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Maximum uero populi Romani iudicium uniuersi consessu gladiatorio declaratum est (Cic., Sest., 124): osservazioni sull’identità del pubblico degli spettacoli tra tarda Repubblica e inizio del Principato

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Il tema dell’identità del pubblico degli spettacoli è in genere taciuto o eccessivamente semplificato da parte dei vari autori antichi, appartenenti per lo più all’élite. La lettura dei passi pertinenti potrebbe generare l’impressione di un costante riferimento generico all’intero corpo civico, in alcuni casi, oppure alla plebe nel suo complesso, in altri, poiché compaiono nomi collettivi ed espressioni generiche, sovente utilizzati come sinonimi, che sembrano precludere la possibilità di rintracciare la presenza di più gruppi e sottogruppi all’interno dell’uditorio1. Infatti, nelle fonti che fanno riferimento al pubblico presente in occasione di ludi e munera, i termini adoperati in lingua latina sono generalmente populus (Romanus, uniuersus) – uniuersitas populiuniuersiplebsmultitudouulgusturba – consessus – theatrum – totum theatrum – circus, mentre in lingua greca ricorrono πλῆθος – δῆμος – ὄμιλος – ὄχλος – οἱ δὲ ἐν Ῥώμῃ. Come ben noto, secondo le definizioni riportate da Aulo Gellio e da Gaio, il sostantivo populus denotava l’insieme del corpo civico (senatori, cavalieri, plebe) dal punto di vista giuridico, mentre plebs i cittadini romani che non erano ricompresi nei due ordines superiori. In molti casi, però, plebs e populus, sia in età repubblicana sia in quella imperiale, erano usati come sinonimi dai vari autori, che si avvalevano del semema populus non più nell’accezione tecnico-giuridica, ma in quella di insieme di coloro che non appartenevano né al ceto senatorio né a quello equestre o di folla2. In maniera analoga il sostantivo δῆμος, equivalente di populus, indicava l’intero corpo civico, ma era impiegato anche per riferirsi alla sola plebe urbana. I termini multitudo, uulgus, turba, ὄμιλος, ὄχλος, πλῆθος, erano utilizzati in relazione sia alla plebe sia alla folla nella sua composizione eterogenea; al contempo uulgus poteva essere adoperato in senso peggiorativo, con un evidente giudizio morale, per designare la folla il cui comportamento era improntato a irrazionalità e violenza3. Anche il sostantivo turba non era utilizzato con una peculiare valenza sociologica o giuridica, per denotare sempre la plebe infima o un altro specifico raggruppamento della popolazione a Roma; poteva avere il significato di folla composta da uomini e donne di tutte le categorie sociali, spesso con un aggettivo o un genitivo che ne determinava la composizione, oppure di tumulto/sedizione in riferimento al comportamento del uulgus4. A queste difficoltà semantiche va ad aggiungersi il fatto che la connotazione del pubblico degli spettacoli è spesso condizionata dall’opinione personale di chi scriveva5.

In questo contributo si intende prendere in esame le principali fonti letterarie relative al periodo intercorrente tra il 67 a.C. e il 14 d.C., nelle quali vengono menzionati gli spettatori che assistevano a ludi e munera e le loro reazioni in relazione ad avvenimenti specifici e a determinati personaggi politici, per cercare di ricostruire l’identità dell’uditorio e i vari strati sociali in esso ricompresi, tenendo conto dell’apporto degli studi sulla plebs6, sulla media plebs7, sulla formazione dell’opinione pubblica8. Gli scritti di Cicerone in particolare contengono molteplici riferimenti al pubblico degli spettacoli, così come considerazioni sul valore del suo giudizio e sulle differenti forme di manifestazione di quest’ultimo in relazione alla complessa e convulsa vita politica tardo-repubblicana. Si è considerato opportuno iniziare la disamina dall’anno dell’approvazione della lex Roscia theatralis, che sancì la separazione dei posti per i cavalieri da quelli della plebe e fu duramente contestata9, e arrestarla alla fine del principato augusteo, quando la differenziazione dei posti a sedere era oramai complessa e minuziosamente definita in seguito all’emanazione della lex Iulia theatralis. Giova ricordare che nel 63 a.C., durante la pretura di L. Roscio Otone, nel pubblico presente in teatro si distinsero due gruppi con opinioni divergenti nei confronti della norma e del suo responsabile: da un canto i cavalieri che erano a favore e applaudivano fragorosamente Roscio (ἱππεῖς, ὑπέλαβον κρότῳ) e dall’altro la plebe che contestava con fischi e in seguito ingiurie (δῆμος, ἐσύριττεν). Soltanto l’intervento di Cicerone pose fine al disordine che si era venuto a creare e ripristinò la concordia10. L’analisi della composizione dell’uditorio e delle reazioni ai messaggi veicolati durante gli spettacoli (o al di fuori di essi) in questo periodo si rivela interessante poiché si verificarono molteplici manifestazioni di sostegno o di forte dissenso nei confronti dei protagonisti della scena politica, proteste verso provvedimenti legislativi, irruzioni in teatro, richieste da parte di specifici gruppi; inoltre l’ambientazione di diversi episodi in strutture temporanee allestite per i munera consente di formulare qualche considerazione sui settori dai quali arrivavano le dimostrazioni di favore o disapprovazione e, dunque, sulla condizione sociale degli spettatori coinvolti.

Alcuni dei passi presi in esame sono ben noti, ma ritengo che possano fornire ulteriori spunti di riflessione a proposito dell’eterogenea composizione dell’uditorio e riguardo ai suoi sottogruppi con differenti orientamenti e opinioni, se analizzati considerando il discorso specifico nel quale i sememi succitati sono impiegati con il relativo contesto storico e comparando l’uso fattone in altri passi e opere dello stesso autore o di autori diversi. Del resto in molti dei momenti più significativi della vita politica della tarda repubblica si costituirono differenti gruppi di opinione pubblica, che manifestavano la loro posizione durante gli spettacoli e dovevano essere ben visibili e udibili all’organizzatore dei giochi, ai magistrati e a tutta la comunità romana riunita per l’occasione, così come si palesavano anche nel Foro, nelle contiones e nei compita11. L’élite e gli strati infra-elitari si mescolavano in molti luoghi ed eventi, quali spettacoli, quartieri, strade, Foro e talvolta taverne, per quanto Cicerone voglia presentare un quadro di un’aristocrazia politica distaccata, che non condivideva spazi e occasioni di socialità con le persone comuni12.

Populus – totum theatrum – consessus: eterogeneità del pubblico

In una serie di passi di Cicerone, riferibili agli spettacoli allestiti dal 59 al 44 a.C., sovente si fa riferimento al pubblico e alle theatri significationes, che dall’arpinate erano ritenute fondamentali per comprendere quale fosse l’opinione pubblica riguardo ai protagonisti della scena politica, alle leggi, ai mutamenti delle alleanze, alla politica interna così come estera. Per alcuni di essi, collegandoli con altri luoghi dello stesso autore, nei quali sono menzionati gruppi ben precisi che manifestano il loro supporto o la loro disapprovazione per Cesare, Pompeo, Clodio, i cesaricidi, è possibile identificare diverse componenti all’interno dell’uditorio, quali i primi due ordines, gli equites, la iuuentus, la media plebs, la plebs urbana, i soldati, gli schiavi, sebbene il pubblico sia indicato con i sememi populustotum theatrumconsessusturba.

Per l’estate del 59 a.C., anno tempestoso in riferimento al quale Cicerone ringrazia Attico per avergli fornito, nelle sue missive, un quadro preciso attraverso la presentazione della uarietas sermonum opinionumque, che lui stesso immaginava caratterizzare la vita dell’Urbs13, l’arpinate parla di un dissenso crescente nei confronti dei triumviri da parte del popolo14. In una lettera ad Attico datata alla metà di luglio, mette in rilievo che l’opinione del popolo (populi sensus) poteva essere verificata a teatro e durante gli spettacoli. Per i munera, organizzati alla metà del mese, si citano i fischi (sibilis) nei confronti di Pompeo, senza alcuna precisazione dei loro autori15. Nella stessa epistola, nelle righe precedenti, l’oratore però puntualizza che i populares avevano insegnato a fischiare (sibilare) persino ai modesti homines16. A chi si sta riferendo? Ai moderati, alla plebs media o a quella infima? Mi sembra che in questo caso, forse non debitamente preso in considerazione negli studi, con l’espressione modesti homines Cicerone stia facendo riferimento alla plebs media, non agli infimi che avevano già questa abitudine. La presenza di iam etiam mi pare confermarlo. Modestus è uno degli aggettivi che, insieme a mediocris e modicus, può essere messo in relazione con il sintagma media plebs, come ricostruito in contributi recenti da A. Angius17. Se la mia osservazione coglie nel segno, potremmo individuare qui un gruppo economico-sociale specifico all’interno del pubblico del munus, che esprime la sua disapprovazione fischiando. L’organizzatore dei giochi e i più eminenti uomini politici erano in grado di comprendere quindi quale fosse l’orientamento di una parte ben identificabile della plebe. Durante i ludi Apollinares (6-13 luglio) fu manifestato dissenso nei confronti di Cesare e di Pompeo. Tali ludi erano finanziati da A. Gabinio, fedelissimo di Pompeo, il quale, come era costume, dovette tentare di controllare l’organizzazione degli spettacoli e anche i possibili messaggi veicolati, scegliendo i drammi e gli attori. Tuttavia ciò non bastò a eliminare tutti i rischi di una politicizzazione, tanto che Pompeo, in quel momento più impopolare rispetto agli altri due triumviri, fu contestato18. Infatti fu colpito dagli strali di Difilo e totum theatrum manifestò la sua approvazione al contenuto di tali versi19; quindi tutti i gruppi sociali presenti, non la sola plebe, recepirono il messaggio dell’attore e reagirono di conseguenza. Cicerone presenta il malcontento come generale e, per riferirsi al pubblico che lo esplicita, si avvale del termine populus e del sintagma totum theatrum. Nonostante ciò, come scrive anche C. Courrier, l’identificazione di tale uditorio (populus) è delicata, trattandosi in maniera palese di un gruppo o di una parte di spettatori sensibili al discorso degli ottimati20. All’ingresso di Cesare ci fu un flebile applauso, in netto contrasto con le manifestazioni di approvazione nei confronti del giovane Curione, figlio del console del 76 a.C., che ottenne fragorosi applausi, nel modo in cui Pompeo soleva essere accolto un tempo (salua re publica), e una standing ovation da parte degli equites (inimici erant equitibus qui Curione stantes plauserant)21. Del resto Cesare valutava di abrogare la lex Roscia theatralis (motivo ulteriore per l’opposizione degli equites) e la lex frumentaria (ragione di malcontento per la plebs frumentaria). I cavalieri, dai posti a sedere loro riservati secondo la lex Roscia, potrebbero aver agito come claque e incitato le dimostrazioni di favore del pubblico22. È evidente che più gruppi, espressione di diverse correnti d’opinione, sono presupposti nel resoconto ciceroniano. A mio avviso, se si tiene conto di ulteriori riferimenti, che traspaiono dalle lettere dell’arpinate per questo anno cruciale, è possibile distinguere un altro gruppo che mostrò disapprovazione attraverso le manifestazioni di sostegno per Curione. Come ben noto, Cicerone aveva preferito trascorrere la primavera del 59 a.C. nelle sue ville di Anzio e di Formia, lontano da Roma, la cui vita politica era controllata da Cesare console e dai suoi alleati Pompeo e Crasso. Quando si trovava ad Anzio, nel mese di aprile, il giovane Curione gli aveva fatto visita e da lui l’oratore aveva avuto la conferma che la iuuentus era ostile ai triumviri; si doveva trattare della iuuentus vicina agli optimates, costituita dai figli di questi ultimi23. A maggio Cicerone aveva scritto che Pompeo aspirava al dispotismo24. Quindi, se si valuta l’episodio dei ludi Apollinares del 59 a.C. nel suo complesso, si può mettere in rilievo un elemento forse non notato prima: anche la iuuentus dovette partecipare alle manifestazioni contro i triumviri e, come gli equites, dovette tributare la standing ovation a Curione. Si può anche ragionevolmente asserire che questi iuuenes fossero seduti proprio con gli equites. Tale particolare è interessante, se si considera l’attenzione per più versi dedicata alla iuuentus da Augusto e da Tiberio25. Ai cavalieri erano riservati cunei iuniorum e cunei seniorum, non sappiamo se a partire dalla lex Roscia oppure dalle disposizioni augustee, e ai primi era stato dato il nome dei principi defunti della famiglia giulio-claudia, Gaio e Lucio Cesari prima, poi Germanico26. Se a ciò si aggiunge il precedente riferimento ai modesti homines, che fischiarono durante il munus, si può desumere che anche la plebs media avesse partecipato alle manifestazioni di disapprovazione durante i ludi Apollinares27.

Il secondo episodio da prendere in esame è quello dei Megalesia del 56 a.C. (prima del 5 aprile?), quando il console Lentulo, il senato, i cavalieri e tutte le persone dabbene si alzarono in piedi e lasciarono il teatro a causa dell’irruzione nell’edificio di una schiera di schiavi (uis seruorum) raccolta da tutti i uici. Nel De haruspicum responso Cicerone cita esplicitamente i gruppi che componevano il pubblico, senatus, equites Romani, omnes boni, che appunto seguirono l’esempio di Lentulo; poi usa la formula canonica senatus populusque Romanus per indicarne le due componenti costitutive e per enfatizzare il comportamento concorde28. Invece per evocare il gran numero dei presenti e la situazione di caos che si generò tra gli spalti, all’incursione improvvisa, si avvale dei sostantivi consessus e turba (folla). Vis seruorum e seruorum multitudo sono i sintagmi impiegati per denotare la massa degli schiavi che si riversò all’interno; tale schiera in realtà doveva essere composta dagli abituali seguaci di Clodio: membri dei collegia e delle organizzazioni dei uici, tabernarii e alcuni schiavi, sebbene Cicerone esasperi qui il tema della minaccia servile e imputi al solo Clodio la responsabilità dell’interruzione degli spettacoli29.

Per il nostro tema meritano attenzione gli episodi verificatisi nella primavera-estate del 44 a.C., menzionati da Cicerone nella I Filippica (pronunciata il 2 settembre di quell’anno) e caratterizzati da una serie di manifestazioni di favore o disapprovazione da parte del pubblico durante gli spettacoli allestiti30. L’arpinate cita i clamores innumerabilium ciuium durante dei munera, i populi uersus intonati a teatro, gli applausi infiniti alla statua di Pompeo, altri applausi da parte degli infimi rivolti a due tribuni della plebe che si opponevano alle decisioni del senato31. Annovera poi le dimostrazioni di approvazione nei confronti di Bruto da parte degli spettatori presenti alla rappresentazione del Tereus di Accio, durante i ludi Apollinares; infine parla del sostegno popolare per A. Irzio32. Cercare di ricostruire i gruppi all’interno del pubblico che, in ciascuna circostanza, avrebbero dimostrato il loro consenso tramite applausi e acclamazioni è complesso, poiché Cicerone riscrive il significato di alcuni avvenimenti secondo la sua personale interpretazione (aggiungendo forse dei particolari), con il fine di presentare queste manifestazioni di sostegno ai cesaricidi o ai repubblicani ostili a Cesare come unanimi da parte del populus uniuersus e da parte della plebe, che tuttavia non era omogenea al suo interno, anche riguardo alla memoria di Cesare33. Innanzitutto l’oratore enfatizza il significato politico degli applausi tributati dalla totalità del corpo civico con l’espressione a summis, mediis, infimis, cioè dai membri dell’élite (i due ordini superiori), dai cittadini del ceto medio, da quelli appartenenti alla parte più bassa della plebe, descrivendoli appunto come una manifestazione concorde di supporto del popolo romano a Bruto, dunque ai cesaricidi34. Medii è usato qui secondo l’accezione aristotelica di mesos/metrios, che fa riferimento a un gruppo di cittadini intermedio non solo per condizioni economiche, ma anche per contegno morale e sistema valoriale, come sottolineato da A. Angius di recente35. Inoltre, come scrive C. Nicolet, Cicerone sembra usare qui un sottile gioco di parole, invertendo le gerarchie sociali e quelle della disposizione dei posti a sedere in teatro36. Nondimeno bisogna tener conto del fatto che tali applausi poterono scaturire non soltanto dall’appoggio verso i cesaricidi, ma anche (o del tutto) dalla difficile situazione del rifornimento di grano esistente a partire dal mese di aprile37. Il tema dell’approvvigionamento era legato nell’immaginario della plebe alla memoria di Pompeo e quindi una connessione potrebbe ravvisarsi tra questa causa, la plebe e gli applausi tributati alla statua di quest’ultimo38.

