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Produzione tessile nella Venetia romana: dagli strumenti ai tessuti

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Introduzione

L’archeologia tessile si occupa della produzione di tessuti ottenuti intrecciando fibre di origine vegetale, animale o minerale, a mano o con l’ausilio di strumenti: una delle prime forme di tecnologia artigianale sviluppate dall’uomo per un’innumerevole quantità di funzioni1. Campi di interesse sono le tecniche di produzione a partire dal reperimento delle fibre fino alla realizzazione del prodotto finito, alla sua eventuale commercializzazione e al suo consumo. Essa offre pertanto un enorme potenziale nella ricerca archeologica, investendo i temi dell’economia e della produzione, della tecnologia, delle tecniche e degli strumenti, dei valori sociali e simbolici. Il tessuto è infatti il risultato di interazioni complesse, che coinvolgono molti aspetti delle società: la gestione del territorio (agricoltura/allevamento); i livelli di tecnologia disponibili; i bisogni e le ideologie sottesi alla produzione e al consumo.

Nonostante la sua importanza, l’archeologia tessile costituisce un filone di ricerca poco affrontato in Italia, in particolare riguardo all’età romana.

Per questo ambito culturale gli studi hanno finora interessato solo alcune aree specifiche che hanno restituito reperti tessili molto significativi (in particolare in Egitto2, Germania3, Austria4 e Inghilterra5), ma si tratta di indagini focalizzate soprattutto sull’aspetto tecnologico. Più numerose ricerche sono state dedicate alle testimonianze scritte (epigrafiche, papirologiche e letterarie): tra le principali, quelle di E. Wipszycka (1965) e K. Droß-Krüpe (2011) sui papiri dell’Egitto, di F. Grelle e M. Silvestrini (2001) e di F. Vicari (2001) sulla documentazione relativa all’Italia. Manca una ricerca che affronti lo studio dell’economia tessile nel mondo romano con un approccio globale, che raccolga in modo sistematico e metta in relazione tutti i dati provenienti da fonti scritte, archeologiche e iconografiche. Ciò deriva anche dal fatto che c’è un’evidente sproporzione numerica tra le fonti scritte e quelle archeologiche, in particolare i prodotti della tessitura, che raramente si conservano.

Diversamente, ricerche ampie sul tema della produzione e consumo tessile sono state avviate per altri ambiti culturali, in particolare per quello greco6 e magno-greco7, anche in relazione al mondo indigeno, e per quello etrusco-italico8; tali studi, oltre a ricostruire un quadro della produzione, hanno elaborato protocolli di analisi innovativi sugli strumenti da tessitura e sui resti tessili. Altrettanto importanti dal punto di vista della metodologia di analisi dei dati archeologici (strumenti e tessuti) sono gli studi condotti nel Nord-Europa9, in particolare dal Center for Textile Research (CTR) dell’Università di Copenaghen (Danimarca)10.

Le ricerche di archeologia tessile sulla Venetia romana

Gli studi pregressi

Da alcuni anni è stata avviata una ricerca sistematica sulla produzione tessile di età romana nella Venetia, dove tale attività costituì uno dei comparti economici più importanti, basato soprattutto sulla lana. Grazie alle caratteristiche geografiche – la disponibilità di una vasta pianura ben irrigata, di pascoli di altura e di sale – l’allevamento ovino ebbe infatti un grande sviluppo sin dall’epoca preromana (mantenutosi fino ad epoca moderna).

Inizialmente il tema è stato affrontato attraverso un approccio topografico, in particolare l’individuazione dei percorsi della transumanza, che collegavano i principali centri manifatturieri di pianura (Padova, Vicenza, Altino, Aquileia) con i pascoli prealpini, e analizzando il rapporto tra allevamento e agricoltura11. Successivamente è stato indagato un grande centro per l’allevamento ovino nel territorio di Altino (Tenuta di Ca’ Tron, presso la laguna settentrionale di Venezia), area famosa per la qualità della lana, esportata nell’impero romano fino al IV secolo d.C.12.

Parallelamente sono state raccolte e analizzate tutte le fonti letterarie, che celebrano la lana prodotta dalle oves gallicae, cioè dell’Italia settentrionale, in particolare, come detto, quella di Altino, bianca e morbida13. Gli autori ricordano anche i tessuti e indumenti pesanti, ma morbidi e caldi, realizzati soprattutto a Padova (gausapae, tapetes, trilices) e Verona (lodices)14.

Le testimonianze epigrafiche (tutte funerarie) documentano invece la presenza di artigiani specializzati nel lavaggio e nel trattamento di lana e tessuti (lanarii con diverse specializzazioni, lotores, pectinarii, fullones),nella tintura di fibre o filati (infectores, purpurarii), spesso organizzati in collegia15 (tab. 1). La loro provenienza da necropoli urbane suggerisce una concentrazione in città di tali attività. Numerose sono le iscrizioni che ricordano anche vestiarii, addetti al confezionamento e al commercio dei tessuti (7 attestazioni), documentati soprattutto ad Aquileia, ma anche a Verona, e soprattutto di centonarii (38 attestazioni), la cui connessione con l’attività tessile è oramai ampiamente riconosciuta; queste ultime si concentrano in particolare a Brescia, antica Brixia (ben 25)16.

Tabella 1. Le testimonianze epigrafiche di età romana dalla Venetia relative alla lavorazione della lana e dei tessuti.
Tabella 1. Le testimonianze epigrafiche di età romana dalla Venetia relative alla lavorazione della lana e dei tessuti.

Due aspetti meritano di essere sottolineati. Innanzi tutto, le iscrizioni non menzionano mai addetti alla fase della tessitura (rimane dubbia l’attività di Trosia Hilara, lanifica circlatrix di Aquileia, forse una filatrice)17, confermando un trend generale nella documentazione epigrafica: in tutta la penisola tali attestazioni sono rare, per lo più concentrate a Roma e a Pompei, in relazione probabilmente a officine private18. Una spiegazione potrebbe essere che tale attività fosse prevalentemente svolta da servi e non prevedesse una vera e propria organizzazione di artigiani.

