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La produzione artigianale nel Veneto romano. Quadro generale e prima analisi topografica e cronologica da una ricerca in corso

di

Introduzione

I dati che vengono qui presentati sono parte di una ricerca di dottorato volta a studiare in particolar modo l’artigianato metallurgico nei sui aspetti tecnologici, organizzativi ed economici.

La ricerca ha preso avvio con un censimento di tutti i siti editi del territorio veneto che hanno restituito indicatori di attività artigianale inquadrabili cronologicamente fra il II secolo a.C. e il V-VI secolo d.C.

Questo contributo vuole, dopo una breve presentazione delle linee tematiche e metodologiche del progetto, presentare e analizzare i dati fino a ora raccolti sotto una chiave tipologica, topografica e cronologica, pur non avendo la pretesa di restituire un quadro che sia esaustivo e definitivo.

Stato dell’arte

Nel tracciare uno stato dell’arte riguardante lo studio della produzione artigianale nel mondo romano ci si accorge di come tali ricerche siano iniziate solamente alla fine degli anni ’90.

Negli anni ’70 la continua contrapposizione delle teorie “moderniste” a quelle “primitiviste” aveva portato alla ricostruzione di quadri produttivi dai quali traspariva una campagna produttiva e autosufficiente in contrasto alla città definita “parassita” del territorio e priva di una propria dimensione produttiva (“consumer-city”1).

A partire dagli anni ’80 il rinnovato interesse per l’evidenza archeologica, ora accostata alle altre fonti di informazione (letterarie, iconografiche ed epigrafiche), diventa il mezzo primario nella ricostruzione dei caratteri del mondo produttivo antico. Un nuovo paradigma scientifico che porta alla nascita di una nuova disciplina, detta “archeologia della produzione”2, che pone grande attenzione al contesto stratigrafico, agli indicatori di produzione e agli aspetti tecnologici.

In questo panorama scientifico si sviluppò il Progetto europeo CRAFTS/PAAR, che si proponeva la ricostruzione del quadro produttivo ed economico dell’artigianato romano considerando i dati quantitativi riguardo la tipologia, la geografia e la cronologia delle produzioni e l’organizzazione del lavoro3. Tale lavoro, coordinato per la Cisalpina romana da S. Santoro, ha confermato il modello del “mosaico di economie” ipotizzato negli anni ’90 da D. Foraboschi sulla base delle fonti storiche4.

Il progetto CRAFTS/PAAR ha avuto il gran merito di elaborare una chiara e analitica definizione degli indicatori di produzione per le diverse attività produttive suscitando l’interesse per la tematica “artigianato”. Purtroppo, l’ultimo aggiornamento sui progressi di questo progetto a oggi pubblicato mostra come il territorio del nord-est italiano sia stato indagato solo parzialmente5.

Con l’intento di aggiornare ad oggi il quadro documentario si è proceduto al riesame di tutta la documentazione edita del territorio veneto con il fine di fornire un quadro completo e aggiornato dei dati.

Metodologia

L’impostazione teorica del progetto si è posto prima di tutto il problema; quale artigianato? Molteplici sono, infatti, le definizioni, più o meno onnicomprensive, che emergono dalla storia degli studi6. In questo progetto si è deciso di rifarsi alla definizione più ampia possibile proposta da J.-P. Brun, che considera come artigianato tutte “quelle attività̀ non agricole che si esercitano al di fuori del contesto domestico e che danno diritto ad una remunerazione in natura o in denaro”7.

Lo spoglio di riviste, monografie, tesi di laurea e di dottorato ha perciò avuto come obiettivo la ricerca di indicatori di produzione databili fra il II secolo a.C. e il V-VI secolo d.C. da siti sia urbani che rurali editi, riconducibili:

  • all’artigianato manifatturiero (ceramica, laterizi, ferro, rame/bronzo8, piombo, argento, oro, vetro, legno, fibre vegetali, osso/corno, avorio, tessitura, cuoio e pellame e porpora);
  • all’artigianato connesso alla costruzione (carpenteria, lavorazione della pietra, calce);
  • all’artigianato alimentare (vino, olio, salse di pesce e prodotti di immediato consumo);
  • ai servizi (trasporti, pulizia dei vestiti, prostituzione).

Il lavoro di censimento ha reso necessaria la creazione di un database in grado di raccogliere i dati necessari. Questo strumento di lavoro è stato strutturato secondo “schede-sito” e “schede-contesto”, secondo un modello di archiviazione e analisi dei dati già adottato da P. Michelini nella sua tesi di dottorato9.

Le “schede-sito” raccolgono i dati riguardanti la posizione topografica e, in maniera più o meno esaustiva a seconda delle informazioni disponibili dall’edito, la tipologia delle indagini archeologiche effettuate, la natura e le caratteristiche del sito e degli indicatori collegati alle attività produttive, gli estremi cronologici del deposito stesso e la bibliografia di riferimento; le “schede-contesto”10, realizzate nello specifico per i soli siti con indicatori di lavorazione metallurgicha, analizzano in dettaglio i singoli contesti produttivi e registrano dati più precisi in base a specifici parametri utilizzati come chiavi di lettura delle evidenze archeologiche. Questi parametri sono:

  • industria: il ciclo produttivo di riferimento;
  • identificazione delle produzioni: nello specifico lo stadio della lavorazione, desumibile dal tipo di indicatori di produzione riconosciuti;
  • potenziali indicatori di produzione: tipologia e caratteristiche degli indicatori di produzione individuati suddivisi secondo cinque tipologie (materie prime, installazioni, strumenti, residui di lavorazione, prodotti)11
  • strutture ospitanti le operazioni artigianali: entità, caratteristiche ed estensione della struttura e dell’area dedicata alla produzione compresa delle zone di scarico;
  • parcellizzazione dello spazio: individuazione di aree destinate a differenti compiti all’interno dell’area ospitante la produzione artigianale che possa indicare una divisione spaziale dei processi di lavorazione e le modalità di organizzazione e gestione di tale spazio;
  • grado di elaborazione tecnica: dato indiretto desumibile dalla complessità delle installazioni e dei prodotti;
  • manutenzione e ripristino delle installazioni: dato utile a stabilire la presenza o meno di un carattere di continuità delle operazioni e di gestione della produzione stessa;
  • produzione: i manufatti prodotti, la qualità, la scala e l’intensità della produzione;
  • durata: la durata temporale del singolo contesto produttivo.

Prima di presentare i dati è necessario un’ulteriore puntualizzazione metodologica. Le evidenze archeologiche descritte dall’edito non sempre hanno permesso di identificare con certezza ciclo produttivo e pertanto:

  • per quegli indicatori che richiamano inequivocabilmente alla produzione fittile, ma di cui non è possibile stabilire con certezza il tipo di prodotto, è stata utilizzata la dicitura “produzione fittile non determinata”;
  • per gli indicatori associabili alla produzione metallurgica senza nessuna informazione in merito al tipo di metallo lavorato, è stata impiegata la dicitura “metallurgia generica”;
  • per quei siti che mostravano installazioni tecnologiche probabilmente collegate a produzioni artigianali si è distinto fra: “lavorazioni a fuoco non determinate”, nel caso le strutture presentassero tracce di rubefazione; “lavorazioni ad acqua non determinate”, per le strutture, come vasche, pozzi, canalette, ritenute collegate ad operazioni artigianali, ma di cui si ignora la tipologia; “lavorazioni non determinate” per quelle evidenze che sono riconducibili a produzioni artigianali, ma di cui la documentazione edita non fornisce dettagli più precisi12.

Gli indicatori di produzione artigianale nel territorio veneto romano

Il dato quantitativo

Tra i dati di primaria importanza vi è la tipologia di indagini effettuate per l’acquisizione del dato. Della totalità dei siti schedati il 59% (pari a 112 siti) è stato oggetto di indagine di tipo stratigrafico, un 8% (16 siti) di ricognizione di superficie, un 20% (37 siti) è il risultato dell’affioramento sporadico di indicatori, mentre il rimanente 13% (24 siti) corrisponde a semplici segnalazioni, spesso raccolte all’interno dei resoconti di scavo di fine ‘800-primi ‘900.

Lo spoglio sistematico di tutto l’edito ha portato al riconoscimento e schedatura di 189 siti che raccolgono 255 attestazioni di indicatori di produzione, di cui 217 certamente attribuibili alla sfera artigianale, mentre sui rimanenti 38 permangono, già nell’edito, dubbi sulla loro effettiva destinazione od origine produttiva.

Come è facilmente intuibile, il maggior numero delle attestazioni rispetto a quello dei siti schedati riflette come in alcuni di essi, nello specifico 40, siano stati riconosciuti indicatori riconducibili a più cicli produttivi, fatto che, a seconda dei casi, denota la produzione contemporanea o in differenti momenti di diverse tipologie di manufatti anche a partire da materie prime differenti.

Il dato quantitativo delle attestazioni (fig. 1) mostra come la stessa realtà archeologica abbia portato a limitare le tipologie dei cicli produttivi riconosciuti; rispetto alle classi considerate dal progetto, il campo si è inevitabilmente ristretto alle produzioni più propriamente manifatturiere, oltre alla produzione vinaria.

Numero delle attestazioni di produzione per singolo ciclo produttivo.
 Fig. 1. Numero delle attestazioni di produzione
per singolo ciclo produttivo.

Si riscontra la netta prevalenza degli indicatori legati ai cicli della produzione fittile, ben 119 (pari al 55% della totalità), di cui 67 ricollegabili alla produzione di laterizi e 32 alla produzione ceramica. Queste attestazioni si raccolgono in 108 siti, 56 dove è stata riconosciuta la sola produzione laterizia, 21 la sola produzione ceramica e 11 dove gli indicatori sembrano suggerire la compresenza di entrambe le produzioni. In altri 20 siti le evidenze archeologiche hanno restituito tracce di una produzione fittile non meglio determinabile in base ai dati disponibili. Si tratta solitamente di possibili impianti fornacali a cui non sono associati prodotti o scarti o, al contrario, di dispersioni di materiale fittile, spesso con tracce di mala cottura e vetrificazione, a cui non è associabile alcuna installazione piro-tecnologica.

Il secondo gruppo più rappresentato è l’artigianato metallurgico. Il numero di attestazioni totali ammonta a 51 (pari al 23% della totalità), riconosciute in 40 siti, con una prevalenza delle attestazioni di lavorazione del ferro (28) rispetto alla lavorazione del rame/bronzo (12), del piombo (3) e dell’argento (1). A queste attività si aggiungono altre 7 attestazioni, qui descritte come “metallurgia generica”, per cui i dati editi non forniscono maggiori dettagli sul tipo di metallo lavorato.