Per quanto concerne le manifestazioni di favore per Bruto, ricordiamo brevemente che questi era pretore urbano e, anche se non presente a Roma, aveva pianificato la rappresentazione del Brutus di Accio nei ludi Apollinares, funzionale a veicolare al pubblico uno specifico messaggio: l’assimilazione dell’assassinio di Cesare alla caduta di Tarquinio il Superbo, con il fine di ottenere il consenso della plebe (ὁ δῆμος) e, di conseguenza, la richiesta di rientro dei cesaricidi (ἐλπὶς ἐν τῇ θέᾳ τὸν δῆμον ἐπικλασθέντα καλέσειν τοὺς ἀμφὶ τὸν Βροῦτον). Ma Gaio Antonio, che sovrintendeva ai giochi al posto di Bruto assente, sostituì all’ultimo momento il Brutus con il Tereus, perché riteneva la prima opera troppo pericolosa39. Ottaviano, al contempo, si conciliava il favore della plebe attraverso la distribuzione dei proventi della vendita dei suoi beni (ὁ δὲ Καῖσαρ ἀντιθεραπεύων τὸ πλῆθος). Secondo Cicerone, la folla degli spettatori rivolse a Bruto applausi e acclamazioni, che avrebbero garantito la palma ad Accio. Nel caso della rappresentazione del Tereus, la plebe si dimostrò in grado di cogliere la profondità temporale del riferimento politico. Il pubblico infatti aveva la capacità di intendere le allusioni casuali all’attualità che potevano nascere dai testi tragici o quelle volontariamente suggerite e le sottolineava con i vari tipi di reazioni, applausi, acclamazioni, fischi. Si tratta di una serie di avvenimenti reinterpretati da Cicerone per dimostrare la consentientem populi Romani uniuersi uoluntatem verso i cesaricidi nei mesi successivi all’uccisione del dittatore, sebbene in tale periodo l’attaccamento della plebe o meglio di una parte di essa alla memoria di Cesare fosse rimasto immutato40. Appiano del resto riporta una versione differente dell’accaduto: alcuni uomini prezzolati dalla factio repubblicana (ἐμμίσθων γάρ τινων ἀνακραγόντων κατακαλεῖν Βροῦτόν τε καὶ Κάσσιον), evidentemente per manipolare l’opinione pubblica in favore degli uccisori di Cesare, cominciarono a chiedere il ritorno di Bruto e Cassio, sollecitando in tal modo la compassione dei restanti spettatori (τὸ λοιπὸν θέατρον) e provando ad indurli a fare la medesima richiesta; a quel punto irruppe nell’edificio un gruppo coeso di uomini (ἐσέδραμον ἀθρόοι), per intervento di Ottaviano, che fece sospendere lo spettacolo fino a quando non cessarono quelle richieste41. Pertanto, ritornando alla composizione del pubblico, in questa circostanza la plebe non dovette essere compatta nelle manifestazioni di approvazione, ma divisa tra quanti erano devoti al ricordo di Cesare e alla sua difesa e quanti, invece, erano legati alla tradizione repubblicana e ostili all’affermazione del potere personale42.

Merita richiamare qui che, sempre nel 44 a.C., pochi giorni prima dell’allestimento dei ludi Apollinares, c’era stata la celebrazione dei ludi Victoriae Caesaris, organizzati da Ottaviano a proprie spese43. Egli avrebbe voluto esporre il seggio e la corona d’oro di Cesare, onore decretato per il padre adottivo per tutti gli spettacoli, ma Marco Antonio lo proibì, così come aveva fatto per la stessa richiesta formulata in occasione degli spettacoli organizzati dall’edile Critonio, probabilmente i ludi Ceriales, procrastinati dalla fine di aprile alla metà di maggio a causa dei disordini seguiti al cesaricidio44. Ottaviano rispettò il divieto, “ma allorché entrò nell’edificio di spettacolo, la plebe (ὁ δῆμος) lo applaudì a lungo e i soldati di Cesare (οἱ πατρικοὶ στρατιῶται), indignati perché gli si impediva di rinnovare gli onori in memoria del padre, indicandolo a dito, rinnovarono gli applausi durante tutto lo spettacolo”45. In questo caso abbiamo la plebe urbana e i soldati citati in maniera esplicita da Nicola di Damasco come gruppi all’interno dell’uditorio che manifestarono pienamente il loro consenso verso Ottaviano attraverso gli applausi. Questi si era guadagnato il favore della plebe con le elargizioni iniziali e le contiones organizzate in città e quello dei soldati grazie alla loro indignazione per la politica perseguita da Antonio, che impediva un’adeguata celebrazione del dittatore defunto per ambigue scelte filorepubblicane46. Secondo P. Vanderbroeck Ottaviano, in questa circostanza, avrebbe scelto la plebe urbana e i veterani come presenze preponderanti agli spettacoli, avvalendosi della possibilità propria degli organizzatori dei giochi di determinare la composizione della platea, grazie alle proprie clientele47. Il giovane peraltro aveva predisposto, dopo la morte del padre adottivo, un’accorta strategia comunicativa e cerimoniale per veicolare al pubblico una serie di messaggi politici e per ottenere per sé il sostegno delle clientele paterne, plebe e soldati di Cesare.

Populus Romanus uniuersus – multitudo – turba: totalità del pubblico / plebe

In un’altra serie di passi, in cui compaiono le espressioni populus Romanus uniuersusuniuersiuniuersitas populiconsensus theatri multitudoturba, dalla disamina di quanto riportato dagli autori antichi in relazione ai diversi episodi si evince che, in alcuni casi, prevale una presentazione generale del pubblico, a indicare il pieno consenso di tutto il corpo civico di Roma nei suoi diversi strati sociali, mentre in altri il riferimento alla sola plebe.

È ben noto il passo della Pro Sestio in cui Cicerone riflette sulle comitiorum et contionum significationes, così come su quelle dei theatrales gladiatoriique consessus. Qui ricorda le dimostrazioni di favore nei suoi confronti da parte dell’uniuersus populus Romanus durante i ludi Florales del 57 a.C. (28 aprile-3 maggio), dopo l’emanazione del senatoconsulto che sanciva la fine del suo esilio e prima del suo ritorno in patria48. In tale frangente gli edili curuli, responsabili dell’organizzazione dei giochi, avevano evidentemente concordato con Pompeo e con la maggior parte dei senatori di inserire nel programma opere ben scelte, che consentissero ai sostenitori di Cicerone di mostrare clamorosamente il loro sostegno49. Considerando la terminologia adoperata, che è finalizzata a enfatizzare il consenso di cui l’arpinate godeva presso le masse, appare evidente il ripetuto utilizzo di populus Romanus e di uniuersi e conviene indagare il significato specifico delle varie occorrenze. Uniuersi applaudirono il senatoconsulto che decretava il suo rientro, i singoli senatori che, dopo la riunione, entravano in teatro e poi il console, stando in piedi e battendo le mani. Al contrario, all’ingresso di Clodio, il populus Romanus dimostrò tutto il biasimo che nutriva per lui con uoces, palmarum intentus, maledictorum clamorem. Gli attori recitarono dei versi della togata messa in scena in quel momento, il Simulans di Afranio, rivolti verso Clodio, incitando così la reazione degli spettatori contro di lui. L’attore Esopo attaccò il tribuno, declamando un verso specifico del poeta Accio, che il pubblico tutto ripetette (reuocabatur ab uniuersis). Successivamente si levarono acclamazioni e applausi ad altri versi (adprobrant) e manifestazioni di dolore del popolo romano (gemitu populi Romani). L’attore Esopo utilizzò dei versi dell’Eurysaces di Accio per alludere a Cicerone, alle sue virtù e alla sua sorte, e aggiunse di sua iniziativa un ulteriore riferimento all’arpinate (“dotato di sommo ingegno”); poi indicò la sua casa sul Palatino data alle fiamme, mentre declamava: “Tutto ciò io vidi ardere tra le fiamme”, rivolgendosi al pubblico. Tali versi erano tratti dall’Andromacha di Ennio, ma furono inseriti appunto nell’Eurysaces di Accio. Al capitolo 122, l’arpinate specifica che tale attore in modo coraggioso pronunciò un’invettiva contro il senato attraverso l’allusione “O ingratifici Argivi…” e poi, rivolgendosi a tutti gli ordines, al senato, ai cavalieri romani, a tutto il popolo romano, li accusava di aver lasciato che fosse espulso e fosse esule, recitando un verso famoso50. L’oratore aggiunge ancora che si trattava di una significatio omnium, di una declaratio uoluntatis ab uniuerso populo Romano nei riguardi di un uomo che non era un popularis. Infine durante la rappresentazione del Brutus di Accio il populus Romanus espresse la sua solidarietà e approvazione, con applausi e con gemiti, quando fu pronunciato il nome Tullius (“Tullio, che aveva assicurato la libertas ai cittadini”) verosimilmente per Servio Tullio che era il personaggio in scena al momento; attori e pubblico giocarono sull’omonimia tra il re e l’oratore51. Analizzando i termini adoperati da Cicerone in questi capitoli, emerge che l’aggettivo sostantivato uniuersi è usato intenzionalmente per fare riferimento a tutte le componenti del corpo civico e che populus Romanus è impiegato, con un gioco sapiente, per riferirsi sia alla sola plebe sia a tutti i presenti, a prescindere dal loro status. L’arpinate allude all’insieme degli spettatori indistintamente allorché dice che da tutti fu tributato l’applauso ai senatori che entravano in senato e poi al console; successivamente scrive che questo populus Romanus a stento si trattenne alla vista di Clodio, intendendo in maniera verosimile l’intero uditorio, anche se i sostenitori del tribuno vanno esclusi. Invece alla plebe rimanda quando parla di tutti gli ordines che manifestarono appoggio e approvazione nei suoi confronti, senatus, equites Romani, uniuersus populus52.

Sempre nella Pro Sestio, nei capitoli immediatamente precedenti, Cicerone ricorda il munus organizzato nel Foro nel 57 a.C. (9-13 maggio) da Q. Cecilio Metello Scipione per la morte del padre adottivo, Q. Metello Pio, a proposito del quale evoca le dimostrazioni unanimi di favore all’apparizione del suo assistito, Publio Sestio. Se ci si sofferma sui termini adoperati dall’oratore per denotare il pubblico di questo munus, si può constatare che si avvale dell’espressione populus Romanus uniuersus per sottolineare il consenso unanime verso P. Sestio, motivato dal suo richiamo in patria, e di conseguenza verso se stesso. C’è poi la precisazione che tale populus era composto da ogni categoria di uomini, frequentia atque omni genere hominum, come era abituale in questo tipo di spettacoli, dai quali la multitudo (la massa) traeva massimo diletto53. L’arpinate specifica che il giudizio espresso fu unanime, nonostante tale eterogeneità54. Quindi con populus Romanus uniuersus Cicerone si sta riferendo a senatori, cavalieri, plebe. Tuttavia c’è un’ulteriore puntualizzazione aggiunta dall’oratore che consente di individuare due gruppi all’interno dell’uditorio. Lui stesso li distingue, per enfatizzare maggiormente il sostegno verso P. Sestio sia da parte dell’élite e sia da parte delle persone comuni. Viene esplicitato che tali manifestazioni di approvazione arrivarono da due settori separati del Foro: dagli spalti temporanei (spectacula) che digradavano dal Campidoglio (ex omnibus spectaculis usque a Capitolio), dove sedevano abitualmente i membri dell’élite e coloro che potevano permettersi di pagare il biglietto (quindi appartenenti ai due ordines superiori e parte della plebs media); dalle barriere poste intorno al Foro a delimitare l’area del combattimento, allo stesso livello del piano di calpestio (ex fori cancellis), dove stavano assiepati in piedi gli spettatori di ceto più basso55. È il contesto dei munera gladiatoria che Cicerone sceglie di rappresentare qui come migliore indicatore dell’opinione pubblica, più delle contiones e dei comizi, anche per il numero dei presenti56.

Un altro evento degno di considerazione per il nostro tema è l’inaugurazione del teatro di Pompeo il 29 settembre del 55 a.C., data accuratamente scelta poiché coincideva con il giorno del suo dies natalis e cadeva a distanza esatta di sei anni dal trionfo nel 61 a.C. Ricordiamo rapidamente che le celebrazioni fastose erano state pianificate in modo da conquistare il favore del popolo: per l’occasione il teatro fu addirittura dotato di una sorta di sistema di condizionamento, si esibirono sulla scena attori che si erano ritirati o erano in procinto di farlo, quali Galeria Copiola ed Esopo, furono rappresentate farse atellane e tragedie di argomento greco con allestimenti molto sfarzosi. Furono aggiunti ad essi munera con mille combattenti, competizioni atletiche e musicali, uenationes nelle quali furono impiegati innumerevoli animali selvatici e ne furono esibiti altri ancora sconosciuti a Roma57. Pompeo, infatti, in quel periodo aveva bisogno di recuperare consensi, dopo le difficoltà incontrate l’anno precedente come curator annonae. Cicerone assistette di persona agli spettacoli e ne parlò diffusamente in una delle sue lettere indirizzata all’amico Marco Marzio, dandone un giudizio parzialmente negativo. Nella parte dell’epistola in cui racconta dell’ultimo giorno degli spettacoli e della caccia agli elefanti scrive: Extremus elephantorum dies fuit: in quo admiratio magna uulgi atque turbae, delectatio nulla exstitit58. Questo spettacolo aveva provocato grande admiratio nel uulgus e anche nella turba, ma senza procurare loro alcuna delectatio, da intendersi non soltanto come piacere ma anche come sospensione dell’incredulità59. Ciò avvenne contrariamente alle aspettative dell’organizzatore60. Turba è usato nel senso di folla per riferirsi all’insieme degli spettatori, mentre uulgus sembra rinviare alla parte più bassa della plebe61. Si ha quindi una differenziazione nell’uditorio: da un lato il popolino più facilmente suggestionabile e condizionabile, dall’altro l’intero pubblico meno soggetto ai tentativi di manipolazione. Plinio il Vecchio, riportando lo stesso episodio, adopera il sostantivo uulgus con il significato di plebe a proposito della pietà suscitata dagli elefanti con le loro azioni e poi il semema populus per denotare l’intero uditorio, la folla nel suo insieme, che si leva come un solo uomo (uniuersus) versando lacrime, dimenticandosi della solennità delle circostanze e lanciando maledizioni contro Pompeo62. Un’ulteriore differenziazione all’interno del pubblico che traspare dalla riflessione di Cicerone sull’episodio, frutto dell’autopsia, è stata evidenziata da M. Vespa: per gli homines politi, colti appartenenti al ceto dirigente, quello spettacolo di inaudita violenza fu privo di ogni interesse e novità; invece il uulgus trasse piacere dagli spettacoli nel loro complesso, fatta eccezione per la caccia agli elefanti dell’ultimo giorno che determinò la rottura del patto ludico a causa della violenza perpetrata contro i pachidermi63.

