Tra la seconda metà del I secolo a.C. e l’inizio del III secolo d.C. l’epigrafia lapidaria latina attesta la circolazione di materie prime e manufatti di lusso nell’Italia adriatica, con particolare concentrazione, come è ovvio aspettarsi, nei grandi centri portuali. Per citare un esempio, un noto cippo funerario da Aquileia ricorda il negotiator margaritarius ab Roma L. Valerius Primus1, attivo nel I secolo d.C. tra la Capitale e la città altoadriatica. Lungo la costa italica del mare Superum, tuttavia, i cosiddetti mestieri del lusso2 non dovevano essere limitati al commercio e alla rivendita al dettaglio di risorse e manufatti d’importazione, ma dovevano comprendere anche la lavorazione delle materie prime e la produzione in loco di gioielli, vesti raffinate, profumi, arredi e suppellettili di pregio, come sembrano confermare, accanto ai dati archeologici, le iscrizioni monumentali della gente di mestiere3. Nell’area costiera della Venetia, ad esempio, l’epigrafia monumentale documenta l’attività di almeno tre aurifices4, di altrettanti purpurarii5 e di un vestiarius tenuarius6; procedendo verso Sud si osserva invece che, almeno fino a oggi, la costa della regio VIII e l’immediato entroterra non hanno ancora restituito iscrizioni lapidarie relative a professionisti del lusso. Questa lacuna nella documentazione epigrafica delle città costiere dell’Aemilia, molto probabilmente, non rispecchia una situazione di fatto, ma dipende dalla casualità dei ritrovamenti: sarebbe infatti fuori luogo ritenere che centri come Ravenna o Ariminum in età imperiale fossero privi di officine e tabernae specializzate nella produzione, nel confezionamento e nella vendita di beni esclusivi; simili attività, peraltro, risultano ben documentate nel resto dell’Aemilia, in particolare a Placentia7, Parma8 e Mutina9. Proseguendo, l’area prossima al litorale della regio VI ha restituito almeno un paio di testimonianze di mestieri del lusso, relative a un purpurarius10 e a un aerarius11 che, in assenza di connotazioni specifiche come ad esempio “scriba” o “quaestor”, si deve intendere presumibilmente come un ramaio12, o piuttosto un bronzista13, o come un commerciante di strumenti e accessori realizzati in rame e in leghe ottenute a partire da questo metallo. Il litorale della regio V ha restituito testimonianze dell’attività di un unguentarius14 ad Ancona e di un purpurarius15 a Truentum; le coste del Sannio non sembrano documentare professionisti del lusso, almeno fino a oggi, mentre a Corfinium, nell’entroterra della regio IV, è attestato almeno un aurifex16. Per quanto riguarda infine la regio II, i mestieri del lusso vi sono rappresentati nell’epigrafia lapidaria di Canosa17, di Venosa18 e di Brindisi19.
Alla luce di quanto detto finora, le iscrizioni relative ai mestieri del lusso nell’Italia adriatica risultano nel complesso ben distribuite lungo tutta la costa (eccetto i litorali dell’Emilia e del Sannio) e nel vicino entroterra, in centri come Patavium, Mevaniola o Venusia, la cui economia doveva in qualche modo risentire della relativa prossimità del mare Superum (fig. 1). La presenza di professionisti del lusso in grandi centri come Aquileia, Ancona e Brindisi si deve ovviamente alla vocazione mercantile di queste città portuali, in cui le risorse esclusive dovevano circolare in misura piuttosto ampia. In particolare, la presenza ad Aquileia di purpurarii, da intendere più che altro come tintori, si deve ricondurre con tutta probabilità all’importante produzione lanaria locale, documentata anche dall’epigrafia lapidaria20. Allo stesso modo non vi sono ragioni per escludere che anche il vestiarius tenuarius aquileiese Ti. Veturius Fuscus trattasse vesti di pregio realizzate o anche solo rifinite in loco. Tuttavia, a questo proposito il gentilizio Veturius potrebbe pure suggerire una relazione di Fuscus con la familia purpuraria urbana dei Decimi Veturii, attestata nella Capitale tra gli ultimi decenni della Repubblica e il principato di Tiberio21. In merito agli aurifices documentati a Padova e Oderzo, invece, si può ipotizzare che la loro attività dipendesse in qualche modo dalla straordinaria produzione glittica