico della loro commercializzazione sia stato uno dei nodi centrali di quell’‘academic battleground’4 che è stato il dibattito tra primitivisti e modernisti, che ha contraddistinto (forse troppo a lungo) una parte rilevante della storiografia del Novecento sull’economia antica5. Solo negli studi dell’ultimo trentennio si è operata un’opportuna revisione dei rigidi, e in fondo sterili, modelli economici proposti in precedenza6 e si è gradualmente posta la questione se e in che misura l’economia antica potesse (almeno per alcune produzioni e per alcune aree) essere considerata ‘proto-industriale’ e se vi si potessero riconoscere i caratteri di una ‘economia di mercato’7.

Ciò è stato possibile soprattutto grazie al profondo cambiamento concettuale e metodologico della ricerca archeologica – anche e forse soprattutto per impulso della scuola archeologica italiana – che ha portato l’attenzione delle indagini sui manufatti e conseguentemente sulle strutture che li hanno prodotti, trasformati e diffusi, nelle città antiche, entro la cinta urbana e nel suburbio, e nei loro territori: fornaci per laterizi, anfore, ceramica e lucerne, impianti di fusione per metalli e vetro, officine lapidarie, fulloniche, forni per il pane, frantoi e torchi, botteghe, magazzini, mercati.

Fondamentale per tentare di vedere concretamente “in quale punto dell’ampio spettro dei sistemi economici preindustriali l’economia antica si collochi e che cosa la distingua dal grado di sviluppo raggiunto da economie preindustriali successive”8 e per uscire “dall’improduttiva contrapposizione di primitivismo e modernismo”9 è stato il rinnovato interesse (dopo decenni di semiabbandono) per la raccolta, la schedatura e lo studio dei manufatti. Inoltre, grazie alle numerose ricerche sull’instrumentum domesticum inscriptum, fonte insostituibile di informazione sulla proprietà, la conduzione e l’organizzazione dei processi produttivi e sui sistemi di commercializzazione10, l’economia romana è apparsa essere sempre più una ‘inscribed economy’11 e la produzione artigianale, connotata più che altre dalla presenza di manufatti iscritti, ha progressivamente trovato il suo posto nell’articolato e complesso sistema dell’economia romana. Tali ricerche hanno fornito la base per importanti considerazioni sull’organizzazione interna e sugli aspetti giuridici dell’artigianato romano12 e ulteriori apporti sono venuti anche da un’attenta rilettura delle fonti letterarie, epigrafiche e iconografiche relative agli antichi mestieri13. Un processo innovativo che però ha tardato a essere recepito, se si considera, ad esempio, che la documentazione archeologica non venne ancora neppure menzionata come fonte nella sintesi sull’artigianato antico pubblicata nel 1998 in Der Neue Pauly14.

In definitiva, la ricerca sull’economia antica è progressivamente uscita da una fase di interpretazioni modellistiche e spesso impressionistiche, fondate su fonti scarse e disomogenee e su una quantità non rilevante di dati selettivi e disaggregati, che portava a sottovalutare le attività artigianali e manifatturiere, la cui l’incidenza a diversa scala sull’economia cittadina, regionale e globale del mondo romano risulta sempre più evidente grazie all’incremento significativo dei dati e alla loro aggregazione per tipologie e per aree. Badando però di non scivolare in atteggiamenti ‘neopositivisti’ o di adottare come strumento di conoscenza una sorta di ‘antropologia utilitarista’ fondata sull’apparente concretezza e oggettività del dato archeologico15.

Negli studi recenti sono stati perciò di volta in volta considerati: la crescita produttiva in generale o almeno di alcune città in età imperiale16; l’esistenza di una rete di mercati interdipendenti17 e di un solido sistema monetario18, sostenuti da una efficace ‘razionalità economica’19; l’importanza delle attività non agricole20 e del commercio legato all’edilizia21; il peso degli interventi statali sulle attività economiche22; il ruolo dell’esercito nella produzione, il trasporto e il consumo di beni23. Molti studiosi si sono chiesti se l’economia di età imperiale, almeno in alcune regioni24, possa essere considerata in certa misura una ‘market economy’25, con caratteri ‘proto-industriali’26. Altri hanno adottato il modello della ‘new institutional economics’: le concentrazioni di ricchezza e le trasformazioni delle produzioni sarebbero state il risultato delle condizioni politiche create dall’Impero, piuttosto che fenomeni economici frutto del libero mercato27. Recentemente il commercio romano è stato considerato una combinazione di caratteristiche ‘primitive’ non mercantili e di una ‘moderna’ mentalità di mercato28.