Riguardo alla distribuzione delle attestazioni, va notata la mancanza di corrispondenza tra i due sistemi di fonti, letterarie ed epigrafiche: da un lato, la documentazione epigrafica più ricca proviene da Brescia, mai nominata dagli autori antichi come importante centro tessile, dall’altro, nessuna attestazione epigrafica proviene da Padova, i cui prodotti tessili sono celebrati nelle fonti letterarie. Un dato che impone molta cautela e consiglia di utilizzare prevalentemente le informazioni ‘positive’, evitando le deduzioni ex silentio.

Pressoché sconosciuti rimangono tuttavia i luoghi, gli edifici dove questa intensa attività si svolgeva nei centri urbani. Solo ad Altino è stato indagato dall’Università di Venezia uno dei pochi complessi interpretato come textrinum, alla periferia meridionale della città, nell’isolato compreso tra la fascia che delimitava l’abitato e il tratto urbano della via Annia, la strada consolare che conduceva ad Aquileia19. L’edificio, messo in luce parzialmente, era articolato in ambienti semplici e aree scoperte, dotate di vasche e canalette; tra i materiali, venne rinvenuta una decina di pesi da telaio concentrati soprattutto in uno stesso ambiente. Caratteristiche planimetriche, installazioni e reperti suggeriscono di interpretare il complesso come una ‘casa-laboratorio’ dove i tessuti venivano prodotti e trattati.

Tra gli indicatori indiretti dell’attività tessile sono le anfore che trasportavano allume (solfato doppio di alluminio e potassio, prodotto soprattutto a Lipari e a Milo), utilizzato nella tintura della lana oppure anche nella concia delle pelli. In età augustea tali anfore sono presenti a Padova in quantità più elevate di qualunque altro sito, come hanno evidenziato gli studi di S. Pesavento Mattioli20; le analisi archeometriche effettuate sui corpi ceramici sembrano suggerire una provenienza orientale delle anfore, e quindi del prodotto trasportato, a conferma dell’importanza delle rotte orientali nei commerci della Venetia. La loro individuazione, alla periferia meridionale, settentrionale e occidentale della città, in stretta relazione con la presenza di corsi d’acqua, suggeriscono la presenza di impianti connessi alla tintura della lana o alla concia delle pelli nelle aree marginali dell’abitato. Queste erano infatti le più idonee al tipo di attività per convenienza e per opportunità logistica; la vicinanza a vie d’acqua era invece indispensabile sia per i processi produttivi (tintura e concia necessitano di abbondante acqua) che per il trasporto, favorendo l’approvvigionamento della materia prima (lana e animali), proveniente soprattutto dal territorio, e delle anfore stesse.

Il Progetto Pondera

Principi e metodi

Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sugli strumenti utilizzati nelle diverse fasi dell’attività tessile, avviando il Progetto Pondera21. La ricerca ha previsto il censimento sistematico e lo studio di cesoie, rocche, fusi, fusaiole, uncini da fuso, pesi da telaio, rocchetti. L’indagine ha interessato finora il Veneto, oltre alla provincia di Brescia22 (fig. 1).

 Fig. 1. Visualizzazione dell’area finora indagata nel Progetto Pondera e classi di strumenti per lavorazione tessile censiti:
a) Cividate Camuno (Bs), Museo Archeologico Nazionale della Val Camonica. Cesoie per tosatura; b) Brescia, Museo di Santa Giulia. Fusarola; c) Este (Pd), Museo Archeologico Nazionale Atestino. Uncino da fuso; d) Brescia, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia. Fuso; e) Este (Pd), Museo Archeologico Nazionale Atestino. Rocca; f) Stanghella (Pd), Museo Civico Etnografico. Peso da telaio; g) Brescia, Museo di Santa Giulia. Rocchetto. (Illustrazione dell’Autore).
 Fig. 1. Visualizzazione dell’area finora indagata nel Progetto Pondera e classi di strumenti per lavorazione tessile censiti:
a) Cividate Camuno (Bs), Museo Archeologico Nazionale della Val Camonica.
Cesoie per tosatura;
b) Brescia, Museo di Santa Giulia. Fusarola;
c) Este (Pd), Museo Archeologico Nazionale Atestino. Uncino da fuso;
d) Brescia, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia. Fuso;
e) Este (Pd), Museo Archeologico Nazionale Atestino. Rocca;
f) Stanghella (Pd), Museo Civico Etnografico. Peso da telaio;
g) Brescia, Museo di Santa Giulia. Rocchetto.
(Illustrazione dell’Autore).

Utilizzando programmi open source, tutti i dati sono stati registrati attraverso un database, comprensivo di “schede sito” (dove sono confluite tutte le informazioni relative al contesto di rinvenimento) e di “schede materiali” associate ai diversi siti (dove sono confluiti i dati di classe, materiale, morfologia, misure, peso, decorazione, stato di conservazione, usure, cronologia)23.

Una particolare attenzione è stata riservata ad alcuni parametri di fusaiole e pesi da telaio, che ricerche basate su prove sperimentali, condotte dal CTR di Copenhagen, hanno dimostrato influenzare le caratteristiche di filati e tessuti24. Per le fusaiole, il parametro più significativo è il valore ponderale, che condiziona la velocità di rotazione e quindi l’angolo di torsione del filo, e di conseguenza il suo diametro (oltre alla sua lunghezza). Per i pesi da telaio, i parametri che condizionano le caratteristiche del tessuto, in particolare la sua ‘pesantezza’25 e la sua ‘densità’26, sono due: il valore ponderale, che è connesso alla tensione dei fili e determina quanti fili di ordito possono essere attaccati a un peso da telaio, e lo spessore, che determina quanto sono vicini tra loro i pesi, e quindi i fili dell’ordito.

