La terrazza superiore del complesso architettonico, denominata anche “Recinto di Culto”, in quanto temenos del tempio che doveva occuparne l’area centrale1, definisce la parte più alta della collina della città. La piazza rettangolare, porticata su tre lati, si estende per circa 2 h (fig. 5). Il braccio nord del portico, della lunghezza di circa m 133, presenta agli estremi due esedre semicircolari, mentre nella parte centrale, in corrispondenza con l’asse di simmetria di tutto il complesso, si apre una grande sala rettangolare detta anche sala axial. A circa metà dell’ala orientale e occidentale, dalla lunghezza di circa m 156, si collocano due esedre rettangolari. Nella parte meridionale della terrazza una grande scalinata centrale, due rampe di scale laterali e, agli estremi, due cosiddette torri assicurano l’accesso alla piazza intermedia.
Il reimpiego delle strutture della terrazza superiore già a partire da epoca tardo-antica, ha fatto sì che queste risultino completamente integrate all’interno dell’odierna trama urbana. Appare dunque complesso immaginare quale fosse l’estensione della terrazza che doveva svilupparsi dall’attuale Seminari Pontifici di Tarragona fino al tratto più meridionale del C/Mayor. Tuttavia, proprio il perpetuarsi di alcuni elementi quali la cattedrale della città edificata al di sopra del tempio romano oppure la grande scalinata di accesso al Plau de la Seu, sede della cattedrale, restano indizi che aiutano a restituire l’immagine di un complesso architettonico dalle caratteristiche eccezionali.
L’architettura del cosiddetto Foro Provinciale di epoca romana restò inalterata almeno fino al secondo quarto del V secolo d.C2, momento a partire dal quale nell’area si installó l’episcopium visigoto che si mantenne in uso fino all’occupazione arabo-mussulmana. Importantissimi a questo proposito sono i resti conservati nel Col·legi d’Arquitectes de Catalunya, corrispondenti al lato orientale del portico del Recinto di Culto, dove si documenta la costruzione di un nuovo edificio, tra il 475 e il 525 d.C., probabilmente l’episcopium della città visigota3, che si addossa alle strutture romane e ne riutilizza i materiali4.
Sarà poi in epoca medievale, con la realizzazione della cattedrale, che l’antica area forense di epoca romana riacquisterà il suo ruolo di spazio privilegiato della città5.
La piazza porticata
L’orografia del promontorio collinare impose, per la creazione della terrazza superiore, la modellazione del contesto naturale con un imponente sforzo costruttivo. I lavori per la preparazione del terreno furono condotti in maniera diametralmente opposta nei due lati della terrazza. La parte occidentale e settentrionale richiese un’intensa attività di sbancamento dovuta alla presenza di affioramenti rocciosi che, soprattutto nella parte più settentrionale, raggiungono tutt’oggi un livello di quota molto elevato. Nella parte orientale, invece, dove la pendenza collinare aumenta gradatamente procedendo da nord a sud, furono necessarie opere di terrazzamento per creare il piano di circolazione della piazza.
Le strutture dell’ala settentrionale e occidentale della terrazza poggiano su fondazioni continue scavate in trincea realizzate rispettivamente con una e due filari di blocchi disposti di testa e come una sorta di gradini privi di un allineamento verticale, che poggiano direttamente sul banco roccioso (fig. 6a-b). Ancora oggi, negli ambienti del chiostro della cattedrale, si può apprezzare il livello di quota elevato della roccia (fig. 6b). L’altezza media dei filari di blocchi è di circa m 0,55/0,56. All’interno del riempimento costruttivo della trincea sono state documentate numerosissime schegge di marmo derivanti dalla rifinitura dei materiali appartenenti alla decorazione architettonica e parietale6. Tali schegge coprivano un impressionante accumulo di grandi pietre di forma irregolare, collocate a coprire l’altezza delle due file di blocchi della fondazione del muro. Si tratta di un sistema finalizzato ad agevolare la filtrazione delle acque pluviali e quindi il drenaggio della zona7. Tra le pietre di grandi dimensioni è stata rinvenuta anche una grande quantità di schegge derivante dai lavori di regolarizzazione della roccia e dalla rifinitura dei blocchi.
La pendenza accentuata nella parte orientale della piazza, che aumenta da nord verso sud, rende necessaria la realizzazione di una fondazione che nella parte più settentrionale si costruisce in blocchi, ma che, nella parte meridionale, si converte in opus quadratum associato a un muro in conglomerato con paramento di blocchetti in pietra di Santa Tecla/llisós8. Nella parte settentrionale la struttura raggiunge uno spessore compreso tra i m 1,20 e 1,30 sporgendo di circa m 0,25 rispetto al muro d’alzato della piazza porticata. Il tratto di fondazione in opus quadratum, documentato per una lunghezza di m 19, presenta nella parte iniziale quattro file di blocchi che aumentano progressivamente con l’incremento della pendenza della collina (fig. 7). Tra i blocchi di fondazione, conservati nell’attuale Col·legi d’Arquitectes de Catalunya (COAC), è stata rinvenuta un’iscrizione reimpiegata, interpretata come appartenente a un monumento funerario e datata, a partire dall’analisi epigrafica, a epoca tardo-repubblicana (fig. 7)9.
Giunti quasi in corrispondenza dell’esedra rettangolare, il dislivello collinare si enfatizza a tal punto da imporre un cambio nella tecnica costruttiva impiegata. In questo punto, infatti, essendo necessario l’innalzamento di quota per ottenere il livello di calpestio della piazza, si realizzano fondazioni fuori terra con alla base due file di blocchi e nella parte superiore un alzato in conglomerato rivestito da un paramento di blocchetti più o meno regolari in pietra di Santa Tecla/llisós10. Si tratta di una soluzione abbastanza frequente in strutture costruite in zone di elevata pendenza11. Il settore in cui risulta ancora visibile tale soluzione costruttiva (fig. 8a-b), attualmente ubicato nella sede del Consell Comarcal del Tarragonès, conserva inoltre parte della fondazione dell’angolo settentrionale dell’esedra rettangolare, dall’ampiezza di m 7,63 e lunghezza m 4,60, che si apre in questo lato della piazza (fig. 8c). Della stessa esedra si conserva anche parte dell’angolo meridionale12. Un’ulteriore porzione della fondazione è stata documentata nel corso di recenti interventi archeologici, dove una muratura costruita con la stessa tecnica edilizia poggia direttamente sul banco roccioso13. Restano superstiti anche resti del muro d’alzato dell’angolo meridionale dell’esedra in cui si distinguono i blocchi che fuoriescono e che ammorsavano con il muro perpendicolare (fig. 9). Un’esedra identica a questa, in forma e dimensioni, doveva ubicarsi nel lato opposto della piazza, anche se sfortunatamente non si documenta alcun resto al riguardo.
Dei muri d’alzato dei tre bracci del porticato della terrazza si conserva una porzione equivalente a circa metà dell’ala occidentale, all’estremo ovest del braccio settentrionale e a porzioni cadenzate lungo il lato orientale (tavv. 1; 2; 3). Si tratta di murature dallo spessore di circa m 0,85, realizzate con filari di blocchi disposti a secco e posizionati di taglio, con un’altezza media tra m 0,56 e 0,59, per il cui sollevamento viene impiegata l’olivella, come testimoniato dalle impronte in negativo sul piano d’attesa dei pezzi. I blocchi sono sistemati nella loro posizione definitiva con l’uso di leve, come attestano tracce in negativo sui bordi della faccia a vista dei blocchi (fig. 10a). Questo dettaglio mette in evidenza come tale operazione fosse realizzata da ponteggi, a differenza di quanto avviene nel caso della terrazza intermedia, come si vedrà nei capitoli successivi, dove il maggiore spessore delle murature permette di effettuare queste operazioni posizionandosi al di sopra delle murature stesse. Infine, per il collegamento dei blocchi lapidei sul piano orizzontale vengono impiegate grappe a doppia coda di rondine (fig. 10b). Gli alzati del portico attualmente si conservano per un’altezza massima di m 9,4014 e sono intervallati da finestre che misurano tra i m 2,10 e 2,15 di ampiezza e che si aprono con una cadenza che varia tra i m 5,13 e 5,3015.
Del lato nord della terrazza si conserva, nel settore occidentale, il paramento esterno del muro perimetrale del portico, attualmente incluso nel chiostro della cattedrale, nonché due delle finestre (fig. 11; tav. 1). Ai due estremi di questo lato si aprono due esedre semicircolari. L’esedra occidentale conserva parte dell’accesso, ovvero resti del paramento esterno di un arco ribassato in conci di blocchi pentagonali sui cui piedritti è possibile notare le impronte in negativo dei blocchi spoliati, che ammorsavano con il muro semicircolare (fig. 12). Gli interventi archeologici condotti recentemente in questo settore16 hanno permesso di confermare la forma semicircolare della fondazione dell’esedra, documentando inoltre lo strato di preparazione del pavimento e l’impronta delle lastre decorative (fig. 13), di cui alcune ancora in situ, in marmo di LuniCarrara in corrispondenza della soglia d’entrata. Si rileva in questa stessa zona la presenza di un elemento grossolanamente lavorato nella roccia con forma circolare che però non si trova sull’allineamento del muro semicircolare dell’esedra, ma in posizione esterna a questo (fig. 14).
Dell’esedra che si apriva all’estremo orientale del portico nord poco si conserva. Negli anni ’80 del secolo scorso T. Hauschild ne localizzò l’angolo orientale17, di cui tuttora è visibile il paramento interno (fig. 15). Durante questi stessi scavi lo studioso tedesco individuò anche parte del paramento interno del portico orientale, sul quale si attestano i fori da grappa della decorazione parietale, nonché un accesso verso l’esterno del recinto. L’apertura, di cui oggi solo si conserva il sistema di copertura architravato18 (fig. 38), mette in luce una questione da tempo discussa, ovvero l’esistenza di strutture o di una zona comunque fruibile nel settore esterno al lato orientale del Recinto di Culto. Questi dati assumono ancora più valore se relazionati alle informazioni provenienti dagli scavi realizzati nel settore del portico orientale, adiacente a questa zona, corrispondente all’attuale Col·legi Oficial d’Arquitectes de Catalunya (COAC). In quest’area, oggetto di diversi interventi archeologici19 si conserva, come si è visto, parte della fondazione in blocchi e del paramento esterno del muro perimetrale della piazza che include una delle finestre (fig. 7). Nel corso degli scavi condotti nel 198420 sul versante esterno alla piazza, giungendo fino al C/S. Llorenç, non si attestò nessun tipo di struttura21. Tuttavia, si documentò uno strato di riempimento associato alla costruzione del recinto, sul quale poggiava un pavimento realizzato quasi certamente con lastroni marmorei, fissati al muro d’alzato tramite l’uso di perni metallici di cui restano visibili le tracce in negativo dei fori da grappa22 (fig. 16). Sebbene in assenza di ulteriori dati archeologici risulta complesso formulare ipotesi sulla sistemazione architettonico-costruttiva di quest’area esterna alla terrazza superiore, un altro tassello da aggiungere alla questione è, come si vedrà nel capitolo dedicato alla cosiddetta Torre del Pretori, la presenza di una porta ubicata nel lato nord dell’edificio che darebbe accesso a questo stesso spazio esterno al Foro Provinciale. Tale accesso, unitariamente all’esistenza del passaggio verso l’esterno del portico orientale, non lascia dubbi sulla fruibilità di una zona ben definita e delimitata tra il monumento di età imperiale e il circuito murario della città.