Il sintagma uniuersitas populi è usato da Cicerone per indicare la totalità del pubblico, nelle sue diverse componenti, e la concordia nel giudizio allorché ricorda le manifestazioni a sfavore di Cesare durante i ludi Veneris Genitricis del 46 a.C. (a partire dal 26 settembre). Egli aveva obbligato il cavaliere Laberio a calcare la scena e a declamare la sua composizione allo stesso tempo di Publilio Siro, mettendoli dunque in competizione. Nel corso della rappresentazione Laberio fu molto offensivo nei riguardi di Cesare, facendo dire a uno dei personaggi: “Per di più, o Quiriti, abbiamo perso la libertà” e aggiungendo, poi, con tono di minaccia: “Deve temere molti colui che molti temono”64. Macrobio riporta che la totalità del pubblico, uniuersitas populi, si rivolse verso Cesare e accordò la sua preferenza al rivale di Laberio65. I versi del cavaliere erano vera e propria satira politica, attraverso la quale egli contestava la prepotenza di Cesare e che fu chiaramente colta dall’intero uditorio.

Altra circostanza nella quale il pubblico reagì, questa volta attraverso il diniego dell’applauso, fu quella della processione dei ludi Apollinares nel mese di luglio del 45 a.C. Secondo Cicerone, che risponde a una lettera ad Attico, il populus avrebbe rifiutato di applaudire alla Vittoria a causa del suo vicino in occasione della pompa dei ludi Apollinares66. La sfilata della statua di Cesare che, in conformità con gli onori decretatigli in maniera progressiva dal 46 a.C., era associato permanentemente alla Vittoria avrebbe provocato un malcontento diffuso secondo l’arpinate67. Le onorificenze straordinarie deliberate per Cesare, su iniziativa dei senatori (per conciliarsi il suo favore e anche per esacerbare la sua impopolarità) ma sicuramente suggerite da Cesare grazie all’intermediazione dei suoi intimi, si stavano incamminando a divenire cultuali, senza diventarlo effettivamente68. Esse però scontentavano soltanto una parte dell’opinione pubblica, anche se Cicerone presenta l’insoddisfazione come generale69. Ci si può chiedere se qui l’oratore si riferisse a tutti i cittadini presenti nel circo (o ad una maggioranza di essi) oppure alla sola plebe e, in questo caso, propenderei per la prima ipotesi.

Sempre nel 45 a.C., ma nel mese di ottobre, il pubblico in teatro mostrò disapprovazione verso il console Q. Fabio Massimo e, di riflesso, verso Cesare. All’annuncio da parte del littore dell’ingresso di Q. Fabio Massimo, nominato console suffetto per tre mesi, tutti gli spettatori insieme (uniuersi) gridarono che lui non era affatto console70, per deplorare evidentemente la nomina dei magistrati da parte di Cesare, secondo il potere di commendatio ricevuto già nel 46 a.C., e la riduzione della durata del consolato a pochi mesi, in modo da favorire i suoi sostenitori71. Anche in questo caso, l’aggettivo sostantivato uniuersi usato da Svetonio fa riferimento al pubblico come a un insieme omogeneo che manifesta la sua disapprovazione verso Cesare, senza dare conto del fatto che soltanto una parte degli spettatori gli era ostile.

Un altro gruppo di passi interessanti per il nostro tema è relativo al 44 a.C. In occasione della celebrazione dei Megalesia (4-10 aprile), durante la messinscena di un mimo di Publilio Siro si ebbero dimostrazioni di favore verso i cesaricidi da parte della consentiens multitudo, la folla, con un applauso per L. Cassio, fratello del cesaricida, che Cicerone definisce facetus in una lettera ad Attico, datata l’8 aprile72. In questo caso non abbiamo altre notizie su tali dimostrazioni, né un’indicazione specifica su chi realmente fosse coinvolto; forse fu incluso qualche verso che conteneva riferimenti alla situazione politica attuale. Come in altre circostanze, Cicerone presenta qui come generale l’appoggio ai cesaricidi, anche se il consenso fu verso L. Cassio, che pure era un sostenitore di Cesare. Va tenuto conto del fatto che, in questo momento specifico, c’erano opposte manifestazioni d’opinione negli spazi pubblici di Roma da parte della plebe urbana, dovute a una crescente spaccatura al suo interno: una parte celebrava la memoria di Cesare, un’altra il suo assassinio; da un canto si aspirava al ritorno alla pace e alla stabilità, dall’altro molti veterani di Cesare e altri ardenti cesariani, come i suoi liberti, volevano la vendetta per la sua uccisione73.

Nella seconda metà del mese di aprile era stato soppresso il movimento creatosi tra la plebe urbana e guidato da Amatius, che si diceva nipote di Gaio Mario. Cicerone osserva che gli strati più bassi della popolazione stavano dimostrando il loro assenso per l’operato di Dolabella (tantis plausibus, tanta approbatione infimorum) e questo potrebbe indicare una divisione nella plebs urbana, tra quanti rimanevano cesariani e quanti speravano in una risoluzione pacifica della crisi (del resto Dolabella aveva il favore delle masse da quando, nel 47 a.C., come tribuno della plebe aveva proposto la cancellazione dei debiti)74. Per le sue azioni Dolabella ricevette applausi a teatro: consensum illum theatri, cum omnes (…)75. Ma ripercorriamo brevemente gli avvenimenti principali. Marco Antonio, console, il 13 aprile aveva fatto arrestare Amatius per ordine dei senatori e poi lo aveva fatto uccidere: il suo corpo impalato fu probabilmente portato per le strade di Roma e poi gettato nel Tevere76. Si trattava di un’esecuzione cerimoniale che Antonio poteva usare per mostrare quale fato attendesse chi cercava di strumentalizzare le masse. Egli aveva sottovalutato la popolarità di Amatius, tanto che la plebe occupò il Foro come protesta; allora rispose mandando delle truppe per allontanare i sediziosi, ma con poco effetto. L’uccisione di Amatius andava a favore dei cesaricidi ed eliminava per Antonio un rivale nell’appoggio dei veterani di Cesare. Verso la fine del mese, dopo la partenza di Antonio, Dolabella aveva fatto radere al suolo il complesso cultuale, che era stato creato dalla plebe urbana e dal leader sul luogo della pira funebre di Cesare, ne aveva fatto pavimentare l’area e aveva usato la rupe Tarpea per punire i seguaci di Amatius e sostenitori di Cesare77. Cicerone considera la sua demolizione un risultato positivo per la causa dei cesaricidi e per il rientro di Bruto a Roma; infatti si trattava di un movimento della plebe urbana che li danneggiava, favorendo al contempo il giovane erede di Cesare. Pertanto presenta il favore del pubblico in teatro come generale, anche se si deve concludere che le dimostrazioni di approvazione provenissero solo dai repubblicani, dagli anticesariani e da quella parte della plebe urbana (la parte più bassa di essa, gli infimi, secondo Cicerone) che non sosteneva più Cesare da prima del suo assassinio e applaudiva Dolabella.

Passando al principato augusteo, in vari passi in cui è menzionato il pubblico che manifesta il suo consenso nei riguardi del princeps durante gli spettacoli, sono usati i termini populus uniuersus, uniuersi, ὁ δῆμος, per evocare l’unanimità di giudizio da parte di tutti i presenti78. Il primo riguarda le acclamazioni elevate per Virgilio e Augusto in teatro in un’occasione non meglio precisata, che può ricadere nel periodo ricompreso tra il 27 e il 19 a.C. Durante una rappresentazione a teatro, nel corso della quale erano stati declamati dei versi di Virgilio, il pubblico (populus) tutto intero si levò (surrexit uniuersus) e rese a Virgilio, allora presente, gli stessi omaggi (applausi) che tributava normalmente ad Augusto79. Il secondo concerne le acclamazioni e gli applausi rivolti in teatro a Gaio e Lucio Cesari, quando ancora indossavano la pretesta. Svetonio narra che, all’ingresso dei due figli adottivi di Augusto, tutti si alzarono in piedi (assurrectum ab uniuersis in theatro) e, rimanendo in quella posizione, applaudirono (a stantibus plausum). Fu questo un comportamento dell’uditorio del quale Augusto si lamentò, perché non lo considerava adeguato80. Potrebbe essere lo stesso avvenimento riportato da Cassio Dione per il 6 a.C., anche se lo storico bitinico menziona il solo Lucio, che osò entrare in teatro, venendo lì verosimilmente acclamato e applaudito (sebbene non sia specificato)81. Le manifestazioni di consenso da parte degli spettatori verso i due giovani furono con ogni probabilità orchestrate dalla madre Giulia e dalla factio che gravitava intorno a lei, che agivano per assicurare la successione del ramo giulio della famiglia, avvalendosi in particolare del supporto e del favore della plebe urbana. Infatti anche l’elezione al consolato di Gaio nel 6 a.C. può essere interpretata come una reazione, innescata da parte di Giulia e di coloro che le erano vicini, alla progressione di Tiberio, che nello stesso anno ricevette la tribunicia potestas e il rinnovo dell’imperium proconsulare. Cassio Dione del resto riporta anche per il 13 a.C. acclamazioni e applausi rivolti da tutto il popolo (τῷ δήμῳ) in teatro al giovane Gaio, in occasione dei festeggiamenti organizzati da Tiberio per celebrare il rientro di Augusto dal suo viaggio in Gallia, Germania e Spagna82; in questo caso ὁ δῆμος deve rinviare alla totalità del popolo, non alla sola plebe urbana, anche in considerazione dell’insieme delle celebrazioni predisposte in onore di Augusto per commemorare tale evento e dell’importanza delle manifestazioni di consenso da parte dei vari gruppi sociali83. La ripetizione, durante i giochi, di queste azioni collettive a favore dei figli di Giulia comproverebbe l’acutizzarsi di questo tipo di interventi volti a condizionare le decisioni del princeps e ad accelerarne le scelte in materia di successione.

In maniera analoga si ritrovano i sememi uniuersi – ὁ δῆμος per denotare il pubblico anche per uno spettacolo di mimi al quale Augusto assistette (2-3 d.C.), in cui un mimo pronunciò il verso: “O dominum aequum et bonum”. Tutti gli spettatori allora si alzarono in piedi (uniuersi – ὁ δῆμος) manifestando la loro approvazione (con applauso e acclamazioni?), come se tali parole fossero state rivolte proprio ad Augusto. Immediatamente l’imperatore represse quelle adulazioni (dominus) che considerava indecorose, perché rinvianti a un potere autocratico e non consone al ritratto di ciuilitas proprio del princeps, e il giorno seguente pubblicò un editto per condannarle84.

Plebs – uulgus – populus: eterogeneità / omogeneità della plebe

In un certo numero di passi, pur essendo impiegati dagli autori antichi i termini plebs – τὸ πλῆθος – ὁ δῆμος, analizzando i contesti, si possono individuare diversi gruppi all’interno della plebe. In altri, invece, in cui ricorrono i primi e anche uulguspopulus, si coglie soltanto un generico riferimento alla plebe, come se costituisse un gruppo omogeneo al suo interno, e non è possibile un’identificazione di diverse componenti.

Per la prima serie si possono prendere in esame alcuni eventi del mese di marzo del 39 a.C. Dopo l’entusiastica accoglienza della notizia degli accordi di Brindisi e dei triumviri85, la plebe urbana di Roma (οἱ δὲ ἐν Ῥώμῃ scrive Cassio Dione86) aveva dimostrato il suo favore nei riguardi di Sesto Pompeo e la sua disapprovazione verso Ottaviano e Marco Antonio a causa della guerra dichiarata contro costui, con i conseguenti problemi di approvvigionamento. Sia le riunioni sia gli spettacoli organizzati in città furono utilizzati come occasioni propizie per esortarli a negoziare la pace. Proprio in occasione dei ludi circenses, mentre sfilava la processione, la plebe dimostrò il suo favore per Sesto Pompeo, rivolgendo applausi alla statua di Nettuno, la divinità legata appunto a quest’ultimo87. Quando in seguito, durante i ludi Plebei (dal 14 al 17 marzo), la statua di Nettuno fu rimossa dalla pompa, per impedire ulteriori applausi da parte della plebe riunita nel circo e dunque la chiara dimostrazione del suo giudizio, allora le manifestazioni di disapprovazione verso Ottaviano e Marco Antonio si mutarono in sollevazione: i magistrati furono cacciati dal Foro a colpi di pietre, le statue di Antonio e Ottaviano furono rovesciate e alla fine i due triumviri furono assaliti. Se Appiano, Svetonio e Cassio Dione usano termini generici per riferirsi al pubblico del circo che aveva sostenuto Sesto (ὁ δῆμος, τὸ πλῆθος, populus, οἱ δὲ ἐν Ῥώμῃ) e non fanno riferimento a sottogruppi che davano voce alle loro peculiari esigenze e richieste, la lettura del resoconto di Appiano sui disordini scoppiati allorché il popolo seppe dell’imposizione di nuove imposte per il finanziamento della guerra e sull’ulteriore scompiglio conseguente alla rimozione della statua di Nettuno permette l’identificazione di due strati all’interno della plebe: coloro che appartenevano alla plebs media, che godevano di una certa agiatezza, e cittadini di condizione economica nettamente inferiore88. I primi erano colpiti dalla tassa sulle proprietà immobiliari acquisite per eredità, imposta per finanziare la guerra contro Pompeo, dal momento che, insieme ai senatori, anche i più benestanti tra i plebei erano proprietari di immobili. Manifestavano quindi la loro disapprovazione durante i vari spettacoli. Gli strati più bassi della plebe erano angosciati dalla grave carestia che affliggeva la città e perciò si opponevano ai due triumviri89. Quando Appiano narra della repressione ad opera di Marco Antonio e dei suoi soldati della ribellione innescatasi nel Foro contro Ottaviano, terminata con la sottrazione da parte degli stessi soldati agli insorti uccisi (evidentemente più abbienti) di tutto ciò che era di valore e indicava la loro dignità, usa l’espressione ὅσοι μετ᾽αὐτῶν κακοῦργοι per indicare, con un evidente giudizio morale, una terza componente, la parte più bassa della plebe che, seguendo l’esempio dei soldati, depredava i cadaveri90. Questi tre gruppi all’interno della plebe costituiscono verosimilmente il pubblico che applaudiva alla statua di Nettuno e si era sollevato alla sua rimozione dalla pompa circensis. La maggior parte di loro era perfettamente in grado di comprendere uno dei temi portanti della propaganda di Sesto Pompeo, il legame con il dio Nettuno, così come di percepire con chiarezza da chi era stata voluta l’eliminazione della statua e quale obiettivo si voleva perseguire con l’alterazione della normale composizione della processione. Si erano uniti e mobilitati per ragioni diverse allo scopo di costringere i triumviri a negoziare la pace con Sesto.

Il secondo episodio su cui soffermarsi risale al 37 a.C., anno in cui l’edile M. Oppio era intenzionato a rinunciare al suo ufficio, non potendo far fronte alle spese connesse con l’incarico. Era figlio di un proscritto e probabilmente proscritto a sua volta, dal momento che aveva salvato la vita al padre portandolo via da Roma sulle spalle e accompagnandolo fino in Sicilia, con un gesto che richiamava la pietas filiale di Enea. Appiano, dopo aver scritto che la plebe (ὁ δῆμος) lo ricompensò per tale comportamento eleggendolo alla magistratura, specifica che, per sostenerlo, gli artigiani (οἵ τε χειροτέχναι) svolsero le loro funzioni in quell’anno senza riscuotere il salario e ognuno degli spettatori (καὶ τῶν θεωμένων ἕκαστος), durante uno spettacolo finanziato dallo stesso M. Oppio, gettò nell’orchestra denaro a proprio piacimento91. Cassio Dione, dal canto suo, narra che la plebe (τὸ πλῆθος) non permise che M. Oppio si dimettesse e raccolse una somma di denaro che gli fosse utile sia per le spese inerenti la carica sia per i bisogni personali; tuttavia non precisa la circostanza in cui essa manifestò tale favore e operò la raccolta. Al paragrafo successivo, però, aggiunge che perfino alcuni malfattori (κακοῦργοι, lo stesso semema impiegato da Appiano per i disordini del 39) fecero la loro offerta in teatro, presentandosi lì con il volto mascherato92. Di conseguenza è plausibile che anche la prima parte del racconto dello storico bitinico vada contestualizzata nell’edificio di spettacolo. La plebe interviene in questa circostanza collettivamente, anche nella sua parte infima, per dimostrare il suo sostegno a un uomo politico che aveva difficoltà ad assolvere ai suoi doveri a causa del suo comportamento onorevole e della sua pietas filiale, a differenza degli altri che si facevano eleggere per accrescere il proprio prestigio personale e avere un comando al di fuori dell’Italia, dimettendosi, poi, a loro capriccio93. Si tratta, dunque, di un’attestazione della capacità della plebe di interessarsi alla vita politica, di comprenderne i risvolti e di manifestare la sua opinione in occasione degli spettacoli. Come per l’avvenimento del 39 a.C., anche in questo caso si possono individuare dei sottogruppi all’interno della plebe, che intervengono a sostegno dell’edile, credo palesando entrambi il proprio supporto in occasione dei giochi: la plebe o addirittura l’intero pubblico che getta del denaro nell’orchestra; gli artigiani che erano disposti a svolgere il lavoro che si rapportava al periodo dell’edilità di M. Oppio senza essere pagati e, dunque, si trovavano in una situazione economica favorevole, tale da non doversi preoccupare della perdita di più giornate di lavoro; gli infimi che, secondo Cassio Dione, lanciarono del denaro nel teatro94. La plebe (ὄμιλος) peraltro intervenne per onorare M. Oppio anche in occasione del suo funerale, portando la sua salma nel Campo Marzio, cremandola e seppellendola in quel luogo95. Si tratta di un altro contesto, cerimoniale questa volta, in cui gli spettatori da osservatori dello spettacolo diventano attori.

