La Municipalità di Acquaviva delle Fonti (BA), nel 1998, intese promuovere la conoscenza delle aree di interesse storico-archeologico del proprio territorio, per definirne il Piano Regolatore Generale e determinare il programma di intervento volto alla tutela e alla promozione del comparto paesaggistico comunale (fig. 1). Nell’ambito dello studio urbanistico di disaggregazione1 degli spazi rurali fu dunque avviato il preliminare censimento dei siti archeologici realizzato mediante sopralluoghi mirati nel territorio e applicati ad aree ritenute potenzialmente rilevanti sulla base di indicazioni attinte alla storiografia disponibile2.
La ricerca sul campo interessò complessivamente quindici settori, previde la raccolta dei reperti in superficie e si realizzò in modo da garantire la copertura uniforme e il successivo controllo come dei contesti indagati così di altri quattro progressivamente indiziati (tab. 1), in modo da stabilire infine la perimetrazione di dodici areali di interesse archeologico inquadrabili nell’arco cronologico compreso tra Paleolitico Superiore e Altomedioevo3.
In tale quadro si inserisce il progetto di archeologia dei paesaggi murgiani, condotto dal 2014-2015 dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro d’intesa con gli Uffici periferici del MiC, calibrato nella fattispecie sul comparto indicato e volto a valorizzare, in uno con l’Amministrazione Comunale, gli esiti sia degli interventi sul campo pregressi sia di auspicate e ora pianificate campagne di ricognizione topografica4. La finalità è costruire un impegno di pianificazione strategica e di corretta rivalutazione del palinsesto territoriale, sollecitando un solido dialogo tra enti locali e istituzioni preposte alla ricerca e alla tutela, impostando strumenti condivisi e aperti di archiviazione e gestione delle conoscenze, stimolando nella comunità locale ‘coscienza di luogo’ e ‘consapevolezza identitaria’, agevolando l’adozione di buone pratiche – anche con finalità di formazione diffusa e di turismo sostenibile – nell’applicazione degli strumenti di gestione paesaggistica esperiti su scala in primis regionale5 (fig. 2).
Il processo conoscitivo avviato nel 20156 ha dunque previsto la raccolta delle fonti, la verifica della storiografia locale nonché il recupero e lo studio tipo-cronologico dei reperti recuperati durante i sopralluoghi del 1998, così da riconoscere e circostanziare funzione e datazione dei siti attestati: per ricchezza dei materiali, per dilatazione diacronica delle evidenze e per estensione della superficie interessata spiccano i ‘vassoi topografici’ pluristratificati di Salentino e di San Martino-Ventauro – nei quali emergono i contesti interpretati quali villaggi di facies peucezia –, mentre per quelli di Masseria Capitolo e di Baronaggio sono rilevanti gli insediamenti produttivi di età romana7.
Tra gli argomenti che la ricerca consente di lumeggiare si propone qui la disamina degli ‘aequipondia cretacea’ (CIL, XII, p. 782), valutandone gli aspetti morfo-tettonici e considerando – per quanto possibile, trattandosi di reperti provenienti da raccolte di superficie – la consistenza dei contesti di rinvenimento e delle altre classi di materiale in associazione, in modo da provare a delineare il carattere e la varietà dei tessuti di cui possono contribuire a indiziare la manifattura8.
L’impostazione del corpus di apparati tipologici, decorativi ed epigrafici, benché preliminare, giacché legata a una ricerca appena avviata – e suscettibile di revisioni approfondimenti e ampliamenti estesi all’intero comprensorio apulo, almeno centrale –, nondimeno intende contribuire all’analisi tassonomica degli elementi fittili per la tessitura censiti e così arricchire la conoscenza sulle modalità operative e sui connessi strumenti di lavoro e apprestamenti tecnici necessari per la produzione tessile nonché sul ruolo che questa attività ha svolto nel novero dell’area italica sud-orientale in età antica (figg. 3-4)9.