La lavorazione del ferro si presenta nella maggior parte dei casi sola, se non in 6 siti dove è associata alla lavorazione delle leghe di rame. Questo avviene spesso attraverso l’impiego delle medesime strutture piro-tecnologiche come accade a Padova, Palazzo Zabarella, dove la stessa installazione, una fossa-focolare quadrangolare, presenta un’alternanza di micro-livelli caratterizzati da incrostazioni ferrose e di rame come riempimento13. Solo il sito del Seminario Vescovile di Verona è l’unico impianto metallurgico a lavorare contemporaneamente tre metalli, vale a dire le leghe di rame, il ferro e l’argento14.

La lavorazione del rame/bronzo, invece, risulta attestata autonomamente nei laboratori urbani emersi negli scavi dell’Ospedale Santa Maria Regina degli Angeli ad Adria e di via Mazzini a Verona. In questo sito gli scavi hanno portato alla luce un laboratorio metallurgico costituito da tre distinti ambienti di identica estensione dotati ciascuno, secondo ipotetiche ricostruzioni, di due file da 7 forni fusori addossate lungo i perimetrali lunghi dei vani e una fossa di fusione sul lato di fondo15.

La lavorazione del piombo risulta, invece, di più difficile lettura. Le evidenze, infatti, si limitano a indizi molti deboli come lamine e scarti informi di metallo, come quelli ritrovati nello scavo del teatro di Concordia Sagittaria16, nei ritrovamenti ottocenteschi di Verona17 e Adria18; a questi indicatori, tuttavia, non è stato possibile associare alcuna installazione tecnologica.

Gli altri cicli produttivi si attestano con numeri inferiori: la produzione della calce è stata riconosciuta in 13 casi, mentre solo 5 sono le attestazioni di lavorazione della pietra.

Poche sono le attestazioni di siti produttivi con tracce di lavorazione tessile (7): si tratta di siti con una particolare concentrazione di pesi da telaio tali da far supporre una produzione artigianale, come il sito di Arcole19 o il sito di Padova, v. Cesare Battisti, dove è emerso un ambiente quadrangolare di 4×4 m pavimentato esclusivamente da pesi da telaio20. Solo ad Isola Vicentina, Fondo Antoniazzi21, ai pesi da telaio sono associate canalette e vasche, tanto da spingere i ricercatori a interpretare l’impianto come una possibile fullonica22.

Per quanto concerne i cicli produttivi legati alla lavorazione dei materiali deperibili, la difficile conservazione tanto dei prodotti quanto degli scarti di produzione ne compromette inevitabilmente la rappresentatività. Pochi, se non pochissimi, sono gli indicatori della lavorazione dell’osso/corno (5), della produzione lignea (3), del cuoio/pellame (3) e della porpora (2).

L’artigianato alimentare è, invece, rappresentato solamente dagli impianti per la produzione vinaria (8).

A San Pietro di Bardolino, il ritrovamento di un basamento quadrangolare dotato di una lacuna scottata centrale e la presenza di recipienti vitrei deformati e di scorie definite “vetrose” sembrano costituire l’unica attestazione di lavorazione del vetro23. Questa interpretazione lascia, tuttavia, molteplici dubbi. Lo scavo non ha potuto indagare gli strati di vita del laboratorio e ha portato al ritrovamento di scorie vetrose che, per via teorica, possono essere associate anche alla lavorazione dei metalli. Inoltre, la stretta somiglianza dell’installazione qui ritrovata con quella emersa, seppur spoliata, all’interno della fucina di Montebelluna, loc. Posmon24, ci orienta a proporre un’interpretazione del laboratorio di San Pietro di Bardolino come officina metallurgica. Un’ipotesi di lavoro che merita uno studio più approfondito soprattutto attraverso l’analisi autoptica e archeometrica dei residui di lavorazione.

Infine, le lavorazioni non determinabili che, non possono essere trascurate nel panorama generale considerata la loro forte rappresentatività (14% del totale). La maggior parte di esse (24 attestazioni) sono collegabili a lavorazioni che prevedevano l’utilizzo del fuoco, 8 l’utilizzo dell’acqua, mentre delle rimanenti 6 si ignorano i dettagli. Queste evidenze si trovano spesso in siti con indicatori di cui si conosce il ciclo produttivo di appartenenza: nonostante ciò, rimane difficile dall’edito capirne la destinazione (domestica o effettivamente artigianale) e il rapporto temporale fra loro esistente.

In alcuni casi esiste un rapporto di contemporaneità fra indicatori di produzione nota e ignota, ma questo non implica necessariamente un coinvolgimento di questi ultimi nelle pratiche artigianali; in altri casi, essi sono attribuibili a in fasi archeologiche differenti, fatto che però non determina a priori una loro estraneità a processi artigianali avvenuti in fasi anteriori o posteriori a quelli noti.

La mancanza di altre tipologie di indicatori archeologici (materia prima, prodotti, strumenti da lavoro e scarti di produzione) a essi associabili non permette di essere certi della loro destinazione artigianale, fatto per cui non saranno considerati nella successiva analisi distributiva e cronologica.

Caratteri distributivi dei cicli produttivi: fra città e territorio

L’utilizzo di una piattaforma GIS per il posizionamento in mappa dei siti censiti permette di metterli in relazione, prima di tutto, con la geografia fisica regionale.

Lo sguardo di insieme mostra come il 91% degli indicatori (197 su 217) insiste nel territorio pianeggiante della regione, mentre in numero notevolmente inferiore nella zona montana (5 pari al 2%)25 e collinare (15 indicatori pari al 7%)26.