Alla fine di questa rassegna, si possono prendere in considerazione alcuni passi relativi al periodo intercorrente tra il 46 e il 2 a.C., in cui sono impiegati i sostantivi plebsuulguspopulus per indicare la plebe come artefice di manifestazioni di consenso o di dissenso durante gli spettacoli, senza possibilità di ricavare informazioni su sottogruppi, anche perché alcuni degli avvenimenti non sono contestualizzabili in modo preciso. Il primo riguarda Cesare e può essere datato tra il 46 e il 44 a.C.: mentre assisteva ai ludi circenses, usava il tempo per leggere la corrispondenza e rispondere ad essa; per questo fu rimproverato dalla plebe (uulgus). Augusto, ricordando quanto era accaduto al padre adottivo, evitò di fare altrettanto96. La plebe si aspettava, infatti, che l’imperatore presenziasse agli spettacoli e fosse visibile, che non manifestasse disinteresse o noia, che condividesse le sue emozioni e la sua passione per ludi e munera97. Il secondo, verificatosi in un periodo successivo alla morte di Sesto Pompeo e dopo il 35 a.C., riguarda M. Tizio, console suffetto nel 31 a.C., che era stato risparmiato da Sesto Pompeo ed era poi passato sotto il comando di Marco Antonio. Egli, in occasione dei giochi che aveva fatto allestire nel teatro di Pompeo, fu cacciato execratione populi98. La plebe manteneva viva la memoria di Sesto Pompeo e del padre in un periodo che era caratterizzato da difficoltà di approvvigionamento e dimostrava questo favore, assieme alla condanna morale del comportamento, durante gli spettacoli. L’ultimo è il ben noto passo svetoniano riguardante il conferimento del titolo di pater patriae ad Augusto nel 2 a.C.99, in cui viene rimarcato, come nelle Res Gestae, il consensus uniuersorum per l’attribuzione del titolo e sono ripercorsi i vari tentativi fatti dalla plebe: dapprima una delegazione della plebs provò a conferirglielo ad Anzio; dopo il rifiuto del princeps, la plebe, frequens et laureata, lo salutò con tale appellativo al suo ingresso in un luogo di spettacolo; poi ci fu il conferimento ufficiale da parte del senato100.

Conclusioni

Per quanto riguarda i sostantivi populustotum theatrumconsessusturba, emerge che in un certo numero di passi ciceroniani, anche quando l’arpinate si avvale di questi nomi collettivi o metonimici per riferirsi al pubblico degli spettacoli, dando quasi per scontato l’esistenza di diversi gruppi e varie correnti d’opinione oppure sorvolando su essi, a una lettura attenta è possibile estrapolare una serie di informazioni che consentono di delineare un quadro più preciso dell’uditorio, identificando diverse categorie di spettatori suo interno, come i primi due ordines, gli equites, la iuuentus, la plebs media, la plebs urbana, i soldati, gli schiavi. In una congrua serie di passi Cicerone sceglie coscientemente di impiegare sintagmi e termini come populus Romanus universusuniversitas populiuniversiconsessus theatrimultitudo – turba per sottolineare il pieno consenso di tutto il corpo civico presente oppure la generale e condivisa disapprovazione, decidendo deliberatamente di tacere sulla presenza di altri sottogruppi di differenti pareri. Ciò che appare evidente è che i vari vocaboli, in particolar modo populus, uulgus, multitudo, turba, non sono adoperati con un significato univoco, bensì con sfumature diverse a seconda del contesto.  Per quanto concerne l’utilizzo dei sostantivi plebs – τὸ πλῆθος – ὁ δῆμος – uulgus – populus, dalla disamina effettuata emerge che essi spesso sono adoperati da Appiano, Svetonio, Cassio Dione per denotare la sola plebe, come se fosse un gruppo omogeneo senza diversificazione di condizioni economiche, di orientamenti e intenti. Ciononostante, in alcuni casi, attraverso la valutazione del contesto politico e il raffronto tra le testimonianze dei diversi autori che riportano i medesimi episodi, si è giunti all’identificazione di gruppi al suo interno, quali plebs media, cittadini nettamente più poveri, infima plebs, e a ricostruire un quadro più complesso dell’uditorio nelle sue differenti dinamiche di interazione con l’autorità e con i protagonisti della scena politica, nonché delle diverse componenti tra loro.