La fattura dei blocchi nel paramento esterno del muro d’alzato di tutto il perimetro porticato è realizzato con un bugnato piuttosto irregolare (tavv. 1; 2; 3). L’intento era ovviamente quello di assicurare un notevole risparmio nelle tempistiche del lavoro e dunque delle risorse economiche, evitando una lisciatura dei blocchi che non era necessaria al trattarsi di un paramento non a vista. Tuttavia, si può rilevare come la fattura finale dei blocchi risulti perfettamente adeguata alla superficie irregolare che caratterizza anche gli elementi in pietra calcarea delle mura cittadine, all’interno delle quali le terrazze di epoca imperiale si inseriscono, ricostruendo in certo modo una sorta di paesaggio architettonico uniforme.
Nel paramento interno il bugnato invece viene eliminato, la superficie è regolarizzata e presenta numerosi fori da grappa rettangolari sparsi in maniera irregolare. I paramenti su cui attualmente si conservano tracce di fori da grappa fanno riferimento tanto al muro del portico occidentale (fig. 17) che a quello orientale (figg. 15; 18). Le tracce dei fori, all’interno dei quali era incastrato un ferro di sezione quadrangolare, che poi piegato ad angolo retto entrava nelle giunture delle lastre, sono di massima importanza per ipotizzare la presenza di una decorazione parietale, probabilmente di lastre marmoree. Sono numerosi gli esempi nel mondo romano in cui è possibile ricostruire l’originaria presenza di crustae marmorum a partire dalle impronte in negativo lasciate dai fori da grappa, disposti in maniera abbastanza regolare e in grado di ripetere più o meno fedelmente il disegno della decorazione. Basti pensare all’aula del Colosso nel Foro di Augusto a Roma23, alla Forma Urbis Severiana ubicata in una delle aule del Templum Pacis, oppure alla facciata interna del portico nord-ovest e nord-est del foro severiano di Leptis Magna24 o del muro nord e sud della basilica severiana della stessa città25 in cui i fori da grappa delineano forme rettangolari estremamente regolari26. Nel caso tarragonese, purtroppo, l’estrema irregolarità nella disposizione dei fori, quasi caotica, non permette di proporre un possibile schema della decorazione, motivo per cui è possibile effettuare solo osservazioni a livello generale. Difatti, il complesso processo di stratificazione del monumento durato secoli, con un’evoluzione costruttiva e architettonica che a partire da epoca antica si protrae fino a età moderna, potrebbe aver inciso in maniera determinante sull’aspetto attuale delle tracce in questione.
Il paramento su cui i fori da grappa per un possibile rivestimento parietale si conservano su una superficie più estesa, pari a circa m 9,22 di altezza, fa riferimento al lato occidentale della piazza, attualmente incluso nella sala dell’Antic Refectori del Museu Diocesà di Tarragona (figg. 17; 19a). Sul paramento si può distinguere chiaramente una partizione orizzontale di possibili fasce e bande di maggiore dimensione (fig. 19b), sebbene, in alcune zone, soprattutto a sinistra dell’apertura della finestra, la presenza di fori risulti sporadica dovuta all’assenza di materiali originali e al rimaneggiamento della struttura in epoche successive. È quanto accade, ad esempio, nella parte inferiore del paramento, dove solo a destra si distingue una sottile fascetta (m 0,25) sormontata da una banda più alta. Nella restante parte della superficie si alternano bande orizzontali di altezza diversa (di cui alcune sembrano ripetere una dimensione tra m 0,17 e 0,19, assimilabile quindi a circa 2/3 del piede romano) a fascette più sottili. È possibile notare come la linea inferiore dei conci della piattabanda della finestra corrisponda a una delle linee orizzontali definite dai fori. Difatti, la dimensione delle lastre doveva essere stata certamente calcolata tenendo in considerazione l’allineamento definito dall’apertura finestrata per evitare di dover ritagliare i riquadri marmorei e adattarli alla presenza della finestra.
In assenza di contesti di rinvenimenti marmorei chiaramente associabili ai paramenti in oggetto, risulta evidente come non sia possibile proporre alcun tipo di restituzione che includa i tipi di marmi impiegati. Tuttavia, resta importante tenere presente le notizie provenienti dallo scavo effettuato nel 2002 presso la scuola Jaume I27 in concomitanza con la costruzione di un parcheggio e corrispondente all’area esterna all’angolo nord-orientale dell’antico Recinto di Culto28. In questa occasione furono rinvenuti numerosi frammenti di marmo (circa 4.500) appartenenti principalmente a lastre, e interpretati come destinati alla decorazione parietale o alla fattura di pavimenti, nonché altri pezzi riferibili a cornici, fregi o parti di fusto di colonna. Circa il 75% delle lastre apparteneva a pregiati marmi di importazione, in particolar modo a marmo cipollino (marmor Carystium), africano (marmor Luculleum), pavonazzetto (marmor Docimium) e giallo antico (marmor Numidicum)29. Nonostante l’esiguità e frammentarietà dei pezzi, il loro spessore uniforme e soprattutto la vicinanza del sito di ritrovamento alla terrazza superiore del complesso architettonico di epoca imperiale, induce a ipotizzarne la provenienza da questo stesso edificio. Tuttavia, risulta difficile definire se i materiali appartenessero a elementi decorativi propri degli spazi porticati della piazza o degli alzati della cosiddetta sala assiale su cui si ritornerà più avanti30. Ad ogni modo, non risulta improbabile che le lastre rinvenute appartenessero a decorazioni parietali più che a pavimentazione, considerando il rinvenimento tanto nella sala assiale che nell’esedra semicircolare ovest del lato nord della terrazza, di lastroni di pavimentazione in situ in marmo di Luni-Carrara31.
Il muro d’alzato in grandi blocchi, decorato con crustae marmorum cadenzate da aperture finestrate delimita un portico, con fronte colonnato su tre lati (occidentale, settentrionale e orientale), in riferimento al quale il rinvenimento della fondazione32 ha permesso di definirne un’ampiezza di circa m 9. Le strutture poggiano su una fondazione scavata nella roccia la cui superficie viene resa liscia per l’allettamento di uno strato di conglomerato al
di sopra del quale si sovrappone una struttura in blocchi (probabilmente composta da due filari)33. La presenza di parte della muratura costruita in opus quadratum denota la necessità di realizzare una struttura solida a sostegno del colonnato e della copertura del portico. Nella zona antistante la fondazione del fronte colonnato è stato documentato parte del canale per lo smaltimento delle acque meteoriche e, in particolare con riferimento al lato settentrionale della piazza, negli anni ’6034 del secolo scorso si rinvenne una porzione della canalizzazione coperta da grandi lastroni35.
La realizzazione di proposte interpretative relative alla ricostruzione del colonnato e della decorazione architettonica del portico della terrazza superiore è stata alimentata negli ultimi decenni dal rinvenimento di numerosi frammenti di decorazione che tuttavia non aiutano ancora a comprendere in maniera esaustiva l’aspetto del monumento, lasciando la questione aperta al dibattito.
La grande maggioranza del materiale rinvenuto fa riferimento a elementi decorativi realizzati in marmo bianco di Luni-Carrara, tra cui fusti di colonne, capitelli e frammenti di fregio. Le prime notizie relative a tali materiali provengono dagli scritti di L. Pons d’Icart36, il quale fa menzione, per la prima volta, all’esistenza di parti di un fregio con ghirlande e bucrani. Difatti durante i lavori effettuati presso la cattedrale37 furono rinvenuti frammenti del fregio, poi inseriti nel muro del chiostro dell’edificio religioso in occasione della visita della famiglia reale a Tarragona nel 180238 (fig. 20). Nel 1883, durante i lavori per la costruzione del nuovo seminario dietro la cattedrale, furono rinvenuti anche i frammenti dei noti clipei con raffigurazione di Giove-Ammone39, interpretati per la prima volta da T. Hauschild come parte della decorazione dell’attico del portico che circondava il cosiddetto Recinto di Culto40.
L’analisi dell’apparato decorativo del porticato si vincola strettamente alla proposta della restituzione architettonica. È bene ribadire come i frammenti di decorazione delle strutture della terrazza superiore presentino ancora numerosi problemi interpretativi, dovuti al rinvenimento di materiali spesso estremamente frammentari, ma soprattutto decontestualizzati e dunque privi di informazioni stratigrafiche.
Il primo studio sistematico sulla decorazione della terrazza superiore, e la conseguente restituzione architettonica, è stato quello di P. Pensabene e R. Mar41, pubblicato nel 1993. L’analisi stilistica dei pezzi permise di mettere in relazione i vari elementi con i possibili edifici di appartenenza così come di individuare la presenza di distinte officinae che avevano lavorato alla realizzazione del complesso tarragonese. Per l’elaborazione della proposta ricostruttiva del portico, poi ripresa anche in una pubblicazione del 2015, R. Mar42 utilizza come riferimento la documentazione grafica realizzata da T. Hauschild, in particolare quella relativa al settore ovest dell’ala nord del portico. In questa zona infatti si conservano due delle aperture finestrate che si aprono nel muro di fondo perimetrale e un arco ribassato che dava accesso all’esedra semicircolare (fig. 21). In base a tale documentazione viene calcolata l’altezza della linea d’imposta della copertura del corridoio porticato, per la quale viene proposta la presenza di una falsa volta (fig. 22). Le colonne del portico vengono ricostruite con base composita43 in marmo bianco con alto plinto su cui poggiano un toro separato da una scozia per mezzo di un listello, un listello centrale lavorato con due tondini a cui seguono una scozia e un toro separati da listello liscio (fig. 23a). Il fusto, anch’esso in marmo bianco, era scanalato nella parte inferiore (fig. 23b), il capitello composito, infine, presenta due corone di foglie d’acanto tra cui, nella parte superiore, nascono viticci fioriti che terminano in una rosetta a cinque petali, mentre l’echino è decorato con un kyma ionico caratterizzato da ovuli alternati a lancette44 (fig. 23c). La misura totale del capitello, ibrido tra ordine ionico e corinzio, è pari a m 0,90. La colonna sarebbe sormontata da una trabeazione che, in base agli elementi architettonici rinvenuti, sarebbe composta da un architrave liscio a tre fasce, un fregio a onde, convergenti verso il centro, disposte secondo il motivo del “can corrente”45 (fig. 23d) e una cornice, il tutto coronato da un attico.
La questione relativa alla decorazione dell’attico del portico della terrazza superiore ha attirato nuovamente l’attenzione degli studiosi negli ultimi anni, con nuove ricostruzioni che alimentano il dibattito scientifico. L’attico era decorato con clipei, inclusi all’interno di specchiature quadrangolari, con testa di Giove-Ammone (fig. 24) di cui si attestano almeno tre tipi: uno con incorniciatura a perline, tralcio stilizzato e treccia, uno con incorniciatura a perline, strigilature arcuate e treccia e infine uno simile a quest’ultimo tipo ma con strigilature rettilinee. Si noti come nel caso tarragonese il pezzo fosse realizzato in un’unica lastra, a differenza dei clipei provenienti ad esempio dal Foro di Pozzuoli o dal Foro di Augusto a Roma, dove le protomi erano lavorate separatamente e inserite con l’ausilio di grappe46. Risulta celebre e ormai ben noto come tale riferimento iconografico si inserisca all’interno di tutto un filone simbolico-celebrativo che trova il suo punto di irradiazione nel Foro di Augusto, filone che rientra nei progetti costruttivi definiti di imitatio urbis, portati avanti in particolar modo dalle capitali delle province iberiche, ma che in realtà ripropongono temi presenti nell’Urbs sempre con varianti ed elementi originali. Non sarà quindi approfondita in questa sede la relazione e il contenuto politico-propagandistico, quasi mediatico, che le province d’Occidente si prefiggono nel riproporre gli elementi presenti nel monumento augusteo di Roma, con il fine di attribuirsi una solenne auctoritas e fornire legittimità e garanzia agli atti di governo e ai decreti emanati nel nome dell’imperatore.