e dall’oreficeria aquileiesi, attestate soprattutto dal ritrovamento, nella città altoadriatica, di abbondante materiale in fase di lavorazione22. A questo proposito non deve sfuggire che l’iscrizione di Oderzo CIL, V, 1982, distribuita su due frammenti lapidei riconducibili a un unico monumento, accanto all’aurifex Priamus ricorda il liberto di donna T. Carminius Atreus, di professione magnarius, ovvero “mercante su larga scala”. Alla luce di ciò è molto probabile che i due liberti fossero soci in affari: da un lato Atreus potrebbe essere stato un fornitore di materia prima per l’officina di Priamus, in alternativa il magnarius potrebbe essere stato il responsabile dell’immissione sul mercato dei preziosi manufatti realizzati dall’aurifex. L’iscrizione apula AE 2001, 866risulta pure significativa in quantoconferma l’esistenza di una fiorente manifattura tessile nell’area di Canusium, nota principalmente dalle fonti letterarie che, tuttavia, non risultano coerenti nel celebrarne le qualità23. Un’altra epigrafe particolarmente interessante è infine quella dell’unguentarius di Venosa: data la collocazione del proprio esercizio lungo il tracciato dell’Appia Antica, Philargyrus potrebbe certamente avere utilizzato per la propria impresa le risorse della vicina Campania, specialmente di Capua, rinomata nell’Antichità per la produzione e la commercializzazione dei profumi24. Tuttavia, non si può nemmeno escludere che Philargyrus, il cui gentilizio e la cui provenienza geografica sono purtroppo sconosciuti, potesse anche rifornirsi di essenze esotiche direttamente dall’Oriente attraverso il porto di Brindisi. Il profumiere riferisce inoltre con orgoglio di avere accumulato – grazie alla professione, anche se questa correlazione non viene espressa esplicitamente nel testo – le risorse necessarie per affrancare la sua intera familia, e dichiara di avere impegnato una somma di denaro per un atto destinato purtroppo a rimanere ignoto per via della lacunosità del testo. L’iscrizione del profumiere di Venosa pare dunque emblematica anche per delineare il profilo socio-economico di tutti i professionisti ricordati in questa sede: come è naturale, data la particolare tipologia delle epigrafi e considerata la monumentalità dei supporti, non doveva trattarsi di semplici artigiani e rivenditori, ma piuttosto di piccoli e medi imprenditori di estrazione libertina, economicamente benestanti, attivi con tutta probabilità sia nella produzione che nella commercializzazione di beni esclusivi25. Alcuni tra gli individui citati, inoltre, grazie al denaro e alla popolarità acquisiti ebbero anche l’occasione di prendere parte alla vita pubblica delle rispettive comunità, ovviamente nelle sole forme consentite ai liberti e a tutti coloro che, sebbene ingenui e dotati di risorse economiche sorprendenti, non potevano vantare origini illustri26.
Bibliografia
- Angeli Bertinelli, M.G. e Donati, A. ed. (2009): Opinione pubblica e forme di comunicazione a Roma: il linguaggio dell’epigrafia, Atti del Colloquio AIEGL-Borghesi 2007, Epigrafia e Antichità 27, Faenza.
- Annibaldi, G. (1958): “Regio V (Abruzzi) – Contributi al C.I.L. Iscrizioni inedite nei musei di Corfinio e di Sulmona”, Epigraphica, 20, 14-28.
- Buonopane, A. e Cenerini, F., ed. (2003): Donna e lavoro nella documentazione epigrafica, Atti del I Seminario sulla condizione femminile nella documentazione epigrafica, Bologna, 21 novembre 2002, Epigrafia e Antichità 19, Faenza.
- Busana, M.S. e Basso, P., ed. (2012): La lana nella Cisalpina romana. Economia e società, Atti del Convegno, Padova-Verona, 18-20 maggio 2011, Padova.
- Camodeca, G. e Giglio, M., ed. (2016): Puteoli. Studi di storia e archeologia dei Campi Flegrei, Napoli.
- Camodeca, G. (2016): “Unguentarii e turarii in Campania: nuovi dati da Puteoli e Cumae”, in: Camodeca & Giglio, ed. 2016, 23-29.
- Cenerini, F. (2005): “Il purpurarius di Santa Sofia e la lavorazione dei tessuti nella Cispadana”, Atti e Memorie. Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna, 55, 25-37.
- Chiabà, M. (2003): “Trosia P. Hermonis l. Hilara lanifica circlatrixs (Inscr.Aq, 69)”, in: Buonopane & Cenerini, ed. 2003, 261-276.