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Note

  1. Riguardo al pubblico degli spettacoli e ai vari sememi impiegati nelle opere dei diversi autori per indicarlo, si vd. Newbold 1976; Beackam 1991; Edmondson 2002; Arena 2007a; Arena 2007b; Fagan 2011; Landolfi 2011; Bell 2013; Forichon 2020.
  2. Gell., NA, 10.20.5: In populo omnis pars ciuitatis omnesque eius ordines contineatur; Gaio, Inst., 1.3: Plebs a populo eo distat, quod populi appellatione uniuersi ciues significantur, connumeratis patriciis, plebis autem appellatione sine patriciis ceteri ciues significantur. Si vd. in proposito, anche in relazione all’evoluzione del significato, Helleguarc’h 1972, 513-516 e passim; Yavetz 1984, 193-194; Purcell 1994, 645-646; Sordi 2005, 63; Courrier 2014, 493-496; Forichon 2020, 58-59.
  3. Cfr. sull’uso di questi termini in Tacito Newbold 1976, 85-92; Landolfi 2011, 163-179.
  4. A proposito delle diverse accezioni del semema turba, folla, plebe, tumulto, sedizione, si vd. Arena 2007a, 13-30; Courrier 2014, 493-496 e nt. 252; Forichon 2020, 58-59.
  5. Cfr. Rosillo-Lopez 2017a, 156.
  6. Tra i tanti si vd. Hill 1952; Yavetz 1984; Nicolet 1977, 726-755; Nicolet 1980a, 7-21, in part. 12, n. 15; Nicolet 1980b, 871-894; Nicolet 1984, 7-21, in part. 12, n. 15; Vanderbroeck 1987; Yavetz 1987, 135-186; Harris 1988, 598-611; Purcell 1994, 644-688; Millar 1998; Mouritsen 2001. Per la plebs frumentaria si vd. Nicolet 1985, 799-839; Virlouvet 1991, 43-65; Virlouvet 1995, 117, 175; Lo Cascio 1997, 3-76; Virlouvet 2009.
  7. Secondo P. Veyne, essa si distingueva dai primi due ordines e al contempo dalla plebs humilis, costituendo uno strato sociale ben preciso che aveva una propria fortuna dovuta ai beni personali, ai mestieri praticati e al grano stipato nei granai; aveva inoltre senso di appartenenza comune a un medesimo strato sociale, proprie idee politiche e una propria ideologia di tipo sapienziale. Secondo C. Courrier, invece, la plebs media era un gruppo eterogeneo, comprendeva i membri più agiati della plebe, esclusi dalle frumentationes, proprietari di insulae o di aedificia, impegnati in diverse attività economiche ben remunerative e caratterizzati da arrivismo. A. Angius ritiene che si tratti di un gruppo sociale caratterizzato dalla medietà economica e dalla mediocritas come ideale di comportamento e di vita, non esclusivo e più ampio di quello associato da C. Courrier al sintagma plebs media, all’interno del quale possono essere ricompresi individui di estrazione libertina. Si vd. Veyne 2000, 1169-1199; Veyne 2005, 118; Courrier 2014, 356, 364-365, 369, 381, 392, 514-515; Angius 2018b, 55-78; Angius 2019, 604-605; Angius 2021, 71-92.
  8. Rosillo-Lopez 2017a; Morstein-Marx 2004; Pina Polo 1989; Pina Polo 1995; Pina Polo 1996; Angius 2018a.
  9. Cic., Mur., 40; Liv., Per., 99; Vell., 2.32.3; Macr., Sat., 3.14.12. Per la lex Roscia theatralis si rimanda a Scamuzzi 1969; Nicolet 1970, 85, n. 2; Ferrary 1980, 327-328, n. 4; Rawson 1987, 102-106; Wiseman 1987, 79; Demougin 1988, 784, 817-818; Maillard 2018, 187-194; Davenport 2019, 119-123.
  10. Plut., Cic., 13.2-4: δεῖγμα δὲ αὐτοῦ τῆς περὶ τὸν λόγον χάριτος καὶ τὸ περὶ τὰς θέας ἐν τῇ ὑπατείᾳ γενόμενον. τῶν γὰρ ἱππικῶν πρότερον ἐν τοῖς θεάτροις ἀναμεμιγμένων τοῖς πολλοῖς καὶ μετὰ τοῦ δήμου θεωμένων ὡς ἔτυχε, πρῶτος διέκρινεν ἐπὶ τιμῇ τοὺς ἱππέας ἀπὸ τῶν ἄλλων πολιτῶν Μᾶρκος Ὄθων στρατηγῶν, καὶ διένειμεν ἰδίαν ἐκείνοις θέαν, ἣν ἔτι καὶ νῦν ἐξαίρετον ἔχουσι, τοῦτο πρὸς ἀτιμίας ὁ δῆμος ἔλαβε, καὶ φανέντος ἐν θεάτρῳ τοῦ Ὄθωνος ἐφυβρίζων ἐσύριττεν, οἱ δ᾽ἱππεῖς ὑπέλαβον κρότῳ τὸν ἄνδρα λαμπρῶς, αὖθις δὲ ὁ δῆμος ἐπέτεινε τὸν συριγμόν, εἶτα ἐκεῖνοι τὸν κρότον. ἐκ δὲ τούτου τραπόμενοι πρὸς ἀλλήλους ἐχρῶντο λοιδορίαις, καὶ τὸ θέατρον ἀκοσμία κατεῖχεν. ἐπεὶ δ᾽ὁ Κικέρων ἧκε πυθόμενος καὶ τὸν δῆμον ἐκκαλέσας πρὸς τὸ τῆς Ἐνυοῦς ἱερὸν ἐπετίμησε καὶ παρῄνεσεν, ἀπελθόντες αὖθις εἰς τὸ θέατρον ἐκρότουν τὸν Ὄθωνα λαμπρῶς καὶ πρὸς τοὺς ἱππέας ἅμιλλαν ἐποιοῦντο περὶ τιμῶν καὶ δόξης τοῦ ἀνδρός. Cfr. Clavel-Lévêque 1984, 155; Vanderbroeck 1987, testo n. 20, 230, il quale ritiene che i disordini ebbero luogo nel 63, in quanto anno della prima applicazione della lex Roscia theatralis, durante la pretura di Roscio; Demougin 1988, 798; Edmondson 1996, 102.
  11. Sulle contiones si vd. F. Pina Polo 1989 e 1995; Hiebel 2009. Riguardo alla composizione del pubblico che partecipava alle contiones gli studiosi sono giunti a differenti conclusioni: Meier 1966a, 114 s; 1996b, c.614, sosteneva che esso fosse formato per lo più da quanti frequentavano regolarmente il Foro o vi lavoravano, come tabernarii e opifices, dunque appartenenti a uno strato sociale medio-basso di lavoratori liberi; dello stesso parere Vanderbroek 1987, 81-93, e Pina Polo 1996, 130-133; Mouritsen 2001, 40s, è arrivato alla conclusione che esso fosse costituito da sostenitori attivi del magistrato presidente e pertanto di ceto generalmente elevato, sebbene numerose siano le testimonianze riguardo alle manifestazioni di disapprovazione dei discorsi degli oratori da parte del pubblico presente; Hiebel 2009, 64, ritiene che il pubblico delle contiones fosse composto prevalentemente dai cittadini più poveri e dai seniores, che restavano a Roma mentre gli altri erano impegnati nel servizio militare, e comunque non fosse omogeneo ma formato da individui di estrazione sociale molto diversa; Courrier 2014, 451 e passim, sostiene che il pubblico fosse eterogeneo e non fosse costituito soltanto da sostenitori dei vari uomini politici; Angius 2018a, 260-261, rileva che il populus contionarius comprendeva persone di estrazione sociale ed economica molto diversa e, quindi, non era omogeneo, fatto che spiegherebbe l’imprevedibilità delle reazioni e le diverse correnti d’opinione che emergono nei diversi frangenti.
  12. Rosillo-Lopez 2017a, 42, 51 e passim.
  13. Cic., Att., 2.15.1.
  14. Pina Polo 2017, 93.
  15. Cic., Att., 2.19.2-3: Scito nihil umquam fuisse tam infame, tam turpe, tam peraeque omnibus generibus, ordinibus, aetatibus offensum quam hunc statum qui nunc est, magis me hercule quam uellem non modo quam putarem. Populares isti iam etiam modestos homines sibilare docuerunt. Bibulus in caelo est nec qua re scio, sed ita laudatur quasi “Vnus homo nobis cunctando restituit rem.” Pompeius, nostri amores, quod mihi summo dolori est, ipse se adflixit. Neminem tenent uoluntate; ne me tu necesse sit iis uti uereor. Ego autem neque pugno cum illa causa propter illam amicitiam neque approbo, ne omnia improbem quae antea gessi; utor uia. Populi sensus maxime theatro et spectaculis perspectus est; nam gladiatoribus qua dominus qua aduocati sibilis conscissi; ludis Apollinaribus Diphilus tragoedus in nostrum Pompeium petulanter inuectus est; “nostra miseria tu es magnus -” miliens coactus est dicere; “Eandem uirtutem istam ueniet tempus cum grauiter gemes” totius theatri clamore dixit itemque cetera. Nam et eius modi sunt ii uersus uti in tempus ab inimico Pompei scripti esse uideantur: “si neque leges neque mores cogunt -”, et cetera magno cum fremitu et clamore sunt dicta. Caesar cum uenisset mortuo plausu, Curio filius est insecutus. Huic ita plausum est ut salua re publica Pompeio plaudi solebat. Tulit Caesar grauiter. Litterae Capuam ad Pompeium uolare dicebantur. Inimici erant equitibus qui Curioni stantes plauserant, hostes omnibus; Rosciae legi, etiam frumentariae minitabantur. Sane res erat perturbata. Equidem malueram quod erat susceptum ab illis silentio transiri, sed uereor ne non liceat. Non ferunt homines quod uidetur esse tamen ferendum; sed est iam una uox omnium magis odio firmata quam praesidio. Val. Max., 6.2.9: Diphilus tragoedus, cum Apollinaribus ludis inter actum ad eum uersum uenisset, in quo haec sententia continetur, “miseria nostra magnus est”, directis in Pompeium Magnum manibus pronuntiauit, reuocatusque aliquotiens a populo sine ulla cunctatione nimiae illum et intolerabilis potentiae reum gestu perseueranter egit. Eadem petulantia usus est in ea quoque parte, “uirtutem istam ueniet tempus cum grauiter gemes”. C. Courrier 2014, 786-787 precisa che noi sappiamo poco di questi munera, solo che si tennero nella metà di luglio del 59 e che in essi il popolo espresse la sua disapprovazione nei confronti della politica dei triumviri. Secondo la ricostruzione di P. Vanderbroeck 1987, testo n. 35, 238, tali munera sarebbero stati organizzati da Aulo Gabinio, candidato al consolato, sulla base di Cic., Att., 2.24.3; cfr. Ville 1981, 51-62.
  16. Riguardo ai fischi, agli applausi, alle acclamazioni come modalità di comunicazione negli edifici di spettacolo si vd. Aldrete 1999, 103, 139-140; Parker 1999,168-170; Arena 2010, 147-152; Forichon 2015-2022, 97-99, 102-105.
  17. Lo studioso cita, in relazione al sintagma plebs media, il “plebs optima et modestissima” usato da Cicerone nel De lege agraria (2.84): Angius 2021, 87-88; cfr. Angius 2018b, 58-60.
  18. Sul consenso degli equites cfr. Nicolet 1980a, 461; riguardo all’impopolarità di Pompeo cfr. Seager 2002, 94.
  19. In tale occasione sembra che gli organizzatori degli spettacoli non avessero previsto nulla e che l’iniziativa di un’allusione politica diretta contro Pompeo fosse imputabile allo stesso Difilo. Si vd. Nicolet 1980a, 466.
  20. Courrier 2014, 787.
  21. Curione del resto aveva ricevuto anche nel Foro un’accoglienza molto calorosa con applausi e acclamazioni, consalutatio forensis perhonorifica, mentre il pretore Fufio era stato accolto in malo modo: Cic., Att., 2.18.1. Egli era l’unico a parlare, loquitur, e a manifestare chiaramente la sua opposizione, cfr. Millar 1998, 132; Rosillo-Lopez 2017, 53. Riguardo all’importanza degli applausi tributati o negati agli uomini politici nei luoghi di spettacolo si vd. Parker 1999, 168-170.
  22. Cfr. Vanderbroeck 1987, testo n. 36, 238. Sui posti a sedere riservati agli equites si vd. Rawson 1987, 102-106; sul teatro come luogo privilegiato di espressione della volontà politica dei cavalieri, del loro consenso o del loro dissenso, in particolare nel periodo del principato, si vd. Davenport 2019, 373-380, 419-421.
  23. Cic., Att., 2.8.1; Rosillo-Lopez 2017, 169.
  24. Cic., Att., 2.17.1.
  25. Durante il principato augusteo gli iuuenes dell’ordine senatorio erano considerati membri dell’ordine equestre fino a quando non ricoprivano il consolato e dunque durante gli spettacoli sedevano nelle quattordici file riservate ai cavalieri. Il nipote di Augusto, Gaio, fu eletto al consolato nel 6 a.C. senza aver raggiunto l’età per rivestire la toga virile, ma il principe non acconsentì a tale elezione prematura, stabilendo per i due figli adottivi l’assunzione del consolato all’età di venti anni; il senato decretò che il giovane potesse partecipare alle sue riunioni non appena assunta la toga virile, cioè dall’anno successivo, e che potesse prendere parte ai banchetti e agli spettacoli insieme con i senatori, come testimonia Cassio Dione, senza tuttavia specificare se soltanto a teatro oppure anche al circo: C.D., 55.9.2-4; cfr. RGDA 14; Ville 1981, 433-435. Riguardo alle usurpazioni dei posti destinati ai senatori da parte degli iuuenes e al provvedimento legislativo emanato da Claudio con cui si predisponeva una sezione specifica nel Circo per i senatori, si vd. Coltelloni-Trannoy 1999, 487-498.
  26. Tac., Ann. 2.83: Honores ut quis amore in Germanicum aut ingenio ualidus reperti decretique: ut nomen eius Saliari carmine caneretur; sedes curules sacerdotum Augustalium locis superque eas querceae coronae statuerentur; ludos circensis eburna effigies praeiret neue quis flamen aut augur in locum Germanici nisi gentis Iuliae crearetur. Arcus additi Romae et apud ripam Rheni et in monte Syriae Amano cum inscriptione rerum gestarum ac mortem ob rem publicam obisse. Sepulchrum Antiochiae ubi crematus, tribunal Epidaphnae quo in loco uitam finierat. Statuarum locorumue in quis coleretur haud facile quis numerum inierit. Cum censeretur clipeus auro et magnitudine insignis inter auctores eloquentiae, adseuerauit Tiberius solitum paremque ceteris dicaturum: neque enim eloquentiam fortuna discerni et satis inlustre si ueteres inter scriptores haberetur. Equester ordo cuneum Germanici appellauit qui iuniorum dicebatur, instituitque uti turmae idibus Iuliis imaginem eius sequerentur. Pleraque manent: quaedam statim omissa sunt aut vetustas oblitteravit. Gli onori postumi decretati per Germanico, sia quelli di ambito sacrale sia quelli di ambito profano, furono modellati sulle onoranze prescritte per i principes iuuentutis Gaio e Lucio Cesari, come si evince anche dal testo della Tabula Hebana, ll. 4-7, ed. Crawford 1996, n. 37, 519, 525, 530; si vd. in proposito Demougin 1988, 808; Lebek 1993, 77-95; Arena 2010, passim. A proposito della ripartizione dei cunei iuniorum e seniorum si vd. Rawson 1987, 102-106; Coltelloni-Trannoy 1999, 493-497.
  27. Alla fine di luglio Cicerone (Att., 2.21.1) scriveva che la res publica era defunta e con una frase molto significativa identificava tre gruppi di opinione ben precisi che erano ostili a Cesare: sibilis uulgi, sermonibus honestorum, fremitu Italiae. Cfr. Rosillo-Lopez 2017, 169, la quale sottolinea che uulgus è abitualmente utilizzato da Cicerone come sinonimo di plebs e multitudo, con una sfumatura dispregiativa.
  28. Cic., Har. resp., 22: Quos igitur haruspices ludos minus diligenter factos pollutosque esse dicunt? Eos quorum ipsi di immortales atque illa mater Idaea te, – te, Cn. Lentule, cuius abaui manibus esset accepta, – spectatorem esse uoluit. Quod ni tu Megalesia illo die spectare uoluisses, haud scio an uiuere nobis atque his de rebus iam queri <non> liceret. Uis enim innumerabilis incitata ex omnibus uicis conlecta seruorum ab hoc aedile religioso repente <e> fornicibus ostiisque omnibus in scaenam signo dato inmissa inrupit. Tua tum, tua, Cn. Lentule, eadem uirtus fuit quae in priuato quondam tuo proauo; te, nomen, imperium, uocem, aspectum, impetum tuum stans senatus equitesque Romani et omnes boni sequebantur, cum ille seruorum eludentium multitudini senatum populumque Romanum uinctum ipso consessu et constrictum spectaculis atque impeditum turba et angustiis tradidisset.Cic., Har. resp, 25-26: Pro di immortales! Qui magis nobiscum loqui possetis, si essetis uersareminique nobiscum? Ludos esse pollutos significastis ac plane dicitis. Quid magis inquinatum, deformatum, peruersum, conturbatum dici potest quam omne seruitium, permissu magistratus liberatum, in alteram scaenam inmissum, alteri praepositum, ut alter consessus potestati seruorum obiceretur, alter seruorum totus esset? Si examen apium ludis in scaenam caueam<ue> uenisset, haruspices acciendos ex Etruria putaremus: uidemus uniuersi repente examina tanta seruorum inmissa in populum Romanum saeptum atque inclusum, et non commouemur? Atque in apium fortasse examine nos ex Etruscorum scriptis haruspices ut a seruitio caueremus monerent. Quod igitur ex aliquo diiuncto diuersoque monstro significatum caueremus, id cum ipsum sibi monstrum est, et cum in eo ipso periculum est ex quo periculum portenditur, non pertimescemus? Istius modi Megalesia fecit pater tuus, istius modi patruus? Is mihi etiam generis sui mentionem facit, cum Athenionis aut Spartaci exemplo ludos facere maluerit quam C. aut Appi Claudiorum? Illi cum ludos facerent, seruos de cauea exire iubebant: tu in alteram seruos inmisisti, ex altera liberos eiecisti. Itaque qui antea uoce praeconis a liberis semouebantur, tuis ludis non uoce sed manu liberos a se segregabant. Ne hoc quidem tibi in mentem ueniebat, Sibyllino sacerdoti, haec sacra maiores nostros ex uestris libris expetisse? Si illi sunt uestri quos tu impia mente conquiris, uiolatis oculis legis, contaminatis manibus attrectas. Riguardo alla possibilità che agli schiavi fossero preclusi i Megalesia oppure che essi fossero semplicemente allontanati dai posti a sedere si vd. Rawson 1987, 87-88.
  29. Per quanto concerne le ragioni della sollevazione, P. Vanderbroeck ritiene che Clodio decise di fare irruzione nel teatro per dare accesso gratuito alla plebe urbana per la quale non aveva ottenuto i posti (Vanderbroeck 1987, testo n. 66, 253). Secondo F. Millar non è chiaro, dalle parole di Cicerone, quale sia stato lo scopo reale dell’irruzione, che rimane inevitabilmente oscuro, dal momento che non viene detto nulla esplicitamente su un’eventuale connessione con il rifornimento di grano (come per l’episodio simile del 57 a.C.), anche se la penuria era una delle preoccupazioni maggiori (Millar 1998, 163-164). W. J. Tatum sostiene che la rivolta determinò l’attribuzione supplementare di quaranta milioni di sesterzi a Pompeo per la cura annonae (Tatum 1999, 211-213). C. Courrier reputa che questa sollevazione potrebbe essere stata spontanea, perché i ludi Megalenses fornivano un’eccellente occasione per la plebe di manifestare il suo malcontento riguardo al rifornimento di grano sempre così difficile (Courrier 2014, testo n. 93, 801).
  30. Cic., Phil., 1.36-37: Populi quidem Romani iudicia multa ambo habetis; quibus uos non satis moueri permoleste fero. Quid enim gladiatoribus clamores innumerabilium ciuium? Quid populi uersus? Quid Pompei statuae plausus infiniti? Quid duobus tribunis pl., qui uobis aduersantur? Parumne haec significant incredibiliter consentientem populi Romani uniuersi uoluntatem? Quid? Apollinarium ludorum plausus uel testimonia potius et iudicia populi Romani parum magna uobis uidebantur? O beatos illos, qui, cum adesse ipsis propter uim armorum non licebat, aderant tamen et in medullis populi Romani ac uisceribus haerebant! Nisi forte Accio tum plaudi et sexagesimo post anno palmam dari, non Bruto putabatis, qui ludis suis ita caruit, ut in illo apparatissimo spectaculo studium populus Romanus tribueret absenti, desiderium liberatoris sui perpetuo plausu et clamore leniret. Equidem is sum, qui istos plausus, cum popularibus ciuibus tribuerentur, semper contempserim; idemque, cum a summis, mediis, infimis, cum denique ab uniuersis hoc idem fit, cumque ii, qui ante sequi populi consensum solebant, fugiunt, non plausum illum, sed iudicium puto. Sin haec leviora uobis uidentur, quae sunt grauissima, num etiam hoc contemnitis, quod sensistis, tam caram populo Romano uitam A. Hirti fuisse? Satis erat enim probatum illum esse populo Romano, ut est; iucundum amicis, in quo uincit omnis; carum suis, quibus est [ipse] carissimus; tantam tamen sollicitudinem bonorum, tantum timorem omnium in quo meminimus? Certe in nullo.
  31. Tenendo conto sia di quanto avvenuto durante i ludi Victoriae Caesaris (si vd. infra, p. 37-38) sia di quanto successo quando Marco Antonio e Dolabella avevano provato a porre fine al culto per la memoria di Cesare nel Foro da parte della plebe e di Amatius (si vd. infra, 46-47), il sostegno degli infimi ai due tribuni della plebe per aver minacciato di opporre il loro veto a degli onori attribuiti a Cesare genera qualche perplessità, a meno di non considerarlo espressione di quella parte della plebe che non sosteneva più Cesare già nell’ultimo periodo della sua vita.