Attraverso le coordinate geografiche il database è stato anche collegato ad un GIS, che consente di contestualizzare i reperti nel territorio, con la possibilità di correlarli ad altri sistemi di dati. Complessivamente sono stati finora schedati 2893 reperti, che certo non costituiscono la totalità dei materiali rinvenuti, ma almeno offrono un campione di studio significativo, soprattutto se consideriamo che per circa il 70% risultano del tutto inediti (ma raramente le pubblicazioni riportano misure e peso); le attestazioni più numerose riguardano le fusaiole (292) e i pesi da telaio (2352), grazie alla loro prevalente realizzazione in materiale non deperibile27.

Al fine di rendere disponibile il database anche ad altri studiosi che si occupano di archeologia tessile, è stato predisposto un manuale di compilazione, dotato di un glossario e delle indicazioni pratiche sulla modalità di misurazione dei parametri fisici di ciascun manufatto28.

Le fusaiole e i pesi da telaio

Caratteristiche morfometriche e cronologia: dagli strumenti ai prodotti

Le fusaiole finora censite appartengono a sei categorie morfologiche, di cui la forma discoidale appare in assoluto la più attestata, seguita rispettivamente dalla tronco-conica e dalla sferoidale29 (fig. 2). Delle tre tipologie, la fusaiola tronco-conica, per lo più realizzata in piombo, è presente nei contesti più antichi, raggiungendo la massima frequenza nel II-I secolo a.C., per poi diminuire notevolmente nella prima età imperiale. Diversamente, le fusaiole discoidali sembrano comparire più tardi, nel I secolo d.C., e arrivare al picco di presenza nel secolo successivo, sebbene risultino ancora documentate nella media e tarda età imperiale, fino al VI secolo d.C. Per quanto concerne il dato ponderale, oltre la metà delle fusaiole censite (58,5%) è risultata pesare dai 10 ai 30 g, con un picco tra i 20 e i 30 g (fig. 3). Si tratta di valori ponderali che indicano una prevalente produzione di filati con spessore medio o elevato.

 Frequenza delle diverse morfologie di fusaiole censite.
 Fig. 2. Frequenza delle diverse morfologie di fusaiole censite.

 Valori ponderali delle fusaiole censite.
 Fig. 3. Valori ponderali delle fusaiole censite.

La quasi totalità di pesi da telaio censiti risulta realizzata in argilla e suddivisa in due macro-gruppi morfologici: la forma troncopiramidale e la forma discoidale30. La forma troncopiramidale comprende, oltre a un gruppo caratterizzato dalla ‘testa arrotondata’, tre varianti legate alle dimensioni della base inferiore: ‘base rettangolare’ (profilo laterale regolare), ‘base rettangolare stretta’ (profilo assottigliato verso il basso), ‘base quadrata’ (profilo ispessito verso il basso) (fig. 4). Netta risulta la prevalenza del tipo troncopiramidale, pari all’85% dei pesi censiti (fig. 5).

 Morfologia dei pesi da telaio censiti nel progetto Pondera.
 Fig. 4. Morfologia dei pesi da telaio censiti nel progetto Pondera.

 Frequenza delle diverse morfologie dei pesi da telaio censiti.
 Fig. 5. Frequenza delle diverse morfologie dei pesi da telaio censiti.

Benché molti siano i contesti (e i materiali) non datati, possiamo dire che tutte le tipologie di pesi da telaio risultano utilizzate già durante la fase di romanizzazione e che la concentrazione massima di attestazione si colloca nel I secolo d.C., quando la variante a profilo regolare del peso troncopiramidale si afferma in tutto il territorio indagato come strumento standard. Un aspetto rilevante è che i contesti datati non superano il II secolo d.C. Essendo improbabile una così drastica riduzione dell’attività tessile, tale dato potrebbe invece correlarsi alla grande diffusione del telaio a due subbi, formato da due montanti verticali e da due subbi fissati ortogonalmente, che non prevedeva l’impiego di pesi e consentiva di lavorare in posizione seduta31. Questo tipo di telaio diventerà il più comune in Italia in età imperiale, almeno per la produzione di tessuti in lana32. È possibile che il telaio a pesi sia invece rimasto in uso per la lavorazione del lino, considerato che Servio nel IV secolo d.C. (Ad Aen., 7.14) in un passo del suo commento all’opera virgiliana, cioè in età augustea, specifica che il lino si tesseva “stando in piedi”, quindi con il telaio a pesi33. Sembra improbabile, del resto, inferire dall’apparente assenza di pesi da telaio, che dopo il II secolo d.C. si fosse ridotta anche la tessitura in lino.

Per quanto riguarda l’analisi dei parametri rilevanti per comprendere le caratteristiche dei tessuti, la maggior parte dei pesi da telaio presentano valori ponderali compresi tra i 500 e i 900 g (60,6%), con un picco tra i 600 e gli 800 g (34,3%), rivelando, quindi, una standardizzazione ponderale (fig. 6). Riguardo lo spessore, la maggior parte dei manufatti si colloca tra i 3,5 e i 5 cm (69,6%), con un picco tra i 4 e 4,5 cm (36 %), mostrando quindi una certa standardizzazione anche di questo parametro34.

 Valori ponderali dei pesi da telaio censiti.
 Fig. 6. Valori ponderali dei pesi da telaio censiti.

Applicando ai pesi da telaio censiti gli algoritmi per il calcolo della tensione ottimale dei fili dell’ordito in relazione al valore ponderale, elaborati dal CTR di Copenhagen35, si sono evidenziate alcune tendenze:

  • il peso ovoidale in pietra, diffuso in Valcamonica, risulta adatto a fili con tensione di 50-60 g;
  • il peso troncopiramidale “standard” risulta adatto a fili con tensione di 40-50 g;
  • il peso discoidale sembra adatto a fili con tensione leggermente minore di 30 g;
  • il peso troncopiramidale a base quadrata sembra adatto a fili con tensione di 20 g.