- Cristofori, A. (2004): Non arma virumque: le occupazioni nell’epigrafia del Piceno, Bologna.
- Giovannini, A., ed. (2017): Made in Roma and Aquileia. Marchi di produzione e di possesso nella società antica, Catalogo della mostra di Aquileia, Roma.
- Giovannini, A. (2017): “Questo gioiello è mio! Segni di proprietà e di produzione seriale sugli ornamenti della persona”,in: Giovannini, ed. 2017, 183-184.
- Gregori, G.L. (1994): “Purpurarii”, in: Actes de la VIIe Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain, Rome, 5-6 juin 1992, Roma, 739-743.
- Incelli, E. (2018): La figura del liberto imprenditore, Roma.
- Marcone, A., ed. (2016): Storia del lavoro in Italia. L’età Romana. Liberi, semiliberi e schiavi in una società premoderna, Roma.
- Papi, E. (2002): “La turba inpia. Artigiani e commercianti del Foro Romano e dintorni”, JRA, 15, 45-62.
- Parisini, L. (2013): “La gens Purpuraria tra Mutina e la Val Camonica: ipotesi sull’origine e la diffusione di un rarissimo gentilizio romano”, Atti e Memorie. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, 35, 253-269.
- Parisini, L. (2017): “I mestieri dell’oro nel mondo romano: testimonianze dalla città e dal territorio di Mutina”, Atti e Memorie. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, 39, 333-346.
- Parisini, L. (2021): Notus in arte sua. Lavoro e identità sociale nella documentazione epigrafica dei professionisti del lusso di Roma, Bologna.
- Silvestrini, M. (2001): “Lane apule e tessuti canosini”, in: Epigrafia e Territorio. Politica e Società. Temi di Antichità Romane, 6, 91-136.
- Squillace, G. (2016): “I mestieri del lusso”, in: Marcone, ed. 2016, 605-638.
- Traina, G. (2000): G. “I mestieri”, in: Giardina, ed. 2000, 113-131.
- Ventura, P., Giovannini, A. e Petrucci, G. (2012): “L’allevamento ovino e la lavorazione della lana nella parte orientale della Regio X: testimonianze materiali, resti architettonici, archeozoologia”, in: Busana & Basso, ed. 2012, 171-194.
- Volpe, G. (1990): La Daunia nell’età della romanizzazione. Paesaggio agrario, produzione, scambi, Bari.
- Von Petrikovits, H., ed. (1991): Beiträge zur römischen Geschichte und Archäologie, II. 1976-1991, Beihefte der Bonner Jahrbücher 49, Colonia-Bonn.
- Von Petrikovits, H. (1991): “Die Spezialisierung des römischen Handwerks”, in: Von Petrikovits, ed. 1991, 87-146.
- Zaccaria, C. (2009): “Novità sulla produzione lanaria ad Aquileia. A proposito di una nuova testimonianza di purgatores”, in: Angeli Bertinelli & Donati, ed. 2009, 277-298.
Notes
- InscrAqu, 1, 718 = EDR117667. Sul monumento si veda da ultimo Parisini 2021, 77.
- Per una definizione e un inquadramento generale di queste professioni, attestate principalmente a Roma, si vedano da ultimi Squillace 2016, per esteso, e Parisini 2021, 22-29.
- A questo proposito, tuttavia, è opportuno ammettere alcune difficoltà interpretative derivanti dalla natura, spesso ambigua, delle definizioni dei mestieri nell’epigrafia lapidaria: «I testi non ci permettono quasi mai di precisare le funzioni svolte nell’ambito dell’attività documentata …»,cfr. Traina 2000, 114-115; “I mestieri sono ambigui …”, cfr. Papi 2002, 53. Da un lato, ad esempio, un sostantivo come aurifex, la cui etimologia si può fare risalire senza difficoltà all’espressione aurum facere, sembrerebbe designare principalmente colui che plasma l’oro piuttosto che il venditore di gioielli. Un termine come purpurarius, invece, in assenza di riferimenti iconografici o testuali più precisi, non permette di distinguere chiaramente il produttore di porpora dal commerciante del pigmento o dal tintore. A proposito si veda da ultimo Parisini 2021, 29 con bibliografia anteriore.