  32. Per quanto riguarda la possibile cronologia degli spettacoli, gli applausi ai cesaricidi furono tributati durante i ludi Apollinares, quindi tra il 6 e il 13 luglio. A seguire si ebbe una uenatio offerta da Bruto in qualità di pretore urbano, dunque il 14 luglio, cfr. Courrier 2014, testo n. 143, 832-833. Dei versi pronunciati a favore dei cesaricidi e dell’occasione non si hanno altre notizie, cfr. Courrier 2014, testo n. 146, 834. Il sostegno ad A. Irzio può essere messo in relazione con uno scambio epistolare tra Irzio e Cicerone, datato alla fine del mese di maggio, dal quale traspare l’irritazione di costui nei confronti dei veterani di Antonio: Cic., Att., 15.8, 31 maggio 44 a.C.; 15.6 (2? giugno 44 a.C.). L’appoggio ai due tribuni della plebe, T. Cannutius e L. Cassius, ostili alla mozione che Antonio aveva fatto approvare il 1° settembre sull’aggiunta di un giorno di supplicazioni agli dei a nome di Cesare, può essere datato al 1° settembre, giorno in cui si tenne la seduta del senato, cfr. Yavetz 1984, 112.
  33. A proposito della perdita di consensi da parte del popolo si vd. Morstein-Marx 2021, 507-531.
  34. Courrier 2014, 543-545.
  35. Cicerone presenta una tripartizione della società in De re publica, 2.69, summi, infimi et medii interiecti ordines, in un contesto influenzato dalla filosofia greca, riguardante l’equilibro tra le parti da perseguire nel canto corale e nella ciuitas; tale tripartizione ricorre anche in Phil., 13.45. Cfr. Angius 2021, 84; Courrier 2014, 347, per la problematicità di tali passi in relazione alla tesi che i medii si identifichino con la parte summa della plebe.
  36. Nicolet 1980a, 461.
  37. Si possono ricordare i rumores secondo i quali Antonio avrebbe tenuto tutto il grano nella sua casa, nati in un assembramento presso la porticus Minucia, e il fatto che nel mese di giugno dello stesso anno Bruto e Cassio erano stati inviati in Asia e in Sicilia ad frumentum emendum et ad urbem mittendum: Cic., Att., 14.3.1; Cic., Att., 15.9.1; 10; 11.1-4; 12.1-2; App., BC, 3.6.18-20; 4.57.243-247.
  38. Courrier 2014, 545-546.
  39. App., BC, 3.23-24.87-90: θέας δὲ πλησιαζούσης, ἣν ἔμελλεν ὑπὲρ Βρούτου στρατηγοῦντος ἐπιδώσειν Γάιος Ἀντώνιος ὁ ἀδελφὸς Ἀντωνίου, καὶ τἆλλα τοῦ Βρούτου τῆς στρατηγίας ἐπιτροπεύων ἀπόντος, παρασκευή τε ἦν ἐς αὐτὴν δαψιλὴς καὶ ἐλπὶς ἐν τῇ θέᾳ τὸν δῆμον ἐπικλασθέντα καλέσειν τοὺς ἀμφὶ τὸν Βροῦτον. ὁ δὲ Καῖσαρ ἀντιθεραπεύων τὸ πλῆθος, ὅσον ἀργύριον ἐκ τῆς πράσεως ἐγίγνετο, αἰεὶ κατὰ μέρος τοῖς φυλάρχοις ἀνεδίδου νέμειν τοῖς φθάνουσι λαβεῖν: καὶ ἐς τὰ πωλητήρια περιιὼν ἀποκηρύσσειν ἔλεγεν ὅσου δύναιντο πάντα τοὺς πιπράσκοντας ὀλιγίστου, διά τε δίκας ἀμφίβολα ἢ ἐπίφοβα ἔτι ὄντα καὶ διὰ τὴν Καίσαρος σπουδήν. ἅπερ αὐτῷ πάντα τὸν δῆμον εἰς εὔνοιαν ἤγειρεν καὶ ἐς ἔλεον, ὡς ἀναξίῳ τοιάδε πάσχειν. ὡς δ᾽ ἐπὶ τῇ κληρονομίᾳ καὶ τὴν ἴδιον αὑτοῦ περιουσίαν ὅση τε παρὰ Ὀκταουίου τοῦ πατρὸς ἢ ἑτέρωθεν ἦν αὐτῷ, καὶ τὰ τῆς μητρὸς πάντα καὶ τὰ Φιλίππου, καὶ τὸ μέρος τοῦ κλήρου Πινάριον καὶ Πέδιον αἰτήσας, προύθηκεν ἐς τὴν διανέμησιν πιπράσκεσθαι, ὡς τῆς Καίσαρος περιουσίας οὐδ᾽ ἐς τοῦτο μόνον ἀρκούσης διὰ τὰς ἐπηρείας, ὁ δῆμος οὐκέτι παρὰ τοῦ πρώτου Καίσαρος, ἀλλὰ παρὰ τοῦδε αὐτοῦ τὴν ἐπίδοσιν λογιζόμενος εἶναι ἐκπαθῶς αὐτὸν ἠλέει καὶ ἐπῄνουν ὧδε πάσχοντα καὶ ὧδε φιλοτιμούμενον δῆλοί τε ἦσαν οὐκ ἐς πολὺ τὴν ἐς αὐτὸν Ἀντωνίου ὕβριν ὑπεροψόμενοι. Διέδειξαν δὲ παρὰ τὰς Βρούτου θέας, πολυτελεστάτας δὴ γενομένας: ἐμμίσθων γάρ τινων ἀνακραγόντων κατακαλεῖν Βροῦτόν τε καὶ Κάσσιον, ἐπεὶ τὸ λοιπὸν αὐτοῖς θέατρον συνεδημαγωγεῖτο ἐς τὸν ἔλεον, ἐσέδραμον ἀθρόοι καὶ τὰς θέας ἐπέσχον, μέχρι τὴν ἀξίωσιν αὐτῶν σβέσαι. Βροῦτος δὲ καὶ Κάσσιος, ἐπεὶ σφῶν τὰς ἐλπίδας τὰς ἐν ταῖς θέαις ὁ Καῖσαρ διέχεεν, ἔγνωσαν εἰς Συρίαν καὶ Μακεδονίαν, ὡς πρὸ Ἀντωνίου καὶ Δολοβέλλα σφίσιν ἐψηφισμένας, χωρεῖν καὶ βιάζεσθαι. Plut., Brut., 21.1-3; Cic., Att., 16.5.1; Phil., 2.31; 10.8.
  40. Yavetz 1984, 93-120.
  41. Si vd. Noè 1988, 69 nt. 94; Sumi 2005, 145-147; Courrier 2014, testo n. 142, 832-833. Gli uomini politici tentavano di condizionare l’opinione pubblica a manifestare sia il proprio consenso sia il proprio dissenso durante ludi e munera attraverso l’azione di claque pagate, reclutate dalle proprie clientele, che erano peraltro facilmente individuabili nell’edificio di spettacolo grazie alla divisione dei posti a sedere. L’intervento di Ottaviano è reso chiaro da quanto Appiano scrive successivamente (3.24.91): “Allora Bruto e Cassio, dopo che Ottaviano ebbe troncato le speranze che avevano riposto nei giochi, decisero di passare in Siria e Macedonia (…)”.
  42. Cfr. Yavetz 1990, 236; Courrier 2014, 580-583, nt.578.
  43. Plut., Ant., 16.5; Suet., Iul., 76; App., BC, 3.28.105-107; C.D. 45.6.4-5; Sumi 2005, 150-153; Hölkeskamp 2006, 359; Arena 2010, 132-133.
  44. App., BC, 3.28.105-107. I ludi Ceriales avrebbero costituito un momento appropriato per le dimostrazioni in memoria di Cesare, dal momento che questi aveva creato da poco una nuova magistratura, gli aediles Ceriales, per sovrintendere ad essa: C.D. 43.51.3; si vd. Sumi 2005, 118 e nt.61. Come sottolinea J.-L. Ferrary, la politica seguita da Antonio riguardo agli onori cultuali resi a Cesare fu più coerente di quanto Cicerone non asserisca nella seconda Filippica; il divieto di celebrazione del quinto giorno dei ludi Romani dedicato a Cesare che implicava il suo carro con la statua nella pompa e la deposizione della statua nel puluinar, la proibizione dell’esposizione del trono con la corona nei ludi scaenici e al contempo l’autorizzazione dell’aggiunta di un giorno di supplicationes in onore di Cesare a quelle decretate per L. Munazio Planco rientravano nella politica di compromesso da lui adottata dopo il cesaricidio ed erano finalizzati a impedire che Ottaviano usasse strumentalmente l’appellativo di Diui filius. Si vd. Ferrary 2010, 9-30, in part. 21-22.
  45. Nic. Dam., FGrHist 90 F130.108: καὶ ὃς ἀπῄει καὶ οὐδὲν ἠναντιοῦτο, κολύοντος τοῦ ὑπάτου εἰσιόντα γε μὴν αὐτὸν εἰς τὸ θέατρον ἐκρότει ὁ δῆμος εὗ μάλα καὶ οἱ πατρικοὶ στρατιῶται ἠχθημένοι διότι τὰς πατρῴους ἀνανεούμενος τιμὰς διεκωλύξθη, ἄλλους τε ἐπ᾽ ἄλλοις κρότους ἐδίδουν παρ᾽ὅλην τὴν θέαν ἐπισημαινόμενοι.
  46. Cfr. Grattarola 1990, 78 nt. 273, 87 nt. 366-367, che ridimensiona la responsabilità di Marco Antonio nella proibizione dell’esposizione della corona e della sella di Cesare, enfatizzata nelle fonti dipendenti dall’autobiografia augustea, e la attribuisce all’azione dei tribuni, di cui alcuni repubblicani.
  47. Vanderbroeck 1987, 80-81; cfr. Mangiameli 2012, 35-37.
  48. Cic., Sest., 115-121: Veniamus ad ludos; facit enim, iudices, uester iste in me animorum oculorumque coniectus ut mihi iam licere putem remissiore uti genere dicendi. Comitiorum et contionum significationes sunt interdum uerae, sunt non numquam uitiatae atque corruptae; theatrales gladiatoriique consessus dicuntur omnino solere leuitate non nullorum emptos plausus exilis et raros excitare; ac tamen facile est, cum id fit, quem ad modum et a quibus fiat, et quid integra multitudo faciat uidere. Quid ego nunc dicam quibus uiris aut cui generi ciuium maxime plaudatur? Neminem uestrum fallit. Sit hoc sane leve, quod non ita est, quoniam optimo cuique impertitur; sed, si est leue, homini graui leue est, ei uero qui pendet rebus leuissimis, qui rumore et, ut ipsi loquuntur, fauore populi tenetur et ducitur, plausum immortalitatem, sibilum mortem uideri necesse est. Ex te igitur, Scaure, potissimum quaero, qui ludos apparatissimos magnificentissimosque fecisti, ecquis istorum popularium tuos ludos aspexerit, ecquis se theatro populoque Romano commiserit. Ipse ille maxime ludius, non solum spectator sed actor et acroama, qui omnia sororis embolia nouit, qui in coetum mulierum pro psaltria adducitur, nec tuos ludos aspexit in illo ardenti tribunatu suo nec ullos alios nisi eos a quibus uix uiuus effugit. Semel, inquam, se ludis homo popularis commisit omnino, cum in templo uirtutis honos habitus esset uirtuti, Gaique Mari, conseruatoris huius imperi, monumentum municipi eius et rei publicae defensori sedem ad salutem praebuisset. Quo quidem tempore quid populus Romanus sentire se ostenderet utroque in genere declaratum est: primum cum audito senatus consulto rei ipsi atque absenti senatui plausus est ab uniuersis datus, deinde cum senatoribus singulis spectatum e senatu redeuntibus: cum uero ipse qui ludos faciebat consul adsedit, stantes ei manibus passis gratias agentes et lacrimantes gaudio suam erga me beniuolentiam ac misericordiam declararunt. At cum ille furibundus incitata illa sua vaecordi mente venisset, uix se populus Romanus tenuit, uix homines odium suum a corpore eius impuro atque infando represserunt; uoces quidem et palmarum intentus et maledictorum clamorem omnes profuderunt. Sed quid ego populi Romani animum uirtutemque commemoro, libertatem iam ex diuturna seruitute dispicientis, in eo homine cui tum petenti iam aedilitatem ne histriones quidem coram sedenti pepercerunt? Nam cum ageretur togata “Simulans”, ut opinor, caterua tota clarissima concentione in ore impuri hominis imminens contionata est: “huic, Tite, tua post principia atque exitus uitiosae uitae-!” sedebat exanimatus, et is qui antea cantorum conuicio contiones celebrare suas solebat cantorum ipsorum uocibus eiciebatur. Et quoniam facta mentio est ludorum, ne illud quidem praetermittam, in magna uarietate sententiarum numquam ullum fuisse locum, in quo aliquid a poeta dictum cadere in tempus nostrum uideretur, quod aut populum uniuersum fugeret aut non exprimeret ipse actor. Et quaeso hoc loco, iudices, ne qua leuitate me ductum ad insolitum genus dicendi labi putetis, si de poetis, de histrionibus, de ludis in iudicio loquar. Quid fuit illud quod, recenti nuntio de illo senatus consulto quod factum est in templo Virtutis ad ludos scaenamque perlato, consessu maximo summus artifex et me hercule semper partium in re publica tam quam in scaena optimarum, flens et recenti laetitia et mixto dolore ac desiderio mei, egit apud populum Romanum multo grauioribus uerbis meam causam quam egomet de me agere potuissem? Summi enim poetae ingenium non solum arte sua, sed etiam dolore exprimebat. Qua enim (ui): “qui rem publicam certo animo adiuuerit, statuerit, steterit cum Achiuis-” uobiscum me stetisse dicebat, uestros ordines demonstrabat! reuocabatur ab uniuersis – “re dubia haut dubitarit uitam offerre nec capiti pepercerit”. Haec quantis ab illo clamoribus agebantur! Cum iam omisso gestu uerbis poetae et studio actoris et exspectationi nostrae plauderetur: “summum amicum summo in bello -” nam illud ipse actor adiungebat amico animo et fortasse homines propter aliquod desiderium adprobabant: “summo ingenio praeditum”.
  49. Cfr. Nicolet 1980a, 466.
  50. Cic., Sest., 122-123: Pro di immortales! Quid? Illa quem ad modum dixit idem! Quae mihi quidem ita et acta et scripta uidentur esse ut uel a Q. Catulo, si reuixisset, praeclare posse dici uiderentur; is enim libere reprehendere et accusare populi non numquam temeritatem solebat aut errorem senatus:“O ingratifici Argiui, immunes Graii, immemores benefici!” non erat illud quidem uerum; non enim ingrati, sed miseri, quibus reddere salutem a quo acceperant non liceret, nec unus in quemquam umquam gratior quam in me uniuersi; sed tamen illud scripsit disertissimus poeta pro me, egit fortissimus actor, non solum optimus, de me, cum omnis ordines demonstraret, senatum, equites Romanos, uniuersum populum Romanum accusaret: “Exsulare sinitis, sistis pelli, pulsum patimini!” quae tum significatio fuerit omnium, quae declaratio uoluntatis ab uniuerso populo Romano in causa hominis non popularis, equidem audiebam: existimare facilius possunt qui adfuerunt. Eaque populus Romanus non solum plausu sed etiam gemitu suo comprobauit. Utrum igitur haec Aesopum potius pro me aut Accium dicere oportuit, si populus Romanus liber esset, an principes ciuitatis? Nominatim sum appellatus in Bruto: “Tullius, qui libertatem ciuibus stabiliuerat” miliens reuocatum est.
  51. Riguardo alle allusioni all’attualità da parte di poeti e attori e al conseguente coinvolgimento del pubblico, che prontamente coglieva tali allusioni e reagiva ad esse con manifestazioni di approvazione o di biasimo nei confronti del personaggio o dell’evento richiamato, si vd. Angius 2018a, 63-80.
  52. Anche in relazione all’episodio dei ludi Florales del 55 a.C. (28 aprile – 3 maggio) Cicerone usa due volte populus per riferirsi all’uditorio, non mi sembra in riferimento alla sola plebe, ma alla folla dei presenti. In tale occasione Catone aveva lasciato il teatro per non imporre la sua presenza alle attrici che dovevano spogliarsi per prendere parte alle prove sportive e per tale comportamento aveva ricevuto immensi applausi da parte del populus alla sua uscita. Val. Max., 2.10.8: Eodem ludos Florales, quos Messius aedilis faciebat, spectante populus ut mimae nudarentur postulare erubuit. Quod cum ex Fauonio amicissimo sibi una sedente cognosset, discessit e theatro, ne praesentia sua spectaculi consuetudinem impediret. Quem abeuntem ingenti plausu populus prosecutus priscum morem iocorum in scaenam reuocauit, confessus plus se maiestatis uni illi tribuere quam sibi uniuerso uindicare. Cfr. Courrier 2014, testo n. 101, 806.
  53. Il sostantivo multitudo viene impiegato in diversi casi come sinonimo di plebs da Cicerone, Sallustio e Livio, mentre in altri, accompagnato da aggettivi come infima o da genitivo di specificazione, assume valenza dispregiativa. Si vd. in proposito Helleguarc’h 1972, 513; Yavetz 1984, 189-209; Courrier 2014, 493-496, nt. 251 e 252.
  54. Cic., Sest., 124-127: Maximum uero populi Romani iudicium uniuersi consessu gladiatorio declaratum est; erat enim munus Scipionis, dignum et eo ipso et illo Metello cui dabatur. Id autem spectaculi genus erat quod omni frequentia atque omni genere hominum celebratur, quo multitudo maxime delectatur. In hunc consessum P. Sestius tribunus plebis, cum ageret nihil aliud in eo magistratu nisi meam causam, uenit et se populo dedit non plausus cupiditate, sed ut ipsi inimici nostri uoluntatem uniuersi populi uiderent: uenit, ut scitis, a columna Maenia: tantus est ex omnibus spectaculis usque a Capitolio, tantus ex fori cancellis plausus excitatus, ut numquam maior consensio aut apertior populi Romani uniuersi fuisse ulla in causa diceretur. Vbi erant tum illi contionum moderatores, legum domini, ciuium expulsores? Aliusne est aliquis improbis ciuibus peculiaris populus, cui nos offensi inuisique fuerimus? Equidem existimo nullum tempus esse frequentioris populi quam illud gladiatorium, neque contionis ullius neque uero ullorum comitiorum. Haec igitur innumerabilis hominum multitudo, haec populi Romani tanta significatio sine ulla uarietate uniuersi, cum illis ipsis diebus de me actum iri putaretur, quid declarauit nisi optimorum ciuium salutem et dignitatem populo Romano caram esse uniuerso? At uero ille praetor, qui de me non patris, aui, proaui, maiorum denique suorum omnium, sed Graeculorum instituto contionem interrogare solebat, “uelletne me redire,” et, cum erat reclamatum semiuiuis mercennariorum uocibus, populum Romanum negare dicebat, is, cum cotidie gladiatores spectaret, numquam est conspectus cum ueniret. Emergebat subito, cum sub tabulas subrepserat, ut mater, te appello dicturus uideretur; itaque illa uia latebrosior, qua spectatum ille ueniebat, Appia iam uocabatur; qui tamen quoquo tempore conspectus erat, non modo gladiatores sed equi ipsi gladiatorum repentinis sibilis extimescebant. Videtisne igitur quantum (intersit) inter populum Romanum et contionem? Dominos contionum omni odio populi notari, quibus autem consistere in operarum contionibus non liceat, eos omni populi Romani significatione decorari? Tu mihi etiam M. Atilium Regulum commemoras, qui redire ipse Carthaginem sua uoluntate ad supplicium quam sine iis captiuis a quibus ad senatum missus erat Romae manere maluerit, et mihi negas optandum reditum fuisse per familias comparatas et homines armatos?
  55. Edmondson 1996, 86-88; Edmondson 2002, 10; Jones 2011, 22-24. Durante l’età della Repubblica buona parte dei munera era allestita nel Foro, dove l’area dei combattimenti veniva recintata e veniva eretta una struttura temporanea di legno con posti a sedere. Secondo la tradizione i membri dell’élite e la plebe si trovavano gli uni accanto agli altri durante tali spettacoli, ma ben presto si vennero concessi particolari privilegi concernenti i posti a sedere riservati a determinate famiglie. Già nel 184 a.C. i Maenii ottennero il privilegio perpetuo di poter assistere agli spettacoli da un’area riservata presso la Basilica Porcia, come riconoscimento per aver venduto la propria casa al fine di permettere la costruzione della basilica (Pseudo-Ascon., 201.15; Porph., ad Hor. Sat., 1.3) e nel 43 a.C. i discendenti di S. Sulpicio Rufo ebbero l’onore di guardare gli spettacoli e i munera da quella parte dei Rostra sulla quale era stata appena eretta la statua onorifica di Rufo (Cic., Phil., 9.16). Cfr. Edmondson 2002, 10.
  56. Cicerone può così sottolineare che, al contrario, nelle contiones tenute da Clodio le manifestazioni di approvazione non riflettevano per nulla l’opinione del popolo romano, ma quella di un altro popolo, composto dagli improbi cives. Questa caratterizzazione viene applicata alle contiones tenute dal fratello di Clodio, Appio Claudio Pulcro, come pretore nel 57 a.C., che veniva immediatamente fischiato, repentinis sibilis: Cic., Sest., 125-126; si vd. Vanderbroeck 1987, testo n. 54, 246; Millar 1998, 147-148; Courrier 2014, 794. In una lettera ad Attico del 61 a.C. Cicerone esprime un’opinione parzialmente diversa e asserisce di ricevere manifestazioni di consenso (mirandas episemasias), in virtù del suo legame con Pompeo, durante ludi e munera da parte della contionalis hirudo aerarii, misera ac ieiuna plebecula, citata poco prima nel testo. In quel periodo Pompeo godeva di grande popolarità grazie alle conquiste effettuate e alla soluzione posta al problema della pirateria. Cic., Att., 1.16.11: Accedit illud, quod illa contionalis hirudo aerarii, misera ac ieiuna plebecula, me ab hoc Magno unice diligi putat, et hercule multa et iucunda consuetudine coniuncti inter nos sumus usque eo, ut nostri isti comissatores coniurationis barbatuli iuuenes illum in sermonibus “Cn. Ciceronem” appellent. Itaque et ludis et gladiatoribus mirandas episemasias sine ulla pastoricia fistula auferebamus. Come rilevato da P. Vanderbroeck, questo passo sembra appunto contraddire la convinzione ciceroniana espressa altrove, secondo la quale gli spettatori dei ludi e dei munera differivano di molto dai partecipanti alle contiones e alle assemblee e davano un giudizio veritiero.
  57. Plin., NH, 7.158; 8.20-21: 8.24.64; 8.28.70; 8.30.72; 8.34.84; Plut., Pomp., 52; C.D. 39.38; Chronicon Paschale I.351-352 C-D.
  58. Cic., Fam., 7.1: Reliquae sunt venationes binae per dies quinque, magnificae–nemo negat–, sed quae potest homini esse polito delectatio, cum aut homo imbecillus a ualentissima bestia laniatur aut praeclara bestia uenabulo transuerberatur? Quae tamen, si uidenda sunt, saepe uidisti, neque nos, qui haec spectauimus, quidquam novi uidimus.  Extremus elephantorum dies fuit: in quo admiratio magna uulgi atque turbae, delectatio nulla exstitit; quin etiam misericordia quaedam consecuta est atque opinio eiusmodi, esse quandam illi beluae cum genere humano societatem.