Proprio questa pluralità di approcci dovrebbe mettere in guardia contro ogni ipotesi di generalizzazione e di riproposizione di modelli assoluti. Nell’affrontare la ricerca, dunque, è necessario tener conto della diversità e specificità dei contesti studiati (ad es. fig. 1): tipo di città (fondazione romana o centro preesistente con tradizioni locali), posizione e risorse del territorio, esistenza di una rete di comunicazioni (terrestri, marittime e fluviali), distribuzione e gerarchia degli insediamenti non urbani e loro funzione e relazione con i centri egemoni, posizione strategica rispetto alle dinamiche di espansione dello Stato romano, fattori strutturali e/o occasionali di aumento dei consumi e di conseguente propulsione delle attività produttive (presenza stabile o saltuaria dell’esercito, apertura di nuovi mercati). Per avere una risposta dalle fonti, inoltre, sono da tenere presenti anche altri elementi, mutevoli nel tempo: rapporto tra proprietà terriera e proprietà degli impianti, tipo di conduzione delle strutture produttive (diretta da parte del proprietario terriero o indiretta nelle forme di contratti di locatio/conductio), identità o meno tra produttori e commercianti, partecipazione della res publica alle attività artigianali e manifatturiere, partecipazione dell’imperatore accanto agli imprenditori privati, singoli o consociati in forme collegiali o attraverso reti di clienti e amici. Questo tanto più quando si prendono in esame realtà economiche di determinate aree geografiche, che è appunto l’argomento specifico di questa tavola rotonda, dedicata alle produzioni artigianali in area adriatica, con particolare focus sui manufatti, gli ateliers, gli attori.

Contesti produttivi in Dalmazia (da Lipovac Vrkljan & Konestra 2018).
 Fig. 1. Contesti produttivi in Dalmazia (da Lipovac Vrkljan & Konestra 2018).

Non possiamo però affrontare il tema di questo incontro senza ricordare l’importante contributo dato allo sviluppo della ricerca sulla produzione artigianale in epoca romana da Sara Santoro, che troppo presto ci ha lasciato, la quale agli inizi di questo millennio ha coordinato insieme con Michel Polfer il progetto europeo CRAFTS–Structure, implantation et rôle économique de l’artisanat antique en Italie et dans les provinces occidentales de l’Empire romain29, curando in particolare il gruppo di ricerca italiano denominato P.A.A.R–Produzione artigianale romana nell’Italia settentrionale30. I contributi nati da questo progetto hanno aperto piste di ricerca che hanno dato i loro frutti negli anni successivi, a partire dalla metodologia messa a punto per la raccolta dei dati, per la cui organizzazione sistematica fu creato il database Volcanus, “strumento di grande efficacia nella normalizzazione dei criteri analitici e descrittivi, che è uno dei nodi fondamentali della ricerca svolta in grandi équipe”31.

Come accennato, il gruppo di ricerca diretto da Sara Santoro si concentrò sull’Italia settentrionale in età romana e si dedicò “alla raccolta sistematica dei dati editi, riferibili agli indicatori della produzione artigianale, suddivisi per aree municipali antiche per un arco cronologico che va dal III sec. a.C. al VI secolo d.C.”. Sono stati considerati come indicatori significativi: “le fonti epigrafiche e letterarie che citano esplicitamente attività produttive legate a un luogo o a un’area”; “le fonti archeologiche riferibili a strutture (impianti produttivi), e materiali (strumenti di lavorazione, scarti e residui di lavorazione, prodotti semifiniti, prodotti di sicura fabbricazione locale sulla base di indicazioni archeometriche o distributive”.

Come si può ben vedere erano indicate con grande semplicità e lucidità le basi concettuali, organizzative e strumentali per una ricerca di ampio respiro – come è quella del progetto che qui ci riunisce – che può e deve far tesoro anche di un importante monito che ci viene ancora da Sara Santoro, la quale osservava che i dati che si raccolgono in queste imprese non provengono sempre (ed è logico che sia così) da una nostra analisi diretta e sono pertanto il frutto di una selezione e anche di un’interpretazione operate da altri studiosi. Ne risulta la necessità nell’inserire i dati nei nostri database di esplicitare sempre la fonte del dato e possibilmente i criteri della raccolta e dell’interpretazione.

È, inoltre, evidente che ogni ricerca deve partire dall’individuazione degli indicatori, diretti e indiretti di attività artigianali (fig. 2), per i quali si è proposta una classificazione gerarchica mettendo in evidenza le specificità relative alle diverse produzioni32. In sintesi, tra gli indicatori archeologici diretti vanno ovviamente considerate al primo posto le istallazioni fisse (fornaci (figg. 3-4), forge, cave, botteghe artigiane), seguite dai residui e dagli scarti di produzione (fig. 5) e dalla presenza di materie prime o di attrezzi e utensili. Indicatori indiretti sono, invece, le fonti letterarie, epigrafiche (figg. 6-7), iconografiche (figg. 8-10), che suggeriscono la presenza di determinate produzioni anche se le strutture produttive non sono precisamente localizzabili.