Nel dettaglio dei singoli cicli produttivi si nota come i siti dediti alla lavorazione ceramica e laterizia si vanno a collocare per la maggiore in bassa pianura (85 siti pari al 78%), mentre i siti di produzione metallurgica sono collocati prevalentemente in pianura (32), in minor misura in collina (7), e in un solo caso nella zona montana27.

Anche le altre produzioni si concentrano tutte nella zona di pianura, eccezion fatta per la lavorazione della pietra, attestata due volte in zona montana e in pianura e in un solo caso in zona collinare, la produzione della calce, attestata anche in area montana (calcara di Ponte nelle Alpi) e collinare (Sant’ Ambrogio di Valpolicella), e la produzione vinaria tutta concentrata fra le colline o nelle prime pendici della Valpolicella28.

Se rapportati alla geografia “antropica” si nota come la situazione cambi in relazione al ciclo produttivo.

Il contesto extraurbano si caratterizza per la presenza di indicatori associabili a tutti i cicli produttivi riconosciuti eccezion fatta per la lavorazione del cuoio, del pellame e del legno ritrovati esclusivamente in relazione ai centri urbani.

La produzione fittile è l’unica produzione attestata maggiormente nel territorio (89 contro le 36 attestazioni nei centri urbani). La distribuzione degli indicatori si caratterizza per una certa disomogeneità, con una presenza maggiore nella bassa pianura dovuta, come già sottolineato da C. Mondin29, a una predisposizione naturale del territorio, data la facile reperibilità della materia prima, alla grande richiesta di prodotti figulinari, alla buona conservazione dei contesti archeologici e, infine, anche al diverso approccio della ricerca che ha interessato con maggiore intensità determinati comprensori territoriali rispetto ad altri. È il caso, questo, delle due concentrazioni di indicatori riconosciute nell’area di Villadose (RO) e di Villa Bartolomea (VR); nonostante questa fascia di territorio si caratterizzi tradizionalmente per una vocazione alla produzione fittile, questi indicatori consistono in vaste dispersioni di materiale, soprattutto laterizio, a cui non sono però associabili impianti di lavorazione; sembra, quindi, doveroso rimanere cauti sul considerare ogni emersione di materiale laterizio come sito produttivo30.

L’artigianato metallurgico presenta, invece, un andamento contrario; nel territorio i siti riconosciuti sono 14 contro i 26 nei contesti urbani. In ambito rurale la lavorazione metallurgica avviene nella pars rustica delle in ville (Boschi S. Anna, Pressana, Sovizzo e probabilmente San Pietro di Bardolino), in siti isolati di incerta natura e, in villae-mansiones, come accade a Gaiba, loc. Chiunsano (RO), e a Brentino Belluno (VR)31.

La produzione vinaria e della porpora sono presenti esclusivamente nei territori extraurbani in connessione a ville dedite alla trasformazione delle materie prime derivanti dallo sfruttamento agricolo del terreno e delle risorse ittiche; anche la tessitura vede la sua maggior attestazione nei territori extraurbani rispetto che in città (rispettivamente 5 a 2 attestazioni).

La distribuzione degli indicatori si presenta nel contesto cittadino mutevole e complessa. Nel tentativo di collocare i siti produttivi nella topografia urbana si sono considerate tre aree: quella urbana, racchiusa all’interno delle mura cittadine; l’area periurbana, comprendente la fascia di terreno compresa entro mille passus32 dalle mura cittadine e corrispondente alla fascia di rispetto del pomerium; l’area suburbana, posta oltre l’area periurbana, la cui estensione non è sempre stimabile dato il suo carattere fluido nel tempo e la sua variabilità in relazione al centro urbano di appartenenza33. In virtù di ciò, per quanto riguarda la produzione fittile, si possono identificare 15 siti collocati nella fascia periurbana e appena 4 nella zona suburbana. All’interno dell’area urbana insistono 7 siti: bisogna, tuttavia, puntualizzare che questi siti cessano le loro attività entro la prima metà del I secolo a.C.-inizi del I secolo d.C. come conseguenza dell’imponente opera di riorganizzazione dei centri urbani avviata con la nuova condizione amministrativa di municipium nel 49 a.C. (Lex Iulia municipalis) e, con riferimento puntuale ai siti produttivi, alla legge Lex coloniae Genitivae Iuliae seu Ursonensis34 dove è sancito che le figlinae che producono più di 300 tegole al giorno (quindi i complessi di grandi dimensioni) devono essere collocate al di fuori della città. Questo trasferimento porta alla creazione di poli produttivi, posti in rapporto diretto con assi stradali di primaria importanza, corsi d’acqua e spesso condividendo gli spazi con le aree necropolari35.

La produzione metallurgica, come anticipato, è maggiormente presente all’interno e nelle immediate vicinanze dei centri urbani.

I numeri mostrano come molteplici siano i siti all’interno dell’area propriamente urbana che, come per le officine ceramiche, risentono dell’allontanamento verso le aree periurbane e suburbane in seguito alla riorganizzazione degli spazi cittadini; è il caso di molti impianti a Padova (siti di v. S. Piero36, Casa del Clero (ex Brolo)37, Palazzo ex-de Claricini38, Palazzo Polcastro39 e Largo Europa40) e ad Altino (sito nell’Area Est41 e il sito in corrispondenza del futuro edificio termale42) che cessano la loro attività entro la metà del I secolo a.C.