Questi risultati suggeriscono una possibile relazione tra le diverse morfologie dei pesi da telaio e i prodotti che si volevano realizzare.

Un’altra analisi condotta su un campione dei pesi da telaio censiti (quelli del Veneto orientale), tenendo conto di entrambi i parametri significativi (peso e spessore), sembra suggerire l’esistenza di un nucleo più consistente di strumenti idonei a realizzare tessuti ‘standard’ e di alcuni strumenti con caratteristiche ponderali e/o di spessore ‘anomale’, che probabilmente erano funzionali alla produzione di tessuti con specifiche caratteristiche36. A una verifica delle corrispondenze tra i diversi cluster e le morfologie dei pesi, è risultato che i tessuti ‘standard’ corrispondevano, come immaginabile, ai pesi troncopiramidali a base rettangolare e rettangolare stretta; il cluster relativo ai tessuti ‘aperti’ con filati fini corrispondeva ai pesi troncopiramidali a base quadrata; il cluster relativo ai tessuti ‘densi’ con filati medio-spessi corrispondeva ai pesi discoidali.

Si è inoltre verificato se emergessero differenze tra gli strumenti censiti in alcuni territori, scegliendo come casi-studio Altino, Padova e Verona, note dalle fonti letterarie come produttrici di lane di qualità diversa: dall’altissima qualità della lana di Altino, alla media qualità della lana di Padova e probabilmente di Verona, i cui tessuti vengono paragonati a quelli di Padova. I valori ponderali medi e mediani dei pesi censiti nei tre territori hanno per ora trovato corrispondenza in questa ‘graduatoria’ di lane/tessuti suggerita dalle fonti37.

Un altro interessante test ha messo a confronto i valori ponderali delle fusaiole e dei pesi da telaio censiti in ambito territoriale e urbano, questa volta esteso a tutte le fusaiole e i pesi da telaio. È emerso come i valori siano maggiori nell’agro che in città, suggerendo una produzione più ‘standardizzata e corsiva’ in campagna, più ‘diversificata e raffinata’ in città38.

Si tratta di primi tentativi di analisi finalizzati a verificare l’esistenza di un significato funzionale alle diverse caratteristiche morfometriche degli strumenti e di comprenderne il valore in termini di produzione. È tuttavia indispensabile ampliare il campione e verificare le ipotesi attraverso test sperimentali. Con questo obiettivo è stato avviata una collaborazione con diversi centri specializzati (tra cui, il Lejre Sagnlandet Center che da anni lavora con il CTR di Copenhagen), per riprodurre alcuni strumenti da filatura e tessitura censiti nell’ambito del progetto Pondera e condurre test controllati di filatura e tessitura.

I contesti di rinvenimento

Per oltre la metà dei pesi da telaio non è noto il contesto di rinvenimento (il 53%), in quanto proveniente da rinvenimenti casuali o da raccolte di superficie realizzate con modalità non sufficientemente controllate39. I dati a disposizione relativi alla rimanente parte dei materiali risultano comunque di grande interesse e di inequivocabile lettura (fig. 7).

 Frequenza percentuale delle diverse tipologie di contesti archeologici da cui provengono gli strumenti censiti.
 Fig. 7. Frequenza percentuale delle diverse tipologie di contesti archeologici
da cui provengono gli strumenti censiti.

Dal grafico risulta una discreta percentuale di pesi da telaio da contesti produttivi, intesi come luoghi in cui gli strumenti venivano prodotti: il 13%, di cui 2/3 provenienti da ambito urbano.

Tale dato deriva dall’eccezionale rinvenimento a Padova di due case-officine, caratterizzate da ambienti abitativi e una piccola fornace; entrambi gli edifici erano inoltre caratterizzati dalla presenza di un ambiente con pavimento composto da pesi da telaio, privi di usure, collocati di piatto in modo da formare un regolare disegno geometrico. Un complesso, situato presso il margine urbano nord-occidentale40, conservava in situ 36 pesi; l’altro, posto nel settore orientale della città41, ne conservava 166, ma almeno altri 130 dovevano essere originariamente in opera. L’insieme dei dati ha consentito di interpretare i due contesti come case-figlinae, specializzate nella produzione di pondera.Tali rinvenimenti, che costituiscono un unicum allo stato attuale delle conoscenze, confermano il ruolo di Padova come importante centro manifatturiero tessile.

Anche nel territorio sono documentate due figlinae che producevano pesi da telaio, accanto ad altri prodotti fittili (tegole, antefisse): a San Giorgio di Angarano (Vicenza), allo sbocco in pianura del Meduacus42, e a Castagnaro (nelle Valli Grandi Veronesi)43. Interessa qui sottolineare l’esistenza di produzioni di pesi da telaio sia all’interno che lontano dai centri urbani, evidentemente destinati a rifornire telai presenti in città e nel territorio.

La maggior parte dei pesi da telaio proviene da contesti insediativi, prevalentemente di ambito rurale: la tessitura era un’attività ampiamente praticata nelle villae, come del resto attestano gli autori antichi. Impossibile dire se questi telai facevano parte della dotazione domestica o se erano destinati a produrre un surplus per vendita (in proprio o su commissione). Uno dei contesti più interessanti è la fattoria scavata a Isola Vicentina, dove sono stati rinvenuti 25-27 pesi da telaio, tutti troncopiramidali, ma con diversi valori ponderali, concentrati in una piccola stanzetta, che probabilmente costituiva un deposito del telaio o di set di pesi44.

La deposizione in tomba di questi manufatti risulta invece assolutamente eccezionale (solo il 2% dei reperti da tessitura), a differenza di quanto documentato per l’epoca preromana; inoltre, essi erano associati a deposizioni di modesto livello e senza chiari indicatori di genere femminile45 (fig. 8).

 Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto. Corredo di tomba a incinerazione da Padova (Foto C. Mella).
 Fig. 8. Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto.
Corredo di tomba a incinerazione da Padova
(Foto C. Mella).

Di contro, il 40% dei reperti da filatura (fusaiole, fusi, rocche, uncini da fuso) provengono da necropoli, più o meno ricche, che analisi antropologiche o associazioni di corredo attribuiscono a defunte (fig. 9). Risulta evidente che in età romana era la filatura a connotare specificamente il mondo femminile, assumendo valenze simboliche di carattere morale, mentre la tessitura non costituiva un segno di distinzione morale, sociale, economica e nemmeno di genere46. Questo tema costituisce il focus del Progetto Lanifica, attualmente in corso (cfr. infra).

 Museo Nazionale Atestino. Corredo di tomba a incinerazione da Este (da Toniolo 2000, fig. 25).
 Fig. 9. Museo Nazionale Atestino.
Corredo di tomba a incinerazione da Este
(da Toniolo 2000, fig. 25).

La rara presenza di strumenti da tessitura deposti nelle sepolture, associata alla citata assenza di attestazioni epigrafiche menzionanti addetti a questa fase dell’attività, costituiscono elementi, che doveva essere svolta prevalentemente da personale servile, per comprendere il ruolo e l’organizzazione della tessitura nella Venetia romana.

Il Progetto TRAMA

A partire dal 2015, con il Progetto TRAMAla ricerca si è rivolta alla ricerca e all’analisi delle tracce di tessuto conservate, anche in piccoli frammenti, sia nel loro stato organico originale che come tracce mineralizzate su oggetti metallici47. Si tratta di reperti che raramente si conservano (per motivi climatici, ma anche a causa di metodologie non adeguate di scavo, recupero e restauro dei reperti), ma che sono fondamentali nello studio dell’archeologia tessile in quanto rappresentano l’esito diretto dei fenomeni produttivi, altrimenti solo ipotizzabile. Tale indagine è estremamente innovativa per reperti dell’Italia romana, in quanto mai condotta in maniera sistematica, con l’unica eccezione dei tessuti di Pompei ed Ercolano studiati da F. Médard (Centre Jean Berard)48 e ora da C. Lemorini (Università di Roma “La Sapienza”)49.

Per procedere al censimento dei frammenti tessili è stata elaborata una nuova scheda-fibra collegata al database Pondera. Quest’ultima scheda è basata su quella appositamente predisposta per il censimento dei tessuti nell’ambito del Progetto “Textile Fibre in Italy before Roman Empire (FIBRE)”, Marie Curie Intra-European Fellowship Project (M. Gleba) e leggermente adattata alle esigenze di schedatura dei reperti di età romana. Ogni frammento di tessuto è collegato a una scheda-sito e, indirettamente, alla scheda-materiale in modo che tutte le informazioni possano essere integrate e analizzate in associazione le une con le altre.

Finora era stato identificato un solo frammento di tessuto organico in lana, proveniente da Adria: una tela del tipo ‘weft-faced’ (dove cioè i fili di trama nascondono l’ordito), tipica della tradizione tessile romana, realizzata con a ritorti a ‘z’ e caratterizzati da diametri medi (ordito: 0,6-0,7 mm; trama: 0,3-0,4 mm)50. Il Progetto TRAMA ha identificato 29 manufatti con tracce mineralizzate di fibre, pertinenti ad almeno 22 diversi tessuti; quasi tutte le fibre sono state campionate e analizzate al SEM, offrendo per la prima volta un quadro dei tessuti prodotti nella regione51. Per lo più si tratta di oggetti in bronzo o in ferro, rinvenuti in contesti funerari urbani (tra cui Padova, Verona, Altino, Este, Aquileia) e prediali: soprattutto fibule e monete, ma anche aghi, stili, strumenti da lavoro, chiodini da scarpe. Due tessuti avvolgevano due urne cinerarie, una in bronzo (da Ponte nelle Alpi, nelle montagne bellunesi) e una in alabastro (da Aquileia). Nella maggior parte dei casi sono stati restituiti da cremazioni, ma in tre casi da inumazioni.

Grazie alle analisi è stato possibile riconoscere i diversi tipi di tessuti. Dal punto di vista tecnico, sono tutte varianti di armature a tela, il tipo di armatura più semplice e diffusa nel mondo greco e romano: circa la metà sono tele bilanciate (cioè con lo stesso numero di fili per centimetro) in lino con filo ritorto a ‘s’ (in senso antiorario, tradizionale in Egitto e in Vicino Oriente), seguite da tele bilanciate in lino con fili ritorti a ‘z’ (in senso orario, tradizionale dell’Europa continentale e dell’Anatolia); non mancano alcuni frammenti di tessuti in lana, realizzati nelle varianti definite ‘half-basket’ e ‘weft-faced’, le più comuni nel mondo romano. Da notare che nessun tessuto in lana era del tipo ‘saia’, tipico della cultura centroeuropea, ma anche italica pre-classica (compresi i Veneti antichi). Considerata l’alta mobilità non solo di beni, ma anche di persone, la direzione di torsione dei fili non può tuttavia essere considerata una prova certa di importazione del tessuto. Sotto l’aspetto qualitativo, i tessuti erano di diverso livello, ma molti di quelli in lino presentavano caratteristiche piuttosto omogenee. Questi risultati hanno mostrato il pieno inserimento del territorio veneto nel mondo romano anche sotto l’aspetto della pratica tessile, pur suggerendo una possibile sopravvivenza della tradizione locale preromana nella presenza di filati ritorti a ‘z’52.