L’importante ruolo che la produzione tessile ha ricoperto nello specifico distretto considerato rinviene dal consistente numero di elementi fittili per la tessitura (197 pesi, cui si aggiunga una fusaiola di età romana: fig. 3.13) raccolti nelle indagini summenzionate e attestanti il 6% del totale dei materiali ivi acquisiti (3176 frammenti).La verifica quantitativa della distribuzione topografica dei reperti registra netta concentrazione nei siti peucezi di San Martino-Ventauro e di Conetto (fig. 5), per i quali dunque si rivela l’ipotesi di una più intensa attività manifatturiero-tessile concentrata tra iv e II secolo a.C., anche se pure per il successivo arco cronologico, compreso tra III e VII secolo d.C., si annoverano otto pesi da telaio di forma circolare ricavati evidentemente da tegole e coppi (fig. 3.11).
Si è ritenuto di operare l’analisi degli aspetti formali e strutturali applicando il ‘diagramma di Zingg’ agli individui integri (108 sul totale di 197)10: ponendo sul piano cartesiano alle ordinate i risultati della divisione tra peso e altezza (P/A) e alle ascisse gli esiti della divisione tra larghezza e peso (L/P) di ogni esemplare si ottiene una dispersione coerente e controllata di punti (a ogni punto corrisponde un individuo) che si aggruma secondo campi distinti, capaci di racchiudere e suddividere i pesi da telaio in tre ‘macro-categorie’ dimensionali di tipo piccolo, medio, grande (fig. 6). La lettura della dispersione descritta dal grafico e il confronto diretto con i materiali studiati hanno permesso di assegnare ogni peso da telaio a uno dei tre clusters indicati. Per ogni gruppo di pesi definito è probabile venisse utilizzato un filo dell’ordito di diverso spessore dal quale si sarebbero ricavati, a seconda delle necessità, tessuti di consistenza differente11. Conviene peraltro notare che tutti i siti ricogniti nel territorio acquavivese, in riferimento all’età tardoclassica-ellenistica, hanno restituito elementi fittili pertinenti alle tre ‘macro-categorie’ individuate, a significare plausibilmente l’attestazione diffusa di una manifattura di tipo domestico versata sulle esigenze di nuclei famigliari e dunque su produzioni diversificate a consumo interno (cfr. supra, nota 8).
Il vaglio dei caratteri morfologici consente sia di isolare quattro macro-forme – troncopiramidale, troncoconica, circolare, ‘complessa’: a quest’ultima categoria vanno ascritti due pesi da telaio, rinvenuti a San Martino-Ventauro, del tipo ‘pinched’ (figg. 3.12, 7.1) e a base pentagonale (fig. 3.9)12 – sia di individuare tredici tipi, al fine così di imbastire un paniere di dati potenzialmente suscettibili di differenziazione in base alla specificità d’uso e alla cronologia degli utensili considerati (fig. 3).
Per quanto concerne l’apparato decorativo, realizzato mediante impressioni e/o applicazioni in fase di realizzazione ovvero attraverso incisioni operate dopo la cottura13, sono stati identificati quarantacinque motivi (fig. 4). In rari casi la figurazione è eseguita tramite sigilli/bolli che riportano stilemi iconografici di profilo naturalistico e/o antropomorfo attinti al topico repertorio noto anche per gemme e cammei, talora attestato pure localmente: interessanti, in tal senso, gli esemplari ornati con la menade danzante14 (figg. 4.9, 7.2-3) e con l’aquila retrospiciente15 (figg. 4.27, 7.4).
La variegata classificazione di forme e di decorazioni suggerisce ambiti funzionali e delinea ambienti artigianali diversificati, dei quali comunque appare arduo, allo stato attuale, arguire entità e consistenza della produzione16.
L’apparato decorativo – comprese le segnature, anche non alfabetiche – può aver assunto funzione pratica oltre che esornativa, garantendo infatti alle addette al telaio17 l’indicazione del punto dell’ordito da cui iniziare a imbastire le variazioni preordinate, tra cui forse poteva manifestarsi la figurazione medesima richiamata verosimilmente dal motivo riportato su uno o più dei pesi usati18. L’adozione di questo sistema evitava la necessità di contare dall’inizio i fili dell’ordito, specialmente nei casi in cui lo schema decorativo previsto recepisse figure geometriche ripetute: tuttavia non sembrano emergere relazioni sostanziali tra decorazione e forma, poiché si presume fosse privilegiata la utilità strumentale rispetto all’esigenza estetica19.
Inoltre, pur considerando che la maggior parte dei tessuti prodotti derivasse dalla lana – la fibra animale più comune e abbastanza facilmente reperibile nell’area considerata –, non è da escludere che fossero utilizzate altre fibre, di origine vegetale, scarsamente documentate archeologicamente in Italia meridionale per l’età preromana e romana, ma delle quali abbiamo di certo notizia dalle fonti letterarie20: lino, canapa, ortica, malva, ginestra, sparto21. È infatti plausibile che la foggia caratteristica degli elementi fittili per la tessitura fosse strettamente correlata al tipo di fibra adoperata e alla varietà di tessuto confezionato: invero la loro funzione primaria di contrappeso – come è noto – passa in secondo piano in altri ambiti della vita quotidiana, quando i pesi da telaio siano associati ai corredi funerari e inseriti nei depositi votivi, ampiamente attestati nel comparto meridionale della penisola italiana22.
La lacunosità dei dati, lo stato preliminare dello studio e la mancanza di solide ricerche calibrate su questo tema per la Puglia centrale – in un orizzonte esteso all’Italia meridionale in età antica – non permettono di chiarire tutti gli aspetti dell’attività tessile testimoniata per il comparto qui esaminato, eppure le informazioni acquisite delineano prospettive di sicuro interesse che il prosieguo delle indagini potrà sostenere e arricchire23.
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Notes
- Busto 1998; Id. 2017.
- Lucarelli 1968; Selvaggi 1975; Marcato 1990; Zirioni [1990] 2019.
- Busto 1998; Busto, ed. 2005; Fioriello 2018; Fioriello et al. c.s.; Fioriello c.s.
- Il Comune di Acquaviva delle Fonti e il Dipartimento di Studi Umanistici (DISUM) dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro hanno voluto avviare un articolato programma euristico e diagnostico, misurato sulla conoscenza storico-archeologica e sulla connessa promozione del territorio comunale e disegnato secondo il ‘progetto di collaborazione per la ricerca’ che l’Ente Locale ha rassegnato all’Ateneo barese (prot. 17.02.2014 nr. 3692) e che da quest’ultimo è stato formalmente approvato (prot. 13.05.2014 nr. 327): Fioriello 2018; Id. c.s.
- Per un inquadramento sull’argomento, filtrato qui in ottica regionale, ma calato nella prospettiva ‘globale’ e nella veste ‘culturale’ dell’archeologia pubblica, Volpe 2008; Volpe & Goffredo 2014, 39-53; Volpe 2015; Id. 2016; Fioriello c.s.
- Minervini 2015-2016; Fioriello 2018; Id. c.s.; Fioriello et al. c.s.
- La consistenza disomogenea della documentazione disponibile ha peraltro evidenziato la necessità di inquadrare le informazioni entro una matrice logica capace di standardizzare in forma redazionale il contenuto storico delle notizie attinte, senza negarne l’intrinseca gerarchia nel potenziale conoscitivo, la diversa capacità indicativa e la distinta affidabilità: su discernimento, disaggregazione, ricomposizione e interpretazione preliminare dei dati si rinvia ai contributi proposti nella nota precedente.
- Riferimenti qui assunti sono i lavori proposti in Di Giuseppe 2000; Ead. 2002; Ciancio 2005; Russo Tagliente 2006; Gleba 2008; Busana & Basso, ed. 2012; Meo 2015, 5-29; Busana et al., ed. 2018, donde si può cogliere altresì una sintesi sul complicato processo identificativo della consistenza e della funzione attribuite ai cosiddetti ‘pyramidia argillacea’ entro il vasto bacino dell’instrumentum domesticum (e talora inscriptum). Utili ora Antolini & Marengo 2012, 149-152, ma anche Manacorda 2008, 74-75, 269, nt. 4, fig. 4.2, dove la vexata quaestio assume valore epidittico anche sul mero versante del metodo e della didattica in archeologia, e Jongman 2000, che per l’Italia di età romana chiarisce la forte caratterizzazione in chiave specialistica e nucleata dell’intera filiera fittile, rimarcandone invece la parcellizzazione territoriale e la diffusione locale invalse nel periodo precedente, come appare bene dall’exemplum acquavivese.
- In generale, dall’intervento stentoreo di Di Vita 1956 – che ‘corregge’ la posizione di Orlandini 1953 –, fino a Di Giuseppe 2002; Ead. 2012; Maaskant-Kleibrink 2003; Ead. 2017: si veda pure la nota precedente.
- Nel 1935, T. Zingg approntò questo sistema per calcolare la distribuzione delle forme fondamentali dei clasti presenti nelle rocce, suddividendoli in base alla matrice litologica: Zingg 1935. Tale approccio si è rivelato compatibile con le esigenze di comprensione imposte da vasti e ‘indiscreti’ insiemi di dati spesso occorsi in campo archeologico: tra le prime applicazioni si rimanda a Mussi & Zampetti 1992.
- Per il rapporto stretto tra telaio, filo dell’ordito, contrappesi e tessuto prodotto si rinvia alle recenti ricerche condotte presso il Centre for Texile Research della Danish National Research Foundation e dall’Università di Copenhagen: utile resoconto in Mårtensson 2007; Mårtensson et al. 2005-2006; Iid. 2006; Iid. 2007; Iid. 2009; Meo 2015, 18-29.
- Confronti, in ambito comprensoriale, rispettivamente in Lo Porto 1988-1989, 401-402; Meo 2015, 70 e in Luberto & Meo 2017, 235, con ulteriore bibliografia.
- Tunzi Sisto 1998; Meo 2015. Per l’età romana, Antolini & Marengo 2012 e i contributi raccolti in Busana & Basso, ed. 2012.
- Ciancio et al. 1989, 71, 198, tavv. 287.2, 356.5.
- Alla luce dei dati in nostro possesso, il tema iconografico dell’aquila retrospiciente non trova confronti sui pesi da telaio nonostante risulti ampiamente attestato, soprattutto in alcune serie monetali, come quelle di Crotone (Attianese 2005, 369), e nella produzione glittica (Gagetti 2001, 144-146): per il rapporto tra raffigurazione dell’aquila e culto di Zeus si veda Carroccio 2010, 373.
- Busto 1998; Id. 2005; Fioriello 2018.
- La centralità della donna nei processi produttivi legati al mondo della filatura/orditura/tessitura è ben nota in primis dalle numerose raffigurazioni, soprattutto di età classica e segnatamente di ambito greco, che la vedono impegnata nelle varie fasi di lavorazione dei tessuti: Di Giuseppe 1995; Guarneri 2006; Meo 2011; Id. 2015, 5-29. A supporto dell’evidenza di tale condizione della donna lanifica soccorrono le fonti letterarie e il rinvenimento, in sepolture femminili, di oggetti legati alla sfera della tessitura: Ciancio et al. 1989; Maaskant-Kleibrink 2003; Ead. 2017; Riccardi & Depalo 2003; Ciancio 2005; Guarneri 2006.
- Ciancio et al. 1989, 71, 97, 198; Di Giuseppe 1995. Da notare che Ferrandini Troisi 1986, 92-93 interpreta le lettere, singole o in coppia, quale numerazione dei fili d’ordito usata per agevolare la tessitura indicando “il filo esatto dal quale fare iniziare il lavoro” nel caso di tessuti con disegni o filati o colori diversi, quindi ritiene il peso come un contrassegno di fabbrica volto a identificare la stoffa: così pure Mingazzini 1974. Dati ulteriori e riflessioni mirate, ancorché aduse al mondo romano e al patrimonio epigrafico, in Antolini & Marengo 2012, con discussione e bibliografia; Jongman 2000.
- Di Giuseppe 1995; Ead. 2002; Meo 2011; Id. 2015.
- Meo 2015, 6-11; Busana et al., ed. 2018: utili i contributi raccolti da Ciancio 2005.
- Quest’ultima assai usata nella produzione di corde: Gleba 2008, 71.
- Per un excursus esemplificativo si vedano Ciancio 2005; Guarneri 2006, 139; Parisi 2017, 49-51, 55, 57-60, 74, 76, 82-84, 90, 94, 98, 105, 113, 118, 143-144, 149, 164, 200-201, 238, 247-248, 251-252, 266-267, 326, 343, 355, 383, 405, 458, 460.
- Ciancio 2005; Fioriello & Mangiatordi 2019, 149-153, con discussione e bibliografia; Saggese 2019.