Nel caso di Tarragona, nell’ambito del riferimento iconografico all’Urbs, uno dei primi problemi che ha posto la ricostruzione della decorazione dell’attico del portico del cosiddetto Recinto di Culto, è stato l’assenza di rinvenimenti di cariatidi. Queste infatti si alternano alle imagines clipeatae nel Foro di Augusto e non solo, basti vedere l’esempio di altri centri che ripropongono la stessa sequenza figurativa come la colonia Augusta Emerita, dove le cariatidi si alternano a immagini di Giove-Ammone e di Gorgone o il Foro di Pozzuoli.
Una soluzione a tale divergenza fu brillantemente avanzata nel 1993 da R. Mar, il quale elaborò la prima proposta ricostruttiva dell’attico del portico della terrazza superiore di Tarraco alternando ai clipei lastre decorate con un candelabro vegetale, incorniciate da un kyma lesbico continuo (fig. 25a). La prima ricostruzione47 prevedeva la disposizione di lastre e clipei in maniera alternata, con quest’ultimi posizionati in corrispondenza delle colonne, il cui intercolunnio è stato ricostruito come pari a m 3,70. Difatti, la presenza delle finestre che si aprono a cadenza regolare, ha permesso di ipotizzare la posizione di ognuna delle aperture tra due colonne. Tale restituzione fu poi corretta dallo stesso autore nelle pubblicazioni successive48, spostando le lastre con candelabro in corrispondenza dell’interasse della colonna e posizionando tra gli intercolunni due clipei alternati a un’ulteriore lastra con candelabro (fig. 25b).
Due studi recenti realizzati rispettivamente da A. Peña49 e da P. Pensabene e J. Domingo50, hanno però messo in discussione tale proposta ricostruttiva.
Nella pubblicazione di A. Peña, l’autore riconsidera in maniera scrupolosa la dimensione dei vari elementi decorativi dell’attico mettendo in evidenza delle problematiche nei calcoli effettuati da R. Mar. Partendo dal presupposto che le specchiature quadrangolari in cui si inseriscono i clipei hanno una dimensione pari a m 1,6051, e non 1,50 come proposto nella ricostruzione precedente, che la base delle lastre con candelabro ha una misura di m 0,6052 e che l’intercolunnio è di m 3,70, la proposta di R. Mar appare effettivamente errata. Difatti accettando che la lastra fosse posizionata in asse con la colonna e che i due elementi decorativi, lastra e clipeo, componessero una sequenza in cui si alternano, non vi sarebbe spazio a sufficienza per posizionare nell’intercolunnio due imagines clipeatae e una lastra come nella ricostruzione di Mar nell’ultima versione del 2015. Allo stesso modo, come rilevato da A. Peña, inserendo un solo clipeo nell’intercolunnio la distanza tra questo e le lastre risulterebbe di m 0,75, dimensione giudicata eccessiva dall’autore53. Effettivamente, negli esempi noti, come il Foro di Augusto54, il Foro di Traiano55 o l’area sacra di Merida56, le misure documentate non superano i m 0,35/0,40. In base a tali affermazioni, Peña elabora una nuova proposta in cui dispone due lastre con candelabro sull’interasse della colonna e un clipeo nell’intercolunnio (fig. 26). A favore di questa ipotesi l’autore cita differenti esempi provenienti dalla Gallia, soprattutto da Arles, Avenches e Nyon in cui si rinvengono placche quadrangolari dove al clipeo con immagine di Giove-Ammone o di una divinità maschile, si affianca ad ambo i lati un candelabro. Bisogna tuttavia rilevare come in alcuni di questi esempi galli esistano pareri discordanti sull’ubicazione delle lastre, come nel caso di Avenches, in cui alcuni degli studiosi posizionano gli elementi a decorazione del podio del tempio57 e non dell’attico.
A presentare recentemente un’ulteriore ipotesi ricostruttiva sono stati P. Pensabene e J. Domingo. All’interno dello studio vengono presi in considerazione, come elemento di novità, alcuni ritrovamenti in marmo di Luni-Carrara, rinvenuti durante gli scavi condotti nel settore nord-ovest della piazza di culto58, a cui si aggiungono nuovi frammenti identificati presso la Coleción Molas del Museu d’Història de Tarragona (MHT), interpretati come possibili frammenti di un peplum59 di figure femminili. Gli autori, ricostruendo le figure sulla base del modello del foro di Merida (fig. 27), propongono dunque uno schema decorativo dell’attico che prevede la disposizione di cariatidi su colonne, intercalate da clipei (fig. 28). A questo punto resterebbe ancora da chiarire l’attribuzione delle lastre con candelabro60, di cui gli autori aggiornano le misure a m 0,7561, ma purtroppo le notizie risultano insufficienti al momento per proporne una nuova collocazione. Si rileva che il controllo delle misure delle lastre con candelabro effettuato da chi scrive ha permesso di stabilire un’ampiezza dell’elemento decorativo pari a circa m 0,63 (fig. 29).
Senza dubbio va rimarcato come le due recenti pubblicazioni, che includono riflessioni sulla decorazione dell’attico della terrazza superiore, abbiano avuto il merito di rimettere in discussione una tematica ricca ancora di problemi insoluti.
Fermo restando che il posizionamento di due candelabri al di sopra della colonna proposto da A. Peña risulti visivamente poco convincente, rimane comunque un’ipotesi da tenere in considerazione. Un’ulteriore proposta, valutata anche da P. Pensabene e J. Domingo e da chi scrive, sarebbe quella secondo cui, alle misure aggiornate dei clipei vada aggiunta un’incorniciatura ai quattro lati della lastra, così come avviene nel Foro di Augusto a Roma in cui una fascia liscia esterna, seguita da un kyma lesbico trilobato raccordato ai quattro angoli da una foglia, incorniciava i pannelli62. Ritornando ai calcoli realizzati da A. Peña, se le specchiature dei clipei fossero state ulteriormente decorate da una incorniciatura, la distanza tra la lastra e candelabri si ridurrebbe a circa m 0,50/0,55, una misura certamente maggiore rispetto ad altri esempi, ma comunque accettabile nella sequenza proposta. È da tenere comunque in considerazione che questi calcoli sono stati effettuati a partire dall’intervallo maggiore esistente in ampiezza tra le finestre documentate, ovvero m 5,30. Tuttavia, nel settore nord-occidentale la cadenza si restringe a m 5,13, dunque ricalibrando anche l’interasse delle colonne e il posizionamento degli elementi decorativi dell’attico, la distanza tra lastre e candelabri sarebbe ulteriormente diminuita. In base alle osservazioni proposte, risulterebbe quindi possibile mantenere la collocazione della lastra con candelabro in linea con la colonna, in una prosecuzione quasi naturale con questa, contribuendone a una visione più slanciata.
I punti oscuri nella ricostruzione della decorazione dell’attico restano comunque ancora numerosi. Un elemento sempre insinuato nella storia degli studi, ma forse mai realmente considerato fino in fondo, è la presenza, oltre ai clipei con la raffigurazione di Giove-Ammone, di clipei con protomi di Medusa. Nel 1990 E. Koppel63 descrive infatti un frammento di rilievo di una testa conservata presso il MNAT (inv. 504) le cui dimensioni concordano approssimativamente con quelle delle altre teste ascrivibili alla rappresentazione di Giove-Ammone64 (fig. 30a). Il frammento appare rappresentato in manoscritti del XVIII e XIX secolo65 e l’autrice cita anche la possibilità che si tratti di una delle sculture menzionate da L. Pons d’Icart66 (fig. 30b). Si conserva la metà superiore della testa, anche se è mancante gran parte della guancia destra. Nonostante la frammentarietà del pezzo, è possibile notare come questo sia privo delle corna di ariete che, prendendo come confronto le altre protomi conservate, sarebbero visibili già a partire dall’altezza del sopracciglio. Si rileva anche l’assoluta assenza di baffi che nella porzione conservata, tra naso e solco al di sotto della guancia, sarebbero dovuti essere presenti se si fosse trattato della stessa tipologia maschile rappresentata nei clipei già noti. La capigliatura consiste in sottili ciuffi ondulati, resi in maniera marcatamente separata l’una dall’altra, che incorniciano la fronte (fig. 30c). Lo stesso P. Pensabene mette in evidenza il trattamento notevolmente diverso degli occhi e dei capelli di questo elemento di decorazione rispetto alle teste di Giove-Ammone67. A questo pezzo vanno aggiunti poi altri due frammenti in marmo bianco di Luni-Carrara, in cui si conservano parte dell’incorniciatura del clipeo con strigilature rettilinee e parte della capigliatura nel lato sinistro della protome (fig. 31). In entrambi i pezzi è mancante l’incorniciatura a perline. Quest’ultimo dettaglio, unito alla presenza di incisioni verticali in prossimità delle ciocche di capelli, aveva fatto ipotizzare che uno dei due frammenti (fig. 31a) potesse essere un elemento ancora in corso di lavorazione68. Difatti parte della superficie del clipeo appare come semplicemente sbozzata, un dato che sembra coincidere con le informazioni di scavo che rilevano come l’elemento architettonico fosse stato trovato all’interno dei livelli di costruzione del muro che circonda la piazza superiore. Risulta dunque plausibile che il pezzo fosse stato scartato e non fosse mai giunto a essere utilizzato. Ad ogni modo l’assenza di una decorazione a perline si attesta anche nel secondo frammento (fig. 31b) in cui le ciocche della capigliatura, ben distinte l’una dall’altra dall’accentuata profondità creata dalla lavorazione a trapano, restano a contatto con l’incorniciatura con strigilature e anzi nella porzione superiore vi si sovrappongono enfatizzando l’effetto tridimensionale. In base ai dati presentati sembra dunque plausibile proporre una ricostruzione dell’apparato decorativo dell’attico del portico in cui a clipei con raffigurazione di Giove-Ammone si alternerebbero protomi di Medusa (fig. 32; tav. 4).
A coronare l’attico sembra possibile ipotizzare la presenza di una cornice in cui la prima modanatura è costituita da un kyma ionico a ovuli contenuti in sgusci ampi e profondi dai margini sottili69. Questi sono separati da lancette, con la lunga cuspide leggermente ingrossata rispetto all’asta. Seguono un astragalo a fusarole biconvesse e spesse perline ovoidali e una serie di dentelli quasi quadrati, senza elemento di unione e con una distanza tra loro pari a circa la metà della rispettiva larghezza. La modanatura inferiore è costituita da un kyma lesbico trilobato con gli archetti dal nastro a sezione angolare, contenenti calici e separati da fiori di tulipano.
Infine i blocchi del coronamento avrebbero presentato una pendenza per permettere lo scorrimento delle acque piovane verso la gronda anteriore. Tra i materiali rinvenuti nel settore nord-ovest della piazza, si mette in evidenza la presenza di un frammento di cornice decorato con baccellature concave alternate ad aste e nella parte inferiore una fascia liscia. Nella parte posteriore il blocco presenta un alloggiamento ricavato grossolanamente a subbia per un canale che permetteva il deflusso dell’acqua piovana70 (fig. 33). Infine l’acqua piovana sarebbe stata canalizzata ed espulsa probabilmente tramite gocciolatoi.