Oltre ad ampliare le conoscenze sulle tecniche di produzione e sulla qualità dei materiali tessili prodotti, l’analisi dei tessuti ha permesso di verificare anche aspetti culturali e sociali inaspettati, in particolare i diversi utilizzi dei tessuti in ambito funerario: per raccogliere i resti cremati dei defunti, per avvolgere oggetti di corredo e deporli nella tomba, per ‘vestire’ l’urna cineraria che conteneva le ossa combuste, per avvolgere i defunti inumati. Se per avvolgere oggetti deposti nelle tombe potevano essere utilizzati anche tessuti in lana, per tutte le altre funzioni venivano utilizzati solo tessuti in lino realizzati in semplici tele. Si tratta di pratiche conosciute nell’età del Ferro (in ambito greco, etrusco-italico, veneto)53, per la prima volta documentate nella Venetia romana, che evidentemente mantiene nel tempo le tradizioni rituali54.

Il Progetto Lanifica

I risultati raggiunti dal Progetto TRAMA hanno stimolato l’avvio di un nuovo progetto di ricerca legato all’archeologia tessile, attualmente in corso: “Lanifica. Il ruolo della donna nella produzione tessile di età romana”55. Il progetto ha come scopo primario quello di indagare la figura della donna nella produzione tessile di età romana e la valenza ideologica che tale ruolo rivestiva nella sensibilità e nella cultura dell’epoca attraverso lo studio degli strumenti da filatura e tessitura presenti nelle tombe. Rispetto al progetto TRAMA, il progetto Lanifica presenta elementi di continuità, in quanto prosegue la raccolta dei dati inerenti agli strumenti tessili, ed elementi di novità perché estende la ricerca anche ad aspetti antropologici (i resti dei defunti) e al complesso del corredo funerario in cui essi si inseriscono, cercando di comprendere i significati ideologici e simbolici finora poco considerati. Dopo una prima fase di censimento di sepolture realizzata nella Gallia Narbonese56, la ricerca è stata estesa alle necropoli romane dell’Italia settentrionale, della Gallia Lugdunensis e della Germania Superior, in modo da ottenere un corpus di dati vasto e arealmente distribuito. L’analisi dei corredi, lo studio antropologico dei resti ossei, uniti alle informazioni derivanti da altre fonti già ampiamente studiate come quelle epigrafiche e iconografiche57, stanno fornendo importanti dati per meglio comprendere gli aspetti produttivi e sociali del lavoro della donna nell’ambito della filiera tessile e il valore simbolico che a tali attività veniva attribuito.

Per quanto riguarda il Veneto, l’analisi di oltre 2000 sepolture ha mostrato che in poche tombe (52, corrispondente a circa il 2.5 % del totale), quasi tutte datate al I secolo d.C., erano stati deposti strumenti tessili (complessivamente 79); essi sono presenti in un numero limitato all’interno delle tombe, con rare serie multiple. Un panorama del tutto diverso, con numeri molto più elevati, è documentato invece nella fase preromana58. Quando l’economia tessile raggiunge il massimo sviluppo nella Venetia romana, gli strumenti tessili sembrano quindi perdere un legame con la produzione, mantenendo solo un significato simbolico di ‘donna virtuosa’, corrispondente all’espressione “lanifica”. La loro deposizione all’interno della tomba sembra comunque scelta solo in pochi casi e non è comune, come si pensava in passato59.

Conclusioni

Dopo una decina d’anni, lo studio dell’archeologia tessile nella Venetia romana è giunto a predisporre un efficace strumento informatizzato per il censimento di siti, contesti, strumenti e tessuti, e a elaborare un efficiente protocollo di analisi degli strumenti, utile a ricostruire il tipo di prodotti (filati e tessuti), e delle fibre, grazie alla collaborazione con i gruppi di ricerca più avanzati nel settore. Database e protocolli si prestano a essere facilmente adattati ed estesi ad altri ambiti cronologici e spaziali.

L’analisi accurata dei contesti di provenienza degli strumenti (le officine dove venivano prodotti, gli insediamenti in città e nel territorio dove venivano utilizzati, le sepolture e i santuari dove venivano ritualmente deposti) ha consentito di migliorare la comprensione di molti aspetti: le logiche produttive degli strumenti (con figlinae urbane e rurali specializzate); l’organizzazione economica dell’attività tessile, con fasi probabilmente legate prevalentemente all’ambito domestico (filatura, in parte tessitura), volta sia a soddisfare il fabbisogno interno che il mercato, e fasi organizzate a livello artigianale (in parte la tessitura, certamente il trattamento della materia prima e dei tessuti); i significati ideologici e simbolici degli strumenti connessi all’attività tessile.

L’auspicio è che strumenti e metodi delle ricerche condotte nella Venetia possano essere adottati da altri gruppi di lavoro: ciò permetterà di ampliare il campione e confrontare i dati relativi a diverse epoche e aree, evidenziando analogie e differenze.

Abbreviazioni speciali

  • Lana nella Cisalpina romana (2012): Basso, P. e Busana, M.S., ed., La lana nella Cisalpina romana: economia e società. Studi in onore di Stefania Pesavento Mattioli, Atti del Convegno, Padova-Verona, 18-20 maggio 2011, Padova.
  • Purpureae Vestes I (2002): Alfaro, C., Wild, J.-P. e Costa, B., ed., Textiles y tintes del Mediterráneo en época romana, I Purpureae Vestes International Symposium, Ibiza, 8-10 noviembre 2002, Valencia.
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  • Purpureae Vestes V (2016): Ortiz, J., Alfaro, C., Turell, L. e Martínez, M.J., ed., Textiles, Basketry and Dyes in the Ancient Mediterranean World, V Purpureae Vestes International Symposium, Monserrat-Barcellona, March, 19th-22th, 2014, Valencia.
  • Purpureae Vestes VI (2018): Busana, M.S., Gleba, M., Meo, F. e Tricomi, A.R., ed., Textiles and Dyes in the Mediterranean Economy and Society, Proceedings of the VI Purpureae Vestes International Symposium on Textiles and Dyes in the Ancient Mediterranean World, Padova-Este-Altino, 17-20 ottobre 2016, Saragozza.
  • Purpureae Vestes VII (2020): Bustamante, M., Sánchez López, E.H., Jiménez Ávila, J., Redefining ancient textile handcraft. Structures, tools and production processes, VII Purpureae Vestes International Symposium, Granada, October, 3th-5th, 2019, Granada.
  • Textiles in Europe (2012): Gleba, M. e Mannering, U., ed. (2012): Textile and Textile production in Europe. From Prehistory to AD 400, Ancient Textiles Series 11, Oxford-Oakville.
  • Tra protostoria e storia (2011): Leonardi, G., ed., Tra protostoria e storia. Studi in onore di Loredana Capuis, Antenor Quaderni 20, Roma.