- CIL, V, 1982 = EDR098214+EDR015661: L(ucius) Sicinius L(uci) l(ibertus) / Priamus, aurif(ex). // T(itus) Carminius / ((mulieris)) l(ibertus) Atreus mag[n(arius)], da Opitergium, risalente alla seconda metà del I secolo a.C.; CIL, V, 8834 = EDR130017: [L(ucius)?–- -]nius L(uci) l(ibertus) Phryxus, aurifex, v(ivus) f(ecit) sib[i et suis], forse da Patavium, del I secolo d.C.; CIL, V, 2308 = EDR099308: Coattenus / Lamirus, / aurifex, / sibi et / Popilie (!) / Varsae uxori / et filiis duobus / Venusto et / Egdoto / et Arceio / Eutycho / v(ivus) f(ecit), anch’essa probabilmente da Patavium, databile tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C. Per una definizione del mestiere di aurifex come orafo cfr. Von Petrikovits 1991, 104.
- CIL, V, 1044 = EDR117473: M(arco) Pullio M(arci) l(iberto) Casto, / M(arco) Pulli[o M](arci) l(iberto) Fusco, / purpurario, / Pullia M(arci) l(iberta) Prima, / M(arcus) Flavius Ianuarius, / M(arcus) Pullius ((mulieris)) l(ibertus) Hormus, purpurar(ius), da Aquileia, risalente alla prima metà del I secolo d.C.; AE 1956, 74a = EDR074089: M(arcus) Luri[us —-], / purpura[rius] / — — —, da Aquileia, del I secolo d.C. Per una definizione del mestiere di purpurarius come tintore o commerciante di porpora cfr. Von Petrikovits 1991, 125. Per altri possibili significati del sostantivo si vedano, tra gli altri, Gregori 1994, 740 e Parisini 2013, 256.
- InscrAqu, 1, 222 = EDR093713: Isidi / sacrum. / Ti(berius) Veturius / Fuscus, vestiar(ius) / tenuarius, IIIIIIvir, / benificio (!) ordinis, da Aquileia, databile alla seconda metà del I secolo d.C. Secondo Von Petrikovits 1991, 132 il sostantivo vestiarius indicherebbe quasi esclusivamente il venditore di abiti, non il produttore.
- Ad esempio l’iscrizione CIL, XI, 1235 = EDR133057 registra l’attività di un anularius, da intendere presumibilmente come un fabbricante di anelli digitali. Per una simile definizione di questo mestiere cfr. Von Petrikovits 1991, 102. In alternativa è anche possibile che l’anularius fosse solo un commerciante di anuli o, piuttosto, è probabile che lo stesso individuo si occupasse sia della realizzazione che della vendita di preziosi.
- L’iscrizione nota come CIL, XI, 1069a = EDR082023, corredata dalle immagini degli strumenti caratteristici del mestiere del purpurarius, ricorda il probabile tintore C. Pupius Amicus. A proposito si veda, tra gli altri, Cenerini 2005, 28-29.
- L’iscrizione funeraria AE 1981, 387 = EDR078275 attesta l’attività di un imprecisato numero di orefici nella colonia emiliana tra la fine del I e il II secolo d.C. Su questa interessante epigrafe cfr. da ultimo Parisini 2017, 338-342, 346.
- CIL, XI, 6604 = EDR142781: M(arcus) Satellius Q(uinti) [f(ilius)] / Stel(latina) Marcellus, [pu]/rpurarius, sex vi[r], / sibei (!) et Muronia[e -] / l(ibertae) Primae vivos (!) fecit, da Mevaniola, risalente all’inizio del I secolo d.C. Per uno studio prosopografico su questo individuo si veda per esteso Cenerini 2005.
- CIL, XI, 6179 = EDR016340: D(is) M(anibus) / C(ai) Flatidi / Castoris, / aerari, / Maletia / Vera / coniugi / karissimo, / qui cum vi/xit / ann(is) XXXVI, da Suasa, databile al II secolo d.C.
- Per una simile definizione si veda Von Petrikovits 1991, 102.
- A proposito si veda il contributo di Alessandro Cristofori in questo stesso volume.
- CIL, IX, 5905 = EDR015494: [T(ito)] Asinio / Severo, u[nguent]ario, / et Veciliae Leve (!), con/iugi, vivi sibi posuerunt, del I secolo d.C. Su questa iscrizione si veda Cristofori 2004, 118-122. Per una definizione di unguentarius come possibile produttore e insieme venditore di unguenta cfr. Von Petrikovits 1991, 132.
- CIL, IX, 5276 = EDR118079: C(aius) Marcilius / Eros, purpura(rius), / Vvir Truenti, databile all’età augustea. Su questa iscrizione si veda Cristofori 2004, 496-507.