Per ciò che riguarda la copertura, come si è fatto menzione, è stata proposta la presenza di un tetto ligneo mascherato da falsa volta (fig. 22), cosi come ricostruito nel Foro Di Augusto o nel Foro di Traiano a Roma. Facendo un passo indietro e ritornando alla documentazione di T. Hauschild relativa all’ala nord del portico, bisogna sottolineare innanzitutto come questa si riferisca al paramento esterno del muro perimetrale e non a quello interno che in questo settore non è conservato71. Si tratta di un elemento non trascurabile in quanto, come descritto anteriormente, la facciata interna del muro di fondo del portico era decorata con lastre marmoree la cui presenza è deducibile dai fori da grappa ancora visibili sulla supeficie dei blocchi (figg. 17; 19). Al momento di ipotizzare l’altezza a cui poteva posizionarsi il piano di imposta della copertura, dunque, oltre alla presenza di finestre e di aperture quali archi o porte, è fondamentale tenere in considerazione la presenza delle tracce relazionabili al rivestimento marmoreo. Prendendo come riferimento il settore occidentale del portico72 dove, come si è visto, i resti del muro d’alzato si conservano per un’altezza maggiore rispetto ad altre zone della piazza, è possibile stabilire che i fori da grappa si conservano almeno per un’altezza pari a m 9,22 (fig. 19b). Inoltre, sebbene la quota superiore di fondazione del muro non sia visibile in questo settore, possiamo comunque ricostruire la linea di pavimentazione originale, grosso modo corrispondente a quella attuale, a partire dai resti conservati pochi metri a nord, nella Casa dels Canonges, calcolando la distanza tra il livello inferiore della finestra (al di sopra del davanzale modanato) e l’inizio della fondazione. A partire da questa quota, se calcolassimo m 5 per l’imposta della copertura, come proposto nella ricostruzione di R. Mar, questa coinciderebbe con la parte centrale della piattabanda della finestra, lasciando quindi occulta buona parte del paramento superiore che invece doveva essere decorato. In base ai dati rilevati si propone invece di spostare l’imposta della volta a partire da un’altezza di m 9,22 (fig. 19), che, in base alle dimensioni proposte da P. Pensabene e J. Domingo73 per gli elementi architettonici del portico, corrisponderebbe esattamente anche con la parte inferiore dell’attico decorato74.
Purtroppo il paramento interno del muro perimetrale del portico non restituisce alcuna impronta relativa all’imposta dell’eventuale finta volta, anche se è possibile contemplare la presenza di una cornice, non conservata, sulla quale questa avrebbe poggiato. Ad ogni modo si ritiene che la mancanza di dati certi, non permetta di escludere completamente la presenza di una copertura piana, sebbene, anche in questo caso, la porzione di paramento conservata non restituisca impronte in negativo di alloggiamenti per le travi lignee.
Architravi e piattabande litiche in aperture di accesso e aperture finestrate
L’uso della pietra locale associata alla tecnica edilizia dell’opus quadratum risulta, soprattutto nel caso della terrazza superiore, uno dei caratteri distintivi dell’architettura del Foro Provinciale. A questo proposito, una trattazione particolare merita la fattura di architravi e piattabande litiche a copertura di aperture di accesso e aperture finestrate, realizzate in pietra calcarea. Lungo i lati porticati della piazza superiore sono conservate 8 aperture finestrate (5 sul lato occidentale75, 2 sul lato settentrionale76 ed 1 sul lato orientale77), e 2 aperture di accesso (figg. 34; 35; 36; tavv. 1; 2; 3).
Le aperture finestrate sono cadenzate nel perimetro del recinto sacro con una distanza che varia tra i m 5,30 e 5,13. Queste, con la funzione di punti di luce naturale del portico, si inseriscono sapientemente nelle murature, probabilmente decorate con marmi policromi, quasi fossero una sorta di quadretti. In realtà l’illuminazione del portico nel settore più settentrionale del lato occidentale e in tutto il lato nord, doveva essere certamente limitata dall’esterno, considerando che le strutture sono a poca distanza da affioramenti rocciosi che tuttora si trovano a una quota elevata (fig. 6b) e che dunque impediscono un adeguato passaggio di luce o un’apertura visiva su spazi esterni. L’illuminazione del perimetro porticato era dunque assicurata solo dalla luce che proveniva dalla piazza. Al contrario la componente visiva doveva essere un elemento integrante delle strutture architettoniche del lato orientale, dove le finestre davano probabilmente su una zona fruibile esterna alla piazza.
Le aperture finestrate sono realizzate tutte con il medesimo schema compositivo: nella parte inferiore un davanzale con alto listello e una modanatura a gola rovescia; nella parte superiore una piattabanda a cui si sovrappone un architrave, al di sopra del quale si collocano uno o due blocchi contigui di altezza ridotta rispetto al modulo impiegato per i filari del muro. Il davanzale modanato, composto da tre blocchi contigui, si conserva in situ solo in due delle finestre (figg. 34b; 35a; tavv. 1; 2) anche se, nell’area scavata presso la Casa dels Canònges, sono ancora visibili alcuni pezzi erratici probabilmente pertinenti alle aperture del settore occidentale del portico. Proprio sulla superficie di questi pezzi si attesta nella parte centrale il foro da sollevamento tramite olivella e nelle zone laterali tracce in negativo di grappe a U per il collegamento orizzontale dei blocchi. Non sembrano esservi invece testimonianze riguardanti la presenza di grate metalliche, come confermerebbe l’assenza di incassi per perni di fissaggio. Si attesta unicamente una fascia scalpellata intorno alle aperture, che però potrebbe riferirsi a una fase di reimpiego della struttura.
Il sistema di copertura delle finestre si realizza con una piattabanda a 5 conci la cui superficie è resa liscia tanto nel paramento interno del muro che in quello esterno. Sui conci restano visibili le tracce dei ferrei forfices per il sollevamento e la messa in posa, la cui inclinazione o posizionamento differente nella parte superiore del blocco denota il preciso calcolo geometrico, proprio di questo sistema di sollevamento78, che permette di collocare i pezzi con una inclinazione diversa a seconda del punto in cui il blocco veniva agganciato (figg. 34a, c, d, e, f; 36).
Le tracce restituiscono inoltre l’impiego di ferrei forfices di dimensioni differenti79.
Alla piattabanda si sovrappone un elemento architravato composto da un unico grande blocco. Si tratta di una soluzione strutturale abbastanza insolita. L’architrave infatti, come è noto, è un elemento architettonico capace di sopportare il proprio peso e quello della struttura soprastante con uno scarico delle forze che si avvicina alla verticale e che lo converte, soprattutto nel caso dei materiali lapidei, in un elemento spesso soggetto a deformazione o in casi estremi a frattura80. La piattabanda, invece, che staticamente funziona come un arco ribassato con freccia uguale a zero (fig. 36b), è spesso utilizzata, assieme all’arco di scarico, a protezione dell’architrave, con la finalità di direzionare e distribuire le forze che gravano sul blocco monolitico, liberandolo di conseguenza da queste. Nonostante ciò, nelle finestre della terrazza superiore questo schema strutturale viene invertito, facendo sì che nessuno dei due sistemi di copertura, l’architrave e la piattabanda, risultino liberi da cariche statiche. L’architrave, infatti, riceve la carica del suo proprio peso e della struttura sovrastante, scaricando le forze in direzione verticale, quindi sulla piattabanda, che allo stesso tempo le distribuisce sui conci d’imposta e sui piedritti della finestra. Entrambi i sistemi di copertura sembrano in questo caso relazionarsi tra loro a protezione della luce dell’apertura dovuto, probabilmente, all’ampia dimensione di questa.
Un’altra soluzione adottata mette in evidenza una certa preoccupazione da parte dei costruttori di rafforzare la stabilità della struttura grazie all’inserimento nella piattabanda di una chiave dalle dimensioni più ridotte rispetto a quella degli altri conci, lasciando una luce tra chiave e architrave pari a m 0,10 (fig. 36a). È possibile ipotizzare che tale soluzione tecnica si impieghi per evitare che la chiave, l’elemento più fragile della piattabanda, resti direttamente a contatto con l’architrave81 e riceva le spinte verticali che da questa provengono.
La stabilità del sistema adottato è confermata da quasi tutti i casi conservati, ad eccezione di due di essi in cui si è verificata una frattura nell’architrave. Infatti, in una delle due finestre conservate nel portico nord (fig. 35a) il blocco monolitico presenta una frattura in corrispondenza della sottostante chiave della piattabanda. In questo caso la luce lasciata tra i due pezzi ha determinato una lesione dovuta proprio alla mancata aderenza tra i due blocchi, impossibilitando l’adeguato scarico di forze dell’architrave alla piattabanda. Allo stesso modo, in una delle finestre del portico occidentale (fig. 34a) si verifica una lesione dell’architrave in corrispondenza del concio a destra della chiave. Nonostante quanto messo in evidenza, è probabile che in realtà la stabilità del sistema architrave/piattabanda fosse risultato più che efficace nella costruzione di epoca romana della piazza superiore e che le lesioni si siano verificate solo successivamente, quando le murature vengono reimpiegate e incluse in contesti architettonici differenti che ne modificano il delicato equilibrio strutturale.
Il procedere stesso delle fasi di costruzione doveva richiedere un adattamento continuo delle operazioni in corso. Si noti come a entrambi i lati della finestra, tra i peducci e l’architrave, sono presenti in alcuni casi piccoli blocchetti quadrangolari realizzati ad hoc per essere inseriti in questi spazi. In altre porzioni di muratura si attesta invece un blocco ritagliato ad L per l’inserimento e appoggio dell’architrave (fig. 35a). Si tratta semplicemente di soluzioni diverse che denotano l’adattarsi del processo edilizio. Difatti, se l’altezza dei filari dei blocchi era certamente standardizzata e rispondeva a una richiesta ben precisa, diversamente era per la lunghezza dei pezzi. Nella costruzione di una struttura in opera quadrata poco importava la dimensione in lunghezza dei blocchi, considerando che l’unico elemento realmente importante era mantenere l’allineamento tra i vari filari. Nel caso però dell’inserimento del sistema di copertura delle finestre con piattabanda e architrave, ovviamente l’allineamento delle file di blocchi veniva interrotto, ragione per la quale l’ammorsatura tra apertura e muratura viene risolta ritagliando uno degli elementi lapidei o inserendo piccoli blocchetti realizzati ad hoc. Infine, proprio per recuperare l’orizzontalità dei filari, al di sopra dell’architrave si collocano uno o due blocchi contigui di altezza ridotta che raggiungono la stessa lunghezza del pezzo monolitico (figg. 34; 35).
Lo schema compositivo delle finestre del recinto superiore attesta indubbiamente una soluzione strutturale insolita come sistema di copertura che, più che riflettere ragioni di tipo statico, sembra manifestare una sorta di volontà di sperimentazione che rivela una certa dimestichezza, da parte dei costruttori, con il materiale lapideo in questione e una capacità di spingersi in proposte costruttive che possono definirsi appunto come “sperimentali”. In effetti confronti specifici ed esattamente assimilabili a questo tipo di soluzione strutturale, non sono noti. Esempi simili, ma comunque non stringenti, possono essere riscontrati nella Casa di Augusto sul Palatino, o nelle finestre del capitolio di Sufetula in Tunisia. È possibile invece trovare numerosi confronti per ciò che riguarda la luce lasciata tra due sistemi di copertura sovrapposti82, e non soltanto in strutture di epoca romana.
Con riferimento alla realizzazione di aperture di accesso purtroppo queste sono scarsamente documentate nel recinto sacro.
Come è già stato menzionato, si conserva l’accesso all’esedra semicircolare ubicata all’estremo occidentale del braccio nord del portico. Si tratta di un’apertura di m 7,45 di luce (figg. 11; 37), realizzata con un arco ribassato con conci di forma pentagonale. Il vantaggio di conci di questo tipo era certamente quello di garantire una migliore coesione con la murata all’interno della quale si inserisce l’arco, sebbene implicasse una fattura più elaborata dei pezzi e un lavoro di messa in posa da realizzare attentamente affinché si mantenesse l’allineamento con i filari della murata in blocchi.