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  • Tricomi, A.R. e Busana, M.S. (c.s.): “Archeologia tessile nella Venetia romana. Il progetto Pondera”, Antenor Quaderni, Padova.
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Notes

  1. Per una sintesi generale sul tema, si veda Di Giuseppe 2000; Di Giuseppe 2002.
  2. Bender Jørgensen 2017.
  3. Möller-Wiering & Subbert 2012.
  4. Gostenčnik 2012; Grömer et al., ed. 2013; Grömer 2014.
  5. Wild 1992.
  6. Spanditaki 2016; Gleba 2017a.
  7. Meo 2015; Meo 2018; Quercia & Foxhal 2015; Quercia 2018.
  8. Gleba 2008; Ead. 2017b.
  9. I risultati delle ricerche sono pubblicati soprattutto nella serie di convegni NESAT (North-European Symposium for Archaeological Textiles) che dal 1981 hanno luogo ogni tre anni in diverse città europee (www.nesat.org/main/history_en.html).
  10. Per gli aspetti metodologici, di fondamentale importanza è il progetto Tools and Textiles – Texts and Contexts Research Program: nel sito del CTR sono disponibili i report dei test sperimentali (https://ctr.hum.ku.dk).
  11. Bonetto 1997; Id. 2004; Bonetto et al. 2011; Bonetto 2012.
  12. Busana et al. 2012a; Busana 2019.
  13. Basso et al. 2004. Le fonti si riferiscono alla produzione altinate sempre in termini di “lana”, non di tessuto lavorato; nel I secolo d.C. tale prodotto sembra raggiungere altissimi standard qualitativi, sia per il colore bianco che per la sua consistenza soffice. Se Marziale la colloca al terzo posto tra le lanae albae del mondo romano, dopo quelle dell’Apulia e di Parma (Ep., 14.155), Columella sostiene che ai suoi tempi la lana di Altino, insieme a quella di Modena e Parma, fosse migliore anche della tarantina, considerata in passato il prodotto più eccellente in assoluto (Rust., 7.3); ancora nel III secolo d.C. viene celebrata da Tertulliano per il suo colore naturale (De Pall., 3.6) e mostra valori altissimi nell’Edictum de pretiis di Diocleziano (200 denari a libbra), occupando il secondo posto nell’impero romano, insieme alla lana “scura” di Modena, dopo quella “dorata” della stessa Modena (Edict. Diocl. 25, 1-6).
  14. Strabone(5.1.12) ricorda che nel territorio di Patavium era prodotta su larga scala una qualità di lana intermedia tra la mutinense (una delle migliori) e la ligure (ritenuta la peggiore), e qualifica Padova come un centro dotato di uno sviluppato artigianato tessile che produceva abiti di ogni genere, esportati in grande quantità a Roma (5.1.7). Marziale fa invece riferimento alla produzione patavina di stoffe spesse, dalla superficie villosa(gausapum quadratum), illustrate come la tipologia tessile peculiare e più caratteristica di Padova, paragonandole alle lodices veronesi (Ep., 14.152).
  15. Basso et al. 2004; Buonopane 2003.
  16. Basso et al. 2004; Liu 2009.
  17. AE 2003, 115; cfr. Chiabà 2003.
  18. Per Roma, si tratta di tre iscrizioni da colombari: CIL, VI, 6361-6362 = D. 7432a-b (I s. d.C.) e CIL, VI, 9290 = D. 7354 (I s. a.C.). Per tre casi pompeiani, cfr. CIL, IV, 1570-71, 8259; per un caso canusino, più dubbio data la lacunosità del testo, cfr. CIL, IX, 379 (I s. d.C.). Per un elenco delle poche attestazioni epigrafiche di tessitori, cfr. Grelle & Silvestrini 2001, 121; per una menzione letteraria, cfr. Suet., Gram. et reth., 23.1; per l’attestazione nelle fonti giuridiche di textores impegnati nelle familiae di grandi proprietà, cfr. Dig. 14.4; 30.36; 32.61, 65; 33.9.3.6.
  19. Tirelli 2005; Zaccaria Ruggiu & Pujatti 2005.
  20. Pesavento Mattioli 2011.
  21. Progetto di Ateneo “Archeologia della lana: allevamento, produzione e commercio nella Cisalpina romana” (CPDA082719/08).
  22. Il censimento dei reperti ha finora riguardato i materiali esposti nei musei e nelle raccolte locali e talora anche esemplari presenti nei depositi museali e nei magazzini delle Soprintendenze.
  23. Per le caratteristiche del database, costruito in SQLite con interfaccia in Openoffice.org Base, si veda Busana et al. 2016; Francisci 2018.
  24. Mårtensson et al. 2007; Mårtensson et al. 2009; Andersson Strand 2012.
  25. La ‘pesantezza’ di un tessuto è legata allo spessore del filato con cui è realizzato: un tessuto con filati grossi è considerato pesante, mentre un tessuto con filati fini è considerato leggero.
  26. La ‘densità’ di un tessuto è data invece dal numero di fili per centimetro del tessuto stesso.
  27. I risultati di tale ricerca sono stati finora pubblicati in forma sintetica in numerosi contributi: Busana et al. 2012b; Tricomi 2012; Ead. 2014; Busana & Tricomi 2016; Tricomi 2018. I dati analitici relativi al Veneto sono ora in fase di elaborazione finale (Tricomi & Busana c.s.).
  28. Tricomi & Busana c.s.
  29. Busana & Tricomi 2016, 114-115; Tricomi 2018, 307-309.