Ciò nonostante, alcuni laboratori artigianali continuano a essere attivi anche in area urbana. A Padova, per esempio, si nota una contrazione del numero dei siti di produzione metallurgica intorno alla metà del I secolo a.C., ma nel sito di Palazzo Zabarella e nel sito di Palazzo Forzadura, tutti posizionabili ai margini dell’area urbana ma pur sempre all’interno di essa, la lavorazione del ferro e del rame/bronzo è ancora praticata, nel primo caso, almeno fino alla metà del I secolo d.C. e, nel secondo caso, nella prima metà del I secolo d.C. e nella seconda metà del II secolo d.C.43. Anche a Verona, in via Mazzini, il laboratorio dedicato alla lavorazione del rame/bronzo, viene costruito in addosso al lato interno delle mura repubblicane, e attivo fino alla metà del I secolo d.C.44; ad Asolo (via Dante) scavi hanno messo in luce, in pieno centro urbano non distante dall’edificio termale, un laboratorio dedicato alla lavorazione del ferro e del rame/bronzo in dal I secolo d.C. fino agli inizi del III secolo d.C.45.

A questi laboratori si affiancano nuovi impianti di lavorazione, a scala produttiva notevolmente superiore, nelle aree periurbane della città; è il caso del grande complesso produttivo lungo Corso Vittorio Emanuele II a Padova46 o quello ritrovato presso il Seminario Vescovile a Verona47.

Le ragioni della compresenza di queste due realtà e può trovare risposta nella loro nella differente scala produttiva; data la grande mole degli impianti posti in area periurbana rispetto a quella degli ateliers urbani, si ritiene che, mentre i primi siano dediti alla lavorazione di una grande mole di metallo e alla realizzazione di grandi quantità di manufatti e/o di specifici manufatti (ad esempio connessi alla carpenteria, armamenti, grande statuaria, ecc.) in risposta alla domanda anche extraurbana (se non addirittura regionale), le piccole botteghe urbane rispondano invece alle esigenze correnti della popolazione cittadina.

Scarsa è la presenza in contesto urbano e periurbano di indicatori afferenti agli altri cicli produttivi: il sito all’incrocio di v. S. Eufemia/v. S. Massimo (Padova)48, e gli scarichi di materiale presso la porta urbica di Altino mostrano, il primo, indicatori collegabili alla lavorazione dell’osso e della pietra, mentre, il secondo, scarti di lavorazione del legno e del cuoio databili fra l’età augustea e l’età claudio-neroniana49.

Distribuzione cronologica delle attestazioni di produzione artigianale.
 Fig. 2. Distribuzione cronologica delle attestazioni
di produzione artigianale.
Andamento delle attestazioni di produzione artigianale fra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C.
 Fig. 3. Andamento delle attestazioni di produzione artigianale
fra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C.

Infine, gli indicatori riconducibili alla produzione della calce, con l’eccezione di Palazzo Zabarella a Padova, dove è stata rinvenuta una fossa contenente calce pura congeniale alle opere di ricostruzione della domus intorno alla metà del I secolo a.C. La figura 2 mostra chiaramente quale sia l’andamento. In ottica generale si assiste a un aumento delle attestazioni fra la fine del I secolo a.C. – inizio del I secolo d.C. e i valori massimi nella metà del I secolo d.C. La vitalità economica che contraddistingue il comparto artigianale sembra dare le prime avvisaglie di una progressiva diminuzione già dalla seconda metà del I secolo quando si assiste a un lieve ma generale calo del numero delle attestazioni che porterà a un loro dimezzamento durante il II secolo d.C. Le avvisaglie della crisi si manifestano in maniera più concreta ed evidente nel III secolo d.C. e colpisce, in modo generalizzato il comparto artigianale. Una lieve e instabile rialzo del numero delle attestazioni si ha a partire dal IV secolo d.C. Nelle mappe proposte si nota dalle poche attestazioni concentrate per lo più nei centri urbani di Padova (dove predominante è l’artigianato metallurgico) e Altino e con numeri inferiori a Verona, Este e Concordia Sagittaria (fig. 4). La produzione gode di un vero e proprio slancio a partire dalla metà del I secolo a.C. quando, partendo dai centri urbani in via di consolidamento, espansione e ridefinizione, si espande nel territorio circostante (fig. 5). I grandi centri urbani vedono il sorgere di laboratori e/o interi quartieri artigianali soprattutto nelle aree periurbane e suburbane, il cui volume produttivo risponde alla sempre più crescente domanda urbana ed extraurbana; nel territorio nascono centri di produzione negli agglomerati secondari, negli insediamenti rurali e nelle villae-mansiones sfruttando a pieno le potenzialità economiche dei diversi territori.

Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale databili fra il II e la metà del I secolo a.C.
 Fig. 4. Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale
databili fra il II e la metà del I secolo a.C.
Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale databili fra la seconda metà del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C.
 Fig. 5. Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale
databili fra la seconda metà del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C.

Il progressivo calo delle attestazioni a partire dalla metà del I secolo d.C., che si trascinerà per tutto il II secolo, sembra colpire maggiormente i siti extraurbani, mentre stabile rimane la produzione nelle aree gravitanti attorno ai maggiori centri urbani (fig. 6).

Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale databili fra la metà del I secolo d.C. e tutto il II secolo d.C.
 Fig. 6. Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale
databili fra la metà del I secolo d.C. e tutto il II secolo d.C.