Un altro accesso si conserva nella parte più settentrionale del portico est, un passaggio importante che mette in comunicazione la piazza con l’esterno e che permette di ipotizzare l’esistenza di una zona fruibile in questo spazio al di fuori della terrazza. Del sistema di copertura di questa porta si conserva un architrave litico visibile tanto nel paramento esterno che in quello interno, nel quale si rilevano tracce di fori da grappa per un rivestimento marmoreo, come avviene nel resto della piazza (fig. 38). L’architrave è composto da tre blocchi contigui e raggiunge una lunghezza di poco inferiore ai m 3. Allo stato attuale la struttura si conserva inclusa in un edifico destinato a uso abitativo e lo stesso paramento murario, in cui l’apertura di epoca romana si inserisce, denota una stratigrafia architettonica difficilmente ricostruibile. Molti dei blocchi, infatti, non appartengono alla fase originale romana. Non è da escludere che originariamente l’architrave, data la notevole ampiezza dell’apertura, fosse sormontato da un arco di scarico. Ad ogni modo, considerate le dimensioni, la soluzione adottata appare alquanto ardita. Il pezzo monolitico presenta nella parte centrale una frattura evidente, ma non è possibile stabilire in quale dei momenti costruttivi che si sono succeduti nella struttura si sia verificata.
Infine, si registra un ultimo accesso che non è stato possibile visionare direttamente, ma del quale si hanno notizie di scavo83. Si tratta di un passaggio, dalla luce di m 2,38 (fig. 39), che dal recinto sacro immetteva nella galleria occidentale che corre in senso est-ovest lungo il limite meridionale della terrazza superiore. Il sistema di copertura è architravato e il piano d’imposta del grande blocco monolitico è costituito su entrambe i lati da blocchi modanati con una gola rovescia coronata da un alto listello.
Il terrazzamento meridionale e gli accessi alla terrazza superiore
La realizzazione della piazza superiore e il conseguente dislivello rispetto alla sottostante piazza intermedia, determina opere importanti di terrazzamento nel lato meridionale del recinto sacro. La soluzione adottata per risolvere il dislivello tra le due piazze, pari a circa m 12,33, si avvale dell’impiego della tecnica edilizia dell’opus quadratum in associazione a elementi sostruttivi cavi84. Si tratta di due ambienti voltati (fig. 40) dall’ampiezza di m 4,30, un’altezza di circa m 5,38 e una lunghezza di circa m 40che corrono paralleli al muro meridionale del recinto e ai lati della grande scalinata centrale di accesso a esso. Il paramento sud del muro meridionale di ognuna delle gallerie, che raggiunge uno spessore di m 1,35, costituisce l’alzato decorato con lesene del muro di fondo del podio della terrazza intermedia (fig. 41). Il muro nord invece presenta uno spessore maggiore, m 1,70 circa, essendo questo il lato che riceve in maniera diretta il carico e le spinte del riempimento di terra della terrazza superiore. Entrambe le gallerie, infatti, costituiscono un’opera sostruttiva che con un sistema di contenimento statico, contrasta le spinte con direttrice nord-sud provenienti dal terrazzamento.
Gli alzati dei due ambienti sono realizzati in blocchi disposti di testa e di taglio, di altezza variabile compresa tra i m 0,40 e 0,59, lasciati a bugnato. Su una porzione del paramento interno della galleria occidentale sono state rinvenute tracce di intonaco e pittura.
A risultare estremamente interessante è il sistema di copertura, conservato soltanto nell’ambiente occidentale85 e già documentato da foto degli anni ’8086 e da scavi archeologici condotti negli anni ’9087. Le strutture di alzato culminano con una fascia di blocchi modanati con alto listello e gola rovescia (fig. 42b) su cui s’imposta una copertura a piattabanda trilitica (fig. 42a). Di questa si documentano i due conci laterali che sporgono rispetto alla modanatura di circa m 0,56, così come la chiave trapezoidale con una lunghezza di m 2,26 nel lato inferiore e di m 2,52 in quello superiore (fig. 41). Attualmente si conserva solo una di queste piattabande nella parte finale della galleria occidentale, sostituite da una volta ribassata di blocchetti di epoca successiva (fig. 40).
Il sistema di copertura piano con piattabanda trilitica ricorda senza dubbio quello delle coperture realizzate con il sistema architravato. Un esempio proviene dall’ambulacro del livello superiore dell’anfiteatro di Arles (fig. 43a), sebbene in questo caso non si tratti di una copertura continua, ma di una sorta di grandi pilastri che sostengono delle porzioni architravate. Più stringenti risultano invece gli esempi provenienti da alcuni degli edifici del I secolo d.C. di Leptis Magna, come il teatro augusteo o l’anfiteatro (fig. 43b-c). In quest’ultimo, la maggior parte dei vomitoria e dei carceres sono coperti da architravi che appoggiano su mensole modanate88. Si tratta di ambienti di ridotta ampiezza, che non superano i m 2, ragione per cui il sistema architravato risultava efficiente e in grado di assicurare la dovuta stabilità per coprire uno spazio di quelle dimensioni. Nel caso tarragonese il sistema architravato viene necessariamente sostituito da quello spingente della piattabanda, dovuto alla luce della galleria che raggiungeva i m 4 di ampiezza.
Va comunque sottolineato che gli ambienti appena descritti costituiscono gli unici spazi voltati di tutto il complesso imperiale realizzati completamente in blocchi. La loro fattura in realtà ben si inserisce nel contesto costruttivo della terrazza superiore, dove l’impiego della pietra calcarea e dell’opera quadrata sono assolutamente predominanti. Inoltre, l’uso di una tecnica edilizia così laboriosa e impegnativa dal punto di vista dell’elaborazione dei materiali, del trasporto e della messa in opera mette in evidenza ancora una volta l’attività di maestranze particolarmente esperte nella lavorazione e nel suo utilizzo. La dimestichezza con questa tecnica costruttiva dovette evidentemente sopperire alla complessità delle varie fasi di lavoro che prevedeva.
Come già menzionato a proposito delle aperture di accesso, all’estremo orientale della galleria ovest, è stata rinvenuta un’apertura architravata con imposte modanate (fig. 39) che mette in comunicazione questa galleria con la terrazza superiore. La presenza di tale accesso potrebbe far pensare che questo spazio fosse stato concepito come una sorta di ambiente di passaggio tra la terrazza superiore e intermedia, precisamente per accedere alla quota del podio di quest’ultima. La presenza di tracce di pittura su uno dei paramenti sembrerebbe corroborare una possibile fruibilità di questi vani. Tuttavia, l’ipotesi di una comunicazione con la piazza intermedia non è sostenuta da prove archeologiche. Non è stato documentato, infatti, alcun tipo di accesso dalla galleria al podio. D’altra parte, l’eccessiva vicinanza della porta rinvenuta rispetto alla grande scalinata monumentale (fig. 39), renderebbe inutile e superfluo un passaggio in quel punto della piazza. Si potrebbe forse obiettare che la scalinata centrale rappresenta il percorso cerimoniale, disposto in asse rispetto all’intero complesso imperiale e utilizzato soltanto durante le occasioni ufficiali. Difatti, gli scavi condotti negli anni ’9089 permisero di documentare, sul secondo scalino della struttura monumentale già descritta da Hernández Sanahuja90, degli incassi quadrangolari interpretati come l’alloggiamento dei perni di fissaggio dei cardini di un cancello che chiudeva l’accesso e che sarebbe stato aperto solo durante le celebrazioni cerimoniali91 (la scalinata era costituita da due rampe tra le quali vi era un ripiano corrispondente al livello di quota del podio della terrazza intermedia). Tuttavia, è plausibile la presenza di due scalinate, poste al termine dei due bracci porticati della piazza del culto, che permetterebbero di accedere alla quota del podio della terrazza intermedia. In realtà anche in questo caso i resti archeologici sono scarsi, solo si documenta parte del paramento di un muro che sembra proseguire l’allineamento della fila di colonne del portico orientale.
Ad ogni modo gli accessi secondari erano stati previsti agli angoli della piazza, definiti “torri di comunicazione”. Gli unici rinvenimenti relativi a queste strutture fanno riferimento all’angolo sud-ovest della terrazza superiore (fig. 44). Durante un intervento archeologico realizzato nel 199492 si documentarono due lati di una struttura probabilmente a pianta rettangolare93, la cui altezza massima conservata include quattro file di blocchi dell’altezza di m 0,60 con superficie lasciata a bugnato. Le prime due file di blocchi appartengono alla fondazione che poggia direttamente sul banco roccioso. La struttura, le cui dimensioni ipotizzate sono pari a m 20 x 1294 era anche stata menzionata negli scritti di Hernández Sanhauja, il quale fa riferimento anche all’esistenza di una porta romana. Purtroppo gli scavi non hanno potuto confermare quest’ultima notizia che tuttavia resta estremamente importante per ipotizzare la funzione della cosiddetta torre di comunicazione95.
È probabile che esistesse una struttura gemella a quella appena descritta anche nel lato opposto della piazza, sebbene non siano stati rinvenuti resti al riguardo.
La sala axial
La cosiddetta sala axial è un’aula rettangolare che si apre nella parte centrale dell’ala nord del portico della terrazza superiore e che presenta un’ampiezza pari a m 29,7 e una profondità ipotizzata di circa m 2096. Le notizie e gli studi principali relativi a questo ambiente, posto dietro l’abside della Cattedrale di Tarragona, si devono senza dubbio agli scavi archeologici degli anni ’30 effettuati da J. Serra Vilaró97 e allo studio realizzato da T. Hauschild a partire dagli anni ’9098 e poi ripreso in una pubblicazione del 200999. Nel 1933, infatti, gli scavi effettuati all’interno di quella che Serra Vilaró identificò come l’antica chiesa di Santa Tecla100, permisero allo studioso di documentare parte del muro occidentale dell’aula di epoca romana e parte della fondazione di un podio che doveva circondare tutta la sala (fig. 45).
La preparazione del terreno, quantomeno per il settore ovest della sala assiale, esattamente come nel caso del lato settentrionale e occidentale del portico della terrazza superiore, doveva aver imposto un’intensa attività di sbancamento del terreno roccioso, presente tuttora a una quota elevata (fig. 46a). Nella zona settentrionale e orientale dell’ambiente la situazione orografica doveva invece variare, tenendo conto che il promontorio presenta una pendenza che gradatamente si fa sempre più accentuata nel versante orientale. Probabilmente proprio a questa situazione doveva far riferimento B. Hernández Sanahuja101 quando, in occasione dei lavori per la realizzazione del Nuovo Seminario, afferma che: “el terreno presentaba un pronunciado declive, a causa de la pendiente natural y rápida de la colina…”102.