- SupplIt, 3, 15 = EDCS-10700958: D(is) M(anibus). / P(ublio) Caesen/nio P(ubli) l(iberto) Callido, / aurifici, et / P(ublio) Caesennio / P(ubli) l(iberto) Plebeio, sev(iro) / Aug(ustali), Lucceiae / C(ai) f(iliae) Optatae / P(ublius) Caesennius / P(ubli) l(ibertus) Primitivos (!) / fratri et / patronis; / C(aio) Lucceio Plebeio / post obitum / nomen frater / restituit, databile al II secolo d.C., per cui si veda Annibaldi 1958, 19-20, n.6.
- AE 2001, 866 = EDR104026: D(is) M(anibus) s(acrum); / L(ucio) Pontio Amempto, / negotianti canu/sinario, amico be/ne merenti fecit / Q(uintus) Annaeus Caricus, della seconda metà del II secolo d.C., per cui si veda Silvestrini 2001, 113-120.
- CIL, IX, 471 = D 7609 = EDCS-08201170: [C(aio)? —-] / C(ai) l(iberto) Philar/gyro, un/gentario (!). / Isque fami/liam suam / manumisit / pecuniamq(ue) / [—- —-], risalente alla fine del I secolo a.C., cfr. Camodeca 2016, 25.
- D 7637 = EDR100098: M(arcus) Tillius M(arci) l(ibertus) / Secunus (!), / anularius, / vixit an(nos) XXXV. H(ic) s(itus), databile alla prima età imperiale. Esattamente come l’anularius di Piacenza (supra, nota 7), anche questo professionista potrebbe essere stato un fabbricante o un commerciante di anelli digitali, o forse entrambe le cose.
- Sulle iscrizioni monumentali relative alla produzione lanaria aquileiese si vedano Chiabà 2003, 261-276, dedicato all’iscrizione della lanifica circlatrixsTrosia Hilara (AE 2003, 115 = EDR117551), e Zaccaria 2009, 277-298, di contenuto più generale. Per ulteriori aggiornamenti sulla produzione lanaria nel teritorio dell’attuale Friuli Venezia Giulia si veda Ventura et al. 2012, 171-194.
- CIL, VI, 37820 = EDR072224: V(ivus) D(ecimus) Veturius D(ecimi) l(ibertus) Diog(enes), / ((obiit)) D(ecimus) D(ecimi) l(ibertus) Nicepor, / v(iva) Veturia D(ecimi) l(iberta) Fedra / de sua pecunia faciund(um) coir(avit) (!) / sibi et patrono et conlibert(o) / et liberto. / Nicepor conlibertus, / vixit mecum annos XX. / Purpurari a Marianeis (!). / Viv(us) D(ecimus) Veturius D(ecimi) ((mulieris)) l(ibertus) Philarcur(us) (!); AE 1923, 59 = EDR072891: D(ecimus) Veturius D(ecimi) l(ibertus) Atticus, / purpurar(ius) de vico Iugar(io), / Veturia D(ecimi) l(iberta) Tryphera, / arbitratu. Su queste iscrizioni urbane si veda da ultimo Parisini 2021, 46.
- A proposito si veda da ultimo Giovannini 2017, con bibliografia anteriore.
- Secondo Marziale (14.129), ad esempio, la principale qualità dei canusina sarebbe stata la notevole resistenza all’usura, non certo la bellezza. Al contrario, un passo di Svetonio (Ner., 30.8) sembrerebbe suggerire che alcune vesti di manifattura canosina fossero anche particolarmente pregiate, cfr. Volpe 1990, 268-272.
- Per una rassegna delle fonti letterarie ed epigrafiche sull’argomento e, in particolare, sull’attività delle familiae unguentariae campane dei Faenii e dei Novii si veda tra gli altri Camodeca 2016, 25, 28-34. Sul profumo di Capua, oggetto di imitazioni nell’antichità, si veda invece Squillace 2018.
- Per una prosopografia dei liberti imprenditori si veda da ultimo Incelli 2018.
- Il vestiarius tenuarius di Aquileia e il purpurarius di Mevaniola, ad esempio, rivestirono il sevirato, mentre il purpurarius C. Marcilius Eros ottenne a Truentum il titolo di quinquevir, da intendere come un incarico di natura cultuale affine al sevirato o all’Augustalità, cfr. Cristofori 2004, 506-507.