Al fine di individuare gli elementi utili alla nostra ricerca e alla realizzazione dello strumento conoscitivo condiviso rappresentato dall’AdriAtlas proviamo a partire, adattandole al nostro specifico oggetto di ricerca, da alcune domande, che troviamo già ben formulate in alcuni spunti di riflessione proposti da Giuliano Volpe in apertura al volume che raccoglie gli atti delle Giornate Gregoriane tenutesi ad Agrigento nel 2016 sul tema La città che produce33. Le ripropongo qui come utili linee guida per le nostre indagini.

  • Che cosa: i manufatti, classificati per tipologia di produzione (domestica, manifatturiera, industriale) e per qualità (corrente, di serie, di lusso), tenendo anche in conto le possibili imitazioni e contraffazioni.
  • Dove: ubicazione degli ateliers, conosciuti o supposti, distinguendo i diversi contesti produttivi (città, suburbio o campagna) con attenzione alle concentrazioni di attività produttive in particolari aree, alle loro associazioni a ville o insediamenti secondari, alle trasformazioni delle produzioni nel corso del tempo e alla loro eventuale delocalizzazione.
  • Come: approvvigionamento delle materie prime e delle fonti energetiche, trasferimento di saperi artigianali, tecniche e strumenti, forme di organizzazione del lavoro.
  • Chi: i proprietari, gli officinatori, i lavoratori, con attenzione alla condizione giuridica, allo statuto socioeconomico e al sesso degli artigiani (liberi, liberti, schiavi; imprenditori, lavoratori dipendenti, specializzati, occasionali, uomini o donne) e alle associazioni di mestiere (collegi).
  • Per chi: acquirenti e committenza; consumo locale o diffusione sul mercato, regionale o mediterraneo.

Manufatti, ateliers, attori delle produzioni artigianali. Sono queste le piste individuate dagli organizzatori di questo incontro, che, come quelli precedenti, ha come riferimento il progetto AdriAtlas: Atlas informatisé de l’Adriatique antique (1100 a.C.–751 p.C.), con il suo database e il suo geoportale interattivo34. È con l’occhio a questo strumento, alla sua implementazione e alla sua utilizzazione che ritengo che vada affrontato qui il tema delle produzioni artigianali in area adriatica.

