Introduzione
Focus di questa analisi è la presenza nelle regioni augustee dell’Italia adriatica centro-meridionale di collegia professionali coinvolti nei diversi ambiti della produttività1. In linea con la tematica oggetto del Convegno, si sono pertanto escluse le associazioni legate ad acquisto, vendita e trasporto di merci e derrate, sia a corto che a lungo raggio,quali importatores, negotiatores, diffusores, navicularii, nautae, muliones ecc., pur riconoscendone l’imprescindibile ruolo in seno al tessuto economico.
Per quanto riguarda l’areale geografico indagato (fig. 1), si sono considerati, in primis, i documenti epigrafici provenienti dai centri costieri. La loro collazione ha, tuttavia, evidenziato come tale delimitazione areale escludesse l’importante realtà documentale pertinente a numerosi nuclei abitati un po’ più interni rispetto alla costa, ma la cui economia, in un’ottica di reti produttive allargate, si può supporre che gravitasse anche su di essa. La scelta di inserire queste iscrizioni è parsa ancor più opportuna in considerazione del fatto che in alcune regiones sono proprio i nuclei demici interni a fornire il maggior numero, se non la quasi totalità, delle epigrafi di nostro interesse. Per rendere maggiormente perspicua la realtà distributiva, si è provveduto a redigere apposite tabelle riassuntive, accompagnate da un breve commento esplicativo.
La ricerca delle iscrizioni nelle banche dati epigrafiche ha incluso, oltre al più noto e diffuso termine collegium, anche le menzioni di collegiati, sodales, socii e corporati, sempre declinate nell’ambito della produttività. Tale ampiezza di indagine si è resa necessaria in seguito al fenomeno di sinonimia testimoniato, oltre che nella documentazione scritta, anche nelle fonti giurisprudenziali: ad esempio, tra collegium e corpus2, tra sodalicium e collegium3.
Infine, sempre in un’ottica tesa alla definizione di un quadro il più esaustivo possibile, si è ritenuto utile considerare, da un lato, attestazioni meno esplicite, ma foriere di un aggancio col mondo produttivo come, ad esempio, i Picarii di Pesaro4, dall’altro, si sono collazionate le menzioni di singoli lavoratori più facilmente riconducibili ad attività proprie dell’ambito collegiale, come faber o centonarius, e altre professioni, fra le quali spiccano quelle legate alla filiera della lana. Va da sé che il quadro ottenuto dal regesto della documentazione epigrafica necessita dell’integrazione con i rinvenimenti archeologici relativi a insediamenti e strutture produttive dislocati lungo la costa e documentati attraverso tale tipologia di dati. Un prezioso contributo in tal senso è rappresentato dai recenti studi raccolti nel volume degli Atti della Tavola Rotonda di Bari del 2017, incentrata sui paesaggi costieri dell’Adriatico tra antichità e medioevo5.
Collegia: caratteri generali
“Les collèges sont sans doute les structures collectives non institutionnelles les plus répandues dans l’empire romain”6. Tale affermazione, tratta da un significativo studio sulle associazioni antiche, ha il pregio di conferire il giusto risalto all’importanza di questo fenomeno in seno alla società romana e alla sua diffusione spazio-temporale. Ne troviamo conferma anche nell’amplissima bibliografia dedicata a questo tema7, a partire dalla monumentale opera di J.-P. Waltzing8, le cui proposizioni hanno subito profonde revisioni in seguito a un più equilibrato inquadramento dei caratteri costitutivi di tali organizzazioni9 e del fondamentale ruolo socioeconomico, soprattutto, in forza della loro diffusione e della quantità di individui coinvolti. Si calcola, infatti, che in età imperiale almeno un terzo della popolazione urbana facesse parte di una di tali associazioni composte di privati10, ad accesso volontario, regolamentate da una normativa specifica e per la cui costituzione era imprescindibile ottenere l’autorizzazione del principe11. Se a prima vista il nome attribuito a un collegium poteva indirizzare verso una sua precisa configurazione economica, in realtà, esso indicava al massimo una componente dominante: l’organizzazione della vita economica e la difesa degli interessi professionali non costituivano, di fatto, gli scopi principali. All’interno di ogni singolo collegio va dunque ravvisata una mescolanza di elementi professionali ed economici, territoriali e sociali, giurisdizionali e politici, religiosi e conviviali, assistenziali e funerari12, che conferivano loro il carattere di collettività plurifunzionali con un preciso impatto sulle realtà municipali locali. La presenza di collegi in un ambito territoriale si rivela, vieppiù, un preciso indicatore di attività economica, mentre l’assenza parrebbe spiccare in zone economicamente marginali o al di fuori delle rotte commerciali. Stante queste considerazioni generali, è, tuttavia, d’obbligo ricordare come la conoscenza oggettiva della realtà antica sia fortemente influenzata dalla “casualità” dei rinvenimenti, consentendo la determinazione di un quadro ricostruttivo incompleto e suscettibile di modifiche.
Tipologie di collegia individuate nell’area geografica indagata
Fabri, centonari e dendrofori
Nella documentazione raccolta i collegi maggiormente attestati sono i cosiddetti tria collegia13, ovvero fabri, centonarii e dendrophori. Netta è la prevalenza numerica dei fabri14 cui corrisponde un numero molto inferiore di iscrizioni relative ai dendrofori, salvo le eccezioni rappresentate dalle regiones secunda e quarta15.
Con il nome di fabri si designavano in genere tutti gli artigiani che lavoravano materiale duro, come la pietra, il metallo o il legno. Il sostantivo è sovente accompagnato da una specificazione atta a precisare il campo di attività del faber: a Tolentinum (tab. 3, n. 18), Herdonia (tab. 1, n. 3) e Dyrrachium (CIL, III, 611), ad esempio, sono presenti i fabri tignuarii, in origine lavoratori del legno (coloro che lavoravano con i tigna, le travi di legno utilizzate nella costruzione di edifici o di parti di essi), poi evolutisi e impegnati nelle diverse tipologie di attività edilizie, come ben illustra un passo del Digesto (50.16.235): fabros tignarios dicimus, non eos dumtaxtat, qui tigna dolarent, sed omnes qui aedificarent16. L’epigrafe sepolcrale di Ti. Claudius Astylus da Aquileia (CIL, V, 908 = EDR135564) ci documenta un’altra attività in cui erano impegnati i fabri, ovvero l’intervento in caso di incendi come vigiles: il defunto si definisce in effetti dolabrar(ius). L’informazione è completata da un rilievo nel quale Astilo stringe nella mano sinistra una dolabra, l’ascia, strumento fondamentale nella lotta contro il fuoco. L’opera di pubblica utilitas prestata dai fabri, secondo una proposta da tempo avanzata, non si esaurirebbe, tuttavia, nella sola lotta agli incendi, ma si estenderebbe anche ad altri servizi di interesse comune, quale il controllo del territorio in funzione di guardie civiche17.
Per gli altri due collegia, è noto come in letteratura sia ancora aperto il dibattito sul loro ruolo produttivo in seno alla compagine sociale. In merito aicentonari, lo studio di J. Liu ha introdotto nuove e convincenti proposte tese a rafforzare la loro caratterizzazione di operatori nel settore tessile non più esclusivamente legata alla produzione di centonae, bensì di stoffe destinate al rifornimento dell’esercito. In questa categoria andrebbero dunque inquadrati principalmente commercianti e/o fabbricanti coinvolti nella produzione e nella distribuzione di tessuti e di abiti in lana di media o bassa qualità, inclusi il feltro e i suoi derivati18. Non è poi da escludere che costoro si occupassero anche di raccolta, riparazione, riutilizzo e rivendita di tessuti di seconda mano, mentre rimane sempre valida la partecipazione alle operazioni di spegnimento degli incendi e l’utilizzo, forse, come guardia civile: anche in questo caso la divisione in decuriae confermerebbe un inquadramento di tipo paramilitare.
Nel caso dei dendrofori, le incertezze sul loro ruolo economico sono ancora maggiori. Infatti, se nella documentazione epigrafica pertinente a fabri e centonarii l’aspetto “professionale” inteso in un’ottica produttiva è molto labile, per i dendrophori esso appare ancora più evanescente, soprattutto a fronte della loro forte caratterizzazione di confraternita religiosa legata al culto metroaco19, come emerge dal nome stesso dell’associazione, ufficialmente documentata a Roma come collegium dendrophorum Matris deum M(agnae) Id(aeae) et Attis (CIL, VI, 30973b = EDR121795). La dottrina, fondandosi essenzialmente sugli stretti legami con le due associazioni dei fabri e dei centonarii, coi quali i dendrofori condividono spesso patrono, evergesie e decisioni in merito alla vita comunitaria, non nega, dunque, l’esistenza di una connessione tra l’esercizio di un mestiere specifico e l’appartenenza a tale associazione20. L’interrogativo persiste, invece, proprio in merito alla tipologia di attività professionale attribuibile ai dendrofori, sebbene l’etimologia del nome e il ruolo di portatori del sacro pino nel culto della Magna Mater orientino verso mestieri connessi con il legname: di volta in volta si è dunque preferito vedere nei dendrophori dei boscaioli, dei trasportatori o dei mercanti di legname, oltre che supporre una probabile compartecipazione alla lotta contro gli incendi, ipotesi, tuttavia, priva di basi certe prima del 329 d.C., anno in cui vennero formalmente associati da Costantino a fabri e centonarii, come risulta da una disposizione del Codex Theodosianus (14.8.1)21.
Organismi a carattere collegiale e lavoratori singoli legati a produzione e lavorazione della lana e di altre fibre naturali
Un carattere marcatamente professionale ed “esplicito” caratterizza il dossier relativo a tutti quegli individui che partecipavano ad organizzazioni dedite alla filiera produttiva della lana. L’area geografica che ha restituito il maggior numero di tale tipologia di testimonianze, a conferma di quanto documentano anche le fonti letterarie, è la regio X Venetia et Histria, per la quale, seppur cursoriamente, si è ricordata la significativa presenza di gruppi di professionisti impegnati nelle diverse fasi lavorative di tale prodotto, come, ad esempio, lotores; purgatores; lanarii ecc.22. Per quanto riguarda gli altri ambiti geografici, non vi sono elementi che documentano realtà associative simili, mentre spicca la presenza di singole figure professionali, soprattutto nei centri della regio II, in conformità al suo ruolo di importante area di produzione laniera della penisola23. Nelle altre regiones – IV, V e VI – la frequenza di tali tipologie di lavoratori è molto inferiore; in esse si registra la menzione di alcuni sagarii e purpurarii, di un vestiarius, di una lanipenda, di un lanarius e di un paenularius, mentretotale è l’assenza di questa componente nell’epigrafia della fascia costiera dell’Aemilia, ambito geografico ove le testimonianze si addensano nella pianura centrale attorno a Bononia, Mutina e Parma, zone rinomate, specie le ultime due, per l’allevamento ovino e la produzione di una pregiatissima qualità di lana24. Le tracce di tali attività sono documentate, come pure nel caso della regio X, anche dalla presenza di numerosi nuclei di pesi da telaio contraddistinti, spesso, da un’iconografia che riconduce tale pratica al periodo preromano25. Tra i lavoratori delle altre fibre vegetali si ricorda la presenza di un lintiarius a Fanum Fortunae (tab. 4a, n. 16) e l’iscrizione ritenuta falsa di Anxanum, nella regio IV, che menzionerebbe dei cordai (CIL, IX, *309).
Altre attività professionali
Il panorama delle altre attività produttive definito dalla documentazione epigrafica è sufficientemente composito, assommando figure pertinenti a svariati ambiti. Per quanto riguarda i collegia,a Falerio Picenus (tab. 3, n. 10), assieme ai fabri,compare l’associazione dei fullones, che condivide con i primi, senza che ne siano rese esplicite le motivazioni, un esponente dell’élite locale nel ruolo di magister e quaestor. Nel medesimo centro, in un’epigrafe attinente alla realizzazione di un’opera pubblica, si registra la significativa formulazione collegia quae attingunt eidem foro (tab. 3, n. 11), che lascia trasparire un diffuso associazionismo collegiale, come documenta anche la presenza in loco dei tria collegia riuniti in una dedica a un comune patrono (tab. 3, n. 9). Da Herdonia proviene, inoltre, una delle rare menzioni dei capulatores (tab. 1, n. 4). Nessuna specificazione onomastica di collegio ricorre, invece, in un’iscrizione mutila di IV secolo d.C. da Anxanum (tab. 2, n. 1), in cui si fa un generico riferimento a nomina collegia[torum collegiorum o]mnium. Del resto, la semplice menzione dei termini collegium, collega, sodales ricorrente anche in altri casi nei quali non è possibile appurare un’individualità associativa precisa, ci costringe a considerare, specie nel caso di epitaffi, una possibile natura funeraticia di tali collegi, ovvero di associazioni di tenuiores intese ad assicurare agli aderenti la certezza di una sepoltura dignitosa26. Nel caso di un’iscrizione sacra di Amiternum, ove la lettura coll(egium) parrebbe assodata, riguardo all’eventuale specificazione professionale, la critica ha avanzato, in via propositiva, l’integrazione [negotiatorum] vinar(iorum) (tab. 2, n. 7). Certa è, al contrario, l’appartenenza alla societas dei picarii di un liberto il cui gentilizio Picarius ricalca esattamente la denominazione della professione, alla cui pratica e ai conseguenti guadagni si deve, verosimilmente, la manomissione stessa dell’ex schiavo (tab. 4a, n. 11).
Per quanto concerne le singole attività, di grande interesse risulta la menzione a Canusium di un pellio, espressione di un altro settore produttivo legato all’allevamento e raramente documentato (tab. 1, n. 17). Ancora nella regio II è presente un figulus la cui iscrizione funeraria (tab. 1, n. 11) è una fra le poche inquadrabili in età repubblicana, al pari della menzione di due gladiarii brindisini (AE 1978, 216 = EDR100187) con un confronto coevo di provenienza aquileiese (InscrAqu, 1, 68 = EDR117550) e uno di età imperiale da Alba Fucens (CIL, IX, 3962). E sempre a una località della Apulia et Calabria, seppure molto lontana dalla costa adriatica, come Beneventum, pertiene la rara menzione di un carbonarius (CIL, IX, 1716), che rimanda allo sfruttamento delle risorse boschive. Un unicum fra le attività produttive è quella di un ep(h)ip(p)hiarius (produttore di selle da cavallo)ricordata in un’iscrizione funeraria (CIL, IX, 7256 = EDR079021), arricchita da un carme, proveniente da Corfinium, nella regio IV, un centro anch’esso al di fuori dei limiti della zona di maggior interesse, ma che ha restituito numerosi documenti di tale tipo, tra i quali anche quello di un pistor (CIL, IX, 3190 = EDR176279) e di un tector (CIL, IX, 3192 = EDR176316). A Teate Marrucinorum ritroviamo un altro figulus, inserito in un album di un anonimo collegio (tab. 2, n. 2), e l’interessante figura imprenditoriale di un tal Dionysius, sutor institor caligarius (CIL, IX, 3027= EDR115117). Ci riportano invece all’ambito della sodalitas più diffusa le menzioni di alcuni singoli fabri, tra i quali il graffito da Herdonia (tab. 1, n. 21), degno di nota sia per la cronologia (fra II e I secolo a.C.) sia per la possibile indicazione di “professionisti” itineranti all’interno del bacino mediterraneo, e quella dei fabri navales a Ravenna, presenza da associare, ovviamente, anche alle necessità della flotta imperiale ivi stanziata (tab. 5, n. 10). Un altro settore economico nel quale l’associazionismo aveva un peso notevole, ovvero quello del materiale ligneo, è testimoniato dal ricordo di un materiarius di Sena Gallica (tab. 4a, n. 17) e di un negotians materiar(ius) di Ariminum (tab. 5, n. 20). A chiusura della veloce rassegna si ricorda la presenza di un aerarius a Suasa (tab. 4b, n. 10).