Per ciò che riguarda i resti del podio, sebbene quest’ultimo risulti completamente spoliato, la fondazione che si conserva fornisce numerosi dati che permettono di ricostruirne alcune delle caratteristiche. Nel settore settentrionale i dati provenienti dalle notizie di scavo degli anni ’30 riportano la presenza di una fondazione in opus caementicium sulla quale poggerebbe una struttura in blocchi così come attestano le impronte di questi, ora spoliati103. Nel settore occidentale invece si conserva la fondazione del muro perimetrale della sala e del podio (figg. 46a-b; 47a), realizzata con due filari di blocchi (per un’altezza totale di circa m 1,18) disposti a secco di testa e di taglio, che raggiunge un’ampiezza totale di quasi m 3. La superfice superiore di questa fondazione, documentata e rilevata durante gli studi condotti da T. Hauschild, presenta impronte in negativo di grappe a doppia coda di rondine per il collegamento dei blocchi sul piano orizzontale, nonché fori di ridotta dimensione, quadrangolari o rettangolari, determinati probabilmente dall’uso di leve per la messa in opera dei blocchi (fig. 47b). A risultare di estremo interesse è, come rilevato da Hauschild104, la presenza sulla superficie di attesa dei blocchi e a circa m 1,60 dall’alzato del muro perimetrale, di una risega scalpellata nella pietra dalla profondità di m 0,10, un’ampiezza di m 0,08 e documentata per una lunghezza di almeno m 3,90. Così come interpretato dallo studioso tedesco, si tratta dell’alloggiamento delle lastre in marmo che avrebbero rivestito lo zoccolo del podio (fig. 47c), relativamente al quale purtroppo l’assenza di materiali non permette di ipotizzare il tipo di marmo impiegato per la decorazione. Sebbene, come già detto, il podio sia stato interamente spoliato, è possibile ipotizzarne e ricostruirne l’altezza. Difatti, la porzione inferiore del paramento interno del muro perimetrale della sala corrisponderebbe alla zona su cui appoggerebbe la struttura del podio. In questo settore, pari a un’altezza di circa m 2, 20 (fig. 48), la faccia a vista dei blocchi presenta una lavorazione differente rispetto al resto del paramento: è regolarizzata ad ascia e ribassata in maniera graduale a creare una superficie con una sorta di tre fasce (fig. 49). La finalità potrebbe essere stata quella di garantire una migliore adesione dei blocchi del podio alla superficie del muro. Le tre fasce, infatti, corrisponderebbero grosso modo all’altezza dei tre filari di blocchi che avrebbero composto il podio. Dall’osservazione delle tracce di lavorazione sulla superficie dei blocchi è inoltre possibile notare la loro diversa orientazione, frutto delle differenti posizioni assunte dal quadratarius durante il lavoro di rifinitura, così come si può notare che la traccia dello strumento, determinata da uno stesso colpo di ascia, spesso prosegue su blocchi contigui (fig. 47d). Considerando che la rifinitura dei blocchi doveva necessariamente avvenire prima della loro messa in posa, sembra plausibile ipotizzare che, nelle zone in cui la traccia dello strumento di lavoro prosegue su blocchi contigui, si tratti di elementi di grandi dimensioni rifiniti in cantiere e solo successivamente tagliati prima del loro posizionamento. È probabile, difatti, che l’operazione di rifinitura dei blocchi avvenisse non solo in cava, ma anche presso il cantiere di costruzione, come attestato dalle numerose schegge e frammenti di pietra rinvenuti nelle fondazioni del Recinto di Culto.
Tra i materiali marmorei rinvenuti durante gli scavi archeologici effettuati nel 1933 da Serra Vilaró, vi è parte del pavimento originale della sala romana che, come afferma lo stesso autore, era composto da “[…] un grueso pavimento de mortero y piedra, macizo, que estaba cubierto de grandes losas de mármol, muchas de las cuales más o menos rotas, las encontramos en situ. […]105”. La preparazione del pavimento presenta uno spessore di m 0,15 e nonostante l’assenza in molti punti dei lastroni originali, questi sono comunque visibili grazie alle impronte lasciate in negativo (fig. 47e). Lo studioso mette in evidenza come alcuni di questi materiali potessero essere di reimpiego, come dimostrerebbe una lastra dalla cui impronta l’autore riconosce le lettere AE106. Dalla foto che egli stesso pubblica sembra ipotizzabile la presenza di un’ulteriore lettera e quindi dell’abbreviazione CAE.
Tornando al settore occidentale della sala dove si conserva l’unica porzione di alzato: si tratta di una struttura in blocchi disposti principalmente di testa, con il paramento esterno lasciato a bugnato che è eliminato invece nella parte interna. A entrambi i lati delle due finestre centrali di epoca posteriore, sono presenti un totale di 5 fori rettangolari dalle dimensioni che vanno da m 0,15 a m 0,20, distanziati verticalmente di m 1,25/1,50 e orizzontalmente di m 2,77 (fig. 50a). La regolarità nella fattura e allineamento farebbe pensare a buchi da ponte, utili alla costruzione del muro d’alzato o alla messa in posa delle lastre marmoree. Tuttavia, ai bordi della finestra in alto a sinistra si rilevano altri di questi buchi che nonostante presentino le stesse dimensioni di quelli poc’anzi menzionati, non sembrano rispettare alcuna cadenza che possa metterli in relazione. Potrebbero dunque appartenere a fasi successive, mentre si potrebbe ipotizzare che per la messa in posa delle lastre in marmo fossero state montate impalcature esterne.
Sullo stesso paramento, al di sopra della zona in cui poggiava il podio (a partire quindi da un’altezza di m 2,20), sono presenti fori rettangolari sparsi in maniera irregolare su tutta la superficie del muro, del tutto simili alle tracce presenti sul paramento interno del portico della terrazza superiore. Fu infatti lo stesso T. Hauschild107 a interpretarle come fori da grappa per il posizionamento di crustae marmorum (fig. 50). Un’ipotesi alternativa fu proposta nel 2007 da J. Ruiz de Arbulo108 il quale interpretò l’aula come il tabularium della Provincia Citerior, affermando che i fori rettangolari, posizionati in maniera irregolare, farebbero dunque riferimento a grappe per il posizionamento di lastre in bronzo. L’autore sostiene che la documentazione amministrativa e fiscale, contenuta in volumina di papiro e pergamena, facente riferimento a tutta la provincia ispanica, si sarebbe dovuta conservare all’interno del foro provinciale, in un luogo finora non identificato. Le tabulae bronzee sarebbero state esposte in un’aula del Recinto di Culto, la sala assiale appunto: le tabulae, al generare una documentazione in costante aggiornamento, che doveva dunque essere periodicamente sostituita, avrebbero dato luogo a ciò che a noi è giunto come una disposizione caotica di tracce sul paramento. L’autore cita come confronto il caso del muro nord del foro di Assisium per il quale P. Gros e D. Theodorescu109 interpretarono la presenza numerosa e irregolare di fori da grappa come indizi di tabulae bronzee110. In questo caso, nella parte centrale del muro, al di sopra dello zoccolo, i fori distribuiti in maniera “sinuosa” sono stati restituiti come una decorazione con elementi in bronzo articolati in due fasce, una con bucrani e ghirlande e una con un intreccio di foglie o fiori (fig. 51). Bisogna sottolineare, tuttavia, come nell’esempio di Assisi la presenza di tavole bronzee viene proposta per una zona del foro fruibile a tutti. Nel caso di Tarraco, invece, l’aula assiale, aperta nel recinto sacro e alle spalle del tempio, non sarebbe stata così facilmente accessibile per la consultazione di documenti pubblici.
Risulta evidente quanto poco ancora ci sia noto relativamente alle caratteristiche e agli aspetti funzionali degli spazi del complesso monumentale tarragonese. Senza dubbio non è possibile escludere a priori la presenza di decorazioni bronzee, che magari potrebbero essere state limitate a porzioni della struttura. Rileviamo però, come elemento fondamentale, che le tracce presenti nella sala assiale presentano una similitudine evidente nella loro disposizione, se vogliamo caotica, rispetto a quelle rinvenute in tutto il resto del recinto sacro, fattore che escluderebbe una decorazione bronzea per un’area così vasta. Così come avviene per il portico del Recinto di Culto, la difficoltà nel proporre uno schema decorativo deriva dalla compresenza di più fasi e dunque di una complessa stratigrafia architettonica difficile da analizzare. Anche in questo caso, non potendo restituire alcuna ipotesi decorativa che si attenga realmente ai dati archeologici in nostro possesso, ci limitiamo a individuare allineamenti orizzontali che sembrano alternare fasce sottili a fasce più ampie (fig. 50b). Appena al di sopra di quello che sarebbe stato il limite del podio, sembra leggersi ad esempio una sottilissima banda orizzontale di m 0,21, che potrebbe far presumere che fosse occupata da una cornice, sormontata probabilmente da una zonatura articolata in ortostati. Anche in altri punti del paramento sembrano potersi individuare allineamenti dei fori da grappa, corrispondenti probabilmente a fasce orizzontali e verticali. Infine in alcuni settori la linea dei fori sembra seguire un andamento quasi circolare che, com’ è già stato proposto in pubblicazioni di altri studiosi111, potrebbe corrispondere alla presenza di dischi inseriti all’interno di figure geometriche. Le osservazioni realizzate restano comunque sempre ben distanti da una proposta di ricostruzione, con il fine di evitare di incorrere nell’ingannevole tentazione di elaborare una restituzione astratta. Si noti ad ogni modo come in tutto il paramento numerosi fori si posizionino in corrispondenza di uno dei bordi dei blocchi, in modo da facilitare l’inserimento della grappa sfruttando le giunture dei filari. Anche per ciò che riguarda i materiali purtroppo non è possibile ipotizzare moduli cromatici né tantomeno la ricchezza nella policromia e la magnificenza dei marmi che furono impiegati112.
Come già menzionato precedentemente, la sala assiale doveva avere presumibilmente delle dimensioni (circa m 29,7 x 20) che ne facevano un ambiente più sviluppato in senso orizzontale piuttosto che in quello longitudinale, un po’ come accade nella planimetria di edifici quali il Templum Pacis (m 34 x 22)113 o posteriormente l’ambiente di fondo della Biblioteca di Adriano ad Atene (m 20,21 x 14,34). Non è certo se sul fondo dell’aula tarragonese si aprisse o meno un abside. Le uniche notizie a riguardo provengono dallo studio di T. Hauschild il quale afferma che, nel lato nord della sala, la fondazione in conglomerato sembra a un certo punto avere una traiettoria curva che egli interpreta come una possibile abside114. Purtroppo, attualmente la struttura non è visibile e non è possibile apportare ulteriori dati al riguardo. In realtà anche per il fronte della sala non è possibile stabilire se questo fosse colonnato, come nell’esempio del Templum Pacis, o se invece vi fosse un muro continuo con un accesso centrale115.
Gli studi realizzati da P. Pensabene e R. Mar sul materiale decorativo rinvenuto nell’area occupata dalla terrazza superiore hanno permesso agli autori di avanzare una proposta ricostruttiva relativa alla presenza di un propileo composto da otto colonne dinanzi alla sala assiale, che interromperebbe il ritmo del colonnato del portico della piazza. A indurre gli autori a proporre questa ipotesi era stato il rinvenimento negli anni ’90, nell’attuale Plaça del Forum116 (corrispondente all’angolo nord-orientale della terrazza intermedia) di due fregi in marmo di Luni-Carrara, uno con girali d’acanto e l’altro con bucrani, ghirlande ed elementi sacerdotali, datati rispettivamente a epoca giulio-claudia e flavia117. L’analisi stilistica aveva dunque fatto supporre la presenza di due strutture monumentali identificate con il Tempio di Augusto e la sala assiale118. Il fregio decorato con bucrani, ghirlande ed elementi sacerdotali119, datato ad epoca flavia e allusivo a cerimonie del culto imperiale, apparterrebbe, secondo gli studiosi, al propileo colonnato di quest’aula posta sul fondo del Recinto di Culto.
Il Tempio di Augusto
L’edificio templare dedicato ad Augusto ha destato l’interesse e alimentato le teorie degli studiosi tanto sulla sua reale esistenza quanto sul suo aspetto architettonico e planimetrico, fin dalle prime notizie relative alla presenza di resti antichi nella parte alta della città. Come si vedrà in seguito, l’ubicazione del tempio al centro della piazza sacra sembrerebbe essere stata confermata dagli scavi archeologici effettuati all’interno della cattedrale tra il 2010 e il 2011. Tuttavia, purtroppo, restano scarsi i dati in nostro possesso su questo edificio, circostanza che rende la questione ancora fortemente dibattuta. In questa sede ci limiteremo dunque a menzionare brevemente la storia degli studi, già ampiamente nota, e le teorie interpretative finora avanzate.