  59. Riguardo alla caccia agli elefanti si vd. anche il recente articolo di M. Vespa, nel quale l’autore esamina la reazione inaspettata del pubblico dinanzi alle manifestazioni di angoscia e dolore degli elefanti durante la venatio e il conseguente fallimento della finzione ludica: Vespa 2021, 157-182. Anche S. Forichon, in un suo contributo del 2022, analizza la progressione delle reazioni della folla: uexatio (panico) di fronte al tentativo di fuga degli elefanti, dolor (dolore) dinanzi alle forme di comunicazione gestuale con cui i pachidermi implorano la misericordia (pietà) del pubblico, pianto (flens) e poi collera nei riguardi di Pompeo (dirasque Pompeio…imprecaretur); mette in rilevo l’amplificazione delle reazioni del pubblico da parte di Plinio il Vecchio allo scopo di dimostrare la prossimità di questi animali al genere umano: Forichon 2022, 121-124.
  60. Cfr. per l’episodio, per la crescente preminenza e influenza di singoli individui nella vita politica, che diviene visibile in modo materiale nel centro di Roma attraverso i monumenti eretti, e per la rapida trasformazione della vita politica e delle relazioni politiche Millar 1998, 175. Sul teatro di Pompeo si vd. Coarelli 1971-1972, 99-122; Frézouls 1983, 193; La Rocca 1987-1988, 265-292; Gagliardo, Packer 2006, 93-122; Temelini 2006; Monterroso Checa 2010; Madeleine 2014; Letellier-Taillefer 2016, 573-599. Sui collegamenti tra il trionfo del 61 a.C. con il suo arredo, l’inaugurazione del teatro del 55 a.C. con gli spettacoli grandiosi, il trionfo permanente ospitato nell’edificio attraverso l’apparato scultoreo, si vd. Cadario 2011, 11-68.
  61. Forichon 2020, 187 nt. 171; sull’uso dei due sostantivi nel passo si vd. Shelton 1999, 251-252; Fagan 2011, 249-252. Cfr. Madeleine 2014, 65-73 riguardo all’ipotesi che Cicerone nella sua lettera si stesse riferendo agli spettacoli offerti nel 55 a.C. e Plinio abbia fatto confusione tra gli spettacoli offerti nel 55 e quelli organizzati nel 52 a.C. per l’inaugurazione del tempio di Venere Vincitrice, in occasione dei quali gli elefanti avrebbero tentato di fuggire salendo sulle gradinate.
  62. Plin., NH, 8.20-21: Pompei quoque altero consulatu, dedicatione templi Veneris Victricis, uiginti pugnauere in circo aut, ut quidam tradunt, XVIII, Gaetulis ex aduerso iaculantibus, mirabili unius dimicatione, qui pedibus confossis repsit genibus in cateruas, abrepta scuta iaciens in sublime, quae decidentia uoluptati spectantibus erant in orbem circumacta, uelut arte, non furore beluae, iacerentur. Magnum et in altero miraculum fuit uno ictu occiso; pilum autem sub oculo adactum in uitalia capitis uenerat. Uniuersi eruptionem temptauere, non sine uexatione populi, circumdatis claustris ferreis. Qua de causa Caesar dictator postea simile spectaculum editurus euripis harenam circumdedit, quos Nero princeps sustulit equiti loca addens. Sed Pompeiani amissa fugae spe misericordiam uulgi inenarrabili habitu quaerentes supplicauere quadam sese lamentatione conplorantes, tanto populi dolore, ut oblitus imperatoris ac munificentiae honori suo exquisitae flens uniuersus consurgeret dirasque Pompeio, quas ille mox luit, inprecaretur. Z. Yavetz cita questo episodio come prova del fatto che Pompeo, pur avendo provato a conquistare il favore del popolo nel 55 a.C. con la novità degli spettacoli, non riuscì nel suo intento: Yavetz 1984, 49-50.
  63. Vespa 2021, 171-173.
  64. Sen., Contr., 7.3.9; Macr., Sat., 2.7.4-5: In ipsa quoque actione subinde se, qua poterat, ulciscebatur inducto  habitu Syri, qui uelut flagris caesus praeripientique se similis exclamabat: “Porro Quirites! libertatem perdimus” et paulo post adiecit: “Necesse est multos timeat quem multi timent”. Quo dicto uniuersitas populi ad solum Caesarem oculos et ora conuertit, notantes inpotentiam eius hac dicacitate lapidatam. Ob haec in Publium uertit fauorem.
  65. Cfr. Weinstock 1971, 140; Dumont 2004, 244-249; Courrier 2014, testo n. 127, 820. I mimi, con le loro allusioni all’attualità, potevano spingere il pubblico degli spettacoli a reagire contro le autorità, come è provato dalla vicenda di Laberio e Cesare. Il cavaliere non aveva bisogno di chiamare Cesare per nome perché gli spettatori comprendessero a chi si stesse riferendo. Le stesse parole di Laberio fanno capire quanto la critica teatrale fosse libera. Si vd. Angius 2018a, 75.
  66. Cic., Att., 13.44.1: suauis tuas litteras! (etsi acerba pompa. Verum tamen scire omnia non acerbum est, uel de Cotta) populum uero praeclarum quod propter malum uicinum ne Victoriae quidem ploditur! Brutus apud me fuit; quoi quidem ualde placebat me aliquid ad Caesarem. Adnueram; sed pompa deterret.
  67. Il senato aveva accordato a Cesare il privilegio di far sfilare la sua statua d’avorio tra quelle degli dei in tutte le pompae circenses (C.D. 43.45.1-3), come confermato da due lettere di Cicerone, datate a maggio e a luglio del 45 a.C.: Cic., Att., 13.28.3 (maggio 45 a.C.); Cic., Att., 13.44.1 (13 luglio 45 a.C.). Per la datazione della seconda lettera si vd. Ramsey, Lewis Licht 2004, 25-40; Ferrary 2010, 19. Riguardo alla statua e al carro di Cesare inclusi nella processione del circo si vd. Weinstock 1971, 184; Fishwick 1991, 57 sgg.; Cadario 2006, 42-43; Arena 2010, 56-60; Latham 2016, 105-111.
  68. Per gli onori decretati a Cesare in vita e il culto del Diuus Iulius cfr. Letta 2020, 10-22, con bibliografia precedente.
  69. Cfr. in proposito Yavetz 1990, 231-232; Ferrary 1999, 225; Courrier 2014, testo n. 130, 822-823.
  70. Suet., Iul., 80: Quinto Maximo suffecto trimenstrique consule theatrum introeunte, cum lictor animaduerti ex more iussisset, ab uniuersis conclamatum est non esse eum consulem. Cic., Fam., 7.30; Plut., Caes., 58.3; C.D., 43.46.3-4; Macr., Sat., 2.3.6 e 7.3.10; cfr. Yavetz 1990, 147, 224; Courrier 2014, testo n. 132, 823. Quinto Fabio Massimo era entrato in carica il 1° ottobre del 45 a.C. e aveva celebrato un trionfo ex Hispania il 13; morì improvvisamente nella notte tra il 30 e il 31 dicembre dello stesso anno. Cesare, dopo la sua dipartita, convocò i comizi centuriati e poi annunciò che C. Caninio Rebilo lo avrebbe sostituito per meno di un giorno, dimostrando così poco rispetto per le magistrature repubblicane. Cfr. Gusso 1997, 345 sgg.
  71. C.D. 43.14.5; 43.45.1. Cfr. Ferrary 2010, 27-28 e nt. 73.
  72. Cic., Att., 14.2.1 (sei giorni prima delle Idi di aprile del 44 a.C.): Duas a te accepi epistulas heri. Ex priore theatrum Publiliumque cognoui, bona signa consentientis multitudinis. Plausus uero L. Cassio datus etiam facetus mihi quidem uisus est.
  73. Sumi 2005, 115-116.
  74. Cic., Att., 14.16.2: Sed ad rem ut ueniam, o Dolabellae nostri magnam ἀριστείαν! quanta est ἀναθεώρησις! Equidem laudare eum et hortari non desisto. Recte tu omnibus epistulis significas quid de re, quid de viro sentias. Mihi quidem uidetur Brutus noster iam uel coronam auream per forum ferre posse. Quis enim audeat laedere proposita cruce aut saxo, praesertim tantis plausibus, tanta approbatione infimorum?
  75. Cic., Phil., 1.30: Dicerem, Dolabella, qui recte factorum fructus esset, nisi te praeter ceteros paulisper esse expertum uiderem. Quem potes recordari in uita illuxisse tibi diem laetiorem, quam cum, expiatio foro, dissipato concursu impiorum, principibus sceleris poena affectis, urbe incendio et caedis metu liberata, te domum recepisti? Cuius ordinis, cuius generis, cuius denique fortunae studia tum laudi et gratulationi tuae se non obtulerunt? Quin mihi etiam, quo auctore te in his rebus uti arbitrabantur, et gratias boni uiri agebant et tuo nomine gratulabantur. Recordare, quaeso, Dolabella, consensum illum theatri, cum omnes earum rerum obliti, propter quas fuerant tibi offensi, significarent se beneficio nouo memoriam ueteris doloris abiecisse.
  76. Cic., Att., 14.15.1; 14.16.1; 14.17A; 14.19.1; Val. Max., 9.15.1; Liv., Per., 116; App., BC, 3.3.6-8; Suet., Iul., 45. Yavetz 1984, 58-61, 70-72; Sumi 2005, 118-120; Lintott 2008, 345-346.
  77. Cic., Att., 14.15.1: O mirificum Dolabellam meum! Iam enim dico meum; antea, crede mihi, subdubitabam. Magnam ἀναθεώρησιν res habet, de saxo, in crucem, columnam tollere, locum illum sternendum locare. Il culto per il dittatore defunto veniva tributato qui dalla plebe urbana, dagli schiavi e dai liberti di Cesare, dai suoi veterani, apparentemente sotto la leadership di Amatius all’inizio e in opposizione ai sostenitori dei cesaricidi e alle autorità in città, i consoli Marco Antonio e Dolabella. Riguardo al complesso cultuale, alle fasi della sua costituzione e al suo significiato, si vd. anche Sumi 2011, 205-229.
  78. Il sintagma uniuersus populus è usato anche per un episodio databile al 43 a.C., concernente il giovane Ottaviano e le maldicenze che correvano a Roma sul suo conto, per denotare l’uditorio intero che era ben consapevole della situazione politica, delle opposizioni esistenti tra i vari interlocutori e degli strumenti utilizzati per screditare gli avversari. Svetonio infatti riporta che, una volta, a teatro tutto il pubblico, che conosceva evidentemente le accuse di impudicizia e di passività che circolavano su Ottaviano, approvò, come se fosse rivolto al giovane, un verso che riguardava un sacerdote di Cibele. Riferito all’erede di Cesare, fu interpretato così: “Il cinedo che manovra il mondo con il dito”. Suet., Aug., 68: Prima iuuenta uariorum dedecorum in famiam subiit. Sextus Pompeius ut effeminatum insectatus est; M. Antonius adoptionem auunculi stupro meritum; item L. Marci frater, quasi pudicitiam delibatam a Caesare Aulo etiam Hirtio in Hispania trecentis milibus nummum substrauerit solitusque sit crura suburere nuce ardenti, quo mollior pilus surgeret. Sed et populus quondam uniuersus ludorum die et accepit in contumeliam eius et adsensu maximo conprobauit uersum in scaena pronuntiatum de gallo Matris Deum tympanizante: “Videsne, ut cinaedus orbem digito temperat?”. Cfr. Louis 2010, 446-448. Courrier 2014, testo n. 149, 835-836.
  79. Tac., Dial., 13.2: Ac ne fortunam quidem uatum et illud felix contubernium comparare timuerim cum inquieta et anxia oratorum uita. Licet illos certamina et pericula sua ad consulatus euexerint, malo securum et quietum Virgilii secessum, in quo tamen neque apud diuum Augustum gratia caruit neque apud populum Romanum notitia. Testes Augusti epistulae, testis ipse populus, qui auditis in theatro Virgilii versibus surrexit uniuersus et forte praesentem spectantemque Virgilium ueneratus est sic quasi Augustum. Cfr. Aldrete 1999, 107; Courrier 2014, testo n. 172, 849-850.
  80. Suet., Aug., 56: Numquam filios suos populo commendauit ut non adiceret: “Si merebuntur.” Eisdem praetextatis adhuc assurrectum ab uniuersis in theatro et a stantibus plausum grauissime questus est. Cassio Dione colloca l’episodio all’interno di un capitolo più largamente dedicato al comportamento e alla popolarità dei suoi nipoti, comprovata dall’elezione al consolato di Gaio nello stesso anno: C.D. 55.9.1-2: ἐς γοῦν τὸ θέατρόν ποτε καθ᾽ ἑαυτὸν ὁ Λούκιος ἐσῆλθἐ καὶ πρὸς πάντων τῶν ἐν τῇ πολει, τὰ μὲν γνώμῃ τὰ δὲ θεραπείᾳ, κολακευομένους κἀκ τούτου ἔτι καὶ μᾶλλον θρυπτομένους ῾τά τε γὰρ ἄλλα καὶ ὕπατον τὸν Γάιον μηδὲ ἐς ἐφήβους πω τελοῦντα προεχειρίσαντο, ἠγανάκτησε, καὶ προσεπηύξατο μηδεμίαν τοιαύτην καιρῶν ἀνάγκην ὁποία ποτὲ αὐτὸν κατέλαβε γενέσθαι, ὥστε τινὰ νεώτερον εἰκοσιετοῦς ὑπατεῦσαι. L’episodio riportato da Svetonio non è precisamente databile. L’indicazione che entrambi i nipoti di Augusto erano ancora vestiti con la pretesta fa comprendere che si riferisce a un periodo antecedente il 5 a.C., anno in cui Gaio assunse la toga virile. Cfr. Aldrete 1999, 106; Louis 2010, 391; Courrier 2014, testo n. 179, 857; Valentini 2019, 58-59, 63.
  81. Augusto non acconsentì all’assunzione così prematura della carica, stabilendo per i due figli l’elevazione al consolato a venti anni, ma permise che gli equites Romani uniuersi concedessero loro il titolo di principes iuuentutis. Il senato comunque decretò che il giovane potesse partecipare alle sue riunioni non appena avesse assunto la toga virile e che potesse prendere parte ai banchetti e agli spettacoli insieme ai senatori. Si vd. in proposito Hurlet 1997, 115; Severy 2003, 164; Cenerini 2010, 114 sgg.; Rohr Vio 2011, 89-98.
  82. C.D. 54.27.1 (13 a.C.): ἀλλὰ καὶ τῷ Τιβερίῳ ἐπετίμησεν ὅτι τὸν Γάιον ἐν τῇ πανηγύρει τῇ εὐκταίᾳ, ἣν ἐπὶ τῇ ἐπανόδῳ αὐτοῦ διετίθει, παρεκαθίσατο, καὶ τῷ δήμῳ ὅτι καὶ κρότοις καὶ ἐπαίνοις αὐτὸν ἐτίμησαν. Cfr. Hurlet 1997, 70; Courrier 2014, testo n. 179, 854.
  83. RG, 12.2; CIL, VI, 386 = D, 88; Arena 2016, 209-212, con bibliografia precedente.
  84. Suet., Aug., 53: Domini appellationem ut maledictum et obprobrium semper exhorruit. Cum spectante eo ludos pronuntiatum esset in mimo: “O dominum aequum et bonum!” et uniuersi quasi de ipso dictum exsultantes comprobassent, et statim manu uultuque indecoras adulationes repressit et insequenti die grauissimo corripuit edicto; dominumque se posthac appellari ne a liberis quidem aut nepotibus suis uel serio uel ioco passus est atque eius modi blanditias etiam inter ipsos prohibuit. C.D. 55.12.2: δεσπότης δέ ποτε ὁ Αὔγουστος ὑπὸ τοῦ δήμου ὀνομασθεὶς οὐχ ὃπως ἀπεῖτε μηδένα τούτῳ πρὸς ἑαυτὸν τῷ προσρήματι χρήσασθαι, ἀλλὰ καὶ πάνυ διὰ φθλακῆς αὐτὸ ἐποιήσατο. Tert., Apol. 34; Oros., 6.22.4. Swan 2004, ad loc., data il passo di Cassio Dione al 2-3 d.C.
  85. C.D. 48.31.1-3. Sull’ouatio celebrata a Roma per veicolare, in particolare alla plebs urbana, il messaggio confortante della concordia ritrovata e, di conseguenza, della pace si vd. Weinstock 1971, 318-331; Sumi 2005, 65-68, 196; Lange 2013, 80-81; Lange 2015, 135, 139-141; Lange 2016, 42; Arena 2019, 187-188.
  86. C.D. 48.31.1.
  87. C.D. 48.31.5-6: καὶ ἄλλα τε ἐπὶ θεραπείᾳ αὐτοῦ διεθρόουν, καὶ ἐν ταῖς ἱπποδρομίαις κρότῳ τε πολλῷ τὸ τοῦ Ποσειδῶνος ἄγαλμα πομπεῦον ἐτίμων καὶ ἡδονὴν ἐπ᾽ αὐτῷ πολλὴν ἐποιοῦντο. ἐπεί τε ἡμέραις τισὶν οὐκ ἐσήχθη, τούς τε ἐν ταῖς ἀρχαῖς ὄντας λίθοις ἐκ τῆς ἀγορᾶς ἐξήλασαν καὶ ἐκείνων τὰς εἰκόνας κατέβαλον, καὶ τέλος, ἐπειδὴ μηδ᾽ ὥς τι ἐπεραίνετο, σπουδῇ ἐπ᾽ αὐτοὺς ὡς καὶ ἀποκτενοῦντές σφας ὥρμησαν. καὶ ὁ μὲν Καῖσαρ, καίτοι τρωθέντων τῶν ἀμφ᾽ αὐτὸν ὄντων, τήν τε ἐσθῆτα περιερρήξατο καὶ πρὸς ἱκετείαν αὐτῶν ἐτράπετο, ὁ δ᾽ Ἀντώνιος βιαιότερόν σφισι προσηνέχθη. καὶ διὰ τοῦτο ὅτι μάλιστα ὀργισθέντων τέ σφων καὶ ἐπὶ τούτῳ καὶ δεινόν τι πράξειν προόσδοκηθέντων, ἠναγκάσθησαν τῷ Σέξτῳ καὶ ἄκοντες ἐπικηρυκεύσασθαι. Suet., Aug., 16.5: Alii dictum factumque eius criminantur, quasi classibus tempestate perditis exclamauerit «etiam inuito Neptuno uictoriam se adepturum», ac die circensium proximo sollemni pompae simulacrum dei detraxerit. All’inizio dello stesso capitolo (16.1), Svetonio adopera il semema populus allorché narra della pace conclusa con Sesto Pompeo, richiesta dal popolo che temeva la carestia per l’interruzione dei trasporti di viveri.
  88. App., BC, 5.280-289; vd. Gabba 1956, 201-202; Yavetz 1984, 48-49; Courrier 2014, 489-490.
  89. Si vd. Senatore 1991, 110-112; Vio 1998, 22-24.
  90. App., BC, 5.288-289 διαφυγόντος δέ ποτε τοῦ πλήθους τὰ νεκρά, ἵνα μὴ ἐνοχλοίη θεωρούμενα, ἐς τὸν ποταμὸν ἀπερριπτεῖτο: καὶ ἕτερον πένθος ἦν ὁρωμένων ἀνὰ τὸ ῥεῦμα, καὶ περιδυόντων αὐτὰ τῶν στρατιωτῶν καὶ ὅσοι μετ᾽ αὐτῶν κακοῦργοι τὰ εὐσχήμονα μάλιστα ὡς οἰκεῖα ἔφερον. ἀλλὰ ταῦτα μὲν ἐπαύετο σὺν φόβῳ τε καὶ μίσει τῶν ἡγουμένων, ὁ δὲ λιμὸς ἤκμαζε, καὶ ὁ δῆμος ἔστενε καὶ ἡσύχαζεν.
  91. App., BC, 4.41.172-174: καὶ τὸν νεανίαν ὁ δῆμος ἐπαινῶν ὕστερον ἀπέφηνεν ἀγορανόμον: δεδημευμένης δ᾽αὐτῷ τῆς οὐσίας οὐκ ἔχοντι τῆς ἀρχῆς τὸ δαπάνημα οἵ τε χειροτέχναι τὰ ἐς τὴν ἀρχὴν ἀμισθὶ συνειργάσαντο, καὶ τῶν θεωμένων ἕκαστος ἐπὶ τὴν ὀρχήστραν ὅσον ἐβούλετο νόμισμα ἐρρίπτει, ἕως τὸν ἄνδρα κατεπλούτισαν. Ἀρριανοῦ δὲ καὶ ἐν τῇ στήλῃ κεκόλαπτο ἐκ διαθηκῶν: ‘τὸν ἐνθάδε κείμενον υἱὸς οὐ προγραφεὶς προγραφέντα ἔκρυψέ τε καὶ συνέφυγε καὶ περιέσωσε.’; cfr. Virlouvet 1985, 54; Courrier 2014, testo n. 166, 846-847.
  92. C.D. 48.53.4-5: βουλευομένου δ᾽οὖν καὶ Μάρκου τινὸς Ὀππίου ἀγορανομίας ὑπ᾽ἀπορίας ῾ἐκ γὰρ τῶν ἐπικεκηρυγμένων καὶ αὐτὸς καὶ ὁ πατὴρ αὐτοῦ ἦν᾽ ἐκστῆναι τὸ πλῆθος οὐκ ἐπέτρεψεν, ἀλλ᾽ἔς τε τὰ ἄλλα τὰ πρὸς τὸν βίον ἀναγκαῖα καὶ ἐς τὸ τῆς ἀρχῆς ἀνάλωμα ἀργύριον αὐτῷ συνεσήνεγκε. καὶ λόγος γε ἔχει καὶ τῶν κακούργων τινὰς ἐς αὐτὸ τὸ θέατρον ἐν προσωπείοις, ὡς καὶ ὑποκρινουμένους τι, ἐσελθόντας συγκαταβαλεῖν τὰ χρήματα.
  93. Cassio Dione cita proprio questo malcostume diffuso e l’ansia del popolo per l’avvicendarsi dei magistrati, prima di riportare l’esempio positivo di M. Oppio: C.D. 48.53.1-3. C. Courrier considera, invece, l’azione collettiva della plebe in questo caso motivata dall’interesse per il rispetto o la trasgressione delle norme comportamentali della vita familiare: Courrier 2014, 467.
  94. Courrier 2014, 496 e 514.
  95. C.D. 48.53.5-6.
  96. Suet., Aug., 45: Ipse circenses ex amicorum fere libertorumque cenaculis spectabat, interdum ex puluinari et quidem cum coniuge ac liberis sedens. Spectaculo plurimas horas, aliquando totos dies aberat, petita uenia commendatisque qui suam uicem praesidendo fungerentur. Verum quotiens adesset, nihil praeterea agebat, seu uitandi rumoris causa, quo patrem Caesarem uulgo reprehensum commemorabat, quod inter spectandum epistulis libellisque legendis aut rescribendis uacaret, seu studio spectandi ac uoluptate, qua teneri se neque dissimulauit umquam et saepe ingenue professus est. Cfr. Yavetz 1984, 100-101; Veyne 1976, 709; Flaig 1992, 77; Forichon 2021, 391-412 , in part. 393-395, con ulteriore bibliografia sull’argomento.
  97. Si vd. in riferimento a Tiberio: C.D. 57.11.5.
  98. Vell., 2.79.5-6: Sed ancipitis fortuna temporis mature uirtute correcta: explicatis quippe utriusque partis classibus paene omnibus exutus nauibus Pompeius Asiam fuga petiuit iussuque M. Antonii, cuius opem petierat, dum inter ducem et supplicem tumultuatur et nunc dignitatem retinet, nunc uitam precatur, a Titio iugulatus est. Cui in tantum durauit hoc facinore contractum odium, ut mox ludos in theatro Pompei faciens execratione populi spectaculo, quod praebebat, pelleretur. Liv., Per., 131; Str., 3.2.2; App., BC, 5.144.598; C.D. 48.30.5-6; 49.17-18. Cfr. Courrier 2014, testo n. 170, 848-849.
  99. Suet., Aug., 58: Patris patriae cognomen uniuersi repentino maximoque consensu detulerunt ei: prima plebs legatione Antium missa; dein, quia non recipiebat, ineunti Romae spectacula frequens et laureata; mox in curia senatus, neque decreto neque adclamatione, sed per Valerium Messalam. Is mandantibus cunctis: “Quod bonum,” inquit, “faustumque sit tibi domuique tuae, Caesar Auguste! Sic enim nos perpetuam felicitatem rei p. et laeta huic [urbi] precari existimamus: senatus te consentiens cum populo R. consalutat patriae patrem.” Cui lacrimans respondit Augustus his verbis – ipsa enim, sicut Messalae, posui – : “Compos factus uotorum meorum, patres conscripti, quid habeo aliud deos immortales precari, quam ut hunc consensum uestrum ad ultimum finem uitae mihi perferre liceat?”. Cfr. Scheid 2007, 92-93; Louis 2010, 398-401; Courrier 2014, testo n. 190, 860. Riguardo all’azione collettiva dell’ordo equester in questa circostanza, si vd. Rowe 2002, 75; Davenport 2019, 374-376.
  100. Ov., Fast., 2.127-128; RGDA, 35.1; F. Praenest. in InscrIt XIII 2, 17, alla data del 5 febbraio; C.D. 55.10.10 e 56.9.3.
ISBN html : 978-2-35613-549-0
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Pessac
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EAN html : 9782356135490
ISBN html : 978-2-35613-549-0
ISBN pdf : 978-2-35613-551-3
Volume : 23
ISSN : 2741-1818
Posté le 23/04/2024
32 p.
Code CLIL : 3385; 4117
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Licence ouverte Etalab