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Notes

  1. In generale si vedano: Mannoni & Giannichedda 1996; Garnsey & Whittaker 1998; Polfer, ed.1999; Greene 2000; Meylan Krause 2001; Morel 2001; Polfer, ed. 2001; Raepsaet 2002; Rivet & Sciallano, ed. 2002; De Sena & Dessales, ed. 2004; Polfer, ed. 2005; Archibald et al., ed. 2005; Morel 2008; Picon 2008; Caminneci et al., ed. 2018; in particolare sulla Cisalpina: Lavizzari Pedrazzini 1998a; Ead. 1998b; Brogiolo & Olcese, ed. 2000; Commerci e produzione 2001; Santoro, ed. 2004; sull’area alpina e prealpina: Besozzi 2004; sulla Liguria: Sandrone 2003; sulla Venetia orientale: Cresci Marrone & Tirelli, ed. 2003; su Padova: Bodon & Riera 1998; su Brixia: Bianchi 2004; su Roma: Coarelli 2015; Panella 2015.
  2. Per un superamento di questa prospettiva si vedano Andreau 1999 e i contributi editi in Mattingly & Salmon, ed. 2001.
  3. Finley 1977; discussione in Whittaker 1990; Erdkamp 2001.
  4. Hopkins 1983, ix.
  5. L’impostazione “modernista” in Rostovtzeff 1933; la risposta “primitivista” in Finley 1973. Messe a punto sul dibattito, con ricca bibliografia, in Harris 1993a; Bang 1997; Strobel 2000; Polfer 2001. Si vedano in particolare le discussioni critiche di M. Picon (Picon 2008) sulla ripresa della tesi “primitivista” da parte di A. Schiavone (Schiavone 2003), di J. Maucourant (Maucourant 2008) su recenti posizioni “neomoderniste” e “neoprimitiviste” e di Z.H. Archibald (Archibald 2005) per l’età ellenistica.
  6. Si segnalano le equilibrate considerazioni in Pleket 1990; Pleket 1998. Vedi anche i punti di vista di J. Andreau (Andreau 2006) e di E. Lo Cascio (Lo Cascio 2006).
  7. Si vedano, ad esempio, alcuni recenti contributi sintetici (ove ulteriore bibliografia): Strobel 2000; Polfer 2001; Dark 2001; Drexhage, Konen & Ruffing 2002; Archibald 2005; Sartre, ed. 2007; Roman & Dalaison, ed. 2008.
  8. Pleket 1990.
  9. Panciera 1993.
  10. IILatPécs 1991; IILatAquileia 1992; Harris, ed. 1993; Epigrafia della produzione 1994.
  11. Harris, ed. 1993.
  12. Manacorda 1985; Strobel 1987; Id. 1992; Aubert 1994; Fülle 1997; Wieling 2000; Aubert 2005; Marcone 2005.
  13. Sulle denominazioni dei mestieri vedi Petrikovits 1981a; Id. 1981b; Pavis d’Escurac 1990; Frézouls 1991. Sulle rappresentazioni figurate vedi Zimmer 1982; Chevallier 1997; Béal 2000; Larsson Lovén 2000; Ead. 2001. Sui termini riguardanti le figuline vedi Rossi Aldrovandi 1997; per uno studio a carattere regionale Cristofori 2004.
  14. Burford-Cooper 1998.
  15. Maucourant 2008, 33.
  16. Hopkins 1978; Scheidel 2007; Id. 2009a; Id. 2009b; Wilson 2009b; Scheidel & Friesen 2009.
  17. Discusso in Temin 2001.
  18. Si vedano i contributi in Harris, ed. 2008.
  19. Rathbone 1991; Id. 2007.
  20. Manning 1987; Garnsey & Whittaker 1998; Polfer, ed. 1999; Greene 2000; Aubert 2001; Polfer, ed. 2001; Mattingly & Salmon, ed. 2001; Raepsaet 2002; Polfer & Pernet 2004; De Sena & Dessales 2004; Polfer, ed. 2005; Lo Cascio, ed. 2006; Polfer 2006.
  21. Fondamentali i saggi raccolti in Ward-Perkins 1992; inoltre Barresi 2000; Id. 2003.
  22. Lo Cascio 1994; Bagnall 2000; Kolb 2002; Harris 2003; Salmeri 2005; Hopkins 2009; Storchi Marino & Merola, ed. 2010.
  23. Middleton 1983; Wierschowski 1984; Bishop, ed. 1985; Remesal Rodríguez 1986; Wells 1992; Boppert 1994; Remesal Rodríguez 1995; Id. 1997; Hanel 1999; Fischer 2000; Wierschowski 2001; Onken 2001; Erdkamp, ed. 2002; Remesal Rodríguez 2002a; Id. 2002b; Carreras Monfort 2002; Id. 2004; Id. 2006; Carlà 2007; Egri 2008.
  24. Middleton 1980; Levick 2004; Mitchell & Katsari, ed. 2005; Vos et al. 2009.
  25. Harris 1993b; Temin 2001; Banaji 2002; Roman & Dalaison 2008; Tchernia 2011.
  26. Dark 1996; Ead. 2001; Whittaker 2002.
  27. North 1990; Kehoe 1997; Lo Cascio 2000; Kehoe 2006a; Id. 2006b; Lo Cascio 2006; Govantes-Edwards 2006-2007; De Ligt 2007; Bang 2009; Lo Cascio 2017.
  28. Bang 2006; Id. 2007; Id. 2008; Silver 2009.
  29. Polfer & Pernet 2004.
  30. Santoro 2005.
  31. Santoro & Olari 2004.
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  33. Volpe 2018.
  34. Consultabili all’indirizzo: Adriaticum Mare.
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Posté le 30/07/2021
16 p.
Code CLIL : 4117 ; 3385
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Comment citer

Zaccaria, Claudio (2021) : “Produzioni artigianali in area adriatica: manufatti, ateliers e attori (III s. a.C.–V s. d.C.). Introduzione generale”, in : Rigato, Daniela, Mongardi, Manuela, Vitelli Casella, Mattia, a cura di Adriatlas 4. Produzioni artigianali in area adriatica: manufatti, ateliers e attori (III sec. a.C. – V sec. d.C.), Pessac, Ausonius éditions, collection PrimaLun@ 8, 2021, 15-30, [En ligne] https://una-editions.fr/adriatlas-4-introduzione/ [consulté le 23 juillet 2021].
doi.org/10.46608/primaluna8.9782356134073.2
Illustration de couverture • Particolare della stele del faber P. Longidienus, Museo Nazionale di Ravenna. DOI
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