Rappresentato su emissioni monetali di epoca tiberiana in due varianti120, tempio ottastilo su podio con scalinata centrale e tempio ottastilo su crepidoma di tipo greco (fig. 52), l’edifico ci è noto anche dalla testimonianza di Tacito121. Questi, almeno nella sua più comune interpretazione, riferirebbe della concessione fatta da Tiberio di costruire un tempio dedicato ad Augusto, su richiesta degli stessi tarragonesi, il quale sarebbe stato da esempio per tutte le altre province dell’impero. Tuttavia, una recente e interessante interpretazione di questo passo122 farebbe del Princeps non la persona in onore della quale si erige l’edificio templare, ma colui al quale se ne richiede l’autorizzazione per la sua costruzione. In tal modo, l’edificio non rappresenterebbe più il primo tempio del culto imperiale destinato ad Augusto, ma sarebbe stato esempio per tutte le altre province solo in quanto iniziativa evergetica. Questa nuova interpretazione rappresenterebbe una prova ulteriore a conferma di una volontà di monumentalizzazione della collina tarragonense già in epoca augustea, fermo restando che la parte alta della città assume una nuova fisionomia quantomeno a partire da epoca giulio-claudia.
I primi studi ipotizzarono la presenza di due templi nella parte alta della città, uno dedicato ad Augusto e uno a Giove da ubicarsi, a seconda della teoria, all’interno o all’esterno del recinto sacro123. Solo successivamente si giunse a situare l’edificio all’interno della terrazza superiore, in un primo momento in corrispondenza della sala assiale, per poi concludere che era da ubicarsi al di sotto dell’edificio della cattedrale.
Nel 2007 una campagna di prospezioni geofisiche condotta all’interno della navata centrale della cattedrale documentò la presenza di una struttura a pianta rettangolare che raggiungeva una profondità tra i m 2 e 3, un’ampiezza di circa m 27 e una lunghezza di m 35. I dati, interpretati come la possibile fondazione del Tempio di Augusto, sembrano essere stati confermati dagli scavi archeologici effettuati tra il 2010124 e il 2011125 (fig. 53). La fondazione sarebbe stata alta all’incirca m 2,30, realizzata con una struttura in conglomerato al di sopra della quale si disponevano filari di blocchi attualmente non conservati, la lunghezza teorica sarebbe invece di m 46,25. Nella parte frontale si addosserebbero resti in conglomerato da riferirsi alla scalinata dell’edificio126.
La discussione sulla conformazione architettonica dell’edificio resta ancora aperta. Infatti, J.M. Macias, Muñoz e I. Teixell127, responsabili dello scavo archeologico condotto nella cattedrale, affermano che il tempio non poteva avere un’ampiezza maggiore ai m 27 dovuto alla presenza di una canalizzazione lungo il lato ovest della fondazione del tempio, che di fatto sancirebbe il limite dell’edificio. Contrariamente, P. Pensabene e R. Mar128 restituiscono un monumento dalla lunghezza di m 64 e ampiezza di m 30, dove l’inizio della scalinata coincide con la facciata della cattedrale medievale.
I dati relativi all’apparato decorativo dell’edificio templare sono purtroppo estremamente esigui. Relativamente alla decorazione scultorea, il rinvenimento del dito di un piede129 (fig. 54), precisamente il pollice destro, frammentato all’altezza della prime falange (lunghezza massima conservata di m 0,17, spessore m 0,09) di una scultura colossale in marmo di Taso, fece ipotizzare che potesse trattarsi della statua ospitata nella cella del tempio. In base alle dimensioni e ai riferimenti numismatici, è stata ipotizzata una grande statua maschile scalza e possibilmente seduta. La statua è stata rinvenuta in livelli di costruzione, della fase edilizia di epoca flavia o, al più tardi, del restauro di epoca adrianea (vd. infra); il dito resta incluso nel riempimento costruttivo, dunque la statua a cui apparteneva deve essere stata sostituita in concomitanza dei lavori. L’altezza stimata per la statua seduta è di m 6,5. Resta impossibile escludere che la statua potesse provenire da un altro punto del foro e che dunque fosse esposta in un altro spazio del complesso architettonico, come ad esempio una delle esedre.
Anche i dati relativi alla decorazione architettonica sono frammentari. Durante gli scavi effettuati nella cattedrale nel 2010/2011, furono rinvenuti frammenti di decorazione architettonica in marmo proconnesio e per questo attribuiti a un restauro di epoca adrianea. Sappiamo infatti che l’imperatore visitò la città tra il 122-123 d.C.130. Sembra plausibile poter relazionare a questo restauro anche un’iscrizione, databile a questo stesso periodo, contenente 11 lettere disposte su tre righe, nella quale sembra si faccia riferimento a un curator templi o a un flamen primus del concilium provinciae Hispaniae Citerioris131.
Numerosi altri frammenti di decorazione sono stati rinvenuti durante gli scavi condotti in vari punti della terrazza superiore e sono stati attribuiti al tempio. Un eccellente sintesi, accompagnata da un nuovo studio di questi pezzi si trova nel lavoro recentemente pubblicato da P. Pensabene e J. Domingo132.
Notes
- Hauschild 1983; Ted’a 1989b; Macias et al. 2007a.
- Macias et al. 2009, 453. Gli scavi archeologici realizzati nel giardino del chiostro della cattedrale e presso l’antico ospedale di Santa Tecla (che includono rispettivamente i resti del braccio occidentale e orientale della piazza porticata) hanno permesso di registrare in queste aree la presenza di una sorta di grande discarica a cielo aperto, nonostante questo non abbia implicato una trasformazione dell’aspetto architettonico del complesso (Macias et al. 2007b, 192).
- Macias et al. 2009, 454. Si tratta di un’ipotesi già proposta da J. Serra Vilaró, il quale affermava che dietro l’abside della cattedrale si ubicava la chiesa di Santa Tecla la Vieja, ovvero la basilica episcopale di epoca visigota (Serra Vilaró 1960, 87-91).
- Aquilué 1993, 114-123.
- Macias 2013, 123-131.
- Macias et al. 2003, 168.
- Hauschild 1995, 65-66.
- Non sono state realizzare analisi archeometriche che permettano di definire con precisione quale dei due materiali sia stato impiegato, sebbene provengano dallo stesso sito estrattivo.
- Aquilué 1993, 81. La lettura proposta per l’iscrizione si riporta di seguito: [—- ?] | [—] C(ai) FIL(ius) MI [—] P VI (AE 1992, 1103 = HEp 5, 1995, 759).
- Tale settore si conserva a circa m 20 dai resti del COAC.
- Bianchini 2010, 282.
- Si tratta dei resti conservati in una delle sale espositive del Museu Bíblic Tarraconense.
- Macias et al. 2017b, 10-11.
- Il paramento a cui si fa riferimento è quello conservato nella sala dell’Antic Refectori, nel Museu Diocesà di Tarragona.
- I settori in cui è possibile documentare la cadenza delle finestre sono quello nord-occidentale in cui la distanza tra le aperture è di m 5,13 e il lato occidentale del portico, in cui l’intervallo attestato tra le tre finestre conservate è pari a m 5,25 e 5,35.
- Macias et al. 2017a, 27-29.
- Hauschild 1983, 111-115.
- I resti si trovano attualmente all’interno di una proprietà privata. Si ringrazia a questo proposito la famiglia Elias per aver concesso la documentazione e lo studio dei resti in questione.
- Il primo intervento archeologico si effettuò nel 1977, quando l’immobile era ancora in proprietà della Fundación Mediterránea, sotto la direzione di M. Ferrer con la realizzazione di cinque saggi (Ferrer 1985, 221-297; Negueruela & Avellà 1985, 299-350; Montón 1985, 351-364). Anteriormente alla costruzione dell’attuale COAC, fu condotto un altro intervento nel 1984 con l’apertura di due grandi trincee e quattro piccoli saggi (Aquilué 1984; Aquilué & Dupré 1986; Aquilué 1987, 165-186). L’ultimo scavo archeologico fu realizzato dal Ted’a nel 1987, durante i lavori per la costruzione dell’edificio attuale (Ted’a 1989a).
- Aquilué 1984.
- Il materiale ceramico rinvenuto, nonostante fosse scarso, ha permesso di datare lo strato tra inizi di epoca flavia ed epoca vespasianea (69-79 d.C.) (Aquilué 1993, 86-89).
- I fori da grappa per il fissaggio delle lastre in marmo del pavimento si trovano a una quota di m 69,45.
- Sul paramento posto dietro la statua dell’imperatore è stato possibile identificare uno schema articolato in due file di ortostati quadrangolari divisi da due registri di lastre dall’altezza rispettiva di 1 piede (Ungaro 2002, 115).
- Ward Perkins 1993, 16-17.
- Ward Perkins 1993, 59.
- Numerosi sono gli esempi anche su paramenti realizzati in opere edilizie distinte, tra i vari esempi si veda: la base del corpo cilindrico del Pantheon dove i fori rettangolari nel paramento in opus testaceum attestano la presenza di un rivestimento marmoreo (Reiterman 2010); oppure i numerosi esempi su opera laterizia come la Domus Flavia sul Palatino o su opera reticolata presso Villa Adriana a Tivoli (Sala dei Filosofi, Edifico sopra il Nifeo, Piazza d’Oro, etc.) (Bruto & Vannicola 1990).
- Arola et al. 2012.
- Numerosi materiali appartenenti alla decorazione architettonica degli spazi del Foro Provinciale sono stati rinvenuti in accumuli esterni al monumento a causa dell’intensa attività di spolio, rilavorazione e reimpiego che ha interessato il monumento a partire dal V secolo, a seguito del suo abbandono (Ted’a 1989a, 125; Macias 1999; Remolà 2000, 35-43). Si veda ad esempio la grande quantità di frammenti e pezzi marmorei rinvenuti nell’attuale Plaça del Forum, corrispondente all’angolo nord-orientale dell’antica Piazza di Rappresentazione (Hauschild 1992, 107-112).
- Le stesse varietà di marmo, arricchite dalla presenza di altri marmi di importazione, sono state rinvenute anche durante gli scavi realizzati nel 2000-2003 e 2004-2005 presso il settore nord-ovest del Recinto di Culto, durante gli interventi archeologici del Plan Director de la Catedral (Macias et al. 2009; Álvarez et al. 2012).
- Riguardo la sala assiale e la sua decorazione parietale vedi infra.
- Macias et al. 2017a, 27-29; Serra Vilaró 1960, 64.
- Hauschild 1993, 114, relativamente all’ala occidentale del portico. Dupré & Pámies 1987, 229-234 per il braccio orientale del portico.
- Alcune porzioni di questa fondazione sono state rinvenute in punti diversi con riferimento tanto al portico orientale che a quello occidentale. Nella maggior parte dei casi è stata rinvenuta la struttura in opus caementicium (circa m 3 di ampiezza) con la superficie superiore liscia, da cui è stata spoliata la parte in blocchi (in corrispondenza del portico orientale, durante gli scavi presso l’Antic Hospital de Santa Tecla è stato rinvenuto anche uno dei blocchi di fondazione).
- Sánchez Real 1969.
- Resti della canalizzazione nel lato orientale della piazza furono scoperti negli anni ’80 durante gli scavi realizzati dal Servei General d’Arqueologia de la Generalitat de Catalunya sotto la direzione di X. Dupré: Dupré & Pámies 1987.