Di contro, come spesso evidenziato dalla letteratura specializzata e ben leggibile in figura 7, si assiste alle soglie del III secolo d.C. ad un calo delle produzioni con indicatori di produzione artigianale che si ritirano nuovamente all’interno dei centri urbani, ma che sono il frutto, ad eccezione di rari casi, di episodi di spoglio delle evidenze monumentali dei centri urbani. Non pare un caso che proprio in questa fase la produzione della calce e la lavorazione dei metalli siano le più rappresentate e che contemporaneamente si riducano a poche unità i siti di produzione fittile e spariscano gli indicatori degli altri cicli produttivi. A partire dal IV- inizio V secolo d.C. la situazione sembra mostrare piccoli segnali di ripresa soprattutto nel contesto rurale.

Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale databili fra il III e il IV secolo d.C.
 Fig. 7. Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale
databili fra il III e il IV secolo d.C.

Gli indicatori genericamente datati all’età romana tendono a disporsi sia nel contesto urbano che extraurbano (fig. 8); la loro incerta datazione, tuttavia, non permette di inquadrarli con certezza nell’andamento produttivo complessivo. Vero è, che se realmente la crisi generalizzata porta ad una rarefazione del popolamento dei contesti extraurbani, si potrebbe ipotizzare che gli indicatori dispersi nel territorio siano inquadrabili preferibilmente nel momento di occupazione capillare del territorio che si manifesta a partire dal I secolo e per gran parte del II secolo d.C.; gli indicatori in contesti urbani, invece, data la vitalità che a diverse intensità e finalità contraddistingue sempre le città, rimangono di difficile inquadramento.

Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale datate genericamente all'età romana.
 Fig. 8. Distribuzione topografica delle attestazioni di produzione artigianale
datate genericamente all’età romana.

Considerazioni conclusive

Se la raccolta e il censimento sistematico degli indicatori di produzione del territorio veneto possono dirsi pressoché conclusi, l’analisi qui proposta non è che a uno stadio iniziale e ancora molti sono i dati di natura archeologica, epigrafica, topografica e storica che saranno presi in considerazione nel tentativo di meglio ricostruire il panorama produttivo di questo territorio durante l’epoca romana.

A questo stadio dei lavori è possibile, tuttavia, avanzare alcune considerazioni preliminari anche attraverso il confronto con quanto emerso dal progetto PAAR. Nonostante non sia possibile creare un diretto parallelo, in quanto il progetto PAAR prese in esame gli agri antichi afferenti alle città di Adria, Este, Padova, Altino e Concordia Sagittaria e non il territorio racchiuso all’interno degli odierni limiti regionali, l’analisi ha permesso di far emergere somiglianze e differenze.

Prendendo come primo dato la tipologia e il numero delle attestazioni di ciascun ciclo produttivo si evidenza un aumento delle tipologie delle produzioni riconosciute. Questo dato è dovuto, da un lato, all’adozione di un concetto più ampio di artigianato in seno a questa ricerca (anche se si è visto come la realtà archeologica abbia ristretto de facto il campo all’artigianato manifatturiero), dall’altro può essere spiegato con la maggior conoscenza dei processi e degli indicatori di produzione risultato del miglioramento delle conoscenze raggiunto negli anni grazie anche al progetto diretto da S. Santoro.

Entrambe le ricerche hanno riscontrato la prevalenza degli indicatori attribuibili alla produzione fittile rispetto agli altri cicli produttivi, con la produzione metallurgica come secondo gruppo maggiormente rappresentato. Le proporzioni sono, tuttavia, differenti: confrontando questi dati con quelli pubblicati da S. Santoro50 per quanto riguarda i territori definiti come Cisalpina Orientale, la prevalenza dei cicli produttivi fittili risulta ridimensionata (dal 76% al 55%), a favore della produzione metallurgica (dal 9% al 23%). In entrambi i casi la produzione della calce può essere considerata come il terzo ciclo produttivo più attestato, mentre ridimensionate sono le attestazioni associabili alla produzione tessile (3% invece di 8%). I cicli produttivi della lavorazione della pietra, dell’osso/corno, del legno e del cuoio/pellame sono in entrambi i casi rappresentati da percentuali minime; in questa sede si vanno a sommare le attestazioni della lavorazione della porpora e della produzione vinaria, non considerate dal progetto PAAR.

Anche il riferimento al dato topografico rispetto alla geografia fisica mostra la medesima tendenza, ovvero una maggiore presenza degli indicatori in bassa pianura rispetto alle aree collinari e montuose, delle quali stupisce la scarsità generale delle evidenze archeologiche. Questo vuoto documentario stupisce ancora di più se si pensa al ruolo di zona di approvvigionamento che la montagna assolve per l’artigianato della pietra, del legname e dei metalli. Quest’ultimo è praticamente assente nelle zone montane, dato che sembra suggerire la mancanza di uno sfruttamento delle risorse minerarie durante l’età romana. L’estrazione dei minerali metalliferi sembra effettivamente essersi trasferita oltre l’arco alpino anche per effetto del divieto posto da un senatus consultum ricordato da Plinio (HN, 3.138) che vietava l’estrazione dei metalli nei territori della penisola.

La pianura, invece, mostra una notevole diversificazione, tanto delle tipologie dei cicli presenti che della loro distribuzione spaziale, e di tutte le compagini territoriali risente maggiormente delle vicende storiche e dei processi macro-economici che coinvolgono tutta l’area Cisalpina.