  30. Busana & Tricomi 2016, 115-116; Tricomi 2018, 312-315. Un piccolo gruppo di pesi da telaio, ricavati da ciottoli, presenta una forma ovoidale; essi si concentrano soprattutto in Valcamonica (Brescia).
  31. Per un’analisi tecnica delle operazioni e degli strumenti utilizzati nella tessitura, cfr. Forbes 1956, 192-219; Crowfoot & Patterson 1962, in particolare pp. 213-214; Wild 1970, passim e più recentemente Di Giuseppe 2002 con bibliografia precedente.
  32. La diffusione del telaio a due subbi è stata inquadrata dagli studiosi di tecnologia attorno al I-II secolo d.C.; i numerosi casi di contrappesi attestati in epoca posteriore potrebbero testimoniare attardamenti locali o sopravvivenze più a lungo nel tempo dei telai del primo tipo, oppure essere attribuiti alla produzione di tessuti in lino.
  33. “I nostri antenati usavano tessere stando in piedi [quindi con il telaio a pesi], come oggi quando vediamo i tessitori di lino”: l’osservazione si deve a M. Gleba (2002, 34).
  34. Busana & Tricomi 2016, 115; Tricomi 2018, 315.
  35. Il metodo sperimentale ha verificato che il numero di fili di ordito per peso da telaio equivale al valore ponderale del peso da telaio espresso in grammi diviso per la tensione di cui il filo necessita.
  36. Busana & Tricomi 2016, 115-116.
  37. Busana & Tricomi 2018. I valori ponderali medi e mediani dei pesi da telaio di Altino appaiono infatti i più bassi (Media: 644,4 g; Mediana: 670 g), suggerendo una produzione di tessuti di qualità leggermente superiore rispetto a quella delle altre due zone: il territorio patavino, dove si registrano valori intermedi (Media: 698,4 g; Mediana: 683,5 g), e, soprattutto, quello veronese, i cui pesi da telaio sono più pesanti (Media: 842,7 g; Mediana: 755 g).
  38. Busana & Tricomi 2016, 117. Il 50% delle fusaiole da contesti territoriali ha un peso compreso tra 15 g e 30 g (Mediana: 25 g), mentre il 50% delle fusaiole da contesti urbani pesa tra 10 g e 25 g (Mediana: 19 g). Il 50% dei pesi da telaio da contesti rurali ha un peso tra 546 g e 736 g (Mediana: 638,5 g), mentre il 50% dei pesi da telaio da contesti urbani ha un peso tra 387 e 682 g (Mediana: 450,5 g).
  39. Busana et al. 2015, 29.
  40. Bianco et al. 1996-1997, 23, nota 16; Busana et al. 2012b, 423. Lo scavo, situato in via dei Livello, n. 3, è ancora inedito.
  41. Caimi et al. 1994; Bianco et al. 1996-1997; Busana et al. 2012b, 423-424. Lo scavo è stato condotto in via C. Battisti, n. 132.
  42. Rigoni 1988; Busana et al. 2012b, 424.
  43. Busana et al. 2012b, 406-408; Basso et al. 2015.
  44. Busana et al. 2012b, 405-406.
  45. Busana et al. 2015, 29; Busana et al. c.s.
  46. Busana et al. c.s.
  47. Progetto di Ateneo “Textile Roman Archaeology: Methods and Analysis. Tools, technology, products” (TRAMA) (CPDA142705/14). Per i primi risultati, si veda Busana & Gleba 2018.
  48. Médard et al. 2011; Ead. 2020.
  49. Galli et al. 2018.
  50. Gleba 2012, 331.
  51. Le analisi al SEM sono state condotte da M. Gleba presso il Mac Donald Institute for Archaeological Research dell’Università di Cambridge (UK).
  52. Busana & Gleba 2018.
  53. Ruta & Gleba 2018.
  54. Tale ipotesi era stata formulata da A. Prosdocimi, uno studioso di Este, agli inizi del ‘900, ma sulla base di una iconografia presente su una stele funeraria (Busana 2017).
  55. Progetto Cariparo – Starting Grants “LANIFICA: The role of women in Roman Textile Manufacturing: the evidences given by funerary contexts of Northern Italy and North-Western Provinces” (Bando 2015).
  56. Rossi 2018.
  57. Larsson-Lovén 1998.
  58. Gamba et al. 2020.
  59. I risultati di questo nuovo progetto relativo alla documentazione del Veneto romano sono stati recentemente presentati al VII Purpureae Vestes International Symposium, tenutosi a Granada (Spagna) il 2-5 ottobre 2019 (Busana & Rossi 2020; Rossi et al. 2020).
ISBN html : 978-2-35613-407-3
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Article de colloque
EAN html : 9782356134073
ISBN html : 978-2-35613-407-3
ISBN pdf : 978-2-35613-408-0
ISSN : 2741-1818
Posté le 30/07/2021
20 p.
Code CLIL : 4117 ; 3385
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Licence ouverte Etalab

Comment citer

Busana, Maria Stella (2021) : “Produzione tessile nella Venetia romana: dagli strumenti ai tessuti”, in : Rigato, Daniela, Mongardi, Manuela, Vitelli Casella, Mattia, a cura di Adriatlas 4. Produzioni artigianali in area adriatica: manufatti, ateliers e attori (III sec. a.C. – V sec. d.C.), Pessac, Ausonius éditions, collection PrimaLun@ 8, 2021, 323-342, [En ligne] https://una-editions.fr/produzione-tessile-nella-venetia-romana/ [consulté le 23 juillet 2021].
doi.org/10.46608/primaluna8.9782356134073.19
Illustration de couverture • Particolare della stele del faber P. Longidienus, Museo Nazionale di Ravenna. DOI
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