Itinerari e percorsi
La valenza simbolica, ideologica e celebrativa insita nell’architettura del Foro Provinciale implica un’organizzazione dei percorsi impostata a partire da un asse centrale di riferimento che attraversa tutto il monumento e di cui il tempio e la sala di culto retrostante sono vertice e conclusione. Le celebrazioni vincolate al culto imperiale avrebbero previsto un percorso processionale che, tramite scalinate monumentali di comunicazione tra le tre terrazze, avrebbe attraversato tutto il complesso architettonico. Naturalmente, al di là dell’itinerario cerimoniale, gli spazi sono dotati di una serie di percorsi per così dire secondari che permettono di accedere alle distinte aree del monumento.
A delimitare il Foro Provinciale sul lato meridionale sono la successione di arcate del circo che, affacciandosi sulla Via Augusta, permettono diimmettersi ai vari settori dell’edificio circense. I due ingressi funzionali alle attività ludiche si situano lungo l’asse est-ovest: a ovest si ubicano le carceres, dalle quali facevano ingresso le varie factiones che partecipavano alle competizioni; a est il passaggio dalla Porta Triumphalis (fig. 176 n. 1) celebrava invece l’uscita trionfale del vincitore. Entrambi i lati si trovano in corrispondenza di due degli ingressi alla città, nonostante quello orientale sia l’unico attestato archeologicamente. In corrispondenza del lato occidentale del circo, infatti, si ubicherebbe un altro accesso alla città, sebbene se ne abbia notizia solo dalle descrizioni di B. Hernández Sanahuja che risalgono al XIX secolo1. Secondo l’autore la porta si troverebbe nell’attuale C/de les Salines 2 e se ne apprezzava un robustissimo arco. Effettivamente la descrizione sembrerebbe essere confermata anche dai disegni realizzati da A. Van den Wyngaerde nel 1563, in cui viene rappresentata una porta con un arco a tutto sesto2.
Gli ingressi disposti lungo il fronte meridionale del circo permettono la distribuzione degli spettatori nei vari settori del monumento: la piattaforma superiore o visorium che circonda l’edificio3 (fig. 176 n. 2), la ima o la summa cavea4 (fig. 176 n. 3, 4) o l’arena stessa (fig. 176 n. 5, 6). Attraversando l’arena, difatti, gli spettatori avrebbero potuto raggiungere le gradinate. Sebbene appaia una soluzione peculiare, il particolare contesto topografico e architettonico in cui s’inserisce lo giustifica: un accesso diretto dall’esterno alle gradinate del versante settentrionale non era possibile, trovandosi questo a contatto con il muro di contenimento della terrazza intermedia. Si realizzano, dunque, una serie di porte aperte nel muro del podio nel lato settentrionale dell’edificio (figg. 176 n. 7-9; 141) a cui si annette uno stretto corridoio che avrebbe condotto a una rampa di scale (figg. 140a; 141b), per poi raggiungere la praecintio di separazione tra ima e summa cavea. Nella parte orientale un’altra porta aperta nel podio, oggi spoliata, dà accesso al corridoio alla base della ima cavea grazie a due rampe di scale poste una di fronte all’altra che conducono nelle due direzioni opposte, a nord e a sud (figg. 176 n. 10; 177). Da qui, per spostarsi dal corridoio subito a ridosso del podio fino alla praecintio che separa la ima dalla summa cavea, scale realizzate con grandi blocchi in pietra di El Mèdol interrompono le gradinate, cosi come documentato negli scavi del C/Trinquet Vell 16-185 (fig. 178).
L’attraversamento dell’arena per raggiungere le gradinate è dunque giustificato dal contesto in cui si erige il monumento. D’altra parte non doveva essere un sistema di accesso così inusuale, si documenta infatti in altri edifici da spettacoli come ad esempio nel circo di Leptis Magna in Libia6, in quello di Tyre in Libano7 o nello stadio di Delfi, in cui il lato nord del monumento, sfruttando il pendio della collina, impedisce qualsiasi accesso diretto in questo punto.
Infine, all’estremo orientale del fronte meridionale del circo una lunga galleria coperta a botte (figg. 176 n. 11; 104) giunge fino alla Porta Triumphalis, oltrepassata la quale una scalinata monumentale avrebbe condotto al visorium e successivamente alla Torre del Pretori (fig. 176 n. 12). Per accedere alla terrazza intermedia dal circo il percorso viene pianificato per essere direzionato verso i due edifici angolari della piazza, la Torre de la Antiga Audiència a ovest e la Torre del Pretori a est. Quest’ultimo settore in particolare sembra rappresentasse uno snodo importante, con accessi controllati come indica la presenza di una cancellata nella parte anteriore della scalinata monumentale. Oltre al controllo per una gestione selettiva del flusso di circolazione, è probabile che lo svolgimento delle attività ludiche avvenisse anche al di fuori delle celebrazioni annuali legate alle riunioni del concilium della provincia, occasioni in cui dunque l’accesso alla terrazza intermedia sarebbe rimasto precluso. Dai due edifici turriformi si poteva raggiungere innanzitutto la piattaforma superiore del circo, sebbene non sia possibile definire in che modo si articolasse questo percorso nell’angolo nord-occidentale dell’edificio circense. Dal visorium si poteva fare ingresso direttamente nel primo livello delle gallerie che corrono sui lati della piazza, come documentato in entrambi i lati (figg. 176 n. 13,14; 98 n. 3; 100 n. 5). Il circuito di scale presente all’interno delle due torri angolari avrebbe poi assicurato l’accesso al secondo livello. Tuttavia, se nel lato occidentale una porta aperta lungo la piattaforma superiore del circo permette di entrare all’interno della Torre de la Antiga Audiència (figg. 176 n. 15; 96 n. 1), nel lato orientale l’accesso al percorso di scale della Torre del Pretori non avviene direttamente dal visorium ma dalla galleria del primo livello (fig. 176 n. 14).
Una volta entrati negli spazi voltati perimetrali della terrazza è probabile che fossero presenti, quantomeno in alcuni punti, sistemi di accesso che permettevano il passaggio ai distinti bracci, come sembrano testimoniare le evidenze documentate durante gli scavi condotti presso la Plaça del Forum. Il settore, corrispondente al punto di unione tra il lato orientale e settentrionale della piazza, presenta difatti una porta ubicata nel braccio nord, dalla luce di m 2,358, che permette di introdursi nella galleria orientale della terrazza (fig. 176 n. 16).
L’ingresso alle lunghe gallerie perimetrali doveva certamente anche avvenire dall’esterno del monumento, sebbene sia attestato con certezza solo uno di questi accessi. Si tratta della porta con arco a tutto sesto in conci lapidei (fig. 176 n. 17; 98 n. 4) ubicata nell’attuale Plaça del Pallol ovvero nella zona sud-orientale della Piazza di Rappresentazione, che dall’esterno del monumento permette di immettersi nell’ambiente voltato che corre su questo lato della terrazza.
Per ciò che concerne l’accesso al piano di calpestio interno alla piazza sono stati attestati solo due ingressi. Uno di questi si riferisce al settore occidentale, dove un ambiente voltato a botte (fig. 176 n. 18) completamente realizzato in conglomerato, ampio circa m 3,3 e alto m 3,60, attraversa in senso est-ovest tutto il podio per arrivare allo spazio interno della piazza9. La galleria si addossa alla fondazione del muro in blocchi decorato con paraste nel quale è presente un’apertura con stessa luce e allineamento della porta che, al livello superiore, permette di immettersi nella galleria perimetrale (fig. 176 n. 17). Proprio da quest’ultima sarebbe dunque stato possibile l’accesso all’ambiente sotterraneo e quindi alla piazza.
A seguito del rinvenimento appena menzionato, è stato possibile anche reinterpretare le parole di B. Hernández Sanahuja10, il quale facendo riferimento alla parte orientale della terrazza, nella zona al di sotto dell’attuale Museo de Arte Moderno, citava la presenza di un ambiente voltato con paramenti in blocchi e copertura in conglomerato che giungeva fino alla struttura di contenimento del podio (fig. 176 n. 19):
“(…) un grande y robusto arco en piedra de sillería, encima del que descansa actualmente el frontespicio de la calle, y en otros tiempos el muro interior del Forum, separa esta pieza subterranea de otro igualmente abovedada, en dirección noroeste. Esta segunda habitación (…) tiene 3 metros 50 cm de anchura, por 4,30 de longitud, es a saber todo el ancho de la calle. (…) la bóveda es durísimo hormigón, a nuestro jucio de construcción romana, y se apoya en unos muros, en parte formados con grandes sillares almohadillados y en parte con obra de mampostería (…) esta bóveda está cortada por otro sólido muro así mismo de mapostería de 1 metro y 20 cm de grueso o espesor (…) En el centro de esta muralla hay practicada una puerta o mejor dicho un portillo (…) Esta puerta o portillo comunica con otra grande y tenebrosa habitación, como el anterior abovedada (…) parece tendrá unos 8 o 10 metros de longitud”11.
Sfortunatamente non si hanno notizie sulla possibilità di accesso dalle gallerie perimetrali della piazza al livello di calpestio del podio. R. Cortés e R. Gabriel12 menzionano a questo proposito l’esistenza di una possibile porta, nel settore nord-ovest della terrazza13, di cui sarebbe visibile parte della piattabanda e di cui descrivono il concio in chiave più basso di m 0,04 rispetto agli altri conci (fig. 179). Tuttavia, la notizia è errata, in quanto in questa zona il paramento del muro in blocchi si addossa al banco roccioso, rendendo impossibile la presenza di un passaggio. Ciò che gli autori identificano come una porta, sono in realtà resti dei blocchi del muro di alzato decorato con paraste e il concio in chiave più basso è semplicemente un blocco slittato verso il basso a causa del cattivo stato di conservazione della muratura.
Ad assicurare il sistema di comunicazione tra la terrazza intermedia e la piazza superiore, oltre alla monumentale scalinata centrale, sono due cosiddette “torri” angolari (fig. 176 n. 20, 21) che avrebbero dato accesso ai portici colonnati che circondano la piazza. Delle due strutture solo di quella occidentale (figg. 44; 176 n. 20), realizzata in grandi blocchi con una fondazione che poggia direttamente sul banco roccioso, è stato documentato parte del paramento occidentale, meridionale e orientale, permettendo di definire un edificio dalle dimensioni di m 20 x 1214.
La presenza di ingressi per così dire secondari all’area sacra risulta una questione ancora irrisolta. Nella parte occidentale non sarebbe stato possibile alcun accesso dall’esterno dovuto alla presenza di affioramenti rocciosi a una quota elevata e oltretutto a poca distanza dal muro perimetrale della piazza. Per ciò che riguarda il lato opposto invece, l’area esterna al monumento doveva essere certamente fruibile, come è già stato messo in evidenza a proposito delle strutture della terrazza porticata (vd.infra). La porta aperta nel paramento in grandi blocchi nella parte più settentrionale del lato orientale (fig. 176 n. 22) avrebbe dunque dato accesso a questa zona, la cui fruibilità sembra altresì confermata dal rinvenimento dello strato di preparazione di un pavimento realizzato con grandi lastre attestate da fori da grappa presenti nel paramento esterno del muro perimetrale della terrazza (fig. 16).
I sistemi di circolazione del complesso architettonico restituiscono dunque un’unità spaziale e un’organicità semantica che bilancia fattori di natura funzionale ed elementi di natura percettiva e simbolica, con una dinamica dei percorsi che sembra cercare un equilibrio che riconduce costantemente l’attenzione a un unico punto focale: la sacralità del potere imperiale. Un’articolazione di percorsi pensata fondamentalmente per un’architettura chiusa in sé stessa, tesa a esaltare la fruizione dello spazio interno al complesso, sebbene i tre spazi architettonici della parte alta restassero riferimento visivo da punti di osservazione esterni, sia per la città che per tutti coloro che giungevano dal mare a Tarraco.
Finanziamenti e promotori. Alcune considerazioni
Discutere di una questione complessa come quella relativa al finanziamento e ai promotori di un monumento dall’entità del Foro Provinciale è cosa ardua, soprattutto se si considera che il cantiere dovette protrarsi nel corso di almeno un secolo, con momenti costruttivi diversi. In assenza di fonti epigrafiche e storiche, infatti, la discussione spesso rimane nel puro campo della speculazione. È per questo motivo che in questa sede ci limiteremo solo ad alcune osservazioni, senza alcuna particolare pretesa di esaustività.
In più occasioni sono state trattate le diverse forme di finanziamento delle attività di costruzione del Foro Provinciale, dalla partecipazione imperiale, all’apporto delle élites provinciali o magari della stessa colonia di Tarraco, sebbene non sia possibile identificare con certezza l’entità o la specificità degli interventi che si sarebbero manifestati in forme diverse, dall’approvvigionamento dei materiali, alla gestione delle rotte commerciali o delle infrastrutture, al trasporto, alla mano d’opera etc.
Nel caso di Tarragona il materiale costruttivo proveniva dalle cave di estrazione prossime alla città che, come spesso accade, sembra fossero gestite dalla stessa colonia15. Sebbene la tematica relativa alla gestione di cave di materiali meno pregiati resti avvolta nell’incertezza, dovuto all’assenza di esplicite fonti letterarie o epigrafiche che ne descrivano lo status amministrativo, vale la pena citare due esempi alquanto esplicativi al riguardo.
Il primo caso è quello già citato a proposito delle notae lapicidinarum dipinte, provenienti dalla cava del Conero presso Ancona. Su uno dei fronti di estrazione16 si fa riferimento, infatti, alla locazione del settore da parte di due personaggi interpretati come i duoviri della colonia a partire dall’identificazione di uno dei due, un certo T. Rub(rius), presente in un’iscrizione anconetana. La seconda testimonianza è quella della diga romana di Muel (Saragozza, Spagna)17, sui cui blocchi è stata documentata una gran quantità di sigle incise in cui la lettera L, seguita da un numerale, è stata interpretata come riferimento al loco. In alcuni esempi accanto a questi caratteri si attesta la lettera P, per il cui scioglimento è stato proposto il termine publico. La sigla indicherebbe dunque che alcuni settori della cava sarebbero stati di proprietà pubblica, probabilmente della colonia di Caesaraugusta.
A Tarragona il rinvenimento di due marchi di cava incisi su blocchi provenienti dall’accumulo di materiali di scarto documentato nei pressi dell’accesso alla cava di El Mèdol (vd. infra), generò un dibattito relativo a una possibile amministrazione imperiale del sito estrattivo o a una collaborazione tra il governo centrale di Roma e la colonia tarragonese nella gestione delle risorse lapidee per la costruzione del complesso architettonico terrazzato.
Si tratta delle sigle CAS e BVCOLI (fig. 180). Del marchio CAS, da sempre riportato erroneamente come CAES, si propose lo scioglimento caesaris18 o caesura19, interpretandolo come la prova dell’esistenza di lavori organizzati direttamente dall’amministrazione imperiale o comunque di un intervento di questa su controllo e pianificazione delle operazioni svolte all’interno della cava. Del secondo marchio invece fu proposta la lettura B(rachium) V COL(onia) I(ulia)20, a testimonianza, dunque, della denominazione di un fronte di estrazione aperto in un terreno che faceva parte dell’ager publicus della colonia, lasciando ipotizzare un’azione di concessione, da parte della colonia stessa, del permesso di estrazione a differenti conductores. Un’ulteriore interpretazione di questo marchio fu pubblicata nel 2017 da R. Mar e J. Ruiz de Arbulo21 con la lettura B(rachium) V COL(umna) I(prima), come riferimento al fronte di estrazione dove la pietra veniva cavata per filari verticali.
La lettura dei marchi che è stata proposta, tuttavia, risulta, almeno nell’opinione di chi scrive, fortemente influenzata dal sistema interpretativo impiegato per le cave di marmo imperiale, una questione che spesso accomuna la lettura di marchi apposti su materiali di costruzione meno nobili, e che genera confusione22. Il termine bracchium, ad esempio, non è mai stato attestato al di fuori di cave di marmo che non fossero imperiali, così come il termine caesura23. Anche la lettura caesaris, in un contesto in cui non appare riferimento alcuno al personale o a incarichi vincolati al governo, appare forzata. Elemento non trascurabile è poi il contesto in cui i marchi sono stati rinvenuti, sigle brevi in cui non si fa alcuna esplicita menzione a zone di estrazione della cava mediante ad esempio il termine loco per indicare il filone di estrazione del marmo o bracchium per la specificazione del settore. Le sigle, come è stato rilevato nel capitolo precedente, sembrano piuttosto alludere a una terminologia abbreviata, forse ad antroponimi. Potrebbe trattarsi dunque, anche in questo caso, del riferimento a figure legate alle attività svolte in cava, probabilmente responsabili di alcune delle operazioni.
Con questo non si vuole negare l’intervento imperiale nelle attività costruttive del foro della provincia che anzi, al contrario, certamente dovette contribuire alla sua realizzazione. Un cantiere di queste dimensioni richiedeva un ambizioso programma di finanziamento che doveva comprendere vari aspetti della costruzione. L’intervento si sarebbe potuto manifestare in varie forme, tra cui, ad esempio, fornire le infrastrutture necessarie per il funzionamento di un cantiere così complesso e che la colonia di Tarraco da sola non avrebbe certamente avuto a disposizione. In questo caso il discorso si vincola strettamente anche all’uso del marmo all’interno del monumento. P. Pensabene e J. Domingo24 contemplano la possibilità che nella richiesta da parte dei tarragonesi del permesso a Tiberio di costruire un tempio dedicato ad Augusto potesse essere inclusa la richiesta di infrastrutture per la lavorazione e trasporto degli elementi lapidei. Gli autori si riferiscono in questo caso ai blocchi giganteschi in marmo di Luni/Carrara che avrebbero decorato l’edificio templare e, successivamente, l’aula assiale, ma ciò non esclude la possibilità che si sarebbero potute impiegare le stesse infrastrutture anche per i processi di produzione dei materiali di costruzione di minor pregio. Ovviamente non si può stabilire se la manodopera incaricata di queste operazioni, che doveva comunque essere altamente specializzata ed esperta, fosse messa a disposizione o meno dall’amministrazione imperiale. Relativamente alle maestranze forse un discorso a parte può essere fatto per la lavorazione degli elementi in marmo. È plausibile che gruppi di artigiani esperti fossero inviati direttamente dalla casa imperiale per la lavorazione dei pezzi in situ. D’altra parte la presenta di scalpellini o operai a bordo di navi che trasportavano blocchi o elementi in marmo, sembra essere attestata dai dati forniti dai relitti sparsi nel Mediterraneo25. P. Pensabene e J. Domingo26 propongono di valutare anche la possibilità che i grandi blocchi in marmo e la loro estrazione potesse essere garantita dal governo centrale.
Ma un ruolo certamente fondamentale nel finanziare la costruzione del Foro Provinciale fu ricoperto dalle élites provinciali, desiderose di accrescere il proprio onore e ottenere riconoscimento pubblico della loro generosità27.
In particolare per ciò che riguarda l’approvvigionamento del marmo lunense28, uno dei personaggi che potrebbe aver contribuito in questo senso è L. Caecina Severus, magistrato locale di rango equestre e menzionato a Tarraco in tre iscrizioni datate tra epoca flavia e il II secolo d.C. e in una quarta in cui solo compare L. Caecina su un blocco in pietra di Santa Tecla attualmente reimpiegato nella cattedrale29. Era già stato messo in evidenza come questo personaggio potesse essere un discendente di uno dei rami della famiglia Caecina, o di un loro liberto, i quali, di origine volterrana, avevano numerosi interessi nelle cave di marmo di Luni-Carrara30. P. Pensabene e J. Domingo31 mettono inoltre in rilievo come L. Caecina Severus appaia menzionato nella città di Tarraco con l’incarico di praefectus fabrum, praefectus cohortis I e praefectus orae maritimae. Gli autori sottolineano come tra le varie funzioni del praefectus fabrum poteva esserci la gestione delle opere pubbliche32, mentre tra quelle del praefectus cohortis I e praefectus orae maritimae vi era l’amministrazione portuaria, il controllo sulla sicurezza dei porti e il corretto svolgimento del trasporto delle mercanzie. Sempre restando nell’ambito dell’ipotesi, il personaggio in questione sarebbe dunque potuto essere implicato o avere un controllo diretto sull’arrivo in particolare del marmo lunense a Tarragona.
Tuttavia, l’impiego massivo del marmo di Luni-Carrara nella terrazza superiore sembra non potersi esimere da un intervento dell’amministrazione imperiale. Fino a epoca augustea difatti l’impiego di questo marmo nella città di Tarraco aveva riguardato più che altro i programmi epigrafici e scultorei della “parte bassa” della colonia. È con la costruzione del Tempio di Augusto nella “parte alta” però che il marmo di Luni-Carrara giunge a Tarraco in grandi quantità e soprattutto per finalità di tipo architettonico. Ciò nonostante, esiste un’evidente differenza nell’uso di materiali decorativi tra la terrazza superiore e intermedia. Il recinto sacro è decorato per la maggior parte in marmo lunense, sebbene dovevano essere presenti anche marmi policromi. Nella terrazza intermedia, invece, l’unico lato della piazza a presentare una decorazione in marmo era quello settentrionale, il resto, realizzato in pietra calcare di El Mèdol, doveva essere completamente stuccato, tanto nel fronte del podio come nel paramento decorato con paraste. Si potrebbe forse cercare una spiegazione nelle diverse fonti di finanziamento per la costruzione
dei due spazi, ipotizzando un maggior intervento nella terrazza superiore da parte del governo centrale con un finanziamento, invece, per la realizzazione della Piazza di Rappresentazione direttamente promosso dalle élites provinciali33.
Modelli presunti e reali nella realizzazione del Foro Provinciale di Tarraco
Nell’ormai lontano 1997 un articolo di W. Trillmich34 contenuto nel noto volume Hispania Romana. Da terra di conquista a provincia dell’impero metteva in evidenza come almeno a partire da epoca augustea: «Il “modello della metropoli”, lo standard culturale e artistico creato nell’ambiente spirituale dell’Urbe, viene dai provinciali ambito, desiderato, copiato, imitato e, infine, variato e sviluppato, il che produce nuove iniziative, perfino nuove tradizioni locali, nate talora dalle ceneri di quelle antiche. Il fatto che il modello adesso venga seguito volontariamente porta alla creatività ideologica e artistica; produce risultati sorprendenti, originali, insomma “provinciali” nel senso positivo della parola».
Un monumento come il Foro Provinciale, dalle intrinseche finalità rappresentative e celebrative, doveva necessariamente trovare nei modelli e nelle forme architettoniche maturate a Roma un riferimento costruttivo importante. Tuttavia, la commistura di elementi provenienti da Roma diventano tutt’altro che una replica “provinciale”, bensì richiami precisi all’interno di un contesto e soprattutto di una identità costruttiva locale ben consolidata.
La realtà architettonica di Tarraco difatti si era affidata sin dalla prime fasi del processo di monumentalizzazione della città a una cultura e una tradizione costruttiva fortemente influenzata dalle risorse di materiali locali e dunque di maestranze esperte nell’uso e lavorazione della pietra. Nel teatro di epoca augustea, ad esempio, si modellano nella pietra calcarea locale gli elementi portanti ma anche e soprattutto di decorazione architettonica. I materiali costruttivi e i dettagli decorativi che caratterizzano la scaenae frons mostrano però come nel periodo augusteo non si fossero imposti ancora a Tarraco i modelli stilistici derivati dalla costruzione del tempio di Mars Ultor nel Foro di Augusto a Roma35, conservando invece una tradizione stilistica propria del II triumvirato36. Anche in epoca giulio-claudia la cosiddetta “parte bassa” della città continua a essere scenario di riforme e attività costruttive e l’uso della pietra calcarea continua a essere preponderante anche nell’apparato decorativo del Foro della Colonia in epoca tiberiana. Tuttavia, in questo caso le maestranze locali, pur nella continuità della propria tradizione costruttiva, sembrano recepire l’influsso dello stile denominato medio-augusteo, nato a partire dal programma decorativo del tempio di Mars Ultor, con un’evoluzione che potrebbe essere messa in relazione con la presenza, nella parte alta della città, di maestranze italiche che lavoravano il marmo lunense per la costruzione del Tempio di Augusto37.
Ma è nella realizzazione del Foro Provinciale che la tradizione costruttiva locale raggiunge il suo più alto grado di espressione e che i modelli direttamente provenienti da Roma trovano applicazione immediata.
Uno dei riferimenti più espliciti all’Urbs si materializza nel foro tarragonese, come in numerosi altri esempi provinciali soprattutto in Hispania, Gallia e Germania Inferior38, nei famosi clipei che decoravano l’attico del portico della terrazza superiore. Sebbene il riferimento iconografico sia chiaramente ispirato al Foro di Augusto a Roma (fig. 181a), le soluzioni proposte nei vari centri provinciali vengono fortemente reinterpretate, inserendo novità assenti nei modelli dell’Urbs. È certo che, soprattutto nel caso di Tarraco, risulti difficile affrontare la tematica in maniera precisa, considerando che non esistono ancora sufficienti dati che permettano di elaborare una proposta ricostruttiva univoca della decorazione dell’attico del recinto sacro.
Ad ogni modo, i clipei tarragonesi inclusi all’interno di specchiature quadrangolari, così come quelli del complesso provinciale di Augusta Emerita39 (fig. 181b-c), sembrano presentare protomi di Giove-Ammone e di Medusa, differenziandosi dal Foro di Augusto. Le rappresentazioni di Iuppiter con corna di ariete e con torques del foro di Roma40 sono dunque sostituite in ambito provinciale dalla coppia Giove-Ammone/Medusa, pur mantenendo quella che probabilmente era una raffigurazione simbolica degli estremi dell’impero: Giove-Ammone per la pars orientalis, Medusa per la pars occidentalis41. Resta da definire se anche a Tarraco venissero riproposte le protomi di divinità alternate a cariatidi, presenti nel modello romano e perfettamente replicate a Merida, o se vi sia l’introduzione di pannelli con candelabro vegetale, la cui raffigurazione richiama comunque i rituali del culto imperiale. Tale iconografia è attestata, a partire da epoca flavia, soprattutto in Gallia e probabilmente proprio sul modello di Tarragona, seppur in ambito gallo i pannelli diventino completamente vegetalizzati.
Ma se a Merida gli elementi clipeati vengono realizzati con marmi locali42, a Tarraco l’utilizzo del marmo lunense è senza dubbio prevalente nella realizzazione degli elementi di decorazione architettonica di tutto il foro. Si tratta di un elemento che in parte rimanda ancora una volta ai modelli urbani, ma che si vincola soprattutto alle complesse questioni riguardanti committenza e finanziamenti. Come si è visto, nelle dinamiche che permisero l’introduzione e l’uso nelle province ispaniche di grandi quantità di marmo lunense, ruolo fondamentale lo ricoprirono le relazioni tra membri del governo centrale ed élites cittadine e provinciali43. Inoltre non va dimenticato il soggiorno dello stesso Augusto a Tarragona per circa due anni, tra il 26 e il 25 a.C44, evento che dovette agevolare tali relazioni nonché permettere di materializzare una più diretta volontà del Princeps di monumentalizzare la parte più alta della città45.
Sempre in ambito decorativo, P. Pensabene e J. Domingo46 mettono in evidenza la contrapposizione tra traditio e inventio nell’uso di due ordini architettonici distinti in uno stesso spazio: l’ordine composto per le colonne del portico della terrazza superiore e l’ordine corinzio nel tempio e nella facciata dell’aula di culto. Nel Foro della Pace si attesta esclusivamente l’uso dell’ordine corinzio, lo stesso impiegato nei propilei del Claudianum. Secondo gli autori la soluzione adottata a Tarraco rientrerebbe in una corrente d’uso dell’ordine composto in alcuni centri ispanici nel I secolo d.C., che affonda le sue radici a Roma a partire da epoca augustea.
Un’ulteriore questione relativa ai riferimenti presenti nelle forme architettoniche del Foro Provinciale è quella dei modelli planimetrici, un elemento analitico certamente importante, ma che spesso si avvale esclusivamente di una sorta di interpretazione bidimensionale, dimenticando la tridimensionalità della realtà architettonica.
L’analisi costruttiva del foro della provincia di Tarraco resta molto complessa, a causa della sua evoluzione e delle diverse macrofasi finora individuate. Ben nota è l’influenza che il modello architettonico del Foro della Pace ebbe in contesti architettonici differenti nelle province occidentali. Ed effettivamente è innegabile che se nella terrazza superiore del Foro Provinciale esiste, come è già
stato rilevato, una vicinanza con l’apparato iconografico del Foro di Augusto, per ciò che concerne l’aspetto planimetrico presenta invece una relazione stretta con il Foro della Pace (fig. 182): una piazza con esedre che si aprono sui tre lati; un’aula assiale posta sull’asse di simmetria di tutto il complesso; portici su tre lati che, nel lato del fondo, restano direttamente connessi con il pronao della sala di culto, a differenza di quanto accadeva nel Foro di Augusto i cui lati porticati erano completamente indipendenti dall’edificio sacro.
Nonostante ciò, un elemento fondamentale distingue il Foro della Pace dalla terrazza tarragonese, ovvero la presenza al centro di quest’ultima del preesistente grande tempio ottastilo dedicato ad Augusto. Infatti, il tempio in posizione centrale generò inevitabilmente una differenza nei riferimenti prospettici tra il modello di Roma e quello tarragonese. Se nel foro dell’Urbs il punto focale era l’aula assiale o Templum Pacis47, preceduta da un propileo colonnato, nel caso tarragonese la vista della sala era occultata dall’edificio templare che certamente focalizzava l’attenzione nell’accesso alla piazza, dando inevitabilmente origine a una percezione architettonica differente. L’aula di culto, dunque, non costituiva il punto di vista privilegiato, un po’ come accadeva nel Foro di Augusto in cui la sala destinata al culto dinastico, ovvero la cosiddetta Sala del Colosso, restando nascosta dalle colonne del portico, non era chiaramente visibile dalla piazza.
Ma la terrazza superiore del monumento tarragonese si distingue anche dalle altre due capitali di provincia ispaniche, Augusta Emerita48 e Colonia Patricia Corduba49, in cui il temenos degli edifici dedicati al culto imperiale è delimitato dal noto schema del triportico privo di sala assiale. A Tarraco dunque la commistura di elementi risulta evidente, dando vita a un risultato e a una percezione visiva differente.
Lo stesso si può dire delle nicche che nel foro augusteo si aprono nei portici (fig. 183a), alternate a semicolonne in giallo antico50, mentre a Tarraco diventano ampie finestre, reinterpretando il modello dell’Urbs in maniera originale. Il contenuto della galleria dei summi viri viene dunque completamente svuotato a favore di un’apertura visiva su spazi esterni che diventano un elemento integrante delle strutture architettoniche. A Merida, invece, viene replicato il motivo di statue e nicchie, nonostante le semicolonne si trasformino in semipilastri corinzi su basi attiche (fig. 183b).
È forse però nella cosiddetta Piazza di Rappresentazione che la distanza con i modelli planimetrici esistenti appare ancor più esplicita. Si tratta innanzitutto di una piazza di circa m 300 x 150, probabilmente la più estesa del mondo romano conosciuto, dettaglio che di per sé la rende praticamente un unicum.
Sulla configurazione di questa piazza sussistono ancora numerosi dubbi e interrogativi. Come si è visto, resta argomento di discussione la presenza o meno di un portico colonnato sul podio. L’ampiezza di quest’ultimo ci restituisce una dimensione che ritroviamo anche in altri portici, come ad esempio
nel Foro della Pace (m 13 circa) o nel Foro di Traiano (m 14 circa), tuttavia con una differenza fondamentale: l’assenza negli esempi a Roma del podio stesso. A prescindere dall’esistenza di un portico colonnato, infatti, risulta palese come a configurarsi sia uno spazio architettonico e una visone di esso assolutamente nuova e distinta. Si tratta di una struttura alta quasi m 4 che genera una profonda rottura rispetto a quella canonica continuità tra piazza e portico, o comunque spazio circostante a essa, che ritroviamo nei modelli planimetrici a noi noti. Passaggi con ambienti coperti botte che tagliavano trasversalmente il riempimento di terra, associati a scalinate, permettevano al visitatore di raggiungere il livello del podio51, che altrimenti non sarebbe stato accessibile direttamente dalla piazza. Una distinzione netta degli spazi che forse, con le dovute differenze funzionali, potrebbe ricordare quelle piazze in cui il podio del tempio diventa prosecuzione naturale dei portici colonnati laterali che circondano l’area sacra, come avviene ad esempio nel foro di Brescia52. Recentemente è stato rilevato come anche nel Foro della Pace esistesse una separazione netta tra il portico e la piazza, grazie alla presenza di una cancellata in marmo che impediva l’accesso alla zona interna della piazza nella quale erano presenti sculture53. Tuttavia, si ribadisce per il caso tarragonese l’esistenza di una piattaforma sopraelevata di ben m 4, ovvero il podio, che indubbiamente offriva un punto di vista privilegiato verso l’interno della piazza.
L’idea dello spazio nella cosiddetta Piazza di Rappresentazione è quella di un’area scenograficamente dominante, sebbene resti perfettamente inserita nel complesso architettonico del Foro Provinciale, in simmetria assiale con il superiore Recinto di Culto, dove la continuità spaziale è garantita da una scalinata centrale. La chiave interpretativa di questa nuova visione architettonica doveva risiedere necessariamente nella funzione di questa piazza dalla forte valenza politico-amministrativa per tutta la provincia Citeriore, celeberrimus locus riservato all’esposizione di statue e piedistalli dedicati a flamines e flaminicae della provincia Hispania Citerior e alla glorificazione delle élites locali da parte della comunità tarragonese e dei suoi cittadini più prestigiosi54.
Dal punto di vista costruttivo, pur con riferimenti ai modelli provenienti da Roma, l’architettura del Foro Provinciale sembra mantenere una rigida impostazione di spazi chiusi, disposti in una logica di ascesa assiale. L’uso prevalente della tecnica edilizia in grandi blocchi sembra mitigare quell’adozione di schemi costruttivi curvilinei che caratterizzano la volontà romana di plasmare e organizzare lo spazio architettonico per funzionalizzarlo, a favore invece di un’architettura rigida e rettilinea. Le strutture di sostruzione e gli ambienti voltati, dall’importante ruolo strutturale e allo stesso tempo funzionale alla gestione dei pecorsi interni ai vari spazi del monumento, creano itinerari che restano però sempre rigidamente scanditi, lontani dal gioco di movimenti delle grandi masse in conglomerato, rappresentati ad esempio in maniera eccezionale dal santuario della Fortuna Primigenia di Praeneste. Ciò che è certo è
che l’impiego dei volumi in opera quadrata denota una maestria costruttiva eccezionale nel suo dispiegarsi in un’architettura a terrazze dagli spazi ben definiti eppure sempre coerenti tra loro, dando origine a un linguaggio in cui ogni elemento è essenziale e indispensabile, rigorosamente funzionale, studiato e bilanciato.
L’unicità del complesso monumentale di Tarraco si esprime certamente nell’unione funzionale di tre spazi distinti eppure semanticamente organici che presentano un unico punto focale: la sacralità del potere imperiale e la sua celebrazione. È noto come l’esistenza di quelli che vengono definiti fori provinciali non rispecchi una realtà o un modello architettonico canonico e dunque ripetuto nelle varie capitali di provincia55. Questo di per sé definisce già il monumento tarragonese come una costruzione originale. Ovviamente i riferimenti ai modelli dell’Urbs sono presenti e inevitabili, anzi ricercati, ma mai semplicemente ripetuti. L’apparato decorativo del Recinto di Culto ripropone chiaramente i motivi del Foro di Augusto, ma con varianti significative, i riferimenti planimetrici al Foro della Pace sono evidenti, ma l’introduzione di elementi assenti nel foro di Roma determina una realtà e una visione architettonica nuova. Allo stesso modo, nella Piazza di Rappresentazione lo svolgimento della vita e delle questioni amministrative della provincia, e dunque dei precetti della romanità, trova accordo e connessione in uno spazio completamente rinnovato dal punto di vista della percezione architettonica, una percezione che si esplicita in una soluzione che sarebbe limitante definire come locale, ma che piuttosto fa del Foro Provinciale un unicum.
Notes
- Hernández Sanahuja 1877, 71.
- Kagan 1986, 179.
- Come la scalinata posta all’estremo orientale (Macias et al. 2007a, scheda 262).
- Macias et al. 2007a, scheda 247.
- Curulla 2000b, 253-254.
- Humphrey 1986, 31-33.
- Humphrey 1986, 62-65.
- Pociña & Remolà 2000, 29.
- Díaz & Teixell 2014, 838-839.
- Hernández Sanahuja 1877, 24-26.
- La notizia è riportata anche in Cortès & Gabriel 1985, 28, num. 77.
- Cortés & Gabriel 1985, tav. 61bis.
- I resti si ubicano presso il C/del Vidre 5.
- Peña & Díaz 1996, 214.
- La Lex Irnitana include, tra i doveri dei duoviri, la cessione dei diritti di sfruttamento di determinate risorse proprie dei terreni municipali (González 1986, 212, 218-219).
- Paci 2007, 232-233. A(nte) DE(m) VII K(alendas) FE(bruarias) ME(tallum?) Q(uintus) Fec(ilius) | T(itus) RUB(rius) (duoviri) LOC(averunt) P(edibus) Q(uadratis) [– – –]; A(nte) DEIM VII K(alendas) FE(bruarias) Me(tallum) | Q(uintus) FEC(ilius), T(itus) ‘RUB’(rius) (duoviri) ‘AB’ ‘ANT’tṛo loc(averunt) | P(edibus) Q(uadratis) DCCLXX.
- Uribe et al. 2016; Navarro Caballero et al. 2014.
- Mar & Pensabene 2008, 512-513.
- Mar et al. 2015, 64.
- Mar & Pensabene 2010, 512-513.
- Mar et al. 2017, 7.13.
- Il contesto giuridico e le modalità di gestione di una cava cambiano anche in relazione all’importanza di questa, valore che varia in base al numero degli addetti che vi lavorano, al pregio del materiale estratto e quindi all’economia che l’intero sistema produttivo può generare. Non si può certamente considerare alla stessa stregua una cava di marmo prezioso con una di pietra semplice (Poma 2014, 37-38).
- Il termine si attesta prevalentemente nelle cave di Docimium (Hirt 2010, 293-297). Presso i giacimenti estrattivi di Luni/Carrara si documenta solo in tre casi (Segenni 2015, 447). Presso il Mons Claudianus, invece, i termini caesura così come bracchium sono completamente assenti (Hirt 2010, 328).
- Pensabene & Domingo 2014, 124.
- Si veda il rinvenimento di un relitto presso Porto Novo (Porto Vecchio, Corsica) che trasportava un carico di elementi architettonici in marmo lunense. Al suo interno sono stati ritrovati attrezzi per lavorare i blocchi, un dato che suggerisce che a bordo della nave ci fossero anche artigiani esperti nella lavorazione del marmo (Bernard et al. 1998, 53-81). Il relitto di Isolella, sempre in Corsica, con carico in laterizi sembra trasportasse anch’esso operai, forse muratori più che lapicidi, considerando gli strumenti da lavoro rinvenuti (mazzette, chiodi, un bulino; Alfonsi Gandolfo 1991).
- Pensabene & Domingo 2014, 124.
- Melchor Gil 1994, 68.
- Relativamente alla diffusione del marmo lunense all’interno dei programmi architettonici delle province d’occidente e alle relazioni tra il governo centrale e i gruppi senatoriali di origine provinciale si veda: Pensabene 2012.
- RIT 164 = CIL II2/14, 1012; RIT 165 = CIL II2/14, 1013; RIT 166 = CIL II2/14, 1011; RIT 529 = CIL II2/14 1494.
- Pensabene & Mar 2010, 296-297. È stato messo in evidenza come anche un altro membro della famiglia potrebbe aver avuto legami con Tarraco, forse nell’uso del marmo lunense per la costruzione del Tempio di Augusto, ovvero Aulo Caecina Severo che fu governatore in Africa fino al 10 d.C., un incarico che generalmente si ricopriva dopo essere stato governatore della Citeriore (Pensabene & Domingo 2019, 62).
- Pensabene & Domingo 2019, 62-63.
- Per un approfondimento sulla figura del praefectus fabrum si veda: Verzár-Bass 2000.
- Pensabene & Domingo 2019, 95-96.
- Trillmich 1997, 131-132.
- Mar et al. 2015, 315.
- Pensabene 2007, 46.
- Mar et al. 2015, 264.
- Per l’Hispania si vedano i noti clipei provenienti da Augusta Emerita (De La Barrera 2000) e quelli di Italica (Peña 2007); per la Gallia e la Germania Inferior si vedano gli esempi di Arles, Vienne, Avenches o Ginevra (Verzár-Bass 1977, 38; Casari 2004, 31).
- A Merida la vicinanza al programma iconografico del Foro di Augusto si fa ancora più evidente con la presenza del noto gruppo scultoreo di Enea, Anchise e Ascanio (De La Barrera 2000, 184-185).
- Non esistono indizi certi sulla possibilità della presenza di protomi di Medusa, l’unica notizia farebbe riferimento a un frammento di chioma con una piccola ala, che sarebbe conservato nei magazzini dei Mercati Traianei (Casari 1998, 396).
- Marco Simón 1990, 146-147; Cresci Marrone 1993, 183. L’iconografia di Giove con corna di ariete era dunque sostituita in ambito provinciale dalla rappresentazione di Giove/Ammone, mentre quella di Giove con torques da quella di Medusa (Casari 1998, 398-399).
- De La Barrera 2000, 159.
- Domingo 2015, 192.
- Cass. Dio. 53.25.
- Vinci & Ottati 2018, 173-175.
- Pensabene & Domingo 2019, 51-56.
- Tucci 2013, 278-285; Tucci 2017.
- Ayerbe et al. 2009.
- Jímenez 1996; Murillo et al. 2003; Ventura 2007.
- Ungaro 2002, 110.
- Díaz García et al. 2014.
- Frova 1990, 347-352.
- Tucci 2017, 38-39.
- Alföldy 2003, 163.
- Fishwick 1995.