L’incrocio del dato tipologico con quello topografico e cronologico mostra come l’espansione urbanistica che contraddistigue i centri urbani a partire dalla fine del I secolo a.C. porti al dislocamento degli impianti produttivi nelle aree periurbane e suburbane dei centri urbani maggiori. Tale movimento non comporta però, almeno per la produzione metallurgica, una sparizione in toto dei laboratori urbani che sopravvivono, con volumi produttivi minori, almeno fino alla metà del I secolo d.C. se non oltre. In questo momento di grande spinta produttiva abbiamo un aumento della tipologia dei cicli produttivi attestati, ma anche dei siti con indicatori produttivi nei territori extraurbani, soprattutto per quanto riguarda la produzione fittile.

Dopo ben due secoli di floridezza, all’inizio del III secolo d.C. anche i territori della Regione Veneto, come tutto il territorio cisalpino, sono caratterizzati da un momento di declino rispecchiato anche dal dato artigianale. In questo quadro sono proprio le attestazioni artigianali nei territori extraurbani a subire una definitiva contrazione a conferma del progressivo abbandono delle realtà economicamente più deboli e dell’indebolimento delle potenzialità commerciali di determinate zone. In territorio extraurbano la produzione vinicola nei territori collinari della Valpolicella sembra l’unica a godere ancora di una certa vitalità economica. La produzione nei centri urbani maggiori si limita alla produzione fittile e metallurgica, ma i quartieri produttivi vengono abbandonati entro l’inizio del III secolo d.C. e le aree di lavorazione, seguendo la progressiva contrazione del nucleo urbano, si avvicinano via via al limite urbano.

Il panorama economico è a partire da questa fase particolarmente mutato, privo della coesione che lo caratterizzava durante il I e il II secolo d.C. In questo quadro, le città sembrano perdere il ruolo di poli accentratori della produzione e la produzione sembra spostarsi nei siti rurali limitandosi a una dimensione di mercato prevalentemente locale.