Comment citer

Arena, Patrizia, “Maximum uero populi Romani iudicium uniuersi consessu gladiatorio declaratum est (Cic., Sest., 124): osservazioni sull’identità del pubblico degli spettacoli tra tarda Repubblica e inizio del Principato”, in : Bell, Sinclair W., Berlan-Gallant, Anne, Forichon, Sylvain, dir., Un public ou des publics ? La réception des spectacles dans le monde romain entre pluralité et unanimité, Pessac, Ausonius éditions, collection PrimaLun@ 23, 2024, 27-58, [en ligne] https://una-editions.fr/osservazioni-sull-identita-del-pubblico [consulté le 24/04/2024].
doi.org/10.46608/primaluna23.9782356135490.3
Illustration de couverture • Montage S. Forichon et SVG, à partir de :
Sezione interna del Colosseo con spettatori e finta caccia al leone (1769-1770), Vincenzo Brenna, Victoria and Albert Museum, Londres (d'après Gabucci, A. ed. (1999): Il Colosseo, Milan, p. 166-167) ; Relief dit de Foligno (130×55 cm), Détail, Museo di Palazzo Trinci, Foligno, Italie (photo de S. Bell) ; Mosaïque dite du Grand Cirque de la villa de Piazza Armerina, Détail, Sicile (d’après Gentili, G. V. et A. Belli (1959) : La Villa Erculia di Piazza Armerina: i mosaici figurati, Collana d’arte Sidera 8, Rome, pl. X) ; Diptyque en ivoire dit des Lampadii (29×11 cm), Détail, Santa Giulia Museo, Brescia (d’après Delbrueck, R. (1929) : Die Consulardiptychen und verwandte Denkmäler, vol. I-II, Studien zur spätantiken Kunstgeschichte, Berlin-Leipzig, vol. II, pl. 56) ; Mosaïque dite de Gafsa (4,70×3,40 m), Détail, Musée du Bardo, Tunis (d’après Blanchard-Lemée, M., M. Ennaïfer, H. et L. Slim (1995) : Sols de l’Afrique romaine : mosaïques de Tunisie, Paris, p. 196, fig. 143).
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