- Pons d’Icart 1572.
- Macias et al. 2009, 427. Relativamente ai pezzi sono state pubblicate le incisioni realizzate da Padre Flórez (1769, 140-145).
- Ted’a 1989b, 145.
- Hauschild 1974, 36-38.
- In un primo momento i resti furono interpretati da Padre Flórez (1769, 139-140) e da Hernández Sanahuja (1885, 229-232) come prova dell’esistenza di un tempio dedicato a Giove nella parte alta della città.
- Il catalogo degli elementi decorativi fu pubblicato da Pensabene (1993, 33-105) e la restituzione architettonica da R. Mar (1993a, 107-156).
- Mar 1993b, 137; Mar et al. 2015, 125.
- Pensabene 1993, cat. n. 60. Pezzo conservato nelle sale espositive del MNAT. Num. Inventario: 99. Dimensioni: altezza m 0,52, altezza plinto m 0,22, altezza toro inferiore m 8, altezza toro superiore m 7, diametro m 0,80.
- Pensabene 1993, cat. n. 14.
- Pensabene 1993, cat. n. 69. Il fregio è esposto nelle sale del MNAT (inv. 109, 110, 111, 6912 e due frammenti senza numero).
- Zevi & Valeri 2008, 456.
- Mar 1993b, 139.
- Da ultimo si veda Mar et al. 2015, 115.
- Peña 2018.
- Pensabene & Domingo 2019.
- Come osservato da P. Pensabene e J. Domingo è possibile che non tutti i clipei avessero la stessa dimensione, dovuto alla correzione ottica e dunque alla posizione che essi avevano all’interno della piazza (Pensabene & Domingo 2019, 77).
- Di tale lastra si conserva circa la metà, per cui l’autore per simmetria ne ricostruisce una base di m 0,60. Si veda come la misura coinciderebbe anche con quella delle cariatidi del portico di Merida (De la Barrera 2000, 107).
- Peña 2018, 176.
- Ungaro et al. 2004, 23.
- Milella 2007, 200.
- De la Barrera 2000, tav. 2.
- A favore di questa ipotesi Verzár-Bass 1977, 26, 30. Di opinione differente è invece Bridel 2015, 51-52.
- Macias et al. 2009, 448 (si veda figg. 20.1, 20.2, 20.3).
- Num. inv. ex 2865.
- Gli autori mettono in evidenza l’esistenza di elementi isolati decorati con candelabri, sebbene affermino che non si attestano paralleli stringenti riguardanti pilastri e lesene vegetalizzati con lo stile e l’iconografia degli esempi di Tarraco (Pensabene & Domingo 2019, 82).
- Pensabene & Domingo 2019, 81.
- Casari 1998, 391.
- Koppel 1990, 319-340.
- Ampiezza m 0,56 e altezza m 0,43.
- Tra gli altri si veda: Albiñana & Bofarull 1849, 69, tav. 9,2. L’autrice cita poi due manoscritti in cui la testa in marmo sarebbe rappresentata come ancora integra: Boy 1713, 162; manoscritto anonimo n. 742 vol. I conservato presso la Biblioteca de Catalunya (folio 4 n. 108, disegno in folio 125) in cui si indica la C/Granada come luogo di provenienza del pezzo.
- Pons d’Icart 1572, 179.
- Pensabene 1993, cat. n. 87.
- Macias et al. 2012a, cat. n. 1.2.14.
- Pensabene 1993, 70, cat. n. 64.
- Num. inv. CAT-08-1689-6. Altezza conservata m 0,26, ampiezza m 0,24.
- Il paramento è attualmente reimpiegato nel muro settentrionale del chiostro della cattedrale.
- Si fa riferimento al paramento conservato nella sala dell’Antic Refectori del Museu Diocesà.
- Pensabene & Domingo 2019, 75. L’ altezza proposta per la base è m 0,52; per il fusto m 5,92; per il capitello m 0,83; per l’architrave m 0,51.
- Le misure calcolate per il muro in blocchi sono state prese a partire dalla superficie d’attesa dell’ultimo blocco di fondazione. Per ciò che riguarda gli elementi architettonici, all’altezza totale di base, fusto, capitello, architrave, fregio e cornice bisognerebbe aggiungere lo strato di preparazione del pavimento.
- Tutte le finestre si conservano negli spazi attorno al chiostro della cattedrale. Tre delle finestre sono incluse nell’attuale Casa dels Canònges, due nelle sale del Museu Diocesà.
- Conservate nel lato nord del chiostro della cattedrale.
- Si conserva nell’attuale Col·legi d’Arquitectes de Catalunya (COAC).
- Tomlow 1989.
- Nella finestra conservata nel COAC le tracce sono di dimensioni visibilmente più ridotte (max. m 0,05), mentre nel resto delle finestre raggiungono una misura tra i m 0,10 e 0,12.
- Giuliani 2006, 71.
- Lo spazio presente tra la chiave e l’architrave è di m 0,10.
- Giuliani 2006, 117. Si veda, ad esempio, il teatro romano di Khemissa in Algeria o di Leptis Magna in Libia.
- Bermúdez 1992, 87.
- L’esistenza dell’ambiente occidentale era già stata rilevata da B. Hernández Sanahuja (1877, 93-94). Successivamente A. Nogués riprendendo queste informazioni menziona i resti aggiungendo altri dettagli come ad esempio la distanza esistente tra il limite orientale dell’ambiente e la scalinata della cattedrale (Nogués 1936).
- L’ambiente orientale ha subito maggiori modifiche in epoche successive e attualmente è visibile all’interno di un locale adibito a ristorazione.
- Cortés & Gabriel 1985, 146-153.
- Bermúdez 1992. I primi scavi nella zona erano stati condotti dal Ted’a nel 1989 (1989b).
- Ricciardi 2018, 55-66.
- Güell 1994.
- Hernández Sanahuja 1867, 45-46.
- Ai piedi della scalinata furono anche rinvenuti resti di preparazione di un pavimento e impronte in negativo di lastroni, interpretati come resti della Via Triumphalis.
- Peña & Díaz 1996.
- Situati tra il C/del Vidre, C/Misser Nogués e C/Escrivanies Velles.
- Peña & Díaz 1996, 214. Del lato occidentale, corrispondente all’attuale C/Misser Nogués, sono stati documentati quattro filari dell’altezza di m 0,60 ciascuno, di cui i primi due riferibili alla fondazione. La lunghezza massima attestata del paramento è di m 19,5.
- “[…] el Arce o ciudadela de Tarragona abarca desde la actual plaza de San Joan hasta la torre llamada de San Magí, inmediata a la ermita del mismo nombre, pasado el muro interior o de fachada por la calle del Vidre o por el interior de la manzana de casas que en ella existen, hasta la que forma esquina con las Escrivanies Velles y Misser Nogués, denominada antiguamente casa Grasses. Fundándose para ello en los restos del muro romano que se encuentran en las habitaciones de que se ha hecho mérito, en los grandes bloques y sillares romanos que constituyen el estribo de la última casa mencionada (Escrivanies Velles 2) y en una notable puerta romana que hay en el interior de la misma para entrar en el lavadero” (Hernández Sanahuja 1892, 32).
- Hauschild 2009, 318.
- Serra Vilaró 1960.
- Hauschild 1992.
- Hauschild 2009.
- In particolare gli scavi furono condotti negli spazi conosciuti come patio della secretaría e fustería.
- Hernández Sanahuja 1885, 229.
- I resti dell’antica sala assiale corrispondenti al lato occidentale, attualmente sono inclusi all’interno del Museu Diocesà (in particolare nella sala capitolare e nel cosiddetto patio della secretaría), il settore settentrionale si trova all’interno del Nuovo Seminario e, infine, quello orientale nel giardino della cattedrale. Sebbene tali resti non siano stati scavati integralmente, l’area ha restituito una gran quantità di materiale di decorazione architettonica. Si veda per l’area del giardino della cattedrale: Hauschild 1974; per l’area del Nuovo Seminario: Hernández Sanahuja 1885, 229-230.
- Serra Vilaró 1960, 68, figg. 12-13.
- Hauschild 2009, 317.
- Serra Vilaró 1960, 64. L’ampiezza dei lastroni in marmo varia tra m 0,50 e 0,60 con una lunghezza tra i m 1,15 e 1,50.
- Serra Vilaró 1960, 65.
- Hauschild 1974; 1983.
- Ruiz de Arbulo 2007.
- Gros & Theodorescu 1985.
- Questa porzione di paramento sarebbe inoltre protetta da una sorta di ringhiera, come attesterebbero le porzioni di muro laterali ribassate. Nella parte superiore del muro di blocchi, che costituiva il limite della piattaforma su cui si ergeva il tempio e che include due porte di accesso alla terrazza dell’edificio sacro, un’iscrizione indica i nomi dei magistrati che finanziarono il restauro del tempio (Gros & Theodorescu 1985, 880-881).
- Si veda la proposta avanzata in Mar et al. 2015, 106-107, fig. 70b.
- Così come per il portico della terrazza superiore, anche in questo caso si menzionano i frammenti di marmi policromi rinvenuti nel settore nord-orientale della piazza (Arola et al. 2012).
- Fogagnolo 2006, 63.
- Hauscild 2009, 317.
- Hauschild 2009, 320.
- García Noguera & Pociña 2004, 87.
- Entrambi i motivi decorativi erano in realtà già noti, tuttavia i pezzi conosciuti fino a quel momento erano stati reimpiegati e murati (nel chiostro della cattedrale e nel Museo Archeologico), circostanza che non permetteva di stabilirne lo spessore e quindi definire se si trattasse di blocchi in marmo o di lastre di rivestimento.
- Pensabene & Mar 2004, 73-88.
- Il fregio misura m 0,90 in altezza, m 0,48 in lunghezza ed è spesso m 0,69 nella parte superiore e m 0,42 nella parte inferiore.
- RPC I, 219, 222, 224, 226; Beltrán 1953, 39-66; Villaronga 1979, 273-274.
- Tac., Ann., 1.78.
- Castillo Ramírez 2015, 176-180.
- In un primo momento gli studiosi avevano ipotizzato la presenza di un tempio dedicato ad Augusto nella zona sud-orientale, al di fuori della terrazza superiore del Foro Provinciale, situando al centro di questa il tempio di Giove (Hernández Sanahuja 1892, 2a parte, ap. I, 29; Puig et al. 1909, 46- 53). Questa teoria fu in parte condivisa da A. Schulten (1921, 40-44) anche se, secondo quest’ultimo, il tempio di Giove si sarebbe dovuto ubicare nella terrazza intermedia, in corrispondenza dell’asse centrale che attraversava tutto il complesso architettonico. Contrariamente Fiswich (1987, 154) ritenne che la presenza del tempio di Augusto fosse più probabile nell’attuale C/S. Llorenç, nella parte orientale esterna alla terrazza superiore. La teoria dell’esistenza di un tempio dedicato a Giove derivava chiaramente dal ritrovamento dei clipei con testa di Giove-Ammone.
- Il saggio effettuato nel 2010 interessò un’area di circa 30 m2, lungo l’asse centrale della cattedrale, in corrispondenza del limite meridionale della grande alterazione geofisica individuata dalle prospezioni del 2007.
- Il saggio interessò un’area di circa 55 m2 ubicata in prossimità del presbiterio.
- Macias et al. 2012b, 154-156.
- Macias et al. 2012a-b.
- Mar & Pensabene 2010; Pensabene & Mar 2010; Mar et al. 2012.
- CAT-00-3146-1. Macias et al. 2009, 450; Macias et al. 2012a, 34.
- HA, Vit. Hadr., 12.
- Peña et al. 2015, 187.
- Pensabene & Domingo 2019, 64-73.