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Notes

  1. Finley, ed. 1973.
  2. Vidale, ed. 1992; Mannoni & Giannichedda, ed. 1996.
  3. Santoro, ed. 2004.
  4. Foraboschi, ed. 1992.
  5. Santoro 2006, 165-178.
  6. Si fa riferimento, per esempio, alla definizione adottata nel progetto CRAFTS-PAAR da S. Santoro e M. Polfer, che considera come artigianato la sola produzione di oggetti manifatturati risultato dalla trasformazione della materia prima (ceramica, vetro, metalli, tessitura, legno e fibre vegetali, osso, corno, avorio e profumi) escludendo però la produzione e trasformazione degli alimenti (Santoro 2004, 35), o quella di A. Ferdière che esclude anche l’artigianato della costruzione (Ferdière 2005, 5).
  7. Brun 2014, 466.
  8. Le leghe a base di rame, cioè il bronzo e il rame piombato, non sono distinguibili con la semplice osservazione e richiedono specifiche analisi. Pertanto, per non incorrere nell’errore di definire la lega degli oggetti archeologici genericamente come bronzo, senza conoscerne l’effettiva composizione, si è adottata la categoria del rame/bronzo, in cui è compreso anche il rame piombato (Michelini 2021, 33, nota 77).
  9. La tesi di dottorato si è incentrata sugli aspetti economici, sociali e culturali dell’artigianato del Veneto nell’età del Ferro con specifico approfondimento sulle evidenze artigianali della città di Padova. L’adozione dello stesso strumento di archiviazione dati, opportunamente modificato per il periodo romano, apre la possibilità futura di un confronto fra la realtà romana e quella protostorica (Michelini 2021, 29-39).
  10. Con il termine contesto si intende “un complesso archeologico recante indicatori di produzione artigianale e, ma non necessariamente, installazioni, strutture, scarichi a essa riconducibili, definito nel tempo a partire dalla sua instaurazione o inizio del processo formativo del relativo deposito, fino alla smobilitazione/abbandono, ovvero ristrutturazione/riorganizzazione/traslazione”. Va da sé che ad ogni scheda-sito potranno corrispondere più schede-contesto poiché ogni sito può “comprendere più contesti, sia in senso spaziale-sincronico, cioè contemporanei appartenenti a complessi produttivi diversi, separati da barriere/suddivisioni antiche; sia in senso diacronico, cioè contesti produttivi che si sono succeduti nel tempo, non necessariamente separati da pause, ma anche in continuità, purchè tra l’uno e l’altro siano intervenute importanti modificazioni, quali ricostruzioni delle strutture ospitanti e/o delle installazioni, ridefinizione delle superfici mediante apporti, cambiamenti radicali dell’organizzazione degli spazi: ciò che in un’indagine stratigrafica comunemente si considera un cambiamento di fase archeologica” (da Michelini 2016, 20, nota 43).
  11. Classi adottate all’interno delle tabelle realizzate per ogni singolo ciclo produttivo nel contesto del progetto CRAFTS-PAAR (Santoro 2004, 38).
  12. La medesima distinzione era stata utilizzata da P. Michelini per i siti protostorici di Padova con indicatori di produzione difficilmente interpretabili (Michelini 2021, 33-34).
  13. Lo scavo è in gran parte inedito. Si rimanda a Michelini & Pirazzini 2005, 99-105.
  14. Grassi 2015, 155-164; Ead. 2016.
  15. Bruno & Fresco 2014, 104-107; Bernardi c.s..
  16. Di Filippo Balestrazzi 1988, 173.
  17. Brizio 1891, 103.
  18. Bocchi 1879, 96.
  19. Bruno & Gabucci 2002, 158-162.
  20. Caimi et al. 1994, 32-34.
  21. Permangono dubbi sull’effettiva funzione della vasca ritrovata che poteva essere utilizzata anche per la decantazione dell’argilla (Busana 2002a, 299-302).
  22. Zaccaria Ruggiu 2001, 70-75.
  23. Bruno 2012, 111.
  24. Busana et al. 2012, 233-273; Bernardi 2016, 122-151.
  25. Si tratta degli indicatori ritrovati a Cesiomaggiore (CAVe 1988, 97, n. 33) e a Tambre, loc. Prandarola (Buchi 1995, 90) collegabili alla probabile lavorazione della pietra; degli indicatori, seppur deboli, della lavorazione ceramica a Chies d’Alpago (CAVe 1988, 109, n. 139) e di produzione laterizia a Belluno, nel fondovalle in fraz. Caverzano (Monti 1880, 216); della calcara ritrovata a Ponte nelle Alpi, loc. Polpet, databile al IV-V secolo d.C. (Padovan 1991, 118-119).
  26. Si fa riferimento agli indicatori ritrovati a: Valeggio sul Mincio (CAVe 1990, 82, n. 224.3), Giavera del Montello (CAVe 1988, 188, n. 151) e Soave, loc. Castelletto (CAVe 1990, 149, n. 285) ricondicibili a una probabile produzione fittile; Cavaso del Tomba, loc. Castelciés (Rigoni 2004, 66) e all’interno della proprietà della Vigneto Amistani S.n.c. a Montebelluna (Carta Montebelluna 2012, schede n. 45 e n. 50) dove gli indicatori, seppur deboli, sembrano suggerire una lavorazione siderurgica; la lavorazione del ferro all’interno del sito di Montebelluna, loc. Posmon (Bernardi 2016, 122-151) e il sito di lavorazione del ferro e del rame/bronzo ritrovato ad Asolo, Palazzo Casonato (inedito); gli indicatori di produzione collegabili alla produzione vinaria a Fumane, loc. Osan (dove gli indicatori suggeriscono anche la pratica della tessitura), Sarego, San Martino Buonalbergo, loc. Palù, e a San Pietro in Cariano, loc. Ambrosan, loc. Mattonara e loc. Quar (Busana 2002b, 65-84). Infine, il sito d’estrazione della pietra a Longare, loc. Costozza (Zone archeologiche del Veneto 1987, 170, n. 2405105).
  27. Si tratta della villa-mansio di Brentino dove è attesta la presenza di scorie di rame/bronzo e ferro (Busana 2002a, 268; Zaccaria Ruggiu 2016, 131-146).
  28. Busana 2002b, 65-84.
  29. Mondin 2010, 139-140.
  30. È quello che accade per i ritrovamenti effettuati dal Gruppo Archeologico del Veneto Orientale (Gr.A.V.O.) o nei territori di Villadose (RO), dove gli stessi ricercatori fra l’edizione del 1985 e del 2002 della Mappa archeologica mettono in discussione alcuni dei siti ritrovati modificandone l’interpretazione da “sito produttivo” a “fattoria”. Rimane in ogni caso incerta la loro natura.
  31. De Zuccato 2016, 13-28.
  32. L’equivalenza è stata calcolata come 1 miglio = 1480 m circa.
  33. Ortalli 1997, 106.
  34. CIL, II, 5439, LXXVI.
  35. Per un riferimento specifico dei siti e delle dinamiche considerate si veda per il caso di Verona e Altino Mondin 2017, 41-65, mentre per il caso di Padova Cipriano & Mazzocchin 2017, 139-155.
  36. Rinaldi & Sainati 2005, 78.
  37. Pirazzini & Sainati 2005, 80-81.
  38. Sainati 2005, 97.
  39. Pirazzini & Rinaldi 2005, 104-107.
  40. Groppo 2005, 86-87.
  41. Cipriano 1999, 35.
  42. Cipriano 2010, 159-166.
  43. Ruta Serafini 2002, 59-62.
  44. Bruno & Fresco 2012, 104-107.
  45. Il sito indagato nel 2005 è ancor oggi inedito.
  46. La fase artigianale del sito è ancora inedita. Per un inquadramento generale si veda Pettenò et al. 2012, 13.
  47. Grassi 2015, 155-164; Ead. 2016.
  48. Cipriano & Mazzocchin 2017, 145-146.
  49. Ferrarini 1992, 191-206.
  50. Santoro 2006, 171, fig. 3.
ISBN html : 978-2-35613-407-3
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ISSN : 2741-1818
Posté le 30/07/2021
18 p.
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Comment citer

Bernardi, Leornardo (2021) : “La produzione artigianale nel Veneto romano. Quadro generale e prima analisi topografica e cronologica da una ricerca in corso”, in : Rigato, Daniela, Mongardi, Manuela, Vitelli Casella, Mattia, a cura di Adriatlas 4. Produzioni artigianali in area adriatica: manufatti, ateliers e attori (III sec. a.C. – V sec. d.C.), Pessac, Ausonius éditions, collection PrimaLun@ 8, 2021, 75-92, [En ligne] https://una-editions.fr/produzione-artigianale-nel-veneto-romano/ [consulté le 23 juillet 2021].
doi.org/10.46608/primaluna8.9782356134073.5
Illustration de couverture • Particolare della stele del faber P. Longidienus, Museo Nazionale di Ravenna. DOI
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