Quadro generale
La ricca messe di testimonianze epigrafiche a nostra disposizione conferma alcuni dati generali, ovvero che l’età di massima fioritura del fenomeno associativo si colloca fra I e III secolo d.C., con alcuni casi inquadrabili anche nel IV secolo d.C., specie per quanto riguarda le attestazioni della costa adriatica orientale. Viene ribadita, inoltre, l’assenza nelle iscrizioni di qualsiasi caratterizzazione professionale dei collegia, lasciando solo intuire il loro ruolo in seno all’economia delle singole comunità civiche ove erano presenti. Al contrario, ben chiare risultano le finalità sociali che li pervadevano: scelta di patroni e di altri personaggi con ruoli direttivi in seno alle singole organizzazioni; conferimento di onori concretizzatisi nella dedica di iscrizioni, statue e concessione di tabulae patronatus; esaltazione delle benemerenze a favore delle organizzazioni professionali da parte di personaggi appartenenti a ricche famiglie locali, con le quali il legame instauratosi poteva continuare anche per più generazioni e coinvolgere, talora, l’elemento femminile, cui era concesso, eccezionalmente, il titolo di patrona, o, più spesso, quello di mater collegii. Il riflesso di questa particolare “attività” che coinvolgeva i collegi, soprattutto quelli più importanti e diffusi nel contesto sociale, si concretizza anche in un loro contributo nel delineare il paesaggio dei luoghi pubblici cittadini destinati ad ospitare i monumenti e le iscrizioni, che testimoniano, da un lato, l’aspirazione alla dignitas dei membri delle élites locali, dall’altro, la visibilità sociale così acquisita dagli aderenti alle singole associazioni, distinguendosi dalla restante parte della plebe cittadina. Inoltre, per gli elementi più “intraprendenti”, l’adesione a un collegio poteva rivelarsi anche un ottimo espediente per ottenere quegli honores loro preclusi nella vita pubblica. Ma la visibilità di gruppo traspare anche attraverso l’attenzione nei confronti delle sedi associative, come documenta il ricordo delle scholae, spesso oggetto di interventi sia a cura dei collegi stessi sia di patroni e dirigenti. E, a proposito dei personaggi che rivestirono il ruolo di patrono, spesso anche su più collegia e altre componenti civiche o addirittura sull’intera comunità cittadina, essi paiono appartenere per lo più al ceto dei notabili cittadini, fornendo grandi dimostrazioni di attaccamento alla realtà locale. In cambio delle manifestazioni del loro interesse, potevano ricevere sicuramente prestigio e, plausibilmente, anche un appoggio per le carriere municipali da essi intraprese, mentre rimangono oscuri gli eventuali rapporti economici che potevano fungere da ulteriore legante fra le due parti.
L’altro significativo ambito di intervento che emerge dalla documentazione è quello di natura funeraria, con la certezza per i collegiati di disporre di un luogo di sepoltura riservato e, talora, l’essere inseriti, assieme ad altri gruppi di cittadini, fra i destinatari delle fondazioni funerarie, caratterizzate da elargizioni di sportulae e somme di denaro in cambio di alcune pratiche comuni di pietas, atte a onorare la memoria dei benefattori defunti. Inoltre, a livello del singolo sodale, l’iscrizione sepolcrale diviene spesso veicolo ed espressione di un’appariscenza sociale altrimenti negata, come consente, d’altro canto, l’espressione della collegialità a gruppi lavorativi, come evidenziano i numerosi casi della regio X27.
In sintesi, ciò che emerge da questa rapidissima panoramica condotta allo scopo di cogliere eventuali caratteristiche comuni, peculiarità e discrepanze, è, da un lato, la conferma della presenza massiccia del collegio dei fabri, spesso in unione coi centonari e più raramente coi dendrofori, senza tuttavia poter disporre di elementi che consentano di penetrare nei loro ruoli e funzioni, che possiamo supporre condotti anche con prestazione d’opera su incarico civico/municipale, mettendosi al servizio dello Stato per le necessità pubbliche. Dall’altro lato, la non omogenea distribuzione delle testimonianze relative ai tria collegia, con il “vuoto” che caratterizza i centri costieri, ma anche la fascia dell’immediato entroterra, delle regiones dell’Italia meridionale. In particolare, si vuole evidenziare la situazione della regio II, ambito geografico caratterizzato da allevamento e produzione laniera, che, pur rivelandosi un “terreno” idoneo a una presenza associativa, sulla scorta di quanto emerge per le regiones settentrionali, non ha restituito né nei centri costieri né in quelli siti a una media distanza dal litorale alcuna traccia di centonarii, lasciando intendere una particolare situazione socioeconomica non favorevole all’associazionismo professionale. Le due realtà geografiche dell’Apulia e del Samnium, come notato nei commenti delle rispettive tabelle, sono, infatti, caratterizzate da situazioni peculiari: per la prima area geografica si dispone di numerosi documenti pertinenti a singoli lavoratori, in particolare addetti alla filiera della lana, che confermano la diversa organizzazione di tale attività produttiva; accomuna, invece, entrambi gli ambiti geografici il riscontro che sono i centri situati molto lontano dalla costa, a ridosso della catena appenninica, a fornire documenti sulla presenza dei tria collegia, rivelandosi evidentemente zone più favorevoli sia alle varie industrie, grazie alla presenza delle materie prime come legno, acqua, argilla, carbone, pece ecc., sia all’allevamento e alla lavorazione dei suoi derivati.
Per quanto riguarda le altre regioni, il Picenum si caratterizza per una provenienza quasi totale delle attestazioni epigrafiche di collegia professionali da alcuni centri siti in una fascia territoriale più interna e distanti, in media, fra i 20 e i 40 km dalla costa, con una buona presenza di fabbri e centonari e un’unica menzione di dendrofori (tab. 3, n. 9) e del sodalicium dei fullones (tab. 3, n. 10). Spicca, fra le singole professioni, il graffito databile nel II secolo a.C. relativo a un faber (tab. 3, n. 2). La vicina regio VI è terra ricca di documenti pertinenti ai tria collegia provenienti sia dai centri costieri quali Pisaurum, Fanum Fortunae e Sena Gallica, sia da quegli ambiti urbani che in letteratura rientrano nella cd. Umbria adriatica, fra i quali spiccano, per diverse motivazioni, i casi di Sassina, Sestinum e Sentinum. Infine, la situazione della regio VIII, che concentra la documentazione pertinente ai collegi nei suoi due principali centri marittimi, Ariminum e Ravenna, confermando, come nel caso della contermine regio VI, l’importanza dello sviluppo economico, che favoriva la specializzazione e garantiva buone possibilità di guadagno, generando altresì le condizioni affinché alcune categorie potessero lasciare un ricordo di sé, del proprio mestiere e in particolare dell’appartenenza a un collegio, che diviene, come più volte ribadito, elemento prioritario della propria identità personale e civica.
In un’ottica di pieni e vuoti, ciò che balza agli occhi sono alcune “clamorose” mancanze rispetto alle caratteristiche dell’economia costiera: mi riferisco, in particolare a quelle attività legate alla pesca e alla lavorazione dei prodotti ittici, alla produzione salina, ma anche a tutte le attività più banali e indispensabili alla vita quotidiana. Si pone poi il problema della relazione fra i collegia e i singoli lavoratori, come è il caso del faber Longidienus di Ravenna (tab. 5, n. 10) e di tutti quegli altri personaggi che hanno lasciato il ricordo della loro professione senza alcuna menzione di appartenenza a un collegio.
Ma gli interrogativi nella ricerca sono importanti perché servono da stimolo al suo progresso e offrono spunti per analizzare il fenomeno da ottiche diverse. A queste nuove ricerche, spero possano essere utili i dati collazionati in questo studio.
Regio II – Centri costieri e interni: collegia professionali e lavoratori singoli
Nella distribuzione delle iscrizioni pertinenti a collegia professionali, la regio II Apulia et Calabria si contraddistingue per la pressoché totale assenza di tale tipologia di documenti nei centri costieri, salvo un’epigrafe da Hydruntum (tab. 1, n. 1), seppur da considerare con una certa cautela28. Infatti, in occasione della morte del defunto, in funzione di dedicanti si menzionano sia la moglie sia un collegium, che evidentemente ha avuto un ruolo nelle esequie. È, tuttavia, noto che l’ottemperanza a questi compiti era una delle funzioni caratterizzanti anche i cd. collegi di tenuiores, contraddistinti da scopi di mutua assistenza, ma non da publica utilitas, e ai quali partecipavano, verosimilmente, coloro che non potevano essere inclusi nei collegi professionali29.
Le prime testimonianze pertinenti a collegi professionali si registrano a Herdonia e a Luceria (nn. 2-4), nuclei demici più interni rispetto a una fascia di distanza intermedia dalla costa.Nella rarefazione dei documenti spicca, tuttavia, una delle due epigrafi di Herdonia (n. 4), che tramanda la presenza in loco deicap(u)latores ovvero dei raffinatori/travasatori di olio, il cui compito era quello di separare l’amurca dall’olio, sulla base di quanto precisano Catone (Agr., 66) e Columella. (Rust., 12.50.10). Da notare, inoltre, come l’associazione non sia menzionata col termine collegium ma col nominativo plurale30.
Dubbi su una reale pertinenza alle categorie indagate desta l’espressione collegae et amico in un’iscrizione funeraria pertinente a Venusia (n. 5), incertezza destinata a rimanere tale anche in considerazione dello stato frammentario del monumento31. Fra le testimonianze raccolte, significativa appare l’epigrafe di Castelmagno, località sita al limite orientale della provincia di Benevento, che conserva la formula ex tribus collegis (n. 7), usualmente impiegata per definire l’insieme di fabri, dendrofori e centonari32. La sua interpretazione in tal senso, se da un lato parrebbe corroborata dalla presenza in loco dei dendrofori (n. 6), dall’altro, potrebbe risultare inficiata dal rinvenimento nella medesima località di un’iscrizione (AE 1997, 404) relativa a un collegius Augustianum, interpretato come insieme dei membri di una familia33.
In sostanza, oltre alle tre iscrizioni testé menzionate, per reperire epigrafi che documentino la presenza dei collegia professionali più noti ci si deve spingere sino ai territori montani, in particolare quelli dei Ligures Baebiani, in provincia di Benevento, donde provengono due iscrizioni (nn. 8-9) relative, rispettivamente, al collegium dendroforum itemque fabrum e al c[o]llegium dendrophorum. Nel primo caso, secondo stilemi comuni, si tratta di una dedica onoraria a favore di un patrono, che ben aveva operato a favore dei cives e dei membri dei collegi locali34; nel secondo, l’appartenenza ai dendrofori è registrata in un’epigrafe funeraria, categoria cui pertiene la maggior parte delle iscrizioni collazionate nella tabella. Un labile legame fra collegi e questi territori montuosi più interni è rappresentato da un altro piccolo nucleo di epigrafi provenienti sempre dal territorio di Benevento, sebbene non menzionino specificatamente associazioni, ma si limitino a riportare i termini: collegius; mag(ister) col(legi); collegii patrono (CIL, IX, 1688; AE 1925, 116 = EDR072968; AE 1968, 124 = EDR074819).
Ad Aeclanum, centro irpino, ritorna la menzione dei dendrofori nell’iscrizione in memoria di una giovane defunta (n. 10). Ella appare legata ad un esponente di sesso maschile, che aveva rivestito il ruolo di quinquennalis, unico richiamo alla strutturazione collegiale emersa nei documenti analizzati35.
Nella tabella si sono poi inserite un consistente numero di epigrafi relative a figure di lavoratori singoli (nn. 11-23). In particolare, l’attenzione è rivolta all’ambito della lavorazione della lana36, che, a prescindere da un possibile aggancio con la realtà collegiale, è sicuramente espressione di una voce significativa dell’economia di un territorio, come quello apulo, fortemente coinvolto nell’allevamento ovino e nella lavorazione dei suoi derivati37. Ne è testimonianza proprio un’epigrafe di Canosa (n. 16), aggiunta nel novero, sebbene menzioni un negotians canusinarius. In realtà, tale termine per l’epoca imperiale viene inteso non solo come commerciante all’ingrosso, ma anche come colui che produceva nel proprio laboratorio beni, che poi rivendeva in grande quantità38. Da evidenziare, ancora per Canusium, la particolare attestazione rappresentata da un graffito (n. 15) interpretabile come insegna di una bottega artigianale ove operava un lanarius39; dalla medesima località proviene la testimonianza di un textor (n. 14), categoria alla quale potrebbe pertenere anche un altro individuo, la cui professionalità risulta difficile da accertare a causa della lacunosità del documento, anch’esso di provenienza canusina (AE 1987, 272 = EDR080393). All’ambito lanario rimandano la presenza di una conserva lanipendia a Cannae (n. 13), e il ricordo, piuttosto raro, di un refect(or) pecten(arius), un cardatore di lana beneventano (CIL, IX, 1711 = EDR129564), che trova un puntuale confronto in una stele (CIL, V, 7569 = EDR010463) di un altro cardatore rinvenuta ad Hasta, nella regio IX Liguria, arricchita dall’esplicita raffigurazione dell’attività.
Altre menzioni sono quelle di due sagarii (nn. 12, 19), mentre spicca, per l’appartenenza a un diverso settore manifatturiero legato all’allevamento, la presenza di un pellio (n. 17), associazione non molto attestata nella documentazione epigrafica40. Per Venusia si aggiunge la memoria di Catallage, Camili Rutili lanipendia (n. 20), forse da intendere al servizio diuna famiglia senatoria41, a conferma di una gestione della produzione laniera apula tale da non lasciar spazio a organizzazioni professionali42. Infine, degna di nota è la presenza del figulus di Ausculum (n. 11)43, professionalità che rimanda a uno degli antiquissimi collegia, la cui origine è fatta risalire ad epoca regia. Secondo una recente ipotesi44, i figuli potrebbero far parte del collegio dei fabri.
Tra le indicazioni di altre professioni compare un secondo graffito (n. 21) proveniente da Herdonia, tracciato sulla malta fresca di un edificio e databile fra II e inizi I secolo a.C.: secondo una recente interpretazione, esso restituirebbe la presenza di un faber, ovvero di un artigiano-costruttore o architetto-costruttore. Inoltre, il termine Alex{s}andrinus, inciso più in basso, alla distanza di un paio di righe, se inteso come origo, costituirebbe un’interessante spia della circolazione di manodopera nell’ambito del bacino mediterraneo45. Ai rappresentanti di questa professione si aggiunge il servus faber da Tarentum (n. 22), mentre la lettura del medesimo termine in tale ottica appare meno certa in un’epigrafe da Venusia, in quanto potrebbe intendersi come cognomen dell’individuo ricordato (AE 1981, 259= EDR078167). Si registrano, infine, altre tre menzioni di attività produttive: un unguentarius46 da Venosa (CIL, IX, 471 = I2, 1703); un sarcinator da Tarentum (AE 1972, 111 = EDR075241); due gladiarii, fabbricanti di spade, da Brundisium (AE 1978, 216 = EDR100187), che trovano un confronto, in ambito adriatico, ad Alba Fucens (CIL, IX, 3962) e ad Aquileia (InscrAqu, 1, 68 = EDR117550), con una coincidenza cronologica dei documenti di Brindisi e Aquileia, entrambi inquadrabili nella seconda metà del I secolo a.C.47. In fine, da Beneventum proviene una rara attestazione di un carbonarius (CIL, IX, 1716), a riprova dello sfruttamento del patrimonio boschivo locale anche per la produzione del carbone, attività che necessitava di manodopera specializzata48.
La regio II potrebbe forse includere un’ulteriore associazione professionale qualora l’attività del collegium Leontianum registrata in CIL, IX, 1590 = EDR103532 e AE 1968, 124 = EDR074819, entrambe databili al IV secolo d.C., potesse trovare rispondenza in un passo di Plinio il Vecchio (HN, 37.190). Nel nominare alcune gemme, l’autore ne indica talune col nome di leontios: l’ipotesi, già avanzata in dottrina, è dunque quella di intendere il suddetto collegio, senza però certezza alcuna, come lavoratori delle pietre preziose49.
Tirando le somme, il quadro fornito dalla documentazione epigrafica a oggi nota, salvo omissioni, restituisce l’immagine di un ambito regionale ove la presenza dei collegi professionali è distribuita a macchia di leopardo, con carenza di testimonianze per la porzione centro-meridionale e un addensarsi in zone montane ricche di boschi, dai quali trarre legna, pece e carbone, habitat ideale per i dendrofori, che sono testimoniati in modo più cospicuo. La documentazione si addensa in particolar modo tra fine II e III secolo d.C. e può considerarsi riflesso di un sistema economico nel quale, come già accennato, non vi era spazio per gruppi di potere e di pressione socioeconomica quali erano i collegi, privati della loro ragion d’essere e del loro modus operandi in una terra distribuita fra pochi proprietari e destinata soprattutto all’allevamento50. Nemmeno il legame di patronato ricordato nelle iscrizioni allude a un eventuale rapporto di natura economica, limitandosi al mero omaggio, sebbene sia nota la complessità di rapporti sottesi a queste manifestazioni pubbliche. Ciononostante, vale la pena “contrapporre” a tale realtà, che sconta la casualità e l’assoluta incompletezza delle conoscenze, quanto compare in un’iscrizione ora perduta di Beneventum – oramai la costa adriatica è solo un miraggio – ove un anonimo ma illustre cittadino compie una serie notevole di evergesie, probabilmente inquadrabili dopo il sacco di Alarico nel 410 d.C., tra le quali rientra anche il restauro della sede di alcuni collegi, come si evince dall’appellativo attribuito al personaggio di re[para]tor collegiorum (CIL, IX, 1596 = EDR128690).
Regio IV – Centri costieri e interni: collegia professionali e lavoratori singoli
Anche la regio IV Samnium non restituisce nei centri dislocati lungo la costa iscrizioni relative a collegi professionali, mentre la loro presenza si addensa in alcuni nuclei demici di altura siti, per lo più, ai confini con le regiones circostanti: Reate, Cures Sabini, Alba Fucens, Carsioli, Antinum, Telesia, Aesernia51. Nessuna evidenza si registra per Saepinum, nonostante la ricca documentazione epigrafica pertinente a esponenti dell’élite municipale, contraddistinti da cariche onorifiche.
Per quanto riguarda i centri costieri, si segnala la presenza ad Aternum, odierna Pescara, di due epigrafi, una delle quali metriche, relative a personaggi facenti parte di corpora naviculariorum, sicuramente attivi nei traffici anche con l’altra sponda adriatica52.
L’iscrizione di Anxanum inserita in tabella (tab. 2, n. 1) risulta gravemente mutila sul lato sinistro e nella parte inferiore. Si tratta di un ibrido fra un album municipale e uno pertinente a collegi e associazioni, fatto realizzare da Autonius Iustinianus, nel periodo in cui era governatore del Samnium53. La lacunosità del testo non consente di comprendere se l’elenco dei nomi pertenga all’ordo decurionum o ai componenti delle associazioni professionali; d’altro canto, non si esclude la possibilità di una loro commistione, date le modeste dimensioni del centro54. Per Anxanum la tradizione registra la presenza di un’altra epigrafe – CIL, IX, *309 – dalla critica ritenuta frutto della fantasia di Pirro Ligorio55, ma di grande interesse per la menzione di un colleg ff restiariorum municip anxani, ovvero un collegio di cordaioli municipale o, più in generale, di lavoratori di fibre vegetali. Tale presenza troverebbe un unico riscontro in un’epigrafe sepolcrale di Roma, sebbene con una denominazione della categoria leggermente diversa e indicata come restiones56.
Il medesimo dubbio sull’autenticità si pone anche per tre iscrizioni di Ortona, le uniche pertinenti alla categoria oggetto di indagine, ma note solo da tradizione e pertanto non inserite nel prospetto: CIL, IX, *314; *316; *31757.
Tra i centri relativamente vicini alla costa, si è scelto di inserire il riferimento a un’iscrizione (n. 2) proveniente da Teate Marrucinorum, odierna Chieti, che contiene l’album incompleto di un collegium sulla cui natura nulla si può dire, sen non che gli iscritti dei quali sopravvive la menzione sono tutti ingenui58. Sempre per questa località pare utile menzionare il ricordo di Dionysius, sutor institor caligarius (CIL, IX, 3027= EDR115117), preziosa testimonianza dell’organizzazione produttiva locale, in particolare del ruolo di manager svolto da tale personaggio di rango servile, in connessione con una villa59, e che lascia trasparire il forte valore identitario assunto dalla professione, come anche nel caso del lupinarius di AE 1984, 345 = EDR079421 da Interpronium60.
Allontanandosi dalla costa, in una fascia intermedia della regione, un’unica testimonianza relativa al collegium fabror(um) proviene da Corfinium, municipium caratterizzato da favorevole posizione geografica e per il quale sono note alcune attività professionali svolte da singoli lavoratori, riflesso di un’economia vivace61: le iscrizioni documentano la presenza di un pistor (CIL, IX, 3190 = EDR176279), di un pomarius (CIL, IX, 7261 = EDR079016),di uno stabularius (CIL, IX, 7262 = EDR166881), di un tector (CIL, IX, 3192 = EDR176316), di un ep(h)ip(p)iarius (CIL, IX, 7256 = EDR079021), di un aquarius (CIL, IX, 3189 = EDR176376) e di un argentarius, la cui compagna svolgeva l’attività di lanipenda (CIL, IX, 3157 = EDR176188). Quest’ultima professione compare anche, in riferimento a una conserva, in un’iscrizione funeraria fortemente mutila da Amiternum (n. 8).
Nel dossier si registrano altre epigrafi con la menzione del termine collegium o sodalitas, ma senza alcuna ulteriore specificazione. È il caso di Terventum (n. 3), ove, su un piccolo frammento di lastra bronzea, si ricorda una sodalitas e si fa riferimento anche ad una tabula. L’insieme dei due elementi ha suggerito l’ipotesi che possa trattarsi di un atto ufficiale, come la dedica di una tabula patronatus62. Dal lato opposto della regione, provengono le seguenti epigrafi: un’iscrizione dal vicus Furfo (n. 4) nella quale le due C iniziali sono state ipoteticamente sciolte come collegium centonariorum; una da Peltuinum (n. 5) in cui un collegius ha posto il monumento funerario per uno schiavo63; una da Amiternum (n. 7), di ambito sacro, dove la lettura coll(egium) parrebbe assodata, mentre rimane incerta la sua specificazione: la critica ha avanzato, in via propositiva, l’integrazione [negotiatorum] vinar(iorum)64. Da Peltuinum (n. 6) proviene anche una delle poche menzioni riguardanti la produzione di vesti, in particolare di paenulae, a cura del paenularius C. Aponius Ant[– – –].
La gran parte delle epigrafi menzionanti i collegi professionali, e in particolare i tria collegia, pertengono, invece, a centri situati in un ambito geografico molto lontano dalla costa, evidentemente più favorevole alle varie industrie grazie alla presenza delle materie prime (legno, acqua, argilla, carbone, pece…) e all’allevamento65.
Tranne nei casi delle iscrizioni di Aesernia (CIL, IX, 2686 = EDR128319 e 2687 = EDR128320) e di Antinum (CIL, IX, 3837= EDR127042) che menzionano, le prime due, solo i centonari66 e la terza, secondo taluni67, centonari [et dendr]of(ori), tutte le altre attestano la presenza di dendrophori68, fabri69, e fabri tignuarii70, con una prevalenza numerica dei primi e un’apparente conferma del loro ruolo in seno alla filiera del legno. Per la maggior parte si tratta di iscrizioni onorarie rivolte a patroni e quinquennales dei collegi, con distribuzioni anche di sportulae a favore di alcune componenti civiche, come nei casi di Cures Sabini (CIL, IX, 4976) e di Antinum (CIL, IX, 3842 = EDR127123). Si discostano, da queste, tre epigrafi sepolcrali da Alba Fucens: CIL, IX, 3938 che menziona un dendroforo Albensi, che di professione era coco71; AE 1956, 4 = EDR074078 nella quale si ricorda un dendropho[ro] / quinq(uennali); CIL, I2, 1824, in cui si registra, invece, la presenza di un Varvelus fab(er). Altri due fabri, il secondo con specifica di ferrari(i), compaiono ad Aufinum72 e a Telesia73. Anche la regio IV restituisce una testimonianza relativa a un gladiarius, proveniente da Alba Fucens (CIL, IX, 3962), professione che ha altri due confronti, in area adriatica, ad Aquileia e Brundisium74.
Una menzione ulteriore merita un’epigrafe, già citata, del II secolo d.C. da Aesernia (CIL, IX, 2687= EDR128320), purtroppo frammentaria, ove si ricorda una mater colleg[i(i)] centonarior[um], a evidenziare il ruolo della componente femminile in seno a tali organizzazioni, come documentato anche in altre iscrizioni del vicino Picenum e della regio VI75.
La rassegna della regio IV si conclude con il richiamo a un’associazione singolare pertinente all’ager Aequiculorum, ove compare un collegius agellanus. L’iscrizione (CIL, IX, 4129), di natura funeraria e databile al II secolo d.C., è posta al figlio schiavo a cura dei genitori (anch’essi schiavi e il padre è un actor) e del collegio, la cui denominazione risulta essere un apax. In base all’analisi condotta da N. Tran sul significato e sui relativi ambiti di applicazione del termine agellus76, se da un latola natura di collegio funeraticio appare evidente, dall’altro, alla specifica denominazione si deve sottintendere un luogo di proprietà collettiva ove i suoi membri potevano godere di uno spazio, oltre che per la sepoltura, anche per onorare le loro divinità e riunirsi convivialmente. Pur non aggiungendo alcun dato utile all’indagine sui collegi professionali, si è, tuttavia, scelto di citare questa iscrizione come esempio del forte valore di integrazione e promozione insito nell’appartenenza a un collegio, di qualsiasi natura fosse, e, nel caso specifico, anche dell’incisiva presenza dell’associazione nel paesaggio fisico di una comunità.
Alla luce delle evidenze reperite, l’ambito territoriale della regio IV, terra di transumanza e caratterizzata dalla presenza sia di ager publicus sia di latifondo appannaggio di grandi famiglie senatorie, ma anche di interessi diretti della domus imperiale77, restituisce un quadro epigrafico che conferma la diffusione del fenomeno associativo di tipo professionale fra I e II secolo d.C., con una delocalizzazione nelle zone più interne, in parallelo con la situazione della regio II cui era legata da tratturi e dallo sfruttamento dell’allevamento di transumanza. Si confermano il carattere celebrativo e funerario della documentazione e la totale assenza di elementi atti a evidenziare il ruolo economico delle componenti collegiali, posto in secondo piano rispetto all’azione evergetica di patroni e altre figure dirigenziali nei confronti della comunità civica, presente nelle sue diverse articolazioni, e dei collegiati. Differentemente dalla Puglia, rientrano nel dossier anche due iscrizioni di matrice sacra, una delle quali posta dai fabri a Minerva (n. 9), patrona indiscutibile di arti e mestieri.
Per quanto riguarda questo lembo della penisola, si ritiene, tuttavia, che valga la pena soffermare l’attenzione su un tipo di collegium/sodalitas dai tratti apparentemente solo religiosi78 come paiono essere le associazioni dedite al culto di Ercole, divinità cardine per l’ambito territoriale sannita79. Alla luce delle testimonianze raccolte e in base a stringenti confronti con altre realtà geografiche ove pastorizia80 e lavorazione dei prodotti derivati rivestivano un ruolo rilevante – il caso della regio X81 e, seppur in misura molto inferiore, delle regiones II e VIII82 –, si ripropone il quesito se dietro tale denominazione non possano celarsi insiemi di persone legate sia da un marker religioso sia da un’attività lavorativa comune. Tale supposizione troverebbe conforto in un’iscrizione di Alba Fucens, ove i cult(ores) Hercul(is) si definiscono sala(rii)83. Se anche negli altri casi la risposta fosse affermativa, la presenza di associazioni con una valenza in ambito professionale potrebbe ulteriormente espandersi.
Regio V – Centri costieri e interni: collegia e singoli professionisti
Nela regio V Picenum la quasi totalità delle attestazioni epigrafiche di collegia professionali proviene da alcuni centri siti in una fascia territoriale più interna e distanti, in media, fra i 20 e i 40 km dalla costa, tranne il caso di Firmun Picenum, ad essa più vicino84.
Per quanto riguarda la scarsissima documentazione costiera, la dedica votiva alle Nymphae Augustae da Ancona (tab. 3, n. 1) è stata inserita nella tabella per la presenza del termine collegarum, pur non costituendo un elemento di rimando certo a collegi professionali. Si è ipotizzato, tuttavia, che possa riferirsi a lavoratori legati all’utilizzo delle acque, come il caso degli aquatores o dei fullones85. Sempre ad Ancona pertiene un’epigrafe, di natura funeraria, che nomina un unguentarius (CIL, IX, 5905 = EDR015494)86.
Un reperto di estremo interesse è, invece, rappresentato dalla scodella a vernice nera rinvenuta a Potentia, e caratterizzata dal graffito post cocturam Sosia faber (n. 2). La scritta, di natura certamente estemporanea, è stata inserita in tabella sulla scorta di una delle due possibili interpretazioni del termine faber, ovvero come indicazione di professione e non come cognomen87. La laconicità del testo e la cronologia alta precludono una lettura certa in un senso o nell’altro88.
Una delle epigrafi di Falerio Picenus (n. 11) menziona genericamente dei collegia partecipanti alla conlatio per lastricare una nuova via che attraversava il foro pecuario cittadino, nell’ambito di una più generale risistemazione urbanistica. Se ad essi, in primis, si possono sottintendere associazioni legate al commercio del bestiame, non è tuttavia esclusa la compartecipazione alla spesa da parte delle altre associazioni professionali note per tale centro: i tria collegia e il sodalicium dei fullones (nn. 9-10)89.
L’unica iscrizione relativa ad Urbs Salvia (n. 21) è stata inserita nella tabella nonostante il dubbio sull’interpretazione del termine fabr(um), ovvero se sia pertinente a un collegio professionale o se si debba sottintendervi l’ufficio di praefectus fabrum, incarico nello stato maggiore di un personaggio dotato di imperium. Secondo taluno90, non va neppure esclusa l’ipotesi che questo ufficio celasse una posizione di tipo civile connessa coi compiti dei fabri, tra i quali doveva rientrare quello dello spegnimento degli incendi. L’indicazione di quaestor, che nell’epigrafe precede quella di fabr(um) potrebbe, dal canto suo, riferirsi alla carica di quaestor collegi.
Dalla tabella si sono, invece, escluse le iscrizioni CIL, IX, 5177 = EDR135001 e AE 1975, 351 = EDR076164, entrambe pertinenti ad Asculum Picenum, data l’incertezza interpretativa sulla natura dei collegia ivi menzionati: nel primo caso è verosimile che si tratti di membri di un sodalizio religioso legato a Fortuna Redux e un’analoga connotazione sacrale pare più verosimile anche nel secondo caso91.
Alla sua natura di falso cartaceo e di trasmissione solo attraverso la tradizione manoscritta, si deve, infine, l’esclusione anche di CIL, IX, 5189 = EDR155836, in parte copia di un’epigrafe onoraria pertinente ad Auximum (n. 6)92.
L’analisi della documentazione riportata in tabella93 evidenzia una leggera preminenza numerica dei fabri rispetto ai centonari94, ma spesso i due collegi agiscono congiuntamente. Differentemente, i dendrofori compaiono una sola volta in una lunga iscrizione di Falerio Picenus (n. 9), associati agli altri due collegi. L’epigrafe menziona due personaggi, padre e figlio, ricordando la prestigiosa carriera del primo, oramai defunto, tipico escamotage per rendere omaggio a più personaggi e ribadire pubblicamente il legame familiare con i collegiati, trasmesso di padre in figlio. Le ragioni di tale “affezione” non sono a noi perspicue, ma lasciano intendere solidi interessi economici che coinvolgevano entrambe le parti. Da notare anche la presenza, sempre a Falerio Picenus (n. 10), di una delle rare menzioni di un sodalicium fullonum, che condivide con i fabri la figura del magister e del quaestor. L’interesse suscitato da questa iscrizione deriva anche da altri due punti: primo, l’utilizzo di una diversa denominazione per indicare le due associazioni, riservando il consueto termine collegium ai fabri e ricorrendo, invece, a sodalicium per i cd. lavandai; secondo, l’appartenenza di uno dei suoi rappresentanti di vertice a due collegi, in contrasto con quanto previsto dalla normativa, in particolare dall’età di Marco Aurelio, che consentiva il rapporto con una sola sodalitas95. Senza risposta è l’interrogativo sull’esistenza, o meno, di un interesse professionale (o anche di altro tipo) comune alle due corporazioni che ne giustifichi la cooperazione.
Nella documentazione picena, oltre alle cariche di patronus, magister e quaestor (forse il responsabile dell’amministrazione della cassa collegiale)96, compaiono anche le figure di patrona e mater collegii. Il patronato femminile, non molto diffuso e attestato fra II e III secolo d.C., rimanda alla figura dell’ingenua Alliena Berenix, attiva a Firmum Picenum (n. 12), in onore della quale i locali collegia fabrum et centonariorum dispongono, su autorizzazione del senato municipale, di erigere una statua, ricordandone sanctitas e pietas97. A Falerio Picenus (n. 10) la liberta Claudia compare come mater del sodalicium fullonum nell’epitaffio postole, in unione col marito, dai figli98. L’attribuzione di tale titolo doveva probabilmente derivare dai rapporti intessuti con l’associazione dai rappresentanti maschili della famiglia, oltre che rappresentare una modalità per acquisire possibili gratifiche derivanti da patrimoni di pertinenza femminile. Il medesimo meccanismo di trait d’union fra le due parti è, verosimilmente, da sottintendere nell’iscrizione sepolcrale da Auximum (n. 7) di un giovane deceduto a 14 anni, nel cui epitaffio compare l’intervento del collegio con la formula decreto fabr(um), utilizzata in tale contesto per avvallare un’azione legata a pratiche sepolcrali. Il centro di Auximum ha restituito, altresì, tre iscrizioni onorarie dedicate a patroni dei centonari (nn. 4, 5, 6), fra i quali ricopre tale ruolo un veteranus Augg(ustorum).
Nel dossier è compresa anche la menzione, proveniente da Tolentinum, della schola dei fabri tignuarii (n. 18), eretta a loro spese su un terreno offerto da un personaggio che aveva donato loro diecimila sesterzi e dalla cui rendita si sarebbero dovuti trarre i soldi per festeggiare con un epulum il suo compleanno, secondo una consuetudine diffusa e pienamente rivelatrice dell’attenzione rivolta a manifestazioni collettive e caratterizzate da un forte valore identitario e di autorappresentazione in seno alla comunità civica. Da notare anche l’appellativo Augusta attribuito alla schola, interpretabile come manifestazione di lealismo nei confronti della domus imperiale, sulla scia di altri esempi che hanno come protagonisti sempre collegi professionali99.
Diversamente dalle numerose risultanze enucleate nella contermine regio IV, la presenza dei fabri tignuarii nel Picenum appare limitata all’iscrizione testé menzionata e a un’altra da Auximum (n. 8), in cui compare un singolo tig(nuarius) faber100.
E, per rimanere in tema di lavoratori singoli101, a Truentum (n. 22) si annovera un purpurarius, ovvero un produttore e venditore della porpora, se non il tintore. Da notare il fatto che il nostro purpurarius ricopriva in seno alla municipalità locale un posto fra i quinqueviri, un sacerdozio legato al culto di Augusto e presente anche altrove nella regione, a riprova di una posizione economica di tutto rispetto102. Un’altra professionalità testimoniata singolarmente è quella del sagarius di Ricina (n. 17), un produttore di saga, i pesanti mantelli di lana grezza utilizzati soprattutto in ambito militare103; l’iscrizione funeraria in cui egli è nominato assieme a un amicus conserva la menzione della sua origo Mediolanensis, possibile traccia di rapporti lavorativi fra ambiti regionali diversi.
Per quanto riguarda i caratteri generali della documentazione epigrafica picena pertinente ai collegi professionali, essa pare allinearsi a quanto già notato per altri ambiti geografici: si rileva infatti una bipartizione fra iscrizioni onorarie, con l’erezione anche di statue, a favore dei maggiorenti dei collegia, in virtù delle loro benemerenze nei confronti dei collegiati, e quelle di ambito sepolcrale, in ossequio a una delle finalità loro proprie. Manca, dunque, qualsiasi elemento relativo al contesto più propriamente professionale e al ruolo politico ed economico ricoperto dai collegi, anche se la presenza di basi, statue e iscrizioni sono l’espressione tangibile della partecipazione alla vita comunitaria dei centri urbani, i cui spazi pubblici divengono lo sfondo del loro agire.
Regio VI – Centri costieri: collegia professionali e lavoratori singoli
Tutti e tre i centri costieri della regio VI – Pisaurum, Fanum Fortunae e Sena Gallica –, seppur con numeri disomogenei, hanno restituito epigrafi relative a collegi professionali inquadrabili nella piena età imperiale. Partendo da nord, si incontra la ricchissima documentazione del municipio pisaurense, caratterizzata in netta prevalenza da iscrizioni di stampo onorario, col coinvolgimento dei tria collegia e la menzione, in tre casi, dei navicularii (tab. 4a, nn. 3, 4, 7). Fra i tre collegi maggiori la preminenza per numero di citazioni spetta ai fabri, seguiti da centonarii104 e dendrophori. Nel dossier spicca l’iscrizione in onore del liberto C. Valius Polycarpus (n. 7), insignito degli ornamenta decurionalia sia a Pisaurum sia ad Ariminum e contraddistinto dal titolo di patrono dei vici delle due città e dei relativi collegia che, nel caso di Pesaro, comprendono anche i navicularii. È dunque probabile che la ricchezza dell’onorato Polycarpus derivasse da interessi nel mondo della marineria e del commercio in entrambi i centri105, col coinvolgimento dei rispettivi collegia106. L’onore di erigere una statua in luogo pubblico tributatogli dalle associazioni venne ampiamente ripagato, secondo consuetudine, da una distribuzione di sportulae e un contributo in denaro, che per i collegiati ammontava a due denari pro capite.
Gratifica pecuniaria e concessione di sportulae si ripetono nel caso di T. Caedius Atilius Crescens (n. 3), equestre, magistrato e patrono della colonia e di tutti i collegi cittadini, a testimonianza, in questi due casi ma anche in altri, del profondo coinvolgimento dei collegia opificum e di quelli legati al commercio, in specie marino, nella vita economica locale e del ben più ampio spazio adriatico. Anzi, secondo la critica, lo scarso numero di testimonianze di lavoratori singoli rintracciabili nell’epigrafia pisaurense potrebbe ricondursi non tanto alla casualità delle conoscenze, bensì alla sproporzione fra lavoro associativo e autonomo107. Unico documento che risulta in controtendenza con quanto testé affermato è un’iscrizione (n. 12), che riunisce un lanarius, un vestiarius e uno structor, tre personaggi che rivestirono la carica di magistri vici assieme ad un quarto per il quale non compare alcuna specifica di ambito professionale. Nonostante le umili attività svolte, essi furono in grado di costruire e offrire alla comunità vicana un portico con il parere favorevole dei locali decurioni108.
Altri importanti legami commerciali, questa volta con Carnuntum, furono alla base del successo di L. Apuleius Brasida (n. 2), un altro liberto che, grazie ai traffici diretti alla fortezza legionaria sul Danubio, ottenne l’ammissione nei collegia dei seviri Augustales di Pesaro e degli Augustales di Carnuntum. Si può supporre che le sue attività fossero legate ai trasporti e alla cantieristica, come documentano la quinquennalità e il patronato in seno all’associazione dei fabri. Anche in questo caso, la dedica della statua fu ricompensata da distribuzioni pecuniarie, adiecto pane et vin(o)109.
La messe di dati ricavabili dalla documentazione epigrafica che, talora, registra da parte dei collegi l’attribuzione di onori separati per più membri della medesima famiglia, anche appartenenti a generazioni diverse, a testimonianza di una continuità di interessi specifici110, è ulteriormente incrementata dal ricordo della schola fabrum, restaurata dopo un incendio a spese dei collegiati (n. 10). Essa fu, verosimilmente, il medesimo edificio nel quale venne deliberata la concessione della tabula patronatus nel 256 d.C. (n. 1)111 ad alcuni esponenti della gens Petronia Aufidia e alla consorte di uno dei patroni, Setina Iusta112, con la riproposizione dell’importanza del coinvolgimento femminile e soprattutto delle loro ricchezze nella vita collegiale, già emerso nella documentazione di altre regiones113.
Per Pesaro, vale la pena ricordare anche l’unica epigrafe di matrice sepolcrale e, nel contempo, sola testimonianza dei picarii (n. 11). Il liberto, che ha mutuato il gentilizio dalla societas, apparteneva a un collegio la cui occupazione consisteva nell’estrazione e preparazione della pece, una sostanza la cui presenza risulta scontata in una città portuale e che fa presupporre l’esistenza di associazioni di appaltatori del servizio114.
Per quanto concerne la documentazione relativa a Fanum Fortunae, il numero si riduce a quattro iscrizioni, tre delle quali di ambito funerario. Solo due conservano traccia di collegi e in entrambe i tria collegia appaiono agire unitariamente: in un caso (n. 13) si tratta dell’epitaffio di un semplice collegiato, nell’altro (n. 14), si ripropongono gli onori a favore di un patrono, che esercita tale ruolo anche sulla colonia, sui seviri augustali e forse su altre associazioni, sebbene non verificabile a causa dello stato frammentario della pietra115.
Anche per questo centro si menziona una schola di un collegio, privo di identificazione (n. 15), forse eretta o restaurata da Sex. Truttedius Clemens, esponente dell’ordo equester, verosimilmente rientrato nella città d’origine dopo una lunga e brillante carriera116.
L’ ultima epigrafe funeraria (n. 16) menziona un lintiarius, inquadrabile nella prima metà del I secolo d.C.; essa parrebbe essere la sola testimonianza di professioni autonome documentate a Fano.
Chiude la tabella relativa ai centri costieri un’unica iscrizione di Sena Gallica che conserva memoria di un materiarius (n. 17) annoverato fra i sexviri, sebbene tale appartenenza sia significativamente posposta alla menzione della professione117. L’ attività lavorativa svolta dal nostro L. Puppius Buccio è documentata da un numero limitato di attestazioni118 e pone alcuni quesiti, in particolare sul rapporto della categoria con i dendrofori. Secondo la critica, materiarii e ligniarii potrebbero esser stati sostituiti nella lavorazione e nel commercio del legno proprio dai dendrophori, a partire dal momento della costituzione del loro collegio dopo Claudio. Questa evenienza, qualora fosse supportata da una verifica cronologica coerente sulle iscrizioni menzionanti le due categorie professionali successivamente scomparse, potrebbe giustificare la scarsità di attestazioni relative a professioni il cui ruolo, al contrario, doveva avere una grande incidenza nell’ambito della vita quotidiana privata e pubblica, dato il massiccio utilizzo del legno per qualsiasi tipo di costruzione e come materiale da bruciare119.
A conclusione della rassegna120, si vuole ricordare un’epigrafe di Sena Gallica, purtroppo irreperibile (CIL, XI, 6221 = EDR015842)121, databile al I secolo a.C. e che vede coinvolti in un’azione comune incola[e] opificesq(ue), a sugellare, nonostante la connotazione sostanzialmente negativa del termine opifices, secondo una certa ottica aristocratica122, la forte identità di gruppo di questi operari in seno alla compagine sociale.
Nel dossier delle iscrizioni citate prevale, dunque, il carattere onorario a favore di personaggi ai quali i collegia dedicano in molte occasioni statue e, in un caso, una tabula patronatus. Gli interessi economici delle associazioni e dei loro patroni documentati si espandono a centri al di fuori della regio, Ariminum (n. 7) e Carnuntum (n. 2), come si evince dalle iscrizioni di Pesaro, che coinvolgono anche il collegium naviculariorum (nn. 3, 4, 7). Si registra una buona presenza dei dendrofori il cui numero è, invece, nettamente minoritario nei centri interni della regione. La medesima differenza si può notare per quanto concerne i lavoratori singoli: nei centri costieri se ne annoverano alcuni legati alla lavorazione della lana (n. 12) e del lino (n. 16). Interessanti sono, inoltre, le testimonianze relative a un picarius (n. 11) e a un materiarius (n. 17), la cui presenza costituisce una labile traccia di due importanti ambiti dell’economia propria di centri costieri.
Regio VI – Centri non costieri: collegia professionali e lavoratori singoli
Allo scopo di allargare l’area di indagine ad ambiti geografici le cui direttrici commerciali trovavano uno sbocco certo anche sulla costa e, verosimilmente, sulla sponda orientale dell’Adriatico123, si è deciso di considerare, in questa sede, anche la documentazione epigrafica relativa ai centri non costieri della regio VI, ovvero di quella porzione di territorio che viene comunemente definita Umbria adriatica, ambito geografico per il quale si rimanda all’analisi più dettagliata di A. Cristofori nel presente volume.
Nell’estrema propaggine settentrionale si trovano i centri di Mevaniola e Sassina124, il secondo dei quali presenta un ricchissimo dossier di iscrizioni pertinenti ai collegia professionali. Inquadrabili nei primi due secoli dell’impero, tredici delle quattordici epigrafi, pur con formulazioni leggermente diverse, menzionano esclusivamente il colleg(ium) cen(tonariorum) m(unicipii) S(assinatium): CIL, XI, 6515 = EDR171713; 6523; 6525; 6526; 6527 = EDR171720; 6529 = EDR171332; 6533; 6534 = EDR171737; 6535; 6536 = EDR171761; 6538; 6542; AE 1980, 422 = EDR077842. Accomunate dalla matrice sepolcrale, conservano il ricordo di singoli collegiati e, in tre casi, di personaggi che hanno ricoperto il ruolo di patrono. Più complessa è, invece, l’architettura testuale di un’iscrizione (tab. 4b, n. 1) relativa a una fondazione testamentaria istituita da Cetrania Severina in favore dei tria collegia125. Ancora una volta è una donna, in piena autonomia, a farsi da tramite con le organizzazioni dei lavoratori più importanti del municipium sarsinate ove, evidentemente, rivestivano un ruolo di primo piano. L’alto numero delle testimonianze epigrafiche, oltre che nella conservazione dei materiali della necropoli cittadina, trova giustificazione nel probabile ruolo che le associazioni sarsinati ebbero nell’approvvigionamento dei centri urbani lungo la via Aemilia e della classis imperiale ravennate di materiali e beni di prima necessità reperibili nelle vallate appenniniche126. Il contenuto del legato riprende gli elementi stereotipati utili a definire le condizioni per onorare la memoria del personaggio che lo ha istituito.
Per quanto riguarda Mevaniola, le epigrafi che interessano sono due: CIL, XI, 6605 = EDR144922, ove si menziona il c(ollegium) c(entonariorum) m(unicipii) M(evaniolae), inquadrabile nella prima metà del II secolo d.C., e CIL, XI, 6604 = EDR142781, che conserva memoria di un [pu]rpurarius attivo nel primo trentennio del I secolo d.C127.
La successiva località è il centro di Urvinum Mataurense, sito in posizione strategica a metà strada fra la costa e i passi appenninici, che ha restituito alcune epigrafi inquadrabili nei primi due secoli dell’impero. In tabella è riportato un solo documento (n. 2), ovvero un epitaffio di un personaggio legato al collegium fabrum tignuariorum inquadrabile in età augustea. Dato che un personaggio col medesimo nomen – Veiacus – compare anche su una fistula aquaria in qualità di quattuorviro (CIL, XI, 6072 = EDR016442), si è supposto che possa trattarsi della stessa persona, che aveva ricoperto il ruolo di patrono del collegio128. Altre due epigrafi onorarie (CIL, XI, 6070 =EDR016440 e 6071 =EDR016441), frammentarie e tramandate dai codici, restituiscono alcuni dati sulla presenza di un patrono del municipio e di vari collegi, fra i quali quello dei centonari. Qualora la seconda epigrafe vada considerata unitariamente alla prima, come proposto dalla critica, si completerebbe il quadro delle componenti istituzionali della società urbinate, con una nuova menzione generica di collegi129. Una quarta iscrizione (CIL, XI, 6053 = EDR016416)documenta gli onori attribuiti a C. Vesnius Vindex, patrono del popolo e del municipio, al quale fu eretta una statua con biga. In cambio, l’onorato omaggiò tutti i collegi con una distribuzione di denaro130. A queste si aggiunge un’iscrizione funeraria di I secolo a.C. in cui si ricorda Regilla, schiava vicaria del fullo Quartio131.
Più spostato verso l’interno è il centro di Sestinum, un impianto urbano di limitata estensione con probabile funzione di agglomerato di servizi per gli insediamenti sparsi nel territorio, ma, al contempo, centro residenziale per la classe dominante e fondamentale punto di riferimento per i tramites appenninici, che collegavano il Tevere con l’Adriatico132. La realtà sestinate restituisce quattro epigrafi menzionanti i collegi dei fabri e dei centonarii, due delle quali (nn. 4-5) relative a esponenti della famiglia dei Voluseni, forse originaria del territorio, e con una forte presenza economica e politica sia in loco sia negli ambienti dell’Urbe già dall’ultimo secolo della repubblica133; in una delle iscrizioni si fa riferimento alla schola dei fabri. Le ultime due (nn. 3, 6) menzionano altri due esponenti del ceto curiale sestinate, il primo dei quali di rango equestre, nel loro ruolo di patroni.
Per Forum Sempronii134, centro posto lungo la via Flaminia, si è reperita un’unica epigrafe (n. 7), che testimonia l’utilizzo del termine sodalicium in riferimento all’area sepolcrale dei fabri tignuarii, costituita da un lotto quadrato di dimensioni sostanzialmente contenute, ovvero 20×20 piedi, possibile indice di una non eccessiva numerosità del collegio.
Suasa, municipium dell’ager Gallicus posto sulla riva destra del fiume Cesano e lungo un asse di percorrenza che collegava l’interno appenninico alla costa135, registra due iscrizioni inserite entrambe in tabella. La prima (n. 8) è una dedica ad Antonino Pio da parte del colleg(ium) centonar(iorum) Suasanor(um) e del sexvir L. Burbuleius Matutinus. La motivazione dell’omaggio è forse individuabile, oltre che nella comune prassi di manifestazioni di lealtà verso la domus imperiale ad opera delle singole comunità civiche, in un legame particolare fra Suasa e l’imperatore, che, prima di rivestire la porpora, avrebbe ricoperto l’incarico di giudice consolare in un distretto comprendente anche l’Umbria. In alternativa, senza esclusione della prima ipotesi, potrebbe chiamarsi in causa il ricorso del municipio stesso ad Antonino Pio in concomitanza con la crisi economica avviatasi a inizio II secolo d.C. e un successivo intervento benefico del princeps. La seconda epigrafe (n. 9) documenta i legami fra seviri, fabbri e centonari suasani e un personaggio di rango senatorio attivo nel III sec. d.C., Q. Ranius Terentius Honoratianus Festus136. In essa si fa riferimento alle volontà testamentarie dell’oramai defunto senatore, ottemperate dalle varie associazioni con la realizzazione di una tabula iscritta, verosimilmente collocata su un monumento posto in un luogo pubblico. La perdita della parte finale dell’iscrizione impedisce di apprendere altri particolari in merito, anche se parrebbe ovvio proporre un legame di patronato, a maggior ragione se si prende in considerazione la possibilità che Festus avesse possedimenti fondiari proprio nei territori di Suasa137. Un ultimo documento da questo centro conserva memoria di un aerarius (n. 10)138.
Procedendo verso Sud, si registra un’unica testimonianza per Ostra Vetere (n. 11) che, secondo una proposta di lettura, potrebbe documentare anche in questo piccolo centro la presenza del coll(egium) f(abrum)139. Il testo specifica che si tratta di una donazione di seimila sesterzi da parte di una donna per mantenere quanto promesso dal suo avus in memoria del figlio, forse premorto al padre. Il collegio, rispettando le volontà espresse, provvide con quel lascito ad exornandam scholam. Anche in questo caso si ripropone il tema del mantenimento dei legami fra un gruppo familiare e il collegio nel succedersi delle generazioni, alla base dei quali vanno sottintesi rapporti economici di varia natura ma anche il desiderio di consolidare posizione e prestigio a livello cittadino da parte degli onorati. La perdita del monumento non ne consente la datazione, se non genericamente ad età imperiale.
Per la vicina Aesis si è reperita un’unica iscrizione funeraria di I sec. d.C. (CIL, XI, 6207 = EDR015833) che menziona un semplice sodalis, termine che orienta maggiormente verso un collegio a carattere funeraticio.
La località di Sentinum140, una fra le più interne della porzione adriatica della regio VI,ha restituito tre documenti141, oggetto di plurime indagini142. Si tratta di due tabulae patronatus (nn. 12-13) nelle quali più membri della stessa famiglia vengono cooptati come patroni. Nella prima, il collegium fabrum Sentinatium conferisce il patronato dell’associazione a Coretius Fuscus, mentre alla madre, Memmia Victoria,il conferimento degli onori è dovuto in quanto genetrix del patrono e, dunque, mater numeri nostri143. Nella seconda, il collegium centonariorum coopta i coniugi Vesia Martina e Coretius Fuscus, decurio di Sentinum, assieme al loro figlio, che risultano così essere patroni trium collegiorum principalium Sentinatium. La terza tabula patronatus (n. 14), in effetti pertinente a Ostra, menziona un altro componente della medesima gens, Coretius Victorinus,patrono del collegio dei centonari di Ostra. Il conferimento degli onori avviene nelle sedi dei collegi ma, nel secondo caso, invece del termine schola144 si utilizza l’espressione in triclini(o) domus c(ollegii) c(entonariorum), espressione che non pare avere confronti puntuali, ma che apre uno squarcio sulla realtà spaziale al cui interno agivano i collegia, provvista di tablinia e triclinia, come risulta in alcuni grandi complessi di questo tipo145. Come già documentato da altre iscrizioni, anche quelle di Sentinum ripropongono l’importanza dei legami con alcune famiglie del territorio e del mantenimento anche per più generazioni del rapporto patronato-clientela, che andavano rinnovati ufficialmente ogni anno mediante cooptazione dei nuovi e più giovani patroni, sempre che vi fosse, per il collegio, una precisa convenienza. All’elemento femminile viene attribuito un preciso ruolo, mutuato in primis dalla sua funzione materna, che si allarga all’intero corpo del collegio, al quale possono giungere concrete sovvenzioni grazie al coinvolgimento nella vita associativa.
Ultimo centro in cui è documentata la presenza di collegi professionali è Tuficum, sito nell’alta valle dell’Aesis, in un punto importante per i collegamenti tra la costa medio-adriatica e la valle tiberina. Anche in questo caso si tratta di un’iscrizione onoraria (n. 15) posta per un liberto che era stato insignito degli ornamenta decurionalia sia a Tuficum che a Septempeda e che era augustale e patrono del locale collegio dei fabbri. L’espressione di compiacimento nei suoi confronti, che portò ad erigergli una statua, si lega all’organizzazione, a sue spese, di giochi gladiatori pro salute di Commodo, all’offerta di un banchetto e a distribuzioni di denaro ai decurioni e a tutti gli altri cittadini di entrambi i sessi. Le notevoli capacità economiche del liberto si giustificano anche in base ai suoi rapporti con membri dell’élite cittadina e, probabilmente, con un personaggio di ambito senatoriale146. Il nostro Lucio Tifanio Felice rappresenta, inoltre, un ottimo esempio di mobilità sociale, che trovava nei collegia un ambito molto favorevole.
Il nucleo di iscrizioni inserite in questa tabella pertiene a città di collegamento transappenninico, con economia prevalentemente agricola e silvo-pastorale. La presenza di numerosi documenti di collegi professionali, inquadrabili per lo più fra II e III secolo d.C., è stata interpretata come il riflesso di una ripresa delle attività economiche connesse al pascolo e allo sfruttamento delle risorse forestali, dopo la crisi che aveva colpito già verso la fine del I secolo d.C. i centri montani della penisola italica, come documenta la presenza anche in questa zona dell’institutio alimentaria147, intervento al quale rimanda, probabilmente, la dedica ad Antonino Pio. Il consistente nucleo di tabulae patronatus sentinate, ma anche altre iscrizioni a matrice onoraria, confermano, d’altro canto, gli interessi da parte di esponenti dell’élite, che possiamo supporre legati a quella che era l’economia prevalente, basata sullo sfruttamento delle risorse derivanti dal patrimonio boschivo, dalla pastorizia, dall’allevamento. I collegi rappresentati sono in netta prevalenza quelli dei fabbri e dei centonari, mentre solo nell’iscrizione di Cetrania Severina (n. 1) sono menzionati esplicitamente i dendrofori, che ritornano sotto forma di tria collegia a Sentino. L’assenza di testimonianze potrebbe stupire, a maggior ragione, in relazione alla natura del territorio, ma la casualità delle conoscenze suggerisce di non procedere oltre nel ragionamento. Come attività singole si registra invece, salvo omissioni, una sola occorrenza a Suasa con un aerarius (n. 10).
Regio VIII – Centri costieri e interni: collegia professionali e lavoratori singoli
Nella regio VIII i due centri portuali di Ariminum e Ravenna148 hanno restituito entrambi un discreto numero di documenti relativi a collegia professionali, che testimoniano una presenza pressoché esclusiva di fabri e centonarii149, mentre i dendrophori compaiono una sola volta in un’epigrafe riminese (tab. 5, n. 11). Le iscrizioni ravennati, a differenza di quelle di Rimini, sono, per la maggior parte, di natura funeraria ma comprendono anche due alba, uno di un collegio il cui nome non è indicato (n. 8) e un altro (n. 7) di una sodalitas della quale non si conoscono né identità né scopo della costituzione e di cui facevano parte anche dei fabri: funeraria, di mutua assistenza, religiosa? Secondo la critica, l’ipotesi che si tratti di un collegium professionale andrebbe esclusa in quanto i componenti non sono elencati in ordine gerarchico. I testi compaiono sulle due facce di un’unica tabula lapidea, sulla quale fu inciso, dapprima, l’elenco dei sessantacinque membri della sodalitas – ai quali ne vanno aggiunti alcuni altri, i cui dati onomastici non sono più recuperabili – e, successivamente, fra il 287 e il 293 d.C., l’album che riporta nomi, cariche e posizioni di novantadue persone in seno a un collegio, verosimilmente quello dei fabri150.
Anche a Ravenna sono noti lasciti testamentari a favore di collegi (nn. 3-5), segnatamente dei fabri municipii Ravennatis. Le prime due, riferibili al II secolo d.C., prevedono un importo, rispettivamente, di 30.000 e 70.000 sesterzi da devolvere ai collegiati151. Oltre ad epula, rosalia e sacrifici per onorarela memoria dei benefattori, si ricorda anche l’edificazione di un tempio al dio del mare Nettuno, presso il quale si era stabilito che ogni anno fossero distribuite sportulae. Nelle iscrizioni è riportato il numero della decuria interessata dal legato, che consente di notare l’ampiezza del locale collegio dei fabbri152: viene, infatti, nominata la ventottesima decuria, traccia significativa del ruolo che tale corpo doveva avere in una città sede di una delle due flotte imperiali stanziate in Italia. La terza iscrizione serba memoria di un lascito testamentario (n. 5) di mille sesterzi alla settima decuria dei fabbri. Autore del gesto di liberalitas è un ingenuo che chiede in cambio un atto di pietas – ut quodannis rosas ad monumentum ei spargant et ibi epulentur dumtaxat in Idus Iulias – per onorare la memoria patris sui. Significativa dell’importanza attribuita a tali riti per mantenere viva la memoria dei defunti è la precisazione finale che, qualora la settima decuria non avesse rispettato quanto richiesto, ad dec(uriam) VIII eiusdem colleg(ii) pertinere debebit condicione supra scripta: in caso di “negligenza”, la somma sarebbe passata alla ottava decuria153.
Fra le epigrafi ravennati solo una (n. 1), di incerta natura, menziona un patrono di rango equestre, che riveste tale ruolo in entrambi i collegi. I centonari a sé stanti compaiono, invece, in altre tre iscrizioni: in una (n. 6) si nomina un ingenuo che è dec(urio); di un’altra (n. 9) si conservano solo quelle poche lettere che consentono di attribuirla a tale organizzazione, mentre la terza (n. 2), oltre a nominare la XVII decuria del collegio, aggiunge qualche elemento in più relativo allo ius sepulchri, con la prescrizione di comminare una multa a chiunque avesse occupato lo spazio sepolcrale antistante il sarcofago154.
Per quanto riguarda i collegi, l’ambito ravennate registra un’ulteriore iscrizione funeraria155 dedicata a un pa[trono] cor[p]oris, ma senza possibilità alcuna di definire la natura dell’associazione. Inoltre, per completezza del quadro, si precisa che fra le falsae vel alienae del volume XI del CIL compare per Ravenna anche l’iscrizione n.*6, nota solo da una trascrizione di Ligorio e tradita da alcuni autori successivi. Si tratta di una dedica a Iuppiter Maximus Dolichenus a cura del praefectus class(is) Ravenn(atis), che riveste il ruolo anche di praefectus colleg(ii) dendr(ophorum) et centonar(iorum)156.
Riguardo ai lavoratori singoli a Ravenna si è individuata un’unica testimonianza (n. 10), relativa al faber navalis, di condizione ingenua, P. Longidienus. Sulla sua imponente stele sepolcrale egli sceglie di inserire una scena di mestiere, corredata da didascalia, che lo ritrae al lavoro157 e di indicare altresì in modo esplicito la sua professione, significativamente inserita subito dopo gli elementi onomastici. A questo proposito, il nostro Longidienus risulta essere l’unico personaggio, tra quelli menzionati, privo del cognomen, ma la sua funzione di elemento distintivo della persona in seno a un gruppo potrebbe essere assunto proprio dalla menzione dell’attività lavorativa, origine e fonte della sua posizione e della sua ricchezza in seno alla società ravennate158.
Sempre a Ravenna pertiene un’epigrafe sepolcrale di I secolo d.C., non inserita nelle banche dati, che menziona dei sodales, senza ulteriore specifica159.
Per quanto riguarda Ariminum, come già precisato, la documentazione relativa a collegi professionali è tutta di natura onoraria e pertiene a fabri e centonarii tranne un caso (n. 11), in cui i tria collegia paiono uniti nell’omaggio al loro patrono, che riveste tale ruolo anche nei confronti della comunità civica e di alcune sue articolazioni, a favore delle quali era intervenuto in un momento di grave carestia e conseguenti problemi nell’approvvigionamento frumentario160. Le espressioni di gratitudine per membri dell’élite informano anche i tituli onorari posti per due membri di rango equestre della gens Faesellia (nn. 12, 13), figure dal rilievo politico non solo locale, che ricoprirono il ruolo di patroni sia della città che, in un caso, del collegium centonariorum e, nell’altro, di tale associazione e di quella dei fabri. Le benemerenze che portarono all’edificazione della statua del secondo personaggio riconducono anch’esse a difficoltà economiche in quanto, fra i suoi cetera beneficia, si sottolinea proprio il frequente sostegno all’annona populi161. Ancora a un patrono, in questo caso a L. Betutius Furianus, manifestano la loro gratitudine, seppur con monumenti separati, i collegi dei fabbri e dei centonari (nn. 15, 14). Il personaggio, insignito anche del titolo di patronus colon(iae) e definito amantissimus patriae,aveva percorso un cursus municipale piuttosto articolato e prestigioso162, a riprova di legami più volte riscontrati fra associazioni professionali e maggiorenti cittadini, come anche nel caso di C. Sentius Valerius Faustinianus, che omnibus plebis desideriis satisfecit (n. 18). Promotori dell’erezione della statua in onore del duoviro, finanziata ex aere conlato, furono i locali collegia dei fabri e dei centonarii163. Analogamente a quanto appena evidenziato, ritroviamo gli stessi due collegi che promuovono gli onori per altri due magistrati riminesi (n. 17), sottolineando la loro [ra]ram fid[em e]t industriam in una lastra marmorea rinvenuta a Gemmano, nell’agro meridionale della città. È possibile che l’iscrizione menzionasse anche i dendrofori, ma lo stato frammentario del monumento non consente di confermare questa evenienza164. L’ultima iscrizione onoraria (n. 16) conserva il ricordo di munificentia da parte di un personaggio femminile, ovvero Aurelia Calligenia, da parte del coll(egium) fab(rum) splendidissimae civitatis Ariminensium. La donna, seppur ricordata come consorte (femina) di un notabile locale – il cavaliere Titius Sabinianus –, anch’egli munifico nei confronti della comunità, è la sola, fra i due, a meritarsi la gratitudine dei collegiati, sebbene non vi sia menzione dell’eventuale conferimento del patronato o di altro titolo, come visto nella documentazione di altre regiones, che potesse rafforzare ulteriormente i suoi legami, e quelli della gens, con il collegio165. Problematica risulta, invece, la pertinenza di un’ultima epigrafe riminese (n. 19) a un collegio professionale. Del testo originario si conservano, infatti, solo alcuni elementi onomastici e i termini possession[em] e collegi. La menzione in essa di un appartenente alla gens Faesellia – probabilmente dello stesso Faesellius Rufio onorato da fabbri e centonari in un’iscrizione precedentemente ricordata166 – potrebbe, tuttavia, far considerare anche quest’ultimo documento come relativo alla categoria dei collegi professionali.
Chiude la rassegna riminese l’unica testimonianza di lavoratori singoli (n. 20), in questo caso relativa a un negotians materiar(ius), che offre una piccola ara a Silvano. Il luogo di rinvenimento, sulle colline riminesi, in prossimità del Montefeltro, ben si addice alla professione svolta dal dedicante, ovvero quella di commerciante/grossista di legname, la cui devozione è rivolta alla divinità protettrice delle aree boschive per eccellenza. Significativa, del resto, è anche la stessa menzione dell’attività lavorativa, elemento che nelle iscrizioni sacre viene normalmente eluso167.
Nella tabella è stata inserita, inoltre, un’iscrizione (n. 21) proveniente da una località interna rispetto alla costa168, Boncellino di Bagnacavallo (RA), nota per altre iscrizioni che ne testimoniano la probabile funzione di vicus ai margini di zone selvose. Si tratta dell’iscrizione sepolcrale di C. Mansuanius Consortius, un personaggio onorato con gli ornamenta decurionalia, ma di nascita libera e che fu patrono anche dei fabri e dei dendrophori. La loro presenza in queste zone di bassa pianura ma ricche di boschi non deve stupire, in quanto soprattutto i dendrofori potevano trovare un habitat assai favorevole alle loro attività, che prevedevano, senza meno, la fornitura di materiali a Ravenna e a Classe, mentre si possono immaginare i fabbri impegnati in altrettanti interventi a supporto della flotta, non diversamente da quanto si deve supporre per i collegia della non lontana Sassina169. Discussa nella critica risulta la datazione di questo monumento, che oscilla fra II e IV secolo d.C.170, incertezza non insignificante se si pensa ai cambiamenti che intervennero sulla natura dei collegi professionali nella tarda antichità, specie di quelli legati al rifornimento dell’annona, con l’obbligo di fornire prestazioni gratuite alla compagine statale – necessaria opera – e alla trasformazione dello status dei collegiati da volontari a obnoxi, coinvolgendo non solo il singolo bensì anche la famiglia e il patrimonio personale, fino a trasformare i collegi in organi dello stato, ad esso totalmente soggetti e vincolati171.
Tirando le fila sulla documentazione della regio octava, ciò che emerge è la naturale presenza dei collegi professionali nei due centri costieri, mentre può stupire l’assenza di testimonianze relative a lavoratori singoli, specie se confrontata con la situazione che si delinea per la parte più interna della regione ove, a partire da Bononia e spostandosi verso Mutina e Parma, il numero delle iscrizioni che ne fanno menzione crescono in misura notevole, specialmente per quelle legate alla ricchissima filiera della lana, prodotto la cui notorietà è sottolineata già da Polibio (2.15.1-5). Le differenze possono trovare varie giustificazioni, dalla presenza della flotta imperiale e di ampie proprietà imperiali, specie nella zona deltizia172, a una gestione del territorio improntata a produzioni fittili173 e colture specializzate legate a una diffusa presenza di villae, oltre che, ovviamente alla limitatezza delle nostre conoscenze. Le iscrizioni di Rimini e Ravenna non mostrano tratti di originalità, confermando, al contrario, quei caratteri che già si sono riscontrati nei documenti delle altre regiones, impostati, sostanzialmente, a esaltare i rapporti dei collegia con uomini di potere e a ricordare l’appartenenza a una di queste associazioni come elemento di distinzione rispetto ad altri. Molto limitata risulta anche la presenza dell’elemento femminile quale tramite fra collegiati ed esponenti dell’élite.
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- Zevi, F. (2008): “I collegi di Ostia e le loro sedi associative tra Antonini e Severi”, in: Berrendonner et al., ed. 2008, 477-505.
Notes
- Nella scelta degli ambiti geografici da indagare, i limiti imposti dallo spazio editoriale a disposizione hanno indotto a concentrarsi sulla documentazione di cinque regiones augustee – II, IV, V, VI e VIII –, tralasciando la regio X Venetia et Histria e i centri della costa adriatica orientale. L’esclusione, seppur limitante in un’ottica adriatica complessiva, è compensata, per quanto concerne la regio X, dalla ricchissima bibliografia già presente per quello che si è rivelato essere l’ambito territoriale con la messe maggiori di dati. Essi si concentrano soprattutto ad Aquileia, per quanto concerne sia i collegi professionali sia le attività singole, legate in particolare alla filiera della lana, fra le quali si registrano anche menzioni di professionalità rare o uniche: infector (CIL, V, 997 = EDR162403); faber pectinarius (CIL, V, 98 = EDR136283); lanifica circlatrix (InscrAqu, 1, 69 = EDR117551); vestiarius tenuarius (InscrAqu, 1, 222 = EDR093713); vestiarius centonarius (CIL, V, 50* = EDR166885); negotians vestiarius (InscrIt, X, 1, 163 = EDR136220); barbaricarius (CIL, V, 785 = EDR160143); purpurarii (InscrAqu, 1, 723 = EDR074089; CIL, V, 1044 = EDR117473); lintio (CIL, V, 1041 = EDR117472). Questa massiccia presenza di operatori nell’ambito del settore tessile ha alle spalle una realtà socioeconomica che, già da età repubblicana, registra la presenza di un forum pequarium, come noto da un’epigrafe (CIL, I2, 2197= CIL, V, 8313 = EDR118800), cui si collega la pratica dell’allevamento transumante nell’agro circostante la città. A queste si aggiungono altre attività produttive documentate dalle seguenti figure professionali: sectores materiarium (CIL, V, 815 = EDR160122); unctor (forse da intendersi come maestro calafatore: CIL, V, 868 = EDR093731; CIL, V, 1039 = EDR117471; InscrAqu, 1, 731 = EDR117671); faber ferrarius (InscrIt, X, 2, 225 = EDR134116); faber aciarius (InscrAqu, 1, 703 = EDR073175); faber pectinarius (CIL, V, 98 = EDR 136283); clavarius (InscrAqu, 1, 65 = EDR117547); gladiarius (InscrAqu, 1, 68 = EDR117550); excusor argentarius (InscrAqu, 1, 701 = EDR117661); cucumiscus (InscrIt, X, 1, 175 = EDR136285). Riguardo ai tria collegia, si riscontra una netta preminenza di attestazionia favore dei fabri, mentre i dendrofori ricorrono per ben tre volte, sulle quattro registrate, in epigrafi di Pula (CIL, V, 56+61 = EDR093932; 81 = EDR136178; 82 = EDR136198). Oltre ai tre collegi più noti sono presenti l’associazione dei già menzionati sectores materiarum e quelle dei lotores (AE 1931, 98 = EDR073173; CIL, V, 801 = EDR117429); purgatores (AE 2013, 542 = EDR139995); gentiles lanariorum purgatorum (AE 1987, 443 = EDR080542); vestiarii (InscrAqu, 1, 687a-b = EDR007227 e EDR073171). Approfondimenti generali o puntuali su questa complessa realtà economica sono forniti, oltre che dagli articoli di M.S. Busana, Y. Marion e F. Tassaux in questi Atti, da quelli presenti nel volume Lana nella Cisalpina romana 2012 con bibliografia precedente, e da studi a cura di F. Boscolo, A. Buonopane, M. Chiabà, D. Faoro, S. Panciera, J.M. Salamito, F. Vicari, C. Zaccaria, citati in bibliografia. Per quanto concerne l’ambito della costa adriatica orientale, la maggior parte delle testimonianze, poco meno di una trentina, attribuibili con certezza a collegi professionali si concentrano nell’area di Salona, mentre un numero molto inferiore proviene da Narona e da Dyrrachium. Nell’insieme emerge una netta preponderanza delle iscrizioni pertinenti ai fabri, sodalitas la cui presenza si estende fra II e IV secolo d.C. e che, in alcuni casi salonitani (CIL, III, 1981; 2106; 2108; 14641; 14727, 1; AE 2006, 1019), viene denominata collegium Veneris, includendo nella sua nomenclatura il nome della divinità protettrice. A completamento del quadro, si sottolinea anche la menzione di saccarii (CIL, III, 14642 e 14643; CIA, 111, n. 132), ovvero di facchini, manodopera indispensabile per le operazioni portuali, e spesso legati ad uno dei generi alimentari più “movimentati”, i cereali (sui quali si rimanda a Deniaux 2012), e quella di un [co]llegium [la]pidariorum (CIL, III, 8840). Sulla documentazione relativa ai collegia di Salona si rimanda allo studio di D. Ivanišević, part. 91-150. Anche in questo ambito geografico sono presenti alcune iscrizioni relative a singoli professionisti: un negotiator lanarius (AE 1925, 60), un magister conquiliarius (CIL, III, 2115), un negotians materiarius (CIL, III, 12924), un faber navalis (AE 2001, 1789). Da Buthrotum, in un’epigrafe la cui interpretazione suscita vari dubbi (CIA, 209-210, n. 2) sono menzionati, oltre ad altri personaggi, un collegium senza ulteriore specificazione, un lapidarius e uno scalptor. Sulle professioni dell’area epirota documentate in iscrizioni latine si rimanda a Cristofori 2011.
- Dig. 47.22.3.2: servos quoque licet in collegio tenuiorum recipi volentibus dominis, ut curatores horum corporum sciant […].
- Dig. 47.22.4: sodales sunt, qui eiusdem collegii sunt: quam Graeci hetaireian vocant. In proposito, si veda quanto specificato in Sangriso 2009, part. 92 e nota 6.
- Tab. 4a, n. 11; cfr. Cresci Marrone & Mennella 1984, 329 e Valchera 2012, 7. Ad esemplificazione del fenomeno, si ricorda per l’ambito della Venetia et Histria costiera la numerosa presenza di iscrizioni menzionanti pluralità di individui accomunati dalla medesima professione, ma non definiti in specifico dal termine collegium/collegiati;ecco alcuni esempi provenienti da Aquileia: CIL, V, 801 = EDR117429: gentilibus / Artorianis lotoribus; InscrAqu, 1, 687a-b = EDR007227 e EDR073171: Loc(us) m(onumenti) vestiariorum; AE 2013, 542 = EDR139995: L(ocus) m(onumenti) / purg(atorum); e da Altinum:AE 1931, 98 = EDR073173: ab lotor(ibus). Per Altino cfr. Cresci Marrone & Tirelli, ed. 2003.
- Fioriello & Tassaux, ed. 2019; da ricordare anche Lenzi, ed. 2003.
- Dondin-Payre & Tran 2012 (quarta di copertina).
- Tra i vari studi si ricordano: Van Nijf 1997; Mennella & Apicella 2000; Scott Perry 2006; Tran 2006; Diosono 2007; Liu 2009; Dondin-Payre & Tran 2012; Laubry & Zevi 2012; Ascough et al. 2012.
- Waltzing [1895-1900] (1970).
- Significativa è l’affermazione di Fest., p. 383 L: Sodales dicti, quod una sederent et essent, vel quod ex suo datis vesci soliti sint, vel quod inter se invicem suaderent, quod utile esset.
- In effetti, pare corretto parlare di associazioni di diritto privato: i collegiati agiscono come privati e non in potestate come i magistrati detentori del potere pubblico. La sfera collegiale è dunque collocata al di fuori del dominio pubblico in senso stretto. Cfr. Tran 2006, 7.
- Già presenti in età repubblicana come quadri tradizionali della vita romana – tanto che Plutarco (Num., 17.1-4) ne attribuisce la paternità a Numa Pompilio, mentre Floro (1.1.176) racconta come Servio abbia diviso il popolo in classes, decuriae et collegia – con Augusto i collegia dovettero sottostare a una riorganizzazione in senso restrittivo del diritto associativo, grazie all’emanazione, verso il 7 a. C., della lex Iulia de collegiis. Sull’evoluzione dei collegi professionali cfr. Sangriso 2009, 91-113.
- Diosono 2007, 6-8.
- Dubbi sulla correttezza di tale definizione sono espressi in Liu 2009, 50-55. D’altro canto, si ricorda che in un’epigrafe da Castelmagno (tab. 1, n. 7) compare esattamente la formula tribus collegis, conun possibilerichiamo proprio a fabbri, centonari e dendrofori.
- Sulla base di quanto affermato in Diosono 2007, 62-63, si ricorda che, in seguito alla presenza capillare nei territori dell’impero, alla numerosità e alla scarsa specializzazione che contraddistingue la denominazione, il collegio dei fabbri potrebbe rappresentare, specie nei centri minori, l’associazione professionale che raccoglieva le varie tipologie di artigiani operanti in quei luoghi; cfr. anche quanto proposto in Sangriso 2009, a proposito del rapporto tra fabri e figuli.
- Cfr. le tabelle delle singole regiones e quanto evidenziato a nota 1 per la regio X e la costa adriatica orientale. Secondo l’opinione espressa in Liu 2009, 52-54, la maggiore presenza dei dendrofori nell’Italia meridionale è una conseguenza della precoce diffusione del culto di Magna Mater, rispetto all’arrivo posticipato a Roma e alla successiva apertura a tale culto da parte di Claudio. In generale sulla presenza di collegia nell’Italia meridionale si rimanda a Lomas 2011, 165-172.
- Cristofori 2004, 201-202 e 457-458; Ulrich 2007 e Diosono 2007, 56-63. A questo proposito, si fa notare che a Padova c’è l’unica attestazione certa di sodales carpentarii (AE 1927, 129 = EDR073047), sui quali cfr. Boscolo 2008.
- Van Nijf 2002 e Cristofori 2004, 243-244 e nota 592.
- Liu 2009, 57-96. Questa nuova lettura ben si accorderebbe con la maggior distribuzione dei centonarii nell’Italia settentrionale, con una pianura padana rifornitrice di tessuti e indumenti per Roma e per l’Italia in generale, come confermerebbe lo sviluppo concomitante dell’allevamento ovino, della produzione di lana e di quella tessile. Anzi, l’iniziale formazione di collegia potrebbe essere stata il risultato di un’attività economica intensificata o anche una risposta ad essa e la forma migliore per un approccio più mirato nei rapporti con l’autorità cittadina e militare in risposta alle loro esigenze.
- Su questo punto cfr. in particolare Van Haeperen 2012; qui utili tabelle con la distribuzione dei dendrofori in tutti gli ambiti geografici dell’ecumene romana.
- Cfr. Diosono 2007, 65-67 e Ead. 2008a, 80-84; del resto, la richiesta al proprio patrono, da parte del collegio dei dendrofori stesso, di mantenimento dell’immunitas, come si apprende da un’iscrizione di Brescia (CIL, V, 4341 = EDR090135) databile alla metà del III secolo d.C., conferma appieno il carattere professionale dell’associazione; cfr. Boscolo 2006, part. 513-514.
- Chelotti 2007, 247-248.
- Si veda la nota 1.
- Cfr. Tabella 1.
- Ne danno conferma Str. 5.12; Mart. 14.155; Col., Rust., 7.2.3; Varro, Rust., 2.3.9; Edict. Diocl. 19.13, 19.21, 19.25.
- Rigato 2017 e ivi bibliografia precedente.
- I casi di questo tipo sono presenti nelle Tabelle 1, 2, 3, 4a.
- Cfr. quanto riportato a nota 1. Interessante è l‘esplicita presentazione di questi gruppi di lavoratori non come collegia, se non nel caso dei colleg(iatis) gentilib(us) lanar(iorum) purg(atorum) di Altinum (AE 1987, 443), preferendo la più semplice denominazione di stampo collettivo pur improntata sull’attività professionale svolta.
- Un accurato studio sulle associazioni di artigiani e commercianti in questo ambito territoriale è in Chelotti 2007a.
- Diosono 2007, 53-54 e Zevi 2008, 478 e note 5 e 6 con bibliografia specifica.
- Chelotti 2007a, 250-252. Un confronto per questa associazione è in CIL, IX, 2336 = EDR130694 proveniente da Allifae, regio I. In questo caso compare la menzione collegium capulatorum.
- Per Venosa, nel II secolo d.C. è nota la presenza del collegius (!) aquariorum in CIL, IX, 460.
- Un confronto puntuale è in CIL, V, 7905 da Cemenelum.
- De Benedettis 1997, 67-69.
- Sulla figura dei patroni si veda Clemente 1972; Liu 2009, 213-245; Wojciechowski 2017, passim; Ciambelli 2019, 5-9.
- Da notare che nel testo il collegio dei dendrofori compare con la menzione inclusiva del riferimento alla coppia Mater Deum Magna Idea et Attis.
- Uno studio incentrato su alcuni aspetti meno noti della produzione laniera nell’Italia centro-meridionale è in Di Giuseppe 2012.
- Per questo tipo di attività un ruolo centrale è svolto da Canusium, principale centro laniero della regione e uno fra i più rilevanti della penisola italica. Lo sviluppo di questo tipo di imprenditorialità, iniziato già al termine della guerra sociale, è sicuramente da ricondurre al passaggio di una delle grandi vie della transumanza, che scendeva dagli altipiani abruzzesi (cfr., in proposito, Corbier 2007). Alla partecipazione a tale attività produttiva della casa imperiale fin dagli inizi del Principato, e proseguita nel tempo, potrebbe, tuttavia, ricondursi, almeno in parte, la mancata presenza del collegio dei centonari, specificatamente coinvolto nella filiera produttiva della lana, anche alla luce del fatto che il prodotto laniero canusino era di amplissima diffusione, di basso costo e destinato a stoffe di uso comune, ovvero proprio a quella tipologia di tessuti di medio e basso pregio, che, secondo recenti studi, sarebbe stato appannaggio di questa associazione (cfr. Liu 2009). In Grelle 1993, studio ove si fornisce un articolato quadro socioeconomico sullo sviluppo dell’ambito geografico canusino (part. 89-97), si insiste proprio sulla figura della lanipendia, riportata nella tabella (n. 13), identificando in essa una schiava inserita in una manifattura municipale, precoce antesignana del gineceo noto dalla Notitia Dignitatium in partibus Occidentis (11.52); al ruolo delle lane ivi prodotte sono dedicate le pp. 97-100, con puntuale rassegna delle fonti letterarie. Per un quadro articolato delle attività legate alla lavorazione dei prodotti lanieri attestate dalla documentazione epigrafica in tutto il territorio apulo e, in generale, della penisola italica cfr. Grelle & Silvestrini 2001. Il resoconto di studi recenti incentrati sul periodo tardoantico e medievale è in Volpe et al. 2012.Sulla presenza della proprietà imperiale nella regione cfr. Chelotti 2007b e Maiuro 2012, 284-295; per le proprietà di senatori cfr. Silvestrini 2019.
- Grelle & Silvestrini 2001, 115; si veda anche il contributo di Laura Parisini in questo volume.
- Per contestualizzazione e interpretazione del graffito si rimanda a Grelle & Silvestrini 2001, 101-113 con discussione anche sul significato del termine statio.
- Documentano l‘esistenza di un collegio dei pelliones due iscrizioni ostiensi, ove viene nominato il corpus pellionum: CIL, XIV, 10 = EDR 147051 e 277 = EDR110835. Per l’iscrizione cfr. Grelle et al. 2017, 167-168.
- Chelotti 1999, 18-20.
- Rimane sempre valida l’avvertenza legata all’assoluta parziale conoscenza della documentazione epigrafica antica.
- Sull’iscrizione si rimanda a Silvestrini 2005, 186-188.
- Sangriso 2009, part. 113-129.
- Grelle et al. 2017, 171-172; si veda anche la bibliografia riportata nella relativa scheda EDR.
- Sulla precisa natura di tale professione vi è incertezza: commerciante o fabbricante di unguenta?
- Un negotiator gladiarius è documentato in un’epigrafe di Mogontiacum (CIL, XIII, 6677).
- Diosono 2008a, 31-32.
- Chelotti 2007a, 252.
- Sulla Puglia in età romana cfr. Grelle & Silvestrini 2013; Grelle et al. 2017 con una approfondita messa a punto sulla società, le sue articolazioni e la presenza di esponenti della forza lavoro.
- Nell’ampia rassegna bibliografica sulla documentazione epigrafica pertinente a questi centri si segnala lo studio complessivo dedicato ad Alba Fucens: Buonocore 2013.
- Si tratta di CIL, IX, 3337 = EDR166001 e 3338 = EDR166119, rispettivamente menzionanti: L(ucio) Cassio Hermo/doro nauclero / qui erat in colleg(io) / Serapis Sâlon(itano) e Âtern(-), qui fuit in coll(egio) Isid(is), a conferma del ruolo di scalo marittimo che contraddistinse a lungo questo piccolo centro; cfr. Buonocore & Firpo 1998, 906-909. Sui corpora naviculariorum cfr. De Salvo 1992; sulle due epigrafi si rimanda a Buonocore 2004, 312-314.
- PLRE, I, Autonius Iustinianus, 3, 489.
- Cecconi 2006, 24-26.
- Buonocore 1986a, nn. 317, 813.
- CIL, VI, 9856, su cui Waltzing 1970, 41, n. 126. Su questa tipologia di lavoratori cfr. Daremberg & Saglio, 4.2, 846-848.
- Esse menzionano personaggi che avrebbero rivestito il ruolo di praef fabrum eius coloniae; praefectus fabr municip orton; patrono col [fa]brum. Cfr. Buonocore 2001, 96.
- L’iscrizione è pubblicata in Buonocore 1983, 179-180. Nella tabella si è inserita solo la linea 9, ove compare un figulus, unico personaggio a menzionare la propria attività. Oltre a questa epigrafe, per l’ambito teatino si ricorda la presenza di altri tre documenti, tra loro collegabili, che menzionano dei sociimonimenti. Il contesto di rinvenimento lascia intendere che si possa trattare di un collegio a scopo funeraticio e che le iscrizioni pertengano alla relativa area sepolcrale. I testi e la relativa bibliografia sono riportati nelle rispettive schede EDR: EDR111626; EDR111628; EDR111631. In generale, cfr. Buonocore 1980; Id. 1983, 177-179 e Linderski 1990, 318.
- Aubert 1994, 30.
- Come segnalato in Buonocore 1984, 246-248 si tratta di una rara menzione del termine lupinarius, ovvero un negotiator lupinorum vel pultis ex eis confectae (TLL, VII.2, s.v. lupinarius, col. 1849).
- Sull’economia dell’ambito geografico abruzzese in età romana cfr. Buonocore 2002 e Staffa 2002.
- Fratianni 2013, 66-67.
- Forse si tratta di un altro collegio a scopo prevalentemente funeraticio, come già visto in precedenza.
- Segenni 1992, 70-71 e Solin 1992, 122.
- Queste iscrizioni non sono riportate in tabella, ma se ne dà conto nel commento.
- Liu 2009, 344, n. 50 e 51.
- In Liu 2009, 344, n. 52, l’integrazione del termine dendrofori non è ritenuta necessaria; inoltre, si afferma che centonari non è l’unica integrazione possibile.
- Alba Fucens: CIL, IX, 3938; AE 1956, 4 = EDR074078. Antinum: CIL, IX, 3836 = EDR127040 e 3842 = EDR127123. Carsioli:CIL, IX, 4067 = EDR166464 e 4068 = EDR166465.
- Cures Sabini: CIL, IX, 4976.
- Alba Fucens: CIL, IX, 3923 = EDR175389; 3931. Carsioli: CIL, IX, 4071 = EDR166525. Telesia: CIL, IX, 2213. Reate: CIL, IX, 4674 = EDR104317.
- Sulla figura del coco cfr. Le Guennec 2019 e, in particolare, pp. 315-317.
- AE 1992, 345 = EDR166346.
- CIL, IX, 6440 = EDR076045.
- InscrAqu, 1, 68 = EDR117550; AE 1978, 216 = EDR100187.
- Per i confronti si rimanda alle singole tabelle. Sul ruolo in seno ai collegi di queste figure cfr. Hemelrijk 2008 e Ead. 2015.
- Tran 2004.
- Si veda, ad es., Buonocore 1986b; Segenni 2007; Maiuro 2012, 297-299, ove si ribadisce lo stupore che desta il totale silenzio epigrafico della costa adriatica dal Gargano sino ad Ancona anche per quanto riguarda la documentazione sulla presenza di proprietà imperiali, testimoniate, come per i collegia, nei medesimi territori dell’interno.
- CIL, IX, 2679 = EDR128274 da Asernia; CIL, IX, 2964 = EDR131230 e 6950 = EDR129886 da Iuvanum; CIL, IX, 3383 = EDR166217 da Aufinum; CIL, IX, 7598= EDR07484 dalla zona di Barisciano; CIL, IX, 3857 da Supinum vicus; CIL, IX, 3578 = EDR167377 da Vicus Fuficulanus; CIL, IX, 4673 = EDR104316 da Reate. La documentazione epigrafica va ovviamente integrata con l’ampia messe dei dati archeologici a disposizione.
- Cfr., ad esempio, Buonocore 1989 e Bencivenga 2013.
- Cfr. Pasquinucci 2004.
- Regio X: CIL, V, 1830 = EDR007068; 2072 = EDR122900; 3312 = EDR093794; 4216 = EDR090022; InscrIt, 10.1, 5 = EDR135024; cfr. Modugno 2000.
- Regio II: AE 1983, 213 = EDR078918 da Luceria; regio VIII: CIL, XI, 1159 = EDR122578, da Mutina, cui si aggiunge la disamina presente in Corti 2012.
- CIL, IX, 3961.
- Questa assenza di documentazione stride con l’importanza degli approdi lungo il tratto della costa marchigiana, specie alla luce deli nuovi dati archeologici ed epigrafici sui quali si veda Paci 2010.
- Cfr. Arnaldi 2002, 244-250.
- Su tale documento, si rimanda allo studio di Laura Parisini nel presente volume e si ricorda l’incertezza sulla natura di tale professione.
- La menzione di fabri nude dicti è frequente nell’epigrafia fino agli inizi del I secolo a.C., ma spesso l’indicazione ha valore di cognomen.
- Cristofori 2004, 427-432.
- Cristofori 2004, 316-317; Liu 2009, 345, n. 56.
- Cristofori 2004, 547-550.
- Un’analisi della prima iscrizione è in Cristofori 2004, 123-127.
- Cristofori 2004, 237.
- Non è stata inserita fra le attestazioni l’iscrizione da Falerio Picenus relativa ai socii dissignatores (CIL, IX, 5461 = EDR105134), una categoria che non ha aggancio alcuno con l’ambito della produzione.
- Liu 2009, 345-347, nn. 53-61.
- Waltzing 1970, I, 398.
- Cristofori 2004, 354-355.
- Cristofori 2004, 355-360; Marengo 2005, 251, n. 5; sulle differenze di ruolo fra patrona e mater collegii, cfr. Hemelrijk 2008 e Ead. 2015, 267-269.
- Cristofori 2004, 346-360; Antolini 1999, 301-309.
- Cristofori 2004, 458 e nota 1566.
- Cristofori 2004, 200-204, ove si fa notare l’anomala inversione fra denominazione e specificazione dell’attività.
- Si è scelto di non inserire in tabella la menzione di un tesserarius nota da un’epigrafe da Falerio Picenus (EDR115969).
- Cristofori 2004, 496-507; si veda anche il contributo di Laura Parisini in questo volume.
- Cristofori 2004, 433-444.
- Liu 2009, 347-356, nn. 62-98, ove sono raccolte le testimonianze pertinenti all’intera regio VI.
- A supporto di una rete di interessi comuni fra Rimini e Pesaro, seppur incentrati su ambiti diversi, si ricorda l’esistenza di altre due epigrafi pesaresi, CIL, XI, 6337 = EDR016018 e 6354 = EDR016035, che ne sono testimonianza.
- Oltre a Cresci Marrone & Mennella 1984, 306-308, n. 89, cfr. Gregori & Incelli 2018, 69-70, n. OD25 e Mongardi 2020, 28-29.
- Cresci Marrone & Mennella 1984, 66-68. A proposito di “numeri”, fra le iscrizioni pesaresi rientrano altri due testi, non inseriti in tabella – CIL, XI, 6390 = EDR016074 e 6391 = EDR016075 –, molto lacunosi ma sicuramente riferibili all’album di un qualche collegio, mentre nel caso di CIL, XI, 6389 = EDR016073, la lista è ipoteticamente riferibile ai centonari. Un’ulteriore probabile attestazione potrebbe desumersi dall’apparato iconografico di CIL, XI, 6448 = EDR016136, con raffigurazione di una scena di officina ove sono all’opera due personaggi: cfr. Cresci Marrone & Mennella, 1984, 402-403, n. 170.
- Cresci Marrone & Mennella 1984, 288-290, n. 78.
- Cresci Marrone & Mennella 1984, 265-268, n. 69; cfr. Gregori & Incelli 2018, 68-69, n. OD24.
- Come si evince dalle iscrizioni nn. 5-6 nella tabella, su cui Cresci Marrone & Mennella 1984, 29-296, n. 81 e 296-298, n. 82.
- Sul documento cfr. Valchera 2013.
- Marengo 2005, 256, n. 19; cfr. Hemelrijk 2015, 242-244 e 267-269 sulle differenze fra i titoli di patrona e mater collegii. Il patronato era il titolo più prestigioso e le donne insignite di tale onore venivano reclutate fra le appartenenti ai ranghi più elevati, mentre le madri risultano essere membri di ricche famiglie dell’élite municipale o anche di famiglie emergenti ma non inserite fra di esse.
- Del resto, attraverso gli onori concessi alle figure femminili si accresceva la dignitas di tutta la famiglia.
- Cresci Marrone & Mennella 1984, 329, n. 108. Annotazioni significative sul ruolo delle societates picariae della Sila, riproponibili anche per altri ambiti geografici, sono in Giardina & Schiavone 1981, 99-101; cfr. anche Diosono 2008a, 32.
- Bernardelli Calavalle 1983, 34 e Ead. 1992, 478.
- Bernardelli Calavalle 1983; Ead. 1992, 476; Engfer 2017, n. 309.
- Gasperini 2005; sui materiarii cfr. Diosono 2008a, 56.
- Nelle banche dati sono presenti, oltre a quella di Senigallia, le seguenti iscrizioni: CIL, V, 815 = EDR160122 (Aquileia): sectores / materiarum / Aquileienses; CIL, V, 2526 = EDR130628 (Este): mate[riarius?]; CIL, V, 7377 = EDR108025 (Dertona): materiarius;CIL, XI, 363 = EDR130445 (Rimini): negotians materiarium; CIL, XI, 1620 = EDR106376 (Firenze): negotians materiarius; CIL, VI, 9661 (Roma): materiario; AE 1923, 74 = EDR072906 (Roma): materiarius; AE 1960, 29 = EDR074232 (Roma): negotiatori / materiario; CIL, X, 3965 = EDR005792 (Capua): materiarius; CIL, XII, 4467(Narbonne): materiar(ius); CIL, XIII, 7553 (Bad Kreuznach): materiarius; CIL, III, 12924 (Salona): negoti/ans ma[t]eriarius.
- Per una disamina generale sulle problematiche connesse alla lavorazione, al trasporto e alla commercializzazione del legno cfr. Diosono 2008a e Ead. 2008b, 251-255.
- Fra la documentazione si registrano anche le iscrizioni CIL, XI, 6393 = EDR016077, da Pisaurum, ove il temine fabro è molto dubbio e CIL, XI, 6242 = EDR015877, da Fanum Fortunae, in cui il termine colleg[—–] non è chiaramente riferibile ad un’associazione.
- Susini 1965, 259.
- Ad es. in Cic., Off., 1.150: […] Opificesque omnes in sordida arte versantur; nec enim quicquam ingenuum habere potest officina.
- Si vedano Paci 2001 e Id. 2003.
- Oggi pertinenti all’Emilia Romagna, i due centri di Sassina e Mevaniola, collocati rispettivamente lungo le valli del Sapis e del Bedesis, tramiti fra Romagna e alta valle del Tevere, furono inseriti da Augusto tra quelli della regio VI in conseguenza della loro matrice umbra. Sul municipio sarsinate si rimanda a Donati 2008; per Mevaniola si veda, per il contesto archeologico, Morigi & Villicich 2017; per il patrimonio epigrafico Rigato 2020 e schede nn. 1790-1812, a cura di M. Mongardi; sempre valido per l’ambito appenninico della Romagna rimane Susini 1985.
- Sull’iscrizione cfr., fra gli altri, Magioncalda 1994, 135-139; Granino Cecere 2014, 115-117; Cenerini 2018, 170-171.
- Si ricorda che per Sarsina è noto anche un collegium mulionum con una propria area sepolcrale (AE 1984, 377 = EDR079509; cfr. Ortalli 1982.
- Cenerini 2004, 25-37 con una panoramica sulla lavorazione dei tessuti nella Cispadana.
- Trevisiol 1999, 28, n. 27.
- Trevisiol 1999, 26-27, nn. 23 e 24.
- Donati 1988, 63-69.
- Trevisiol 1999, 29, n. 30.
- Su Sestino si rimanda al volume miscellaneo Sestinum 1989.
- Cenerini 1989.
- Su Forum Sempronii si rimanda a Luni & Mei, ed. 2013 e Iid., ed. 2014.
- Cfr., da ultimo, Giorgi 2020, 95-114.
- Sul personaggio cfr. PIR2 R 25.
- Luni & Gori 1986, 188-189, n.14.
- Nella tabella si è inserita la nuova lettura dell’onomastica del personaggio proposta in Antolini 2000, 350.
- La presenza di un altro collegio, quello dei centonari, è comunque documentata da un’iscrizione rinvenuta a Sentinum (n. 14), per cui vedi infra.
- Si vedano Medri, ed. 2008 e Petraccia 2010.
- Delle tre epigrafi si sono riportate solo le parti iniziali con gli elementi relativi alla datazione e alla menzione del collegio che ha promosso la concessione della tabula patronatus.
- Marengo 2005, 253-254, n.12; Boscolo 2005, 280-282 e passim; Cenerini, 2008, 65-64; Tramunto 2008, 357-359.
- Sul titolo di mater collegii cfr. Hemelrijk 2015, 251-267.
- Sulle sedi di riunione dei collegia cfr., fra gli altri, numerosi articoli contenuti in Rodríguez Gutiérrez et al. 2016, con ulteriore bibliografia.
- Petraccia & Ricci 2016.
- Gregori & Incelli, 65-66, nn. OD21 e OD22.
- Fra i centri che ne hanno lasciato testimonianza vi sono: Sestino; Pitinum Mergens; Tifernum Mataurense; Urbino; Pesaro. Da Roma proviene l’iscrizione CIL VI, 41295 = EDR093661 di III secolo d.C., in cui è nominato un anonimo proc(urator) al[imento]rum per reg(iones) Umbriam atq(ue) Picen(um). Un quadro riassuntivo per il vicino Picenum è in Paci 2007, con un accenno alla situazione dei territori marchigiani un tempo corrispondenti alla regio VI a p. 655.
- Per Ravenna si rimanda alle sintesi generali di Susini, ed. 1990 e Manzelli 2000; per Rimini cfr. la scheda Rimini-Ariminum in AdriAtlas.
- Liu 2009, 358-360, nn. 106-115.
- Donati 1977a.
- Sulla prima cfr. Gregori & Incelli 2018, 73-74, n. OD30. Per la seconda iscrizione (n. 4) si segnala che il testo è frutto di interpolazione, come affermato in Donati 1977b, 192, nota 4.
- La divisione in decuriae o centuriae comandate da magistri o da praefecti pare sia da attribuire ad Adriano, sulla scorta di quanto si legge in Aurelio Vittore (ep., 14, 5), allo scopo di accelerare la realizzazione delle grandi opere pubbliche da lui progettate. Secondo tale affermazione, come affermato in Diosono 2007, 60-61, i fabri non furono dunque suddivisi in decurie per svolgere nel modo migliore il loro servizio di pompieri e, fra i servizi pubblici forniti dal collegio, doveva rientrare anche l’edilizia pubblica. Del resto, la costruzione e la ristrutturazione degli edifici di pubblica utilità, rientrava fra i munera publica propri dei cittadini.
- Donati 1977b.
- Donati 1976, part. 179. Sulle multe sepolcrali si rimanda a Rossi 1975.
- CIL, XI, 134.
- CCID, 294-295, n. 456. In Liu 2009 non è stata inserita fra le iscrizioni ravennati, mentre viene considerata in RE, III. 2, s.v. centonarii, 1933-1934 e RE, V. 1, s.v. dendrophori, 216-219.Nella scheda del CCID si ritiene che il dedicante, rivestendo il ruolo di prefetto dei due collegi, avesse anche il comando dei vigili del fuoco.
- Donati 1990, 471; Mansuelli 1967, 125-127, n. 12; Bonino 1972.
- La menzione di Longidienus fornisce il destro per segnalare chenon si è tenuto conto, in questa sede, delle iscrizioni che menzionano fabri legati alla classis, fra le quali si segnala AE 1961, 257 = AE 1985, 401, relativa a un catalogo di classiari ravennati comprendente sette fabri; cfr. Susini 1968. Per altri fabri impiegati nella flotta si rimanda a CIL, XI, 56 e a Bermond Montanari 1971, 86-89, nn. 14-15, ove la professione è espressa anche dalla raffigurazione dell’ascia nello specchio epigrafico. Su Classe e il suo porto cfr., fra gli altri, Cirelli 2013.
- Bermond Montanari 1971, 102, n. 21.
- Mongardi 2020, 118-120, 153, n. 35.
- Mongardi 2020, 43-47, 147, nn. 10 e 11; Liu, 2009, 234-235 e 359, nn. 111 e 112.
- Mongardi 2020, 94-98, 150-151, nn. 24 e 25; Liu, 2009, 359, n. 113.
- Mongardi 2020, 98-100, 151, n. 27; Liu 2009, 360, n. 115.
- Mongardi 2020, 92-94, 150, n. 22; Liu 2009, 359-60, n. 114.
- Mongardi 2020, 105-107, 152, n. 31.
- Mongardi 2020, 48, 148, n. 12.
- Cenerini 2000, 61-63, 119, n. 59; cfr. sui materiarii Diosono 2008a, 56.
- Si tratta di uno dei pochi documenti relativi a centri collocati in una fascia di distanza intermedia rispetto al litorale; altre due iscrizioni relative a collegi professionali provengono da Faventia (CIL, XI, 629) e da Forum Cornelii (CIL, XI, 668); la documentazione cresce numericamente mano a mano che si procede verso la parte occidentale della regio VIII.
- Si veda la Tabella 4b.
- Susini 1962; Gregori & Incelli 2018, 72-73, OD29 con altra bibliografia; gli ultimi due autori si schierano per la datazione più alta sulla base della persistenza del prenome nell’onomastica dell’onorato e dell’indicazione dell’associazione giovanile, di cui Mansuanio è procurator, ancora come Iuvenes e non come collegium.
- Diosono 2007, 38-42.
- Si vedano i contributi di Giovanni Assorati e di Mattia Vitelli Casella in questo volume.
- Si veda l’articolo di Manuela Mongardi